31/03/18

Grecia, la polizia spara gas lacrimogeni sugli insegnanti che manifestano per chiedere lavoro

La repressione economica non può che sfociare nella repressione violenta. Nella disattenzione generale, continuano le sofferenze della Grecia, flagellata dalla disoccupazione: questa volta è una manifestazione per il lavoro degli insegnanti a essere stata repressa brutalmente dalla polizia. Dal blog Keep Talking Greece

 

 

 

di Keep Talking Greece, 30 marzo 2018

 

 

Tensione e gas lacrimogeni contro la manifestazione organizzata dagli insegnanti nel centro di Atene venerdì 30 marzo. La manifestazione ha sfilato attraverso il centro della città fino a che una folla di persone ha cercato di raggiungere la sede del Primo Ministro.



 



Come prevedibile, la polizia ha bloccato i manifestanti e ha sparato gas lacrimogeni per disperdere la folla.







Migliaia di insegnanti a tempo parziale e a tempo pieno si sono uniti alla protesta, chiedendo 25.000 posti di lavoro stabili per sopperire ai bisogni della scuola pubblica del Paese.

 

 



Molti degli insegnanti a tempo parziale sono impiegati come supplenti, costretti a saltare di qua e di là ovunque ci sia bisogno. E alcuni di loro lavorano in queste condizioni da più di dieci anni.

 

I sindacati degli insegnanti hanno richiesto un incontro con il Primo ministro Alexis Tsipras.

 

La manifestazione di protesta si è conclusa ieri intorno alle 4.30 e le strade sono state riaperte alla circolazione delle auto.

 

28/03/18

Trenta domande che un giornalista dovrebbe fare riguardo al caso Skripal

Sul sito the Blogmire viene affrontato con spirito critico il caso Skripal – l’ex spia russa avvelenata nel Regno Unito. Quanto realmente accaduto è ancora oscuro, ma una cosa è chiara: l’atteggiamento ultra-aggressivo del governo inglese nei confronti di quello russo, colpevole molto presunto, è privo di basi solide, visto che le prove del coinvolgimento di Mosca sono inconsistenti, quando non inesistenti. Alla luce di ciò, appare ancora più irresponsabile l’atteggiamento delle nazioni occidentali che si sono affrettate a punire i russi, creando così un grave incidente diplomatico con una delle maggiori potenze nucleari del pianeta.

 

 

 

Di Rob Slane, 20 marzo 2018

 

Ci sono molti aspetti, riguardo al caso di Sergej e Yulia Skripal che, nel momento in cui questo articolo viene scritto, sono decisamente oscuri e piuttosto strani. Per alcuni potrebbero esserci spiegazioni valide e innocenti, magari anche per tutti. Ma potrebbero anche non esserci. Ecco perché è fondamentale fare domande e porle nei casi in cui, al momento, o le risposte non ci sono o sono molto insoddisfacenti.

 

Qualcuno dirà che questo è complottismo. Invece non lo è, per la semplice ragione che io non ho una teoria credibile – complottista o meno – per spiegare tutti i dettagli dell’incidente di Salisbury dall’inizio alla fine, e non sto cercando di sostenerne una. Non ho idea di chi ci sia dietro questo incidente, e continuo a tenere la mente aperta a molte possibili spiegazioni convincenti.

 

Tuttavia, ci sono una serie di stranezze nella narrazione ufficiale, che richiedono domande e chiarimenti. Non bisogna essere complottisti né difensori della Russia per vederlo. C’è solo bisogno di una sana dose di scetticismo, “di quel tipo che viene sviluppato dalle menti indagatrici”.

 

Qui sotto ho riportato trenta tra le domande più importanti riguardo al caso e le risposte del Governo Britannico: queste domande al momento sono o totalmente senza risposta, oppure richiedono ulteriori chiarimenti.

1 - Perché non ci sono stati aggiornamenti pubblici sulle condizioni di Sergej e Yulia Skripal dalla prima settimana di indagini?

2 - Sono ancora vivi?

3 - Se sì, quale sono le loro attuali condizioni e quali sintomi mostrano?

4 - In una recente lettera al Times, Stephen Davies, Consulente per la Medicina di Emergenza presso la Fondazione del Servizio Sanitario Nazionale di Salisbury, ha scritto quanto segue:

“Signore, a seguito della sua notizia (“Esposizione al veleno richiede trattamenti sanitari per 40 persone” del 14 marzo), vorrei chiarire che nessun paziente ha sperimentato un avvelenamento da agente nervino a Salisbury e ci sono stati solo tre pazienti con avvelenamento significativo”.

L'affermazione che “nessun paziente ha sperimentato un avvelenamento da agente nervino a Salisbury” è davvero strana, e sembra in netta contraddizione con la narrazione ufficiale. Si è trattato di un lapsus, oppure era davvero sua intenzione comunicare proprio questo – che nessun paziente è stato avvelenato con un agente nervino a Salisbury?

5 - Si è detto che gli Skripal e il Sergente Detective Nick Bailey sono stati avvelenati da un “agente nervino di tipo militare”. Alcuni sostengono che il tipo di agente potrebbe essere da cinque a otto volte più tossico dell’agente nervino VX. Dal momento che anche solo 10 mg di VX vengono considerati una dose mediamente letale, sembra probabile che il tipo particolare di agente nervino menzionato nel caso Skripal dovrebbe averli uccisi all’istante. Esiste una spiegazione sul come o perché questo non è avvenuto?

6 - Nonostante alcuni rapporti appena successivi all’incidente suggerissero la presenza di un qualche tipo di agente nervino, c’è voluta quasi una settimana prima che la Sanità Pubblica Inglese emettesse un comunicato diretto a coloro che avevano visitato il Mill pub o il ristorante Zizzi di Salisbury il giorno in cui gli Skripal sono stati male. Qual è la ragione del ritardo, e questo ha causato un pericolo al pubblico?

7 - Nel suo comunicato, il Sistema Sanitario Inglese suggerisce alle persone che hanno visitato questi luoghi, dove sembra che siano state trovate tracce di un agente nervino di tipo militare, di lavarsi i vestiti e “pulire gli oggetti personali come i cellulari, le borsette e altri strumenti elettronici con salviette igieniche o per bambini e smaltirli nel cestino (spazzatura domestica ordinaria)”. Davvero le salviettine per bambini sono ritenute un metodo efficace e sicuro per trattare oggetti che potrebbero potenzialmente essere stati contaminati con “agenti nervini di tipo militare”, specialmente se di un tipo cinque-otto volte più letali del VX?

8 - I primi rapporti suggerivano che il Sergente Detective Bailey fosse stato male entrando in contatto con la sostanza dopo aver frequentato gli Skripal su una panchina dove erano seduti presso un centro commerciale a Salisbury. Successivamente tuttavia, in origine per bocca dell’ex commissario della Polizia Metropolitana, Lord Ian Blair, il 9 marzo, si è detto che era venuto in contatto con la sostanza in casa di Sergej Skripal in via Christie Miller. Da quel momento i rapporti sono stati molto ambigui su quello che dovrebbe essere un elemento facilmente verificabile. Qual è la versione giusta?

9 - Il governo ha sostenuto che il veleno usato sia un “agente nervino di livello militare, di un tipo sviluppato dalla Russia”. La frase “di un tipo sviluppato dalla Russia” non dice assolutamente nulla sul fatto che la sostanza utilizzata nel caso di Salisbury sia stata prodotta o realizzata in Russia. Il governo può confermare che i suoi scienziati di Porton Down hanno stabilito che la sostanza che ha avvelenato gli Skripal e il Sergente Detective Bailey era davvero prodotta o realizzata in Russia?

10 - L’ex ambasciatore presso l’Uzbekistan, Craig Murray, ha sostenuto che fonti interne all’Ufficio Estero e del Commonwealth (FCO) gli hanno comunicato che gli scienziati di Porton Down non sarebbero stati d’accordo con un’affermazione riguardo al luogo di origine della sostanza, dal momento che non erano in grado di stabilirlo. Secondo Murray, solo sotto la forte pressione del Governo hanno finito per accordarsi sulla frase di compromesso ”di un tipo sviluppato dalla Russia”, che è stata poi utilizzato in tutti i comunicati ufficiali sull'argomento. Può il FCO, in parole chiare e univoche, rifiutare categoricamente quanto affermato dal signor Murray riguardo alle pressioni esercitate sugli scienziati di Porton Down perché gli scienziati fossero d’accordo su un’espressione e che alla fine la versione pubblicata era molto più generica di quanto proposto?

11 - Quando il Ministero degli Esteri inglese ha tentato di confutare le affermazioni di Murray, le parole che ha usato includevano la ripetizione letterale della stessa frase “di un tipo sviluppato dalla Russia”. Il Ministero vuole e può andare oltre e confermare che la sostanza non era soltanto “di un tipo sviluppato dalla Russia”, ma è stato “prodotto” o “realizzato” in Russia?

12 - Perché il Governo Inglese ha emesso un ultimatum di 36 ore al Governo Russo perché fornisse una spiegazione, ma ha poi rifiutato la richiesta russa di mostrare le prove che a loro dire avrebbero indicato la colpevolezza dei russi (non ci sarebbe stato nessun pericolo di manomissione, dal momento che Porton Down avrebbe trattenuto i propri campioni)?

13 - Come è possibile per uno Stato (e in verità anche per una persona o entità giuridica) accusato di qualcosa difendersi contro l’accusa, se gli viene rifiutato l’accesso alle prove che apparentemente indicano la sua colpevolezza?

14 - Non si tratta forse di un chiaro caso di capovolgimento della presunzione di innocenza e di un equo processo?

15 - Inoltre, perché il Governo Inglese ha dato un ultimatum al Governo Russo, in contraddizione alle leggi dell’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPCW) che regolano queste materie, alla quale hanno aderito sia la Gran Bretagna, sia la Russia, e che sono chiaramente scritte nell’Articolo 9, Paragrafo ii della Convenzione per le Armi Chimiche (CWC)?

16 - Dal momento che l’indagine, che è stata descritta dall’uomo che la conduce come “un’indagine estremamente difficile” e che sta vivendo “molte questioni uniche e complesse”, e dal momento che molti degli elementi del caso non sono ancora noti, per esempio quando, dove e come la sostanza sia stata somministrata, come è possibile che il Governo Inglese punti il dito per accusare con tanta certezza?

17 - Inoltre, nel farlo, non ha forse politicizzato e pregiudicato la neutralità dell’indagine?

18 - Perché il Governo Inglese sente il bisogno di procedere con un’accusa dopo poco più di una settimana dall’inizio dell’indagine, invece di aspettare il suo completamento?

19 - Nello show di Andrew Marr, il 18 di marzo, il Segretario per gli affari esteri, Boris Johnson, ha affermato quanto segue: “E devo proprio dire,  per rispondere all’affermazione di Chinzhov circa le scorte russe di armi chimiche, che noi in realtà abbiamo prove che negli ultimi dieci anni la Russia non solo ha perseguito la consegna di agenti nervini a scopo di assassinio, ma ha anche creato e accumulato il Novichok”. Da dove arriva questa notizia di intelligence? Ed è stata opportunamente verificata?

20 - Se questa notizia di intelligence era nota prima del 27 settembre 2017 – la data in cui l’OPCW ha emesso una dichiarazione attestante la completa distruzione di tutti le 39.967 tonnellate di armi chimiche possedute dalla Federazione Russa – perché l’Inghilterra non ha informato l’OPCW della sua informazione che apparentemente contraddice questa dichiarazione, come giuridicamente sarebbe stato suo dovere?

21 - Se la notizia è divenuta nota dopo il 27 settembre 2017, perché l’Inghilterra non ha informato l’OPCW di questa “nuova” informazione, cosa che sarebbe stato suo dovere fare, dal momento che presumibilmente mostrava che la Russia aveva mentito all’OPCW e stava conducendo un programma di armi chimiche clandestino?

22 - Sempre all’Andrew Marr show, Johnson ha sostenuto quanto segue dopo che gli è stato chiesto se fosse “assolutamente sicuro” che la sostanza usata per avvelenare gli Skripal fosse il “Novichok”: “Ovviamente, al meglio delle nostre conoscenze, si tratta di un agente nervino fatto in Russia che cade nella categoria Novichok prodotta solo dalla Russia, giusto per tornare all'argomento delle reazioni internazionali, che è così affascinante”. La frase “al meglio delle nostre conoscenze” è una risposta adeguata alla domanda di Marr se lui fosse “assolutamente sicuro”?

23 - Si tratta di una base legale abbastanza solida da cui muovere accuse a un altro Stato e per imporgli misure punitive, o è invece necessario avere maggiori certezze prima di fare simili accuse?

24 - Dopo aver coperto le sue parole con la frase “al meglio delle nostre conoscenze”, Johnson è andato oltre le affermazioni precedenti del Governo secondo cui la sostanza era “di un tipo sviluppato in Russia”, dicendo che essa era “fatta in Russia”. Gli scienziati di Porton Down sono riusciti a stabilire che essa era in effetti “fatta in Russia”, o è stato invece Johnson che ha interpretato le cose a modo suo?

25 - Johnson si è anche spinto oltre la precedente dichiarazione secondo cui la sostanza era “di un tipo sviluppato in Russia” dicendo che essa “cade nella categoria Novichok prodotta solo dalla Russia”. In primo luogo, Johnson è in grado di fornire qualche prova che questa categoria di armi chimiche sia mai stata sintetizzata in Russia, specialmente alla luce dell’affermazione del Comitato Scientifico dell’OCPW che non più tardi del 2013 sosteneva di avere “informazioni insufficienti per commentare riguardo l’esistenza o la proprietà del “Novichok”?

26 - Come ha sottolineato Craig Murray, a partire dall’affermazione del 2013, l’OPCW ha lavorato (legalmente) con scienziati iraniani che hanno sintetizzato con successo queste armi chimiche. Johnson era consapevole che le armi chimiche della categoria “Novichok” sono state sintetizzate fuori dalla Russia quando ha dichiarato che questa categoria di armi chimiche è “prodotta solo dalla Russia”?

27 - Il fatto che gli scienziati iraniani siano stati in grado di sintetizzare questa classe di armi chimiche, suggerisce forse che altri Stati hanno la capacità di fare lo stesso?

28 - Il Governo Britannico è consapevole che il più importante impianto coinvolto in tentativi di sintetizzare i Novichok negli anni ’70 e ’80 non si trovava in Russia, ma a Nukus, in Uzbekistan?

29 - Il fatto che il Dipartimento della Difesa USA ha decontaminato e smantellato il sito di Nukus, secondo un accordo preso col Governo dell’Uzbekistan, rende quantomeno teoricamente possibile che le sostanze e i segreti lì custoditi possano essere stati portati fuori dal paese e magari negli Stati Uniti?

30 - Il legame tra il reclutatore MI6 di Sergej Skripal, Pablo Miller, che casualmente vive anch’egli a Salisbury, e Christopher Steele, l’autore del cosiddetto “Dossier-Trump” è stato ampiamente provato, così come il fatto che Skripal e Miller si incontravano regolarmente nella City di Londra. Questo legame è di qualche interesse alle indagini che si occupano dell’incidente di Salisbury?

  1.  


 

Se in questo Paese c’è ancora qualche giornalista con un minimo di integrità e di mente investigativa, gli sarei grato se potesse iniziare a fare il suo lavoro e cercare le risposte a questo tipo di domande, rivolgendole alle persone appropriate e alle autorità.

 

 

 

27/03/18

Bruxelles sta preparando un raid da 50 miliardi di euro sui profitti della BCE a scapito dei bilanci nazionali

Come risulta da questo articolo del Financial Times, sembra che la Commissione europea si stia preparando a sottrarre ai bilanci nazionali le entrate da signoraggio per destinarle a tappare il buco di bilancio lasciato alla UE dalla Brexit. Un vero e proprio  tentativo di saccheggio a scapito degli Stati nazionali, che dovrà essere avallato dai governi degli Stati aderenti. C'è da sperare che il governo Gentiloni, in carica soltanto per l'ordinaria amministrazione, non si arroghi anche questo abuso di potere, come già fatto in materia di politica estera

 

 

 

di Mehereen Khan e Jim Brunsden, 27 marzo 2018

 

La BCE sta prendendo in considerazione un raid da 50 miliardi di euro sui profitti della BCE allo scopo di colmare il buco di bilancio dell'UE dopo la Brexit.

 

Nel tentativo di mantenere la sua solidità finanziaria dopo che il secondo maggior contributore netto al bilancio dell'UE lascerà l'Unione nel 2019, durante la sua riunione settimanale di mercoledì la Commissione europea discuterà un piano in cui si prenderà in considerazione una serie di nuove fonti di entrata.

 

La proposta della BCE è di distogliere i profitti realizzati dalle 19 banche centrali nazionali dell'eurozona dalla stampa delle banconote per dirottarli direttamente nelle casse dell'UE. La Commissione stima che il flusso di entrate potrebbe produrre un gettito di 56 miliardi di euro nel bilancio dell'UE nell'arco dei prossimi sette anni.

 

Oltre il 90% dei cosiddetti profitti da signoraggio sono distribuiti dalla BCE alle 19 Banche centrali nazionali dell'eurozona, che poi ne trasferiscono una parte agli Stati nazionali attraverso le tesorerie.

 

La Commissione sta valutando la possibilità di un raid su questa liquidità della BCE come un modo rapido per incassare denaro per il bilancio comune dell'UE, dato che diversi  membri più ricchi, tra cui i Paesi Bassi e l'Austria, rifiutano di aumentare i loro contributi al bilancio UE dopo l'uscita del Regno Unito.

 

"È una delle idee più a portata di mano per il bilancio", ha affermato un funzionario dell'UE. Un altro alto funzionario di un paese della zona euro ha riferito che sono iniziate le consultazioni tra il suo governo nazionale e la banca centrale sul trasferimento del denaro da signoraggio a Bruxelles.

La BCE ha affermato che qualsiasi modifica al modo in cui si distribuiscono i profitti richiederebbe una modifica legale allo statuto della banca.

 

"Insieme ai profitti propri, le banche centrali nazionali redistribuiscono questi profitti da signoraggio, secondo la legislazione nazionale, ai loro azionisti, che sono i ministeri delle finanze", ha osservato la BCE in una nota. "I rispettivi ministeri e governi decidono cosa fare con quel denaro".

 

Oltre a rivedere le regole della BCE, la Commissione sta elaborando piani per una cosiddetta "plastics contribution" al fine di ampliare le sue risorse di spesa. A gennaio, Günther Oettinger, commissario per il bilancio dell'UE, ha dichiarato che i dettagli sul programma di tassazione sulle materie plastiche saranno annunciati nella proposta formale di bilancio della Commissione, all'inizio di maggio.

 

Le discussioni sul bilancio di Bruxelles hanno spesso opposto i ricchi paesi contribuenti netti come Francia e Germania, contro i beneficiari più poveri come la Polonia e l'Ungheria. Ma l'ultimo ciclo di negoziati per il bilancio che parte dal 2021 è stato complicato dal buco nero della Brexit, dalle sfide politiche come la migrazione e dalla spinta a guida francese per creare strumenti di spesa propri della zona euro.

 

Mentre la commissione è incaricata di proporre un piano su come strutturare il bilancio comune, le decisioni definitive sulla sua dimensione e composizione spettano ai governi nazionali, che si stanno preparando a discuterne nei prossimi mesi.

 

In risposta all'idea di Emmanuel Macron, il Presidente francese, di rinforzare gli strumenti anti-crisi dell'eurozona, la Commissione a maggio annuncerà dei piani per un "meccanismo di stabilizzazione fiscale" per salvaguardare le spese di investimento quando uno stato membro dell'eurozona subisce una recessione economica.

 

Ma l'idea, che è comunque riduttiva rispetto alla visione francese di un fondo per i tempi difficili, rischia già di imbattersi in un'opposizione guidata dagli olandesi e dai finlandesi, che vogliono che i governi stabilizzino le loro finanze pubbliche piuttosto che ottenere l'accesso a maggiori finanziamenti a livello europeo.

 

Nel tentativo di placare le preoccupazioni dei governi più inflessibili, Bruxelles sta esplorando un sistema di sovvenzioni e prestiti agevolati a cui i paesi della zona euro possano accedere nei momenti di difficoltà.

 

"Stiamo lavorando a una proposta concreta che potrebbe funzionare con prestiti e possibili sovvenzioni limitate", ha detto ai deputati Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione. La Commissione si sta anche orientando verso un progetto per un nuovo sistema che coinvolgerebbe il Meccanismo europeo di stabilità, il fondo di salvataggio sovrano dell'eurozona.

 

La maggior parte del bilancio a lungo termine dell'UE è costituita dai contributi dei governi degli Stati membri, con circa il 20% proveniente da entrate a livello dell'UE note come "risorse proprie", come IVA e dazi doganali.

 

La Commissione mira a colmare il buco di € 15 miliardi all'anno che rimane dopo la Brexit, attraverso un mix di tagli alla spesa e denaro fresco.

 

Ma i governi dell'UE hanno resistito a lungo ai tentativi di Bruxelles di generare strumenti per la raccolta di entrate proprie, come le tasse a livello europeo che, sostengono, portano via i soldi dalle casse nazionali.

 

I funzionari avvertono inoltre che qualsiasi incursione sui profitti della BCE rischia di provocare l'ira delle banche centrali nazionali, che oppongono fieramente la loro indipendenza dalle interferenze politiche e attualmente possono utilizzare i loro profitti come ritengono opportuno. In Germania, ad esempio, la Bundesbank consegna ogni anno una parte dei suoi profitti annuali alle casse del Tesoro.

 

I critici sottolineano anche che il signoraggio è una fonte di entrata altamente volatile. Bassi tassi di interesse significano che dal 2015 la BCE non ha generato profitti sulla stampa delle banconote, secondo la sua ultima relazione annuale.

 

La riunione della Commissione prevista per mercoledì consentirà ai commissari di confrontarsi politicamente su come programmare i piani di bilancio prima che a maggio vengano resi pubblici .

FT - I mercati finanziari non si sono accorti della bomba ad orologeria dell'eurozona: l'Italia.

Sul Financial Times, Münchau ci spiega come secondo lui l'establishment finanziario internazionale dovrebbe vedere l'Italia. Nel suo ruolo di eterna Cassandra dell'establishment, Münchau avverte che dopo l'ultima tornata elettorale l'Italia non sembra più verosimilmente propensa ad approvare leggi finanziarie improntate all'austerità, diventando con ciò una potenziale bomba ad orologeria per l'eurozona. E anche se Draghi volesse, politicamente non potrebbe farsi garante di un paese che violasse i parametri in modo deliberato. (Naturalmente, da parte nostra possiamo solo sperare che l'Italia veramente riesca a sottrarsi alle disastrose politiche europee.)

 

 

di Wolfgang Münchau, 25 marzo 2018

 

L’Italia non è l’unica potenziale fonte di instabilità economica nel futuro dell’eurozona, ma è certamente la più prevedibile. Altre fonti di instabilità derivano dalla guerra commerciale o da una crisi economica globale – o più probabilmente da entrambe le cose insieme. Una guerra commerciale rimane un pericolo evidente e attuale.

 

Per ora l’Unione europea si è garantita una sospensione dei dazi statunitensi su acciaio e alluminio. Ma il blocco dei paesi europei è pericolosamente dipendente dall’esportazione di beni manufatturieri. E dovremmo fare attenzione a non interpretare l’annuncio di una breve dilazione come un segno di condiscendenza da parte di Donald Trump. Il presidente USA ha preso la decisione tattica di non muovere guerra a Unione europea e Cina nello stesso momento. Per cui la minaccia verso la UE non è scomparsa, e le concessioni che Trump riuscirà a ottenere in cambio di una futura esenzione permanente dai dazi saranno formidabili.

 

Una guerra commerciale o un altro incidente geopolitico stanno diventando sempre più probabili. E potrebbero mettere fine all’attuale tendenza globale di espansione dell'economia. Una crisi, o anche un semplice breve periodo di recessione, per l’eurozona e per l’Italia sarebbero veleno.

 

La crisi dell’eurozona ha lasciato all’Italia un unico, improbabile percorso su cui procedere: quello di una stretta fiscale permanente da associare a riforme economiche (con la preghiera che questa fantasiosa combinazione di politiche economiche conservatrici possa garantire una sostenibilità del debito nel lungo termine). Tornando al mondo reale, non c’è nessun partito politico in Italia che abbia promesso delle serie riforme economiche, e i due partiti usciti vincitori dalle ultime elezioni politiche, cioè il Movimento Cinque Stelle e la Lega, partito anti-immigrazione, hanno minacciato di scatenare un qualcosa di assolutamente opposto a una stretta fiscale. Perciò, se l’economia globale dovesse andare in crisi, porterebbe l’Italia con sé.

 

Un momento cruciale a cui guardare sarà la legge finanziaria per il 2019, che dovrà essere approvata entro l’autunno. Per allora, l’Italia potrebbe anche riuscire a formare un governo. Ma le dinamiche politiche del Parlamento saranno determinanti. I partiti populisti contano, assieme, il 60 percento dei deputati e senatori Italiani. La loro priorità non è sicuramente quella di seguire il percorso fiscale imposto dalla UE. Quando i governi sono deboli, i parlamenti sono forti. La maggioranza presente nel Parlamento italiano non sembra decisamente una maggioranza propensa ad approvare un altro bilancio di austerità.

 

Ma allora perché i mercati finanziari sono così calmi? Penso che stiano commettendo due errori. Il primo è che Mario Draghi si è fatto garante della stabilità, almeno fino alla fine del suo mandato, che sarà a ottobre del prossimo anno. Non scommetterei, però, che il presidente della Banca centrale europea sia disposto a correre in sostegno di un paese membro che si faccia deliberatamente beffe dei vincoli fiscali europei.

 

Quando nel 2012 Draghi prese il suo impegno del “whatever it takes”, l’Italia era guidata da Mario Monti, un primo ministro eurofilo che rappresentava un governo di tecnocrati. Naturalmente Monti era ligio alle regole.

 

Il secondo errore di valutazione che i mercati stanno facendo è che l’establishment italiano riuscirà sempre a trovare il modo di tenere gli estremisti lontano dal potere. Ho perso il conto delle volte in cui mi è stato assicurato che le riforme elettorali avrebbero garantito la vittoria dei partiti centristi. Certo, i sistemi elettorali sono importanti, ma non possono creare per miracolo delle maggioranze che non esistono.

 

Ciò a cui stiamo assistendo ora in Italia è la prevedibile risposta a due decenni di politiche economiche che non sono riuscite a garantire posti di lavoro per i giovani. Molte delle vittime di queste politiche costituiscono oggi la spina dorsale del sostegno ai trionfanti partiti populisti. Nessun paese, nemmeno un paese paternalista come l’Italia, è in grado di mantenere un consenso pro-europeo in presenza di una interminabile calamità economica.

 

A meno che il Movimento Cinque Stelle o la Lega non decidano di autodistruggersi, non possono permettersi di venire meno alle loro promesse elettorali. Il Movimento Cinque Stelle ha promesso un reddito di cittadinanza universale. La Lega ha promesso la flat tax. Entrambi i partiti intendono cancellare la riforma delle pensioni. Queste promesse sono semplicemente incompatibili con il rispetto delle regole fiscali della UE.

 

Nuove elezioni non potranno risolvere il problema. Potrebbero condurre semplicemente allo stesso risultato, o perfino a una percentuale di voti ancora più alta per i partiti più estremi. Continuerà a non esserci una maggioranza favorevole alle riforme economiche e alla stretta fiscale. In altre parole: di tutte le possibili alternative in campo, si fa fatica a trovarne una che sia compatibile con il rispetto dei vincoli fiscali europei.

 

La tragedia dell’eurozona è che l’Italia è troppo grande per fallire, ma anche troppo grande per essere salvata. L’eurozona non ha strumenti per agire efficacemente in caso di crisi di un grosso paese. I dibattiti franco-tedeschi sulle riforme dell’eurozona appartengono alla categoria delle cose che sarebbe bello realizzare. Si tratta di nuove regole per l’attuazione del Meccanismo Europeo di Stabilità, l’ombrello di salvataggio, e dei prossimi passi verso l’unione bancaria.

 

Ma se Parigi e Berlino facessero sul serio in merito alla prevenzione della crisi dovrebbero discutere di un fondo unico per arginare i mercati finanziari e di uno strumento di finanziamento fiscale capace di ravvivare il desolante paesaggio economico europeo. Politicamente, la probabilità di simili riforme è pari a zero.

 

Fino a che le cose stanno così come sono ora, possiamo tranquillamente dire che la stabilità economica è solo un periodo che intercorre tra due crisi.

25/03/18

Ashoka Mody - Si aggrava la divisione politica dell'eurozona

Nulla di nuovo per i nostri lettori, in questo articolo dell'economista Ashoka Mody, che sugli effetti distruttivi dell'euro per l'Europa - dal punto di vista economico e politico - riprende quanto Alberto Bagnai ha cominciato a spiegare sei anni fa sul suo blog Goofynomics. Tuttavia come è noto repetita iuvant, e questo quadro sintetico e chiaro della situazione costituisce comunque un ripasso utile. Se è vero, come è vero, che è sempre più necessario e urgente che il numero più alto possibile di persone prenda consapevolezza dei termini del problema dell'euro e di che cosa sia in gioco per l'Europa e per il nostro Paese.

 

Di Ashoka Mody, 20 marzo 2018

 

 

 

Due elezioni europee - in Germania il 24 settembre 2017 e in Italia il 4 marzo 2018 - avvertono che i popoli europei si stanno allontanando gli uni dagli altri. Gran parte del recente aggravarsi di questa divisione può essere attribuito alla moneta unica europea, l'euro. In questo articolo si sostiene che la divisione politica in Europa ormai può essere difficile da ricucire, se non si sposta l'attenzione sulle priorità nazionali, rivolgendosi con urgenza ai bisogni di chi è rimasto indietro.

 

L'economista dell'Università di Cambridge Nicholas Kaldor fu il primo ad avvertire che l'euro sarebbe stato un fattore di divisione per l'Europa (ripubblicato in Kaldor, 1978). La sua posizione critica fu espressa nel marzo del 1971 in risposta al rapporto della Commissione Werner, che presentava il progetto originale di quella che sarebbe stata l'architettura della zona euro (Werner 1970). Kaldor scrisse allora che una politica monetaria unica (insieme a una stessa politica fiscale applicata a tutti), utilizzata per paesi europei diversi tra di loro, avrebbe fatto divergere le loro economie. La logica era semplice: una politica monetaria troppo rigida per un paese può essere troppo allentata per un altro. E la divergenza economica, affermò Kaldor, avrebbe provocato spaccature politiche. Altri ammonimenti di questo segno continuarono ad arrivare. Il premio Nobel Milton Friedman (1997), economista dell'Università di Chicago, predisse che la struttura squilibrata dal punto di visto economico dell'euro avrebbe "esacerbato le tensioni politiche, trasformando shock divergenti, che avrebbero potuto essere affrontati facilmente agendo sui tassi di cambio, in problemi politici laceranti".

 

I leader europei respinsero queste critiche. E continuarono a insistere con l'idea che la moneta unica avrebbe avvicinato l'Europa all'unione politica (Sutherland 1997).

 

Un consenso tollerante?

 

Il discorso sulla possibilità di un'unione politica in Europa è stato condotto principalmente all'interno del gruppo delle cosiddette élite. Queste élite - leader politici e burocrati - avevano ben poche basi per prevedere che gli interessi nazionali potessero essere riconciliati per fare l'Europa unita. Ma fecero un'altra assunzione, ovvero di avere un "consenso tollerante" da parte dell'opinione pubblica, che avrebbe consentito loro di prendere decisioni di ampia portata sulle questioni europee (Mair 2013).

Come sostengo in un libro prossimo all'uscita (Mody 2018), questo consenso tollerante ha cominciato a crollare nel momento in cui la moneta unica europea è diventata una realtà politica.

Dopo la firma del trattato di Maastricht nel febbraio 1992, il popolo danese ha respinto la moneta unica in un referendum tenuto nel giugno 1992. E nel settembre 1992 anche i francesi arrivarono ad un soffio dal rifiutare la moneta unica.

 

La distribuzione dei voti al referendum francese prefigurava in modo singolare le recenti proteste politiche. Chi aveva votato contro la moneta unica tendeva ad avere redditi bassi e istruzione limitata, viveva in aree che stavano trasformandosi in zone industriali dismesse, aveva posti di lavoro precari e, per tutte queste ragioni, era profondamente preoccupato per il futuro (Mody 2018 : 101-103). Votando contro il Trattato di Maastricht, non esprimeva necessariamente un sentimento anti-europeo; piuttosto, chiedeva che i politici francesi prestassero maggiore attenzione ai problemi interni, gli stessi che le istituzioni e le politiche europee non potevano risolvere.

 

Negli anni seguenti, il consenso tollerante ha continuato a sgretolarsi. La voce popolare contro il "più Europa" si è di nuovo espressa nei referendum sul Trattato Costituzionale Europeo tenuti nel 2005. I referendum hanno permesso di concentrare l'attenzione sulle questioni europee, che nelle elezioni nazionali erano scavalcate dalle priorità interne. Le élite europee hanno trovato facile liquidare i referendum come aberrazioni.

 

Una nuova fase critica è iniziata durante le crisi finanziarie dello scorso decennio. Dopo l'inizio della crisi globale, nel 2007, e poi attraverso la prolungata crisi dell'eurozona, le politiche monetarie e fiscali dell'area dell'euro hanno danneggiato la vita delle persone comuni che si sentivano abbandonate - i meno istruiti e chi vive fuori dalle grandi città. Le politiche condotte nell'eurozona, tuttavia, sono state esentate dal dover rispondere politicamente alle persone di cui hanno gravemente danneggiato le prospettive. Come conseguenza, le ribellioni interne hanno guadagnato forza in tutta l'area dell'euro. Queste ribellioni hanno avuto origine tra persone simili nei vari stati membri, ma come risultato hanno provocato una opposizione alle risposte pubbliche nazionali nei paesi del Nord e del Sud, aumentando la frattura politica.

 

L'ascesa di Alternative für Deutschland in Germania

 

La forma più virulenta di frattura politica è emersa nel crogiolo della crisi finanziaria dell'eurozona nel 2012. Il consenso tollerante alla fine è saltato.

 

In Germania nel settembre 2012 un gruppo di membri di lunga data della Unione Cristiana Democratica (CDU) della Cancelliera Angela Merkel ha dato vita a un nuovo movimento politico, Electoral Alternative. Il nuovo movimento rappresentava chi rifiutava di accettare la tesi della Merkel secondo cui la Germania non aveva alternativa che sostenere finanziariamente le nazioni in difficoltà della zona euro. Nel febbraio 2013, Electoral Alternative si convertì in un partito politico, Alternative für Deutschland (AfD), che si schierò per lo scioglimento dell'area dell'euro.

 

Benché alle elezioni per il Bundestag del settembre 2013 AfD non avesse superato la soglia del 5%, ottenne forza politica a partire dall'agosto 2015, in seguito alla linea della Merkel di porte aperte ai rifugiati siriani. Vedendo che stava perdendo il sostegno popolare, la Merkel passò rapidamente a bloccare il flusso di rifugiati e migranti, ma AfD ha continuato a guadagnare forza politica. Nelle elezioni del settembre 2017 ha ricevuto il 12,6% dei voti. Molti degli elettori di AfD nel 2017 alle elezioni del 2013 non avevano votato, avendo perso la fiducia di poter avere una voce all'interno del processo democratico. Nel 2017 questi elettori hanno cercato soluzioni al di fuori del mainstream politico. Gli elettori di AfD avevano una caratteristica molto specificamente tedesca: molti erano tedeschi dell'Est. A parte questo, tuttavia, il voto ha manifestato uno schema osservato altrove in Europa e negli Stati Uniti. Nella Germania dell'Est e dell'Ovest hanno votato in grande numero per AfD elettori maschi a basso reddito con istruzione scolastica base o formazione professionale (Roth e Wolff 2017). La maggior parte degli elettori di AfD aveva tra i 30 ei 59 anni; facevano lavori manuali, spesso precari. Vivevano in piccole città e aree rurali.

 

In questo modo negli elettori di AfD si sovrapponevano la protesta economica e il sentimento anti-immigrati, una sovrapposizione che Guiso et al. (2017: 5) riscontra in diversi paesi europei. Persino la prospera Germania ha lasciato indietro molti dei suoi cittadini. Marcel Fratzscher, presidente dell'istituto di ricerca DIW Berlin, spiega nel suo libro in uscita prossimamente che i vantaggi economici ottenuti dal paese negli ultimi decenni non hanno raggiunto la metà socialmente inferiore della popolazione tedesca (Fratzscher 2018). In questa metà più bassa i redditi reali sono cresciuti pochissimo; e pochi sono in grado di mettere da parte qualcosa da usare in caso di future difficoltà. L'alienazione politica e il conflitto all'interno della società sono aumentati.

 

Con il CDU e i socialdemocratici che hanno subito una battuta d'arresto storica, una coalizione di governo si è dimostrata difficile da formare e la Germania è rimasta senza governo per cinque mesi, evento senza precedenti. Recentemente - per coincidenza, nello stesso giorno delle elezioni italiane, il 4 marzo 2018 - il CDU e i socialdemocratici hanno infine accettato di formare una "grande coalizione". Un governo tedesco sarà presto in carica, ma i dati dei sondaggi mostrano il continuo declino del sostegno popolare alla CDU e in particolare ai socialdemocratici. AfD sarà il più grande partito di opposizione nel Bundestag e, per ora, il suo sostegno nei sondaggi è in aumento.

 

Il movimento anti-Europa in Italia

 

Gli sviluppi italiani sono stati paralleli. In Italia il Movimento Cinque Stelle, guidato dal comico-blogger Giuseppe "Beppe" Grillo, è passato da una relativa oscurità alla preminenza nelle elezioni del febbraio 2013, ottenendo il 25% dei voti. L'Italia si è trovata in una recessione quasi costante dall'inizio del 2011, con una crescente perdita di posti di lavoro, soprattutto tra i giovani. L'appello a una democrazia diretta lanciato dal Movimento Cinque Stelle è entrato in risonanza con gli elettori frustrati dalle politiche monetarie e fiscali europee, che hanno profondamente influenzato le loro vite ma che da parte loro si sentivano impotenti ad influenzare. Le aree più povere del Sud hanno votato per i candidati dei Cinque Stelle. Ma sia al Nord sia al Sud, la percentuale di voti ricevuti dai candidati dei Cinque Stelle è stata maggiore nelle regioni colpite dalla più alta disoccupazione (Romei 2018).

 

Per gli italiani, le sofferenze degli anni della crisi si sono aggiunte alla stagnazione economica già iniziata da quando l'Italia è entrata nell'area dell'euro, nel 1999. La produttività economica - fonte di standard di vita più elevati - ha smesso di crescere, i produttori italiani hanno perso competitività internazionale e posti di lavoro ben remunerati hanno incominciato a sparire, senza essere sostituiti da nulla di equivalente. Le crisi finanziarie - prima la crisi globale iniziata nel luglio 2007 e poi la crisi permanente dell'area euro - hanno aggravato le disfunzioni economiche e politiche italiane. L'enfasi posta dalle autorità dell'eurozona su una politica monetaria rigida e un'incessante austerità hanno depresso la crescita economica e hanno quindi avuto la conseguenza perversa di aumentare il peso del debito pubblico. Nel frattempo, l'austerità fiscale forzata ha affossato la capacità del governo di attutire le sofferenze dei cittadini più vulnerabili in campo economico. E sebbene l'annuncio del presidente della BCE Mario Draghi nel luglio 2012 che la BCE avrebbe fatto "qualsiasi cosa fosse necessaria" per salvare l'euro abbia contribuito a ridurre il tasso di interesse nominale che il governo italiano paga sul suo debito, il tasso di interesse "reale" (tasso nominale aggiustato per l'inflazione) è rimasto alto. Lo strangolamento economico per l'Italia continua. All'inizio del 2013 l'italiano medio era più povero rispetto al momento dell'ingresso nell'euro.

 

Nelle elezioni del febbraio 2013 Grillo ha condotto la campagna su una piattaforma anti-europea, promettendo addirittura di indire un referendum per stabilire se l'Italia dovesse rimanere nell'unione monetaria. Mario Monti, Presidente del Consiglio uscente, nominato a capo di un governo provvisorio "tecnocratico" nel novembre 2011, ha fatto una campagna elettorale pro-Europa e ha preso una batosta elettorale. Pier Luigi Bersani, capo del Partito Democratico (PD) di centrosinistra, promise a sua volta un governo filo-europeo, facendo scendere il suo partito al 29% dei voti, in calo rispetto al 38% delle elezioni del 2008.

 

Benché il PD sia riuscito a guidare un governo di coalizione, è passato attraverso due presidenti del Consiglio - Enrico Letta e Matteo Renzi - prima di convergere su Paolo Gentiloni. Ma il danno ormai era fatto. La lotta per il potere all'interno del PD, in gran parte legata a Renzi, ha eroso la reputazione del partito e la sua posizione pubblica. Nelle elezioni del marzo 2018, il PD ha preso il 19% dei voti. Al contrario, il Movimento Cinque Stelle ha aumentato la sua quota di voti portandola al 32%. I partiti anti-europei hanno ricevuto complessivamente circa la metà dei voti; se si aggiunge Forza Italia dell'ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, con il suo scetticismo europeo più morbido, nelle ultime elezioni quasi due terzi degli italiani hanno preso le distanze dall'Europa.

 

Così, in Germania AfD ha attirato i tedeschi in ansia per i problemi economici e preoccupati che il governo tedesco stia facendo troppo per l'Europa. In Italia, il Movimento Cinque Stelle ha guadagnato voti perché gli italiani in ansia sono arrabbiati perché il sistema europeo li svantaggia, e persino pregiudica il loro futuro. Nonostante il continuo calo dei tassi di interesse nominali nell'ambito del programma di quantitative easing della BCE in atto da gennaio 2015, il tasso di interesse reale per gli italiani rimane superiore all'1%; al contrario, il tasso di interesse reale per i tedeschi è -1%, il che dà ai produttori e ai consumatori tedeschi una maggiore capacità di spesa e crescita. Attuare una politica monetaria unica per tutti continua ad alimentare la divergenza economica tra Stati membri del Nord e del Sud, che a sua volta sostiene e amplifica le divisioni politiche.

 

Oggi molti sperano che, spronata dalla richiesta del presidente francese Emmanuel Macron di procedere a una riforma dell'eurozona, la Merkel lavorerà per riparare l'architettura dell'area dell'euro. Ma è una speranza illusoria. La Merkel è fin troppo consapevole che qualsiasi segno di generosità finanziaria nei confronti dell'Europa incoraggerà i ribelli all'interno della CDU. Altre nazioni del Nord hanno chiarito che si opporranno a qualsiasi richiesta che vada a carico dei contribuenti del loro Paese (Rutte 2018, Ministri delle Finanze 2018). Nessuno stato membro dell'area dell'euro è disposto a cedere la sovranità del proprio parlamento nazionale in materia di politica fiscale. Le decisioni strategiche rimarranno scollegate dalla responsabilità politica. E così, anche se fossero pianificati nuovi accordi finanziari, sarà impossibile ottenere la responsabilità politica nella gestione dell'area dell'euro. Le tensioni politiche continueranno a crescere.

 

Osservazioni conclusive

 

Non ci sono risposte facili ai problemi economici e politici dell'Europa. Per questo motivo, come sostengo nel mio prossimo libro, le risposte non saranno trovate nel "più Europa". Per troppo tempo i leader dell'eurozona hanno respinto o denigrato le ribellioni pubbliche nazionali. Questo è un errore terribile. Per quanto possano avere limiti, o essere a volte nazionaliste e xenofobe, queste ribellioni trasmettono un messaggio importante. Oltre alla sofferenza che l'euro infligge direttamente, la moneta unica distrae l'attenzione dei leader europei da dove dovrebbe essere rivolta: alle priorità nazionali. Di particolare importanza è il rafforzamento del capitale umano, una capacità in cui tutti i paesi dell'area dell'euro meridionale (e anche alcuni paesi del Nord) sono in ritardo rispetto ai leader mondiali.

 

In parole povere, i leader europei devono spostare i loro sforzi dall'obiettivo, in ultima analisi impossibile, di rendere più politicamente responsabile la gestione dell'eurozona, concentrandoli verso i programmi economici nazionali che possano dare speranza a chi oggi non si sente più trattato come un cittadino. Se non riusciranno in questo cambiamento, la politica interna continuerà a frammentarsi, e mentre ciò accade la politica europea diventerà sempre più aggressiva.

 

Riferimenti bibliografici:

 

Finance Ministers from Denmark, Estonia, Finland, Ireland, Latvia, Lithuania, the Netherlands and Sweden (2018), “Shared Views and Values in the Discussion on the Architecture of the EMU”, 6 marzo.

Fratzscher, M (2018), The German Illusion, New York: Oxford University Press.

Friedman, M (1997), “Why Europe Can’t Afford the Euro”, The Times,19 novembre.

Guiso, L, H Herrera, M Morelli, and T Sonno (2017), “Populism: Demand and Supply”, 21 novembre.

Kaldor, N (1978), “The Dynamic Effects of the Common Market”, in N Kaldor, Further Essays on Applied Economics, New York: Holmes and Meier.

Mair, P (2013), Ruling the Void: The Hollowing of Western Democracy, London: Verso.

Mody, A (2018), EuroTragedy: A Drama in Nine Acts, New York: Oxford University Press.

Rutte, M (2018), “Speech by the Prime Minister of the Netherlands, Mark Rutte, at the Bertelsmann Stiftung, Berlin.” 2 marzo.

Romei, V (2018), “Italy’s Election: Charts Show How Economic Woes Fuelled Five Star”, Financial Times, 7 marzo.

Roth, A and G Wolff (2017), “What Has Driven the Votes for Germany’s Right-Wing Alternative Für Deutschland?”, Bruegel Blogpost, 5 ottobre.

Sutherland, P (1997), “The Case for EMU: More Than Money”, Foreign Affairs 76(1): 9–14.

Werner, P (1970), “Report to the Council and the Commission on the Realization by Stages of Economic and Monetary Union in the Community”, in Monetary Committee of the European Communities, 1986, Compendium of Community Monetary Texts, Luxembourg: Office of Official Publications of the European Communities.

 

24/03/18

FT - Le multinazionali pagano meno tasse rispetto a 10 anni fa


  • Secondo uno studio pubblicato sul Financial Times, dopo la crisi finanziaria del 2008 le tasse su consumi e persone hanno iniziato a salire, mentre continua la lunga tendenza alla riduzione delle aliquote fiscali per società e imprese. Infatti, nonostante le molte azioni ad alta visibilità nel campo dell'elusione fiscale e dell'erosione della base imponibile da parte delle multinazionali, la realtà è che da un lato i piani di coordinamento fiscale tra i paesi OCSE per limitare le pratiche scorrette delle multinazionali sortiscono pochi effetti, mentre dall'altro lato continua imperterrita la competizione fiscale tra i governi per attirarle. E la riforma fiscale di Trump spingerà ulteriormente questa competizione. Insomma, l'unico effetto sortito dalla crisi finanziaria sistemica del 2008 è che la fiscalità sta venendo progressivamente spostata... sui lavoratori. 


 

 

 

 

 

 

 

 

di Rochelle Toplensky, 11 marzo 2018.

 

 

 

 

Le aliquote effettive sono cadute del 9% dall'inizio della crisi finanziaria.

 

Le grandi multinazionali stanno pagando significativamente meno tasse rispetto a prima della crisi finanziaria del 2008, secondo un'analisi del Financial Times che mostra come un decennio di sforzi dei governi per tagliare i deficit e riformare la fiscalità ha lasciato per la maggior parte indenni le multinazionali.

 

Le aliquote fiscali effettive per le imprese - ovvero la parte di profitti che prevedono di pagare allo Stato, come riportato nei loro bilanci - sono scese del 9% (due punti percentuali, in assoluto), dall'inizio della crisi finanziaria. Questo nonostante un'iniziativa politica coordinata per contrastare l'aggressiva elusione fiscale.

 

I tagli governativi alle principali aliquote fiscali societarie spiegano all'incirca soltanto metà della caduta complessiva, suggerendo che le multinazionali continuino a superare i tentativi rendere più stringente la riscossione delle imposte.

 

Basandosi sulle dichiarazioni finanziarie di 25 anni, il FT ha esaminato le aliquote fiscali pagate dalle dieci società quotate in borsa più grandi del mondo per capitalizzazione, in ognuno di nove settori economici. Sono state esaminate anche le aliquote riportate dalle dieci multinazionali con la maggior liquidità detenuta offshore.

 

I risultati mostrano che il contributo delle multinazionali alle finanze pubbliche è diminuito in rapporto ai profitti - sia che si misurino le aliquote principali, i tassi effettivi dichiarati o l'aliquota effettivamente pagata ai governi. Le norme che permettono alle società di ritardare il pagamento delle imposte indicano che le aliquote effettive dichiarate e gli importi effettivamente pagati possono variare sostanzialmente in un dato anno.

 

[caption id="attachment_14458" align="alignleft" width="734"] Le società pagano meno tasse - Aliquote fiscali societarie effettive per i settori selezionati, in percentuale - in celeste il settore dell'assistenza sanitaria, in viola quello tecnologico, in blu le 10 multinazionali che detengono la maggior liquidità offshore.[/caption]

 

La tendenza di lungo periodo è anche più pronunciata, con l'aliquota societaria effettiva dichiarata che è diminuita di un terzo dal 2000, dal 34% al 24%.

 

"Ci sono state molte azioni e iniziative ad alta visibilità, ma la realtà è differente. I tagli alle tasse e le patent box [letteralmente "scatola dei brevetti", agevolazioni fiscali sulla proprietà intellettuale, ndt] sono state le forze dominanti per quel che riguarda le imposte societarie - e ciò riflette la persistente dinamica della competizione sulle tasse", commenta Mihir Desai, professore di finanza e legge alla Harvard University. "Chiamatela pure grande paradosso o ipocrisia, è una delle due".

 

Dalla crisi finanziaria, le aliquote effettive medie dichiarate per le società tecnologiche e industriali più grandi sono cadute di circa il 13%, secondo la ricerca del FT. Per la maggior parte non hanno subito variazioni nei settori dell'assistenza sanitaria, dei beni di prima necessità e dei materiali.

 

I risultati evidenziano come la lunga tendenza alla discesa delle aliquote fiscali societarie imposte dai paesi membri dell'OCSE continui in un periodo in cui, dopo la crisi finanziaria, le tasse sui consumatori e i lavoratori stanno salendo.

 

Dal 2008, i paesi hanno tagliato le principali tasse societarie del 5% mentre i governi in media hanno alzato le tasse sulle persone del 6%, secondo i calcoli di KPMG, società di contabilità.

 

[caption id="attachment_14459" align="alignleft" width="684"] Dalla crisi finanziaria, le aliquote societarie sono scese mentre sono salite quelle sulle persone - principali aliquote, in percentuale - dall'alto in basso: in celeste l'aliquota media sulle persone, nei paesi OCSE; in blu scuro l'aliquota media sulle persone, nella UE; in viola chiaro l'aliquota media sulle persone, nel mondo; in blu chiaro l'aliquota media sulle imprese, nel mondo; in viola scuro l'aliquota media sulle imprese, nei paesi OCSE; in verde l'aliquota media sulle imprese, nella UE.[/caption]

 

"Questo è il processo competitivo [tra i governi] e davvero non ne vedo la fine", ha dichiarato Michael Devereux, professore di fiscalità societaria all'Oxford University. Devereux ha dichiarato che è probabile che i recenti tagli degli USA alle proprie principali aliquote incitino una maggiore competitività fiscale tra i governi.

 

Più sorprendente è stato il limitato impatto fino ad ora dell'iniziativa decennale dell'OCSE e del G20 per semplificare la rete di normative nazionali sulle tasse che permette alle multinazionali di minimizzare il conto da pagare per le proprie tasse a livello globale.

 

Pierre Moscovici, commissario UE per le tasse, ha affermato che i paesi sono liberi di impostare le proprie aliquote fiscali societarie, ma ha evidenziato che è necessaria una riforma internazionale per le tasse. "Non facciamo errori: quel che innesca l'elusione e una pianificazione fiscale aggressiva non sono le aliquote principali. Ciò deriva da schemi che facilitano lo spostamento degli utili".

 

[caption id="attachment_14460" align="alignleft" width="722"] Le società trovano aliquote fiscali più basse all'estero - tasso effettivo nel 2016, in percentuale. In blu scuro l'aliquota interna, in celeste quella all'estero.[/caption]

 

Il desiderio politico di contrastare questo "spostamento degli utili" è stato reso più urgente dalla luce gettata sugli accordi fiscali con alcune aziende emersi da fughe di notizie su larga scala e dalle indagini politiche sugli affari fiscali di gruppi tecnologici come Apple, Google e Amazon.

 

I bilanci a livello di gruppo societario mostrano che molte grandi aziende tecnologiche tendono a pagare significativamente meno tasse sui profitti all'estero rispetto a quanto guadagnano sul mercato interno. I gruppi sostengono di pagare tutte le tasse legalmente dovute ed alcuni hanno riconosciuto la necessità di una riforma fiscale.

 

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Le leggi nazionali fatte per dare corso al piano di azione in 15 punti dell'OCSE per tagliare l'aggressiva elusione fiscale - attraverso la cosiddetta erosione della base imponibile e lo spostamento degli utili - stanno iniziando a entrare in vigore. Michael Devereux si attende che nuove restrizioni delle tariffe sugli interessi - che abbatteranno i prestiti intra-aziendali usati dalle multinazionali per spostare i profitti tra le giurisdizioni - "si presenteranno l'anno prossimo [nei numeri dei bilanci], se avranno qualche effetto".

 

Ci si aspetta che altre iniziative richiedano più tempo prima che si manifestino nei risultati aziendali.

 

È cresciuto anche il divario tra quello che le aziende prevedono di pagare in tasse come risulta dai loro resoconti, e i pagamenti reali che risultano dai trasferimenti di denaro, a causa delle anomalie del sistema fiscale, che incoraggiano le società USA a parcheggiare liquidità o profitti all'estero in questo periodo.

 

[caption id="attachment_14461" align="alignleft" width="700"] C'è un grande divario tra l'aliquota fiscale effettiva rendicontata e quanto viene effettivamente pagato - aliquota fiscale effettiva media su 3 anni - in blu scuro l'aliquota rendicontata, in celeste l'aliquota effettivamente pagata durante l'anno.[/caption]

 

Entro la fine dello scorso anno le società USA hanno accumulato quasi 6,2 trilioni di dollari di liquidità non tassata detenuta offshore, secondo l'Istituto per la Tassazione e la Politica Economica.

 

Gli USA hanno riformato la propria normativa fiscale a dicembre, colpendo la liquidità detenuta offshore con un prelievo una tantum del 15,5%. Hanno anche abbassato l'aliquota fiscale per le società dal 35% al 21%. Il FT stima che il prelievo una tantum potrebbe fruttare a Washington 400 miliardi di dollari di gettito fiscale, ma farà anche risparmiare alle società fino a 500 miliardi di dollari se confrontato con la principale aliquota fiscale societaria che viene applicata sui profitti guadagnati.

 

[caption id="attachment_14462" align="alignleft" width="700"] Le società USA di Fortune 500 detenevano 2,6 trilioni di liquidità offshore nel 2016 - oltre la metà della liquidità offshore è detenuta soltanto da 25 società (l'importo detenuto offshore, in miliardi)[/caption]

22/03/18

Nazioni Unite - L'Italia deve riconsiderare il protocollo contro le fake news

Arriva la conferma di quanto molti sospettano: la campagna di stampa e la lotta governativa contro le fake news altro non sono che un tentativo – nemmeno troppo dissimulato – di reprimere la libertà di opinione ed espressione. In una recente comunicazione, pubblicata sul sito dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, David Kaye, Investigatore Speciale delle Nazioni Unite per la promozione e difesa del diritto alla libertà di parola ed espressione, invita il Governo Italiano a rivedere il relativo protocollo “bottone rosso” che - più che un servizio ai cittadini - sembra il paradiso di tutti i censori e i delatori.

 

 

Di David Kaye, 20 marzo 2018

 

 

Eccellenza,

 

Ho l’onore di contattarvi nella mia veste di Investigatore Speciale per la promozione e difesa del diritto alla libertà di opinione ed espressione, a seguito della risoluzione 34/18 del Consiglio dei Diritti Umani.

 

In questa occasione, vorrei portare all’attenzione del Governo di Vostra Eccellenza le informazioni che ho ricevuto riguardo il protocollo operativo “bottone rosso” per la “lotta contro la diffusione di Fake News attraverso il Web” (da qui in poi “il protocollo”), annunciato il 18 gennaio 2018.

 

Secondo le informazioni che ho ricevuto:

 

A seguito della campagna per il referendum costituzionale alla fine del 2016, gli attori politici italiani e i politici hanno cominciato a invocare nuove norme per affrontare la proliferazione di “fake news” online.

 

Il 15 febbraio 2017, un membro del Parlamento ha proposto una legge che introduceva multe e sanzioni penali per chiunque pubblichi o diffonda notizie “false, esagerate o tendenziose” online. Il disegno di legge non è stato approvato dal Parlamento.

 

Il 18 gennaio 2018, il Ministero degli Interni (Marco Minniti, NdVdE) ha introdotto il “Protocollo Operativo per la Lotta contro la Diffusione delle Fake News attraverso il Web in Occasione della Campagna Elettorale per le Elezioni Politiche del 2018”. Le elezioni erano previste per il 4 marzo 2018.

 

Il protocollo ha introdotto un servizio di reportistica “bottone rosso” con il quale gli utenti “possono indicare l’esistenza di una rete di contenuti qualificabili come fake news” (“il portale”). La Polizia Postale, una branca della Polizia Statale Italiana che indaga sui crimini online, ha avuto il compito di controllare questi report e agire di conseguenza.

 

Il comunicato stampa del Ministero degli Interni riporta che il servizio è atto a  “diffondere viralmente” le contro-narrazioni  istituzionali, così che i cittadini possano beneficiare di una descrizione dei fatti più completa e riprendere possesso della “libertà di scelta che è stata loro negata da informazioni volutamente false o parziali”. Il comunicato stampa ha anche sottolineato l’urgenza di questi interventi a causa delle imminenti elezioni.

 

Il comunicato stampa riporta inoltre che il portale dovrebbe permettere agli utenti di avvantaggiarsi di una “interfaccia web immediata e semplice, senza particolari procedure di registrazione per indicare l’esistenza di una rete di contenuti qualificabili come fake news”.

 

Il Processo per inoltrare e controllare le lamentele riguardo le “fake news”

 

Il portale permetterà agli utenti di indicare link o indirizzi web, link a social network (se trovano il contenuto su una piattaforma di un social network), e altre informazioni nel campo “note”. Il portale richiederà inoltre agli utenti di inserire il proprio indirizzo e-mail.

 

La Polizia Postale provvederà poi a controllare quanto ricevuto con l’intento di “indirizzare la successiva attività” ai contenuti che sono “manifestamente infondati e tendenziosi” o ”apertamente diffamatori”. Effettueranno “approfondite analisi, attraverso l’impiego di tecniche e software specifici […] che permettano di qualificare, con la massima certezza consentita, la notizia come fake news (presenza di smentite ufficiali, falsità del contenuto già comprovata da fonti obiettive; provenienza della presunta fake da fonti non accreditate o certificate ecc.)”.

 

Inoltre la Polizia Postale raccoglierà informazioni in maniera indipendente, “al fine di individuare precocemente la diffusione in rete di notizie marcatamente caratterizzate da infondatezza e tendenziosità, ovvero apertamente diffamatorie”.

 

Dopo aver controllato le informazioni, le autorità intraprenderanno un’azione legale se decideranno che il contenuto è fuori legge. Nei casi in cui il contenuto è ritenuto falso o fuorviante, ma non illegale, le autorità pubblicheranno le smentite pubbliche.

 

Reati Applicabili ai sensi del Codice Penale italiano

 

L’articolo 595 del Codice Penale Italiano definisce la diffamazione come “offendere la reputazione di una persona assente attraverso comunicazioni con terzi”, e la punisce con pene che vanno fino a un anno di reclusione. “Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è la reclusione fino a due anni, ovvero una multa fino a 2.065 euro. Se l’offesa è commessa a mezzo stampa, o comunque con un atto pubblico, “la pena è la reclusione da sei mesi a tre anni o una multa non inferiore a 516 euro”. L’articolo 595 prevede anche un aumento delle pene se la diffamazione avviene contro funzionari pubblici.

 

L’articolo 278 del Codice impone l’aumento della pena di reclusione da uno a cinque anni per la diffamazione del Capo dello Stato (o Presidente).

 

Secondo un rapporto dell’ottobre 2016, in Italia ogni anno vengono presentate più di 5.000 denunce per diffamazione. Nel 2015, i giudici hanno condannato 475 giornalisti per diffamazione, con 320 condannati a una multa e 155 a un provvedimento di reclusione.

 

Prima di sottolineare ulteriori preoccupazioni riguardo al protocollo, vorrei notare che l’articolo 19 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR), ratificato dall’Italia il 15 settembre 1978, protegge il diritto di ognuno ad avere un’opinione senza interferenze e di cercare, ricevere e impartire informazioni e idee di qualsiasi tipo, a prescindere dalle frontiere e attraverso qualsiasi media. Il Comitato per i Diritti Umani ha sottolineato che “la libera comunicazione di informazioni e di idee riguardo questioni pubbliche e politiche tra cittadini, candidati e rappresentanti eletti è essenziale. Ciò implica una stampa libera e altri media capaci di commentare riguardo a questioni pubbliche e di informare la pubblica opinione senza censure o restrizioni. Inoltre, la normativa internazionale sui diritti umani prevede la responsabilità da parte degli Stati di assicurare un ambiente nel quale un vasto ventaglio di opinioni e idee politiche possa essere liberamente e apertamente espresso e dibattuto. La libertà di espressione include anche la diffusione delle convinzioni e opinioni di ognuno con altri che potrebbero avere opinioni diverse. Nella Dichiarazione Congiunta sulla Libertà di Espressione e “Fake News”, Disinformazione e Propaganda, il mio mandato - insieme ad altri esperti regionali di libertà di espressione – sottolinea che “il diritto umano di diffondere informazioni e idee non è limitato a dichiarazioni ‘corrette’, e protegge informazioni e idee che potrebbero scioccare, offendere e disturbare”.

 

Ai sensi dell’articolo 19 dell’ICCPR, le restrizioni al diritto alla libertà di espressione devono essere “previste dalla legge” e necessarie per “i diritti o la reputazione di altri” o “per la protezione della sicurezza nazionale o dell’ordine pubblico, o della salute e morale pubblica”. Le possibili restrizioni su internet sono le stesse di quelle offline (A/HRC/17/27).

 

Per soddisfare i requisiti di legalità, non è sufficiente che le restrizioni alla libertà di espressione siano formalmente emanate come leggi o regolamenti nazionali. Le restrizioni devono anche essere sufficientemente chiare, accessibili e prevedibili (CCPR/C/GC/34).

 

Il requisito di necessità implica una valutazione della proporzionalità delle restrizioni, allo scopo di assicurare che le restrizioni “puntino a uno specifico obiettivo e non si intromettano indebitamente nei diritti delle persone interessate”. La conseguente interferenza coi i diritti di terzi deve anche essere limitata e giustificata nell’interesse difeso dall’intrusione (A/HRC/29/32). Infine, le restrizioni devono essere “lo strumento meno intrusivo tra quelli che possono ottenere il risultato desiderato (CCPR/C/GC/34). Il Comitato per i Diritti Umani ha sottolineato che, nel valutare la proporzionalità, il “valore assegnato dal Patto per la libertà di espressione è particolarmente elevato nel caso di dibattiti pubblici in una società democratica riguardo a figure appartenenti al campo pubblico e politico”.

 

Alla luce di questi standard, la Dichiarazione Congiunta sulla Libertà di Espressione e le “Fake News” ha concluso che “le proibizioni generali sulla diffusione delle informazioni basate su idee vaghe o ambigue, incluse le “notizie false” o “informazioni non obiettive” sono incompatibili e dovrebbero essere abolite (grassetto del traduttore, NdVdE).

 

Infine, il Comitato per i Diritti Umani ha esortato gli Stati a “considerare una depenalizzazione della diffamazione” e ha detto che, in ogni caso, “l’applicazione della legge penale dovrebbe essere prevista solo nei casi più gravi e la detenzione non è mai una punizione appropriata”. Il Comitato sottolinea che tutte le leggi sulla diffamazione, “in particolare le leggi penali sulla diffamazione, dovrebbero includere  difese come la difesa della verità, e non essere applicate alle forme di espressione che non sono, per loro natura, assoggettabili a verifica. In ogni caso, l'interesse pubblico alla critica dovrebbe essere riconosciuto come una difesa"(CCPR/CGC/34).

 

Vorrei anche portare all’attenzione del Governo di sua Eccellenza le osservazioni conclusive del Comitato per i Diritti Umani riguardo all’Italia, che esorta il Governo di sua Eccellenza a limitare le  sanzioni per diffamazione (ai sensi dell’articolo 595 del codice penale italiano e dell’articolo 13 della legge della stampa) per assicurare che non esercitino un effetto negativo sulla libertà di opinione e espressione e sul diritto all’informazione (CCPR/C/ITA/CO/6). Il Comitato ha inoltre esortato la sua Eccellenza Governativa ad assicurare che le cause di diffamazione non vengano usate come strumento per limitare la libertà di espressione al di là delle restrizioni permesse dall’articolo 19 dell’ICCPR. L’effetto aggregato di queste leggi insieme all’introduzione di un portale potrebbe avere un effetto fortemente limitativo sull’esercizio del diritto alla libertà di espressione, dato che il portale potrebbe funzionare come uno strumento di raccolta di denunce penali. Un’altra preoccupazione viene espressa per il fatto che le persone ritenute colpevoli di diffamazione di funzionari pubblici italiani, incluso il Capo dello Stato, potrebbero incorrere in sanzioni molto più severe di quelli che diffamano altre persone.

 

Il testo integrale degli strumenti e standard sui diritti umani citati sopra si può trovare su www.ohchr.org e può essere reso disponibile a richiesta.

 

Sulla base di quanto sopra, esprimo la preoccupazione che il Protocollo sia incompatibile con gli standard previsti dalla legge internazionale sui diritti umani. Anche se rispetto l'interesse del Governo di Sua Eccellenza ad assicurare l’integrità del processo elettorale del Paese, temo che le restrizioni sulle “fake news” stabilite dal Protocollo siano incoerenti con i criteri di legalità, necessità e proporzionalità ai sensi dell’articolo 19 dell’ICCPR.

 

Il Protocollo si prefigge di combattere “notizie manifestamente infondate e parziali, o di contenuto apertamente diffamatorio” – questi termini non sono definiti e perciò alimentano preoccupazioni di indeterminatezza.

 

Anche se il Governo di Vostra Eccellenza ha indicato alcuni fattori che verranno presi in considerazione nel controllare la falsità dei contenuti inoltrati al portale, questi non risolvono l’ambiguità riguardo allo scopo del contenuto delle notizie che può essere inoltrato ed elaborato dal Protocollo. Inoltre, il Protocollo legherebbe il controllo delle “fake news” alle leggi penali contro la diffamazione, il che impone pene significative “per aver macchiato la reputazione di una persona assente attraverso la comunicazione”. Esprimo la preoccupazione che questo darà una enorme discrezione al Governo di perseguitare affermazioni critiche nei confronti di figure pubbliche e politiche.

 

La mancanza di chiarezza riguardo al metodo di funzionamento del Protocollo, insieme alla minaccia di sanzioni penali, crea il pericolo che il Governo di sua Eccellenza diventerà arbitro della verità nel dibattito pubblico e politico. Di conseguenza, esprimo la preoccupazione che il Protocollo possa sopprimere sproporzionatamente un ampio spettro di comportamenti espressivi, essenziali ad una società democratica, tra cui la critica al governo, la segnalazione di notizie, le campagne politiche e l’espressione di opinioni impopolari, controverse o di minoranza.

 

Alla luce di queste preoccupazioni, raccomando caldamente al Governo di vostra Eccellenza di prendere in considerazione misure alternative, come ad esempio la promozione di meccanismi indipendenti di fact-checking, di supporto pubblico a strumenti di comunicazione pubblici, indipendenti, vari e adeguati, la promozione dell'istruzione pubblica e della lettura dei media, che sono stati riconosciuti come mezzi meno invasivi per affrontare la disinformazione e la propaganda.

 

Dal momento che è mia responsabilità, secondo il mandato ricevuto dal Consiglio per i Diritti Umani, cercare di chiarire tutti i casi portati alla mia attenzione, sarei grato per qualsiasi informazione o commento doveste avere in proposito.

 

Infine, vorremmo informare il Governo di sua Eccellenza, che questa comunicazione, in quanto commento di leggi, regole o politiche recentemente approvate o in fase di approvazione, verrà resa disponibile al pubblico e pubblicata sulla pagine del sito web del mandato dell’Investigatore Speciale sul diritto di libertà di espressione a questo indirizzo:

 

http://www.ohchr.org/EN/Issues/FreedomOpinion/Pages/LegislationAndPolicy.aspx.

 

La risposta del Governo di Vostra Eccellenza sarà resa disponibile sulla stessa pagine web e in un rapporto da presentare al Consiglio dei Diritti Umani per le sue considerazioni.

 

Vogliate accettare, Eccellenza, l’assicurazione della mia più alta considerazione.

 

David Kaye

 

Investigatore Speciale per la promozione e difesa del diritto alla libertà di opinione ed espressione.

 

21/03/18

Eurointelligence - Non è una guerra commerciale che la UE possa vincere. E per gli USA la Cina non basta.

La rassegna stampa di Eurointelligence si è occupata delle ferventi trattattive in corso per evitare la "guerra commerciale" avviata dal Presidente Trump,  riportando alcuni interventi autorevoli: innanzitutto Munchau sul Financial Times nota come Trump abbia gioco facile contro una Germania sotto scacco perché strutturalmente dipendente dalle esportazioni; Der Spiegel riporta quindi di alcune condizioni che saranno poste alla Ue dall'amministrazione USA per evitare la guerra commerciale, condizioni che però molto probabilmente non potranno essere soddisfatte; infine sul Council on Foreign Relations Brad Setser osserva come agli Usa comunque non basterebbe stringere un'alleanza di paesi che si coalizzano contro la Cina, perché non è la Cina il vero problema: i maggiori squilibri globali provengono proprio dagli alleati delle economie avanzate, in primo luogo, naturalmente, la Germania (travestita da eurozona).    

 

 

 

Eurointelligence,  19 marzo 2018

 

È stata una settimana di frenetica attività diplomatica al fine di scongiurare una potenziale guerra commerciale. Le tariffe USA su acciaio e alluminio dovrebbero entrare in vigore venerdì. Il nuovo ministro dell'economia tedesco, Peter Altmeier, è arrivato a Washington per colloqui con Wilbur Ross, il segretario al commercio degli Stati Uniti. L'intervista di Altmeier a Handelsblatt stamattina ci dice solo una cosa: che, al di là del desiderio di non intensificare il conflitto, il governo tedesco è privo di strategia.

 

Non scavare quando sei finito in una buca, ci sembra una strategia piuttosto a breve termine. Come sottolinea Wolfgang Munchau nella sua rubrica sul FT, questa non è una guerra commerciale che l'UE possa vincere. Se l'UE dovesse fare una grande battaglia per questo, stabilendo venerdì una lunga lista di sanzioni, gli Stati Uniti risponderebbero immediatamente con una tariffa sulle importazioni di automobili. E come sostiene Munchau, questo sarebbe l'equivalente di uno scacco matto. Donald Trump ha ragione nel sostenere che le guerre commerciali sono facili da vincere - se il tuo avversario è sufficientemente disperato e dipendente dall'esportazione di manufatti, come la Germania. Quando dicevamo che un surplus delle partite correnti dell'8% (o probabilmente superiore) non è sostenibile, non era da intendersi come una questione se il surplus è giusto o sbagliato. Insostenibile significa che ad un certo punto è destinato a finire - attraverso un aggiustamento oppure di forza.

 

Nel fine settimana la rivista Der Spiegel ha pubblicato una storia secondo la quale c'è un barlume di speranza. Era una di quelle brevi notizie dello Spiegel, raccolte da una singola fonte, ma non abbastanza ampie per un articolo completo. La storia sostiene che gli Stati Uniti faranno tre richieste specifiche come precondizione per esentare l'UE dalle tariffe sull'acciaio e l'alluminio. La prima è che l'UE metta un tetto massimo alla produzione di acciaio ai livelli del 2017. Senza indicare però la modalità di misurazione, se in volume o in valore. La seconda è che l'UE prenda misure antidumping nei confronti della Cina e accetti di cooperare con gli Stati Uniti nelle questioni relative alla politica commerciale internazionale. E per completare il tutto, gli europei dovranno fornire la prova che sono sulla buona strada per rispettare i loro impegni con la Nato in materia di spesa per la difesa. Quest'ultima è una richiesta impossibile da soddisfare, poiché nessuna prova del genere può essere data. La grande coalizione tedesca, ad esempio, non ha nessuna intenzione di aumentare la spesa per la difesa. La priorità del nuovo ministro delle finanze, Olaf Scholz, è di mantenere il surplus di bilancio.

 

Diamo per scontato che i reporter dello Spiegel abbiano parlato con qualcuno dell'amministrazione statunitense, ma ad ora non possiamo sapere se questa storia riflette correttamente ciò che sta per accadere, se non altro perché l'amministrazione Trump è essa stessa divisa al suo interno sulla politica da seguire.

 

Da tenere d'occhio questa settimana ci sono anche i colloqui tra Cecilia Malmström, il commissario europeo per il commercio, e Robert Lighthizer, rappresentante del commercio statunitense. La riunione dei ministri delle finanze del G20 si sta concludendo con una vuota dichiarazione sull'importanza del libero commercio globale. Nella sua copertura della storia, la FAZ ha notato che la dichiarazione di Amburgo dell'ultimo vertice del G20, che includeva un impegno contro il protezionismo, non ha impedito a Trump di imporre le tariffe sull'acciaio.

 

Donald Trump e i suoi consulenti concentrano gran parte della loro ira sugli scambi commerciali con la Cina, e con buone ragioni: circa un quarto del deficit commerciale degli Stati Uniti è con la Cina. Si parla del doppio del deficit commerciale con l'eurozona e di cinque volte quello con la Germania. Ma Brad Setser sul Council on Foreign Relations sostiene che il vero problema per gli Stati Uniti sono i surplus commerciali delle economie avanzate, in particolare della zona euro.

 

Setser sottolinea che, nel confronto globale, il surplus delle partite correnti della Cina è relativamente piccolo:

 

"Le richieste di una coalizione globale di alleati degli USA per fare pressioni sulla Cina affinché cambi alcune delle sue pratiche commerciali più eclatanti vanno aumentando.


[ ]


Eppure, in questo momento le cattive pratiche commerciali della Cina non stanno creando tutto questo grande surplus di partite correnti.


Il surplus delle partite correnti della Cina è nettamente inferiore a quello della zona euro. O del Giappone. O delle economie emergenti dell'Asia (che non sono più paesi di recente industrializzazione, ma i nomi rimangono)."




 

 

Setser porta avanti due argomenti sul commercio globale. Uno è che a livello globale la maggior parte dei surplus delle partite correnti proviene di gran lunga dalle economie avanzate. Il secondo è che regolarmente questi avanzi sono da porre in correlazione con le politiche fiscali nazionali restrittive di queste economie avanzate:

 

Dopo la crisi globale, la Cina ha limitato l'impatto globale del suo manipolato mercato interno attraverso uno stimolo fiscale piuttosto massiccio (fuori bilancio) e un forte boom del credito. Questo stimolo non si è tradotto in tonnellate di domanda per i manufatti prodotti in Giappone, in Europa o negli Stati Uniti, ma ha generato una forte domanda di materie prime. E gli esportatori di materie prime a loro volta acquistano molti manufatti dal Giappone, dall'Europa e persino dagli Stati Uniti.

 

Il risultato netto è che la Cina, grazie a una combinazione di espansione del credito e di una politica fiscale generale espansiva, impiega molti dei suoi enormi risparmi a livello nazionale. Almeno per ora.

 

(Per parlare chiaramente: il surplus delle partite correnti della Cina è più grande di quello riportato ufficialmente, forse di un punto percentuale del PIL. Ma anche se arriva al 2,5% del PIL cinese, è più piccolo, in relazione al PIL, rispetto alle eccedenze delle partite correnti degli alleati degli Stati Uniti. In realtà, temo che l'eccedenza della Cina potrebbe essere in procinto di crescere: la crescita delle esportazioni è stata forte, e la Cina sembra intenzionata a realizzare un po' di consolidamento fiscale, che peserà sulle importazioni).

 

Gli alleati degli Stati Uniti generalmente hanno politiche fiscali molto più restrittive della Cina. Questa è una grande ragione per cui registrano surplus di partite correnti maggiori della Cina. La Corea e Taiwan (e la Svizzera neutrale) hanno anche agito sul mercato dei cambi quando hanno avuto bisogno di mantenere deboli le loro valute (la Corea in modo egregio a gennaio).

 

Di conseguenza, l'eccedenza delle partite correnti degli alleati degli Stati Uniti in Europa e in Asia è vicina a $ 800 miliardi - ben oltre i circa $ 200 miliardi della Cina. Tale somma sarebbe un po'  maggiore se si aggiungesse il surplus di paesi europei democratici ma formalmente non allineati come la Svezia e la Svizzera.

 

C'è un punto importante qui. Le maggiori eccedenze mondiali (e per questo, i maggiori deficit) si trovano ora nelle economie avanzate, e le economie avanzate hanno generalmente tariffe doganali relativamente basse. I fattori macroeconomici e i livelli delle valute, che a loro volta dipendono dalle scelte di politica macroeconomica, svolgono un ruolo molto più importante nel determinare la bilancia commerciale complessiva rispetto alle pratiche commerciali reali.

 

 



 

 

Il grafico seguente rappresenta i saldi delle partite correnti  in valore assoluto in dollari, invece che in rapporto al Pil:

 

 



 

 

 

Tutto ciò significa che gli Stati Uniti si trovano di fronte a un dilemma per quanto riguarda le pratiche commerciali della Cina, che Setser d'altronde è d'accordo a definire ingiuste:

 

"Ovviamente questo rappresenta un po' un dilemma per gli Stati Uniti. Se il prezzo di una coalizione contro le pratiche commerciali della Cina è di chiudere gli occhi davanti alle politiche macroeconomiche nell'Eurozona, in Giappone, Corea e Taiwan, che hanno aumentato i loro surplus con l'estero, non ci sono molte possibilità che il disavanzo commerciale globale degli Stati Uniti possa cambiare. La Cina contribuisce indubbiamente al disavanzo aggregato degli Stati Uniti, ma svolge un ruolo minore (e altri in Asia svolgono un ruolo più importante) di quanto non indurrebbe a pensare il suo surplus bilaterale con gli Stati Uniti.

 

Fintanto che il surplus aggregato in Asia e in Europa rimane elevato, qualcuno nel mondo dovrà pur avere un grosso deficit estero, e tutto fa pensare che saranno gli Stati Uniti. 

 

E le ultime previsioni tendono a indicare l'aumento, non la diminuzione, delle eccedenze in molti dei più grandi alleati americani."

 

20/03/18

Banchiere di Goldman Sachs diventa viceministro delle finanze in Germania

In questo articolo Zero Hedge nota come la grande banca speculativa Goldman Sachs si stia impegnando a tenere salde le mani sulle politiche finanziarie in Europa. Mentre Mario Draghi si accinge a terminare l'incarico alla BCE, Goldman Sachs colloca un altro dei suoi allievi nelle stanze dei bottoni, riuscendo a farlo nominare viceministro delle finanze del nuovo governo tedesco.


 

 

di Zero Hedge, 19 marzo 2018

 

Dopo aver collocato i propri allievi nella maggior parte delle banche centrali, Goldman Sachs sta ora puntando ancora più in alto: dritto ai governi nazionali. Lunedì mattina, un portavoce del ministero delle finanze tedesco ha affermato che il co-direttore della sezione tedesca di Goldman Sachs, Joerg Kukies, diventerà viceministro delle finanze nel nuovo governo tedesco.

 

Secondo Reuters, Kukies sarà responsabile delle politiche del mercato finanziario e dell'area europea nel suo nuovo ruolo, a quanto ha riferito il portavoce del ministero. In altre parole, con Mario Draghi - un altro allievo di Goldman Sachs - che si accinge a terminare il mandato alla BCE, Goldman rifiuta di cedere il controllo sugli sviluppi delle politiche finanziarie europee, e in questo senso ha già fatto la sua mossa.

 

Kukies ha prestato servizio come consigliere delegato di Goldman Sachs e come co-direttore della sezione tedesca e austriaca dall'ottobre 2014. Kukies era incaricato di supervisionare la suddivisione dei titoli azionari e dei titoli a rendimento fisso per conto di Goldman Sachs in Germania e in Austria.

 

A seguito della sua nomina nel governo tedesco, Kukies ha rassegnato le dimissioni da co-direttore della sezione tedesca e austriaca, secondo quanto riferito in una dichiarazione via email da una portavoce di Goldman Sachs. "Nel prossimo futuro, Wolfgang Fink guiderà la sezione tedesca e austriaca di Goldman Sachs con ruolo di amministratore delegato unico".

 

È ironico notare che non molto tempo fa Kukies, sul blog di Goldman Sachs, aveva condiviso i seguenti consigli, quelli che a suo dire avrebbe dato a se stesso da giovane:

 

1. Prepara bene chi ti dovrà sostituire. È controintuitivo, ma preparare un collega a prendersi carico delle tue attuali responsabilità ti permette di avanzare più rapidamente a gradi superiori.

 

2. Sii un buon venditore. Non importa in quale settore, la qualità dei servizi che offri ai tuoi clienti interni o esterni è il miglior predittore del tuo successo nei prossimi dieci anni.

 

3. Pensa a lungo termine. Nonostante l'industria dei servizi finanziari sia caratterizzata da continui cambiamenti, scoprirai che molti dei tuoi clienti attuali rimarranno tuoi clienti anche in futuro - ma saranno in posizioni più elevate - tra cinque, dieci o quindici anni.

 

4. Fai attenzione alle potenzialità. Qualsiasi candidato con cui hai un colloquio oggi potrebbe diventare il tuo migliore collega - o il tuo migliore cliente - domani.

 

5. Condividi i tuoi obiettivi. Fai attenzione alle tue aspirazioni e ambizioni. Fermati a pensare alla tua futura carriera, e non tenere i tuoi piani solo per te stesso.

 

Ora che è diventato il secondo consigliere finanziario più influente della Germania, possiamo dire che si è effettivamente attenuto a tutti e cinque i punti.

18/03/18

Paul Craig Roberts - La Terza Guerra Mondiale si sta avvicinando

In un recente articolo Paul Craig Roberts torna a parlare di Terza Guerra Mondiale, accusando la Russia di essere troppo pusillanime verso l'aggressiva politica USA: nella velleità di essere riconosciuta come parte dell'Occidente, secondo Roberts la Russia non completa mai il lavoro, ma lascia sempre uno spiraglio aperto agli USA, sperando di ingraziarseli, mentre di fatto concede a Washington un altro giro per prevalere nel conflitto che Washington ha iniziato. Questo è quello che è successo in Siria, dove la guerra rischia di riaccendersi, e in Ucraina. E nel frattempo in Occidente continua l'escalation della propaganda: non passa giorno senza che la Russia venga accusata di cyber-attacchi, ingerenza nelle elezioni dei paesi occidentali, addirittura sovversione della democrazia. E col caso Skripal si è fatto un nuovo salto di qualità, andando vicini ad accusarla di terrorismo di stato. Insomma, quel che sembra una preparazione dell'opinione pubblica occidentale alla Terza Guerra Mondiale che Roberts paventa.

 

 

di Paul Craig Roberts, 13 marzo 2018

 

"In un conflitto nucleare, il 'danno collaterale' sarebbe la fine di tutta l'umanità" - Fidel Castro

 

I russi, nell'ansia di mostrare all'Occidente quanto sono amichevoli, hanno lasciato mettere a Washington un piede nella porta in Siria, e Washington lo sta utilizzando per ricominciare la guerra. L'insuccesso russo nel finire il lavoro ha lasciato i mercenari stranieri di Washington, che la stampa prezzolata americana fa passare per "combattenti per la libertà", nell'enclave siriana. Perché la guerra ricominci, Washington deve trovare un modo di andare in aiuto dei suoi mercenari.

 

Il regime di Trump ha trovato, o così pensa, la sua giustificazione per tornare alla falsa accusa del regime di Obama alla Siria sull'uso di armi chimiche. Questa bugia, inventata di sana pianta dal regime di Obama, è stata messa a tacere dall'intervento della Russia, che ha assicurato che non c'erano armi chimiche siriane. Infatti, se la memoria ci assiste, la Russia consegnò le armi chimiche agli USA perché fossero distrutte. Ci sono pochi dubbi che Washington le abbia ancora e che ne userà alcune, con i loro contrassegni siriani, in quello che appare come un attacco false flag imminente di cui potrà essere accusato Assad. In altre parole, Washington creerà un "momento critico", ne incolperà Assad e Putin, e - con o senza l'autorizzazione del Congresso - inizierà l'intervento americano per conto dei suoi mercenari.

 

Se possiamo credere a James Mattis, il generale degli US Marine in pensione che è Segretario della Difesa, la Siria, un paese senza armi chimiche e che non ne ha bisogno nelle sue operazioni di rastrellamento contro i mercenari di Washington, sta usando gas cloro "contro il suo stesso popolo", esattamente la stessa frase usata dal regime di Obama quando tentò di orchestrare una giustificazione per l'attacco in Siria. Mattis ha detto di ricevere resoconti sull'uso di gas cloro da parte di Assad, mentre contemporaneamente sostiene che non ci sono prove dell'uso di gas, ancora meno da parte dell'esercito siriano.

 

Il Segretario della Difesa in realtà ha accusato la Siria di "prendere di mira gli ospedali" col gas cloro, anche se ammette che non ci sono prove. Mattis ha continuato accusando la Russia di complicità nell'uccisione di civili, un'impresa nella quale gli USA eccellono.

 

Stephen Lendman riferisce che il direttore della CIA Pompeo "ha suggerito che potrebbe essere prossimo un attacco statunitense alle forze siriane, dicendo che Trump non tollererà attacchi con armi chimiche, aggiungendo che non ha ancora preso una decisione riguardo all'ultimo resoconto sull'uso di gas cloro".

 

Il Segretario di Stato Tillerson si è unito alle accuse, anche se ammette che non ci sono prove.

 

Naturalmente non c'è stato nessun uso del gas cloro, se non da parte dei mercenari supportati da Washington. Ma i fatti non sono importanti per Washington. Quel che è importante è la richiesta di Israele che Washington distrugga la Siria e l'Iran per sbarazzarsi dei sostenitori di Hezbollah, in modo che Israele possa impadronirsi del Libano del sud.

 

Nessun dubbio che ci siano altri interessi nella trama. Le compagnie petrolifere che vogliono il controllo delle ubicazioni dei gasdotti e degli oleodotti, i pazzi neocon sposati alla loro ideologia dell'Egemonia Mondiale Americana, il complesso militare/della sicurezza a cui servono nemici e conflitti per giustificare il proprio enorme bilancio. Ma è la determinazione di Israele a espandere i suoi confini e le sue risorse idriche che mette in moto tutti i conflitti del Medio Oriente.

 

La Russia questo lo capisce, o il governo russo è troppo assorbito dall'ottenere prima o poi l'accettazione occidentale per essere parte dell'Occidente? Nel secondo caso, il mondo sta andando verso una guerra nucleare. Il governo russo non sembra capire che le sue pavide risposte stanno incoraggiando l'aggressione di Washington e così conducendo il mondo alla guerra finale.

 

Ogni qual volta la Russia fallisce nel finire il lavoro, come in Siria e Ucraina, non si conquista l'amicizia di Washington, ma concede a Washington un altro giro per prevalere nel conflitto che Washington ha iniziato. Washington non rallenterà fino a quando i suoi piani non saranno fermati, quello che la Russia non sembra disposta a fare. Di conseguenza, Washington continua a guidare il mondo verso la guerra nucleare.

 

Quand'è che i russi si accorgeranno che letteralmente tutti nel regime di Trump li stanno minacciando? Mattis, Tillerson, Nikki Haley, la portavoce del governo, il Primo Ministro e il Segretario agli Esteri del Regno Unito. Tuttavia i russi ancora parlano dei loro "partner" e di quanto vogliano avere buoni rapporti con l'Occidente.

 

Non c'è alcuna possibilità che i britannici vadano in guerra contro la Russia. L'intero Regno Unito verrebbe immediatamente cancellato, eppure il Primo Ministro britannico dà ultimatum alla Russia.

 

Qui quello che Finian Cunningham ha da dire sul Primo Ministro britannico che minaccia la Russia:

 

Data la loro radicata agenda anti-russa, hanno molto più interesse le autorità britanniche a vedere Skripal avvelenato di quanto ne abbia mai avuto il Cremlino.


 

E mentre siamo nella modalità "chi è stato?", un'altra possibile importante traccia è questa: se il Venomous Agent X (VX) fosse stato usato per danneggiare l'ex spia russa, gli esecutori ne avrebbero avuto un comodo serbatoio col quale portare a termine le loro azioni.


 

Il laboratorio top secret di armi chimiche della Gran Bretagna a Porton Down è a sole sei miglia di distanza da Salisbury, dove Skripal e sua figlia sono stati apparentemente assaliti la scorsa domenica pomeriggio. Porton Down è il laboratorio in cui il VX è stato originariamente sintetizzato negli anni '50. Rimane una delle armi chimiche più letali mai inventate. Ed è inglese come il tè delle cinque.


 

Questi sono il movente e i mezzi. Ma, ehi, chi ha bisogno della logica quando il nome del gioco è Russofobia?


 

[Nota di VdE: stando a quanto dichiarato da Theresa May nel suo discorso al Parlamento di lunedì 13 marzo, l'agente nervino individuato nel caso Skripal non è il VX ma il Novichok, sviluppato per la prima volta dai sovietici tra gli anni '70 e gli anni '90; l'apparente anomalia può essere spiegata col fatto che l'articolo citato da PCR è di giovedì 8 marzo, quando ancora le autorità, da quanto riporta la stampa inglese, non avevano ufficializzato la natura dell'agente nervino. Anche l'articolo di PCR è del 13 marzo: è quindi plausibile che PCR non fosse ancora venuto a conoscenza della dichiarazione della May. Chiarito questo, vale la pena aggiungere che la formula del Novichok, secondo quanto riportato al Wall Street Journal da Ralf Trapp, uno dei massimi esperti internazionali di armi chimiche, fu oggetto di una fuga di notizie negli anni '90 e da allora altri paesi potrebbero aver iniziato programmi per la sua produzione.]

 

L'intero mondo occidentale è impazzito. Come dice Michel Chossudovsky, i politici occidentali e la stampa prezzolata che li serve stanno portando il mondo all'estinzione.

 

Nota: sembra che il complesso militare/della sicurezza stia stringendo la presa sul regime di Trump. Il Segretario di Stato Tillerson è stato licenziato e sta venendo rimpiazzato dal direttore della CIA Pompeo. Gina Haspel, il nuovo direttore della CIA, è la persona che supervisionava le prigioni segrete di tortura in Thailandia.