In questo articolo di fine agosto 2018 l'economista francese Jacques Sapir commenta l'accordo firmato dal Presidente USA Trump col Messico come un accordo rivoluzionario, in quanto per la prima volta osa introdurre il principio della protezione sociale negli accordi commerciali internazionali. Cose spesso proclamate dalla sinistra intellettuale, che tuttavia non ha mai neanche pensato di metterle in pratica in tanti anni di governo. In questo contesto, colpisce la "demonizzazione a prescindere" di Trump da parte della grande stampa che, gravemente malata di partigianeria e incapace di valutare e distinguere, riconferma di aver del tutto abbandonato la sua originaria funzione di informazione al servizio della democrazia.
di Jacques Sapir, 28 agosto 2018
Un nuovo accordo commerciale in sostituzione del NAFTA è stato appena firmato tra gli Stati Uniti e il Messico [1]. Era noto sin dalla sua investitura che il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, voleva che questo accordo venisse rivisto. E dunque lo ha fatto, intanto con il Messico. Con il Canada, i negoziati sembrano più complicati. Nel nuovo accordo, vi è una clausola che attira l'attenzione: quella che stabilisce una forma di salario minimo per una parte dei lavoratori dell'automobile [2]. A quanto mi risulta, si tratta di una clausola rivoluzionaria negli accordi commerciali bilaterali o multilaterali. Risponde in parte alla proposta da me avanzata nel mio libro La Démondialisation [3] e segna l'ingresso del sociale e della lotta contro le delocalizzazioni negli accordi commerciali.
Le innovazioni contenute nell'accordo
Prima di tutto, dobbiamo osservare attentamente questa clausola.Di che si tratta? È scritto che dal 40% al 45% delle componenti delle automobili che circoleranno sotto questo accordo dovranno essere state fabbricate da lavoratori pagati con un salario minimo di almeno 16 dollari l'ora. Questo è un punto molto importante, ma non è l'unico.
L'accordo
In effetti, questo punto elimina in parte il vantaggio che le aziende possono avere a trasferire la loro produzione in Messico, per poi reimportarla negli Stati Uniti senza pagare i diritti dognali. In effetti, nel 2017 i salari medi in questo settore erano di $ 2.25 per ora. [4] Un contratto collettivo stipulato dalla filiale Volkswagen in Messico fissava dei salari che andavano da $ 1 a $ 4 all'ora. Nei fatti, nonostante i ripetuti scioperi, i produttori stabiliti in Messico, sia europei (VW, Audi) che americani o giapponesi, hanno resistito ferocemente alle richieste di aumenti salariali dei loro lavoratori. L'industria automobilistica era riuscita a creare in Messico ciò che il sito Business Insider ha giustamente definito un "Nirvana dei bassi salari". [5] Infatti, anche relativamente alla produttività (che naturalmente negli Stati Uniti è più elevata), il salario in Messico rimane molto basso.
Livello dei salari in dollari USA in Messico su un periodo di 10 anni
Ma questo accordo non si limita a fissare un minimo salariale. Comprende anche, come leggiamo, delle clausole di tutela in materia di contrattazione collettiva. Tali clausole serviranno principalmente a proteggere i lavoratori messicani, esposti a una repressione brutale e spesso omicida. Ovviamente sarebbe meglio determinare il salario minimo in base al costo del lavoro reale, cioè non tenendo conto solo dello stipendio, ma anche dei contributi sociali, e mettendo in relazione questa somma con la produttività di ciascun paese. Analogamente, occorrerebbe aumentare la percentuale dei prodotti in questione, ad esempio dal 40-45% al 70-75%. Dunque questo accordo non è "perfetto", ma è un enorme passo avanti nella giusta direzione. Ed è anche un passo che conferma come sia possibile - a condizione, naturalmente, di averne la volontà - introdurre delle clausole di protezione sociale negli accordi commerciali. È una lezione, e una lezione che merita di essere tenuta in considerazione.
Un freno alle delocalizzazioni?
Questo accordo limiterà le delocalizzazioni e servirà come base per un aumento dei salari in Messico. Corrisponde ai meccanismi immaginati nel contesto del "protezionismo di solidarietà" difeso da France Insoumise [6], o a quello che avevo immaginato alla fine del mio libro dedicato alla de-globalizzazione. Ricordiamo, qui, che il termine fu inventato molti anni fa da Bernard Cassen, ex presidente di ATTAC e responsabile di Le Monde Diplomatique. Ed era stato ripreso da Jaques Généreux, in un'intervista a L'Economie Politique [7].
Il libero scambio ha dimostrato di essere una straordinaria macchina di sfruttamento dei lavoratori dipendenti e di distruzione di gran parte della legislazione sociale affermatasi dalla Seconda Guerra Mondiale. Oggi è fortemente contestato all'interno dello stesso mondo accademico, sia per quel che riguarda il "paradosso di Leontief [8]" che per i suoi assunti irrealistici. Con l'emergere della nuova teoria del commercio internazionale (Krugman), possiamo considerare che il protezionismo ha recuperato la sua dignità [9] e Krugman stesso ha riconosciuto che potrebbe essere formulato un vero e proprio atto d'accusa contro la globalizzazione. [10] Fenomeni come il massiccio ricorso all'internazionalizzazione non erano stati previsti, e hanno considerevolmente modificato l'approccio alla globalizzazione [11].
In termini concreti, l'azione futura dovrebbe svilupparsi in tre direzioni. Innanzitutto, dovrebbero essere adottate misure protettive per compensare gli effetti del vero e proprio "dumping sociale ed ecologico" in cui alcuni paesi sono coinvolti.
Si potrebbero quindi immaginare delle imposte importanti alle frontiere che riportino in equilibrio il costo reale del lavoro, ma penalizzino anche le produzioni realizzate secondo standard ambientali che oggi non sono più accettabili. All'interno dell'UE, queste tasse potrebbero essere sostituite da degli importi compensativi di tipo sociale ed ecologico. Queste tasse, aumentando il costo delle importazioni, ripristinerebbero la competitività dei produttori nazionali. Le entrate che dovrebbero essere in grado di generare potrebbero quindi essere utilizzate per raccogliere fondi nei paesi interessati da tali imposte e consentire loro di progredire nel campo sociale ed ecologico[12].
Il paradosso di Trump
Infine, c'è il paradosso di vedere Donald Trump mettere in atto una misura richiesta per anni proprio dalla sinistra. Non nascondo il fatto che nutro profonde divergenze, a dir poco, con altri aspetti della sua politica, che si tratti di politica internazionale o di politica interna. Ma c'è qualcosa di indecente nel "massacro di Trump" in cui è impegnata gran parte della stampa francese. Dopotutto, delle misure di questo tipo avrebbero potuto essere incluse negli accordi dell'UE o nei trattati firmati tra l'UE e altri paesi, eppure, mai, i nostri "socialisti", gli Hollande, Hamon, Moscovici ed altri, ed i loro alleati ecologisti (EELV), ci hanno neanche provato. Eppure, queste persone sono state al potere per molti anni (1997-2002 e 2012-2017). Allo stesso modo, che merito può essere dato a Emmanuel Macron per la sua cosiddetta "difesa del pianeta" (ricordate la sua formula Make our planet great again) quando si scopre che il suo governo è al soldo delle lobby più reazionarie su questo tema, come ha affermato questo 28 agosto il suo ex ministro Nicolas Hulot su France-inter.
Quindi, se possiamo avere ragione a criticare Trump su certe questioni, dobbiamo anche riconoscere quel che c'è di positivo nella sua azione e applaudirlo, perché no, quando mette in discussione la mortificante logica del libero scambio.
[1] https://www.wsj.com/articles/mexico-u-s-nafta-negotiators-signal-confidence-after-marathon-sunday-session-1535372909
[2] Pour le texte, voir : https://ustr.gov/about-us/policy-offices/press-office/press-releases/2018/august/modernizing-nafta-be-21st-century
[3] Sapir J., La démondailisation, Paris, Le Seuil, 2010.
[4] https://www.businessinsider.com/mexico-labor-wages-and-global-automakers-2017-10?IR=T
[5] https://www.businessinsider.com/mexico-labor-wages-and-global-automakers-2017-10?IR=T
[6] https://www.humanite.fr/melenchon-defend-le-protectionnisme-solidaire-632330
[7] https://www.cairn.info/revue-l-economie-politique-2017-2-page-20.htm
[8] Voir F. Duchin, « International Trade: Evolution in the Thought and Analysis of Wassily Leontief », 2000, disponible sur www.wassily.leontief.net/PDF/Duchin.pdf, p. 3.
[9] Voir A. MacEwan, Neo-Liberalism or Democracy?: Economic Strategy, Markets and Alternatives For the 21st Century, New York, Zed Books, 1999.
[10] P. Krugman, « A Globalization Puzzle », 21 février 2010, disponible sur
http :www.krugman.blogs.nytimes.com/2010/02/21/a-globalization-puzzle .
[11] Voir R. Hira, A. Hira, con un commentario di L. Dobbs, « Outsourcing America: What’s Behind Our National Crisis and How We Can Reclaim American Jobs », AMACOM/American Management Association, mai 2005 ; P. C. Roberts, « Jobless in the USA », Newsmax.com, 7 août 2003, www.newsmax.com/archives/articles/2003/8/6/132901.shtml.
[12] Il principio del « protezionismo altruista » difeso tra gli altri da Bernard Cassen.
27/09/18
25/09/18
Il conflitto Merkel-Seehofer non è un equilibrio di poteri, ma di debolezze
Il governo tedesco è ormai dilaniato internamente dalla questione dell’immigrazione. Mentre la CSU (Seehofer) sente sul collo il fiato del partito anti-immigrazione AfD, la cancelliera Merkel non vuole spostarsi a destra, anche per non perdere l’alleato SPD. Di conseguenza il governo è entrato in una fase di totale stallo. E questo rende impossibile il rilancio dell’Europa che qualche mese fa sognavano la Merkel e Macron, a sua volta alle prese con enormi problemi di consenso elettorale.
Di Moritz Koch, 20 settembre 2018
Horst Seehofer durante la sua lunga carriera politica ha raggiunto molti traguardi, ma era difficile pensare che potesse contrastare la forza di gravità, almeno finora. E invece Seehofer non ha potuto evitare le dimissioni del suo confidente Hans-Georg Maassen, ma ha potuto evitare la sua caduta.
La teorica vittima ha abbandonato il suo precedente incarico di presidente dell’Ufficio Federale per la Protezione della Costituzione per approdare alle alte sfere del ministero dell’Interno. Gli è stata evitata una dura caduta in ritiro temporaneo forzato.
Seehofer ha sottolineato che Maassen ha reso un ottimo servizio al paese, specialmente nella lotta al terrorismo. Ma non occorre metterlo in discussione, per sostenere che Maassen ha minato la fiducia in lui e nella sua autorità nelle ultime due settimane. Se il capo del servizio di intelligence interna mette in allarme il pubblico con speculazioni poco credibili, nessuno dovrebbe sorprendersi se il prossimo allarme terrorismo non verrà preso seriamente. Il comportamento di Maassen dopo le schermaglie a sfondo neonazista a Chemnitz è stata la ragione delle sue dimissioni. Il premio: una promozione alla segreteria di Stato con uno stipendio aumentato del 20 per cento (in sostanza, Maassen si è rifiutato di dipingere l’episodio come un rigurgito neonazista, e ha quindi violato il politicamente corretto NdVdE).
Per quanto possano essere corrette le critiche a Maassen, sarebbe sbagliato ridurre il cosiddetto caso-Maassen alla sua persona. All’ex capo dello spionaggio tedesco potrà anche piacere porsi al centro dell’attenzione nelle sue interviste, ma in fin dei conti è una figura di poco conto. La cancelliera ha recentemente sottolineato che la coalizione “non si romperà per il capo di un’agenzia sussidiaria”. È corretto. Tuttavia allo stesso tempo Angela Merkel ha taciuto l’argomento sul quale il suo governo potrebbe spaccarsi: le sue contraddizioni interne e le lotte di potere irrisolte. La grande coalizione è composta dal partito Socialdemocratico, che vuole governare solo a certe condizioni, e un’alleanza di centrodestra che ha poteri limitati per governare. Il risultato è un equilibrio instabile, che ha prodotto due crisi esistenziali in sei mesi.
Non è una coincidenza che le controversie avvengano al ministero dell’Interno. Sotto la guida di Seehofer qui si sta formando una sorta di governo di opposizione. Nel suo futuro ruolo di segretario di stato per la sicurezza, Maassen incontrerà il suo vecchio amico Dieter Romann, capo della polizia federale, con cui condivide la posizione di netto rifiuto della politica della Merkel sui rifugiati. Con questi uomini, una cosa è certa: i conflitti non diminuiranno all’interno della coalizione in crisi della Merkel.
Tuttavia il principale problema della cancelliera è Seehofer, che non ha mai voluto seguire le sue direttive per determinare la politica sui rifugiati. Quando parla di fare marcia indietro sulla politica del diritto d’asilo, non si riferisce a una classica revisione per mostrare l’impronta di un nuovo ministro nel tempo. Intende umiliare la sua rivale. La politica del governo è caratterizzata da un’impasse tra la Merkel e Seehofer. Questa è la situazione. C’è un equilibrio di poteri che è in realtà un equilibrio di debolezze. Seehofer è stato duramente colpito dalla sconfitta del suo partito nelle elezioni nazionali dello scorso anno. Non ha la forza di disarcionare la cancelliera. Ma anche la Merkel non è più abbastanza forte per liberarsi del suo avversario.
Il risultato è una continuazione dell’attuale conflitto riguardo alla politica sui rifugiati. La Merkel prende tempo. I suoi alleati sperano che il problema-Seehofer si risolva da solo dopo le elezioni in Baviera. Si profila una sconfitta storica per la CSU, e molti daranno la colpa al capo del partito Seehofer. Ma quello che verrà dopo non si sa. Anche se la CSU dovesse inviare un nuovo ministro a Berlino, la disputa ideologica fondamentale rimane, per decidere se i due partiti gemellati – la CDU della Merkel e la CSU di Seehofer – debbano rimanere ancorati al centro o debbano andare verso lo spettro conservatore. Questo è precisamente il nocciolo della questione dei rifugiati.
In mezzo al fronte CDU/CSU sta la SPD, che in realtà avrebbe voluto posizionare il Vice Cancelliere Olaf Scolz come alternativa alla Merkel e che improvvisamente si trova ad essere la guardia del corpo della cancelliera. I Socialdemocratici si prendono la maggior parte delle colpe per il cambiamento di guida dell’importante ministero di Seehofer. Anziché celebrare i successi del lavoro del governo – la legge per migliorare i centri diurni di guardia che è appena stata approvata, o la riduzione dei contributi di disoccupazione, per esempio – la SPD viene utilizzata come uno sparring partner. Non c’è da stupirsi che i rivali della coalizione si sentano rassicurati. Il discontento della base potrebbe rapidamente trasformarsi in rivolta.
Ci si è quasi dimenticati nel frattempo che l’accordo di coalizione era stato proclamato “una nuova partenza per l’Europa”. La speranza era che un asse franco-tedesco potesse condurre l’Europa in un momento di incertezza. Sei mesi dopo, nessuno a Berlino sembra rendersi conto che il presidente riformatore, Emmanuel Macron, è in grossi guai. Mentre il governo tedesco è assorbito dai suoi problemi interni, un’opportunità storica sta sfumando. I nemici dell’Europa, sia interni sia esterni, si rallegrano aspettando che accada il peggio.
Di Moritz Koch, 20 settembre 2018
Horst Seehofer durante la sua lunga carriera politica ha raggiunto molti traguardi, ma era difficile pensare che potesse contrastare la forza di gravità, almeno finora. E invece Seehofer non ha potuto evitare le dimissioni del suo confidente Hans-Georg Maassen, ma ha potuto evitare la sua caduta.
La teorica vittima ha abbandonato il suo precedente incarico di presidente dell’Ufficio Federale per la Protezione della Costituzione per approdare alle alte sfere del ministero dell’Interno. Gli è stata evitata una dura caduta in ritiro temporaneo forzato.
Seehofer ha sottolineato che Maassen ha reso un ottimo servizio al paese, specialmente nella lotta al terrorismo. Ma non occorre metterlo in discussione, per sostenere che Maassen ha minato la fiducia in lui e nella sua autorità nelle ultime due settimane. Se il capo del servizio di intelligence interna mette in allarme il pubblico con speculazioni poco credibili, nessuno dovrebbe sorprendersi se il prossimo allarme terrorismo non verrà preso seriamente. Il comportamento di Maassen dopo le schermaglie a sfondo neonazista a Chemnitz è stata la ragione delle sue dimissioni. Il premio: una promozione alla segreteria di Stato con uno stipendio aumentato del 20 per cento (in sostanza, Maassen si è rifiutato di dipingere l’episodio come un rigurgito neonazista, e ha quindi violato il politicamente corretto NdVdE).
Per quanto possano essere corrette le critiche a Maassen, sarebbe sbagliato ridurre il cosiddetto caso-Maassen alla sua persona. All’ex capo dello spionaggio tedesco potrà anche piacere porsi al centro dell’attenzione nelle sue interviste, ma in fin dei conti è una figura di poco conto. La cancelliera ha recentemente sottolineato che la coalizione “non si romperà per il capo di un’agenzia sussidiaria”. È corretto. Tuttavia allo stesso tempo Angela Merkel ha taciuto l’argomento sul quale il suo governo potrebbe spaccarsi: le sue contraddizioni interne e le lotte di potere irrisolte. La grande coalizione è composta dal partito Socialdemocratico, che vuole governare solo a certe condizioni, e un’alleanza di centrodestra che ha poteri limitati per governare. Il risultato è un equilibrio instabile, che ha prodotto due crisi esistenziali in sei mesi.
Non è una coincidenza che le controversie avvengano al ministero dell’Interno. Sotto la guida di Seehofer qui si sta formando una sorta di governo di opposizione. Nel suo futuro ruolo di segretario di stato per la sicurezza, Maassen incontrerà il suo vecchio amico Dieter Romann, capo della polizia federale, con cui condivide la posizione di netto rifiuto della politica della Merkel sui rifugiati. Con questi uomini, una cosa è certa: i conflitti non diminuiranno all’interno della coalizione in crisi della Merkel.
Tuttavia il principale problema della cancelliera è Seehofer, che non ha mai voluto seguire le sue direttive per determinare la politica sui rifugiati. Quando parla di fare marcia indietro sulla politica del diritto d’asilo, non si riferisce a una classica revisione per mostrare l’impronta di un nuovo ministro nel tempo. Intende umiliare la sua rivale. La politica del governo è caratterizzata da un’impasse tra la Merkel e Seehofer. Questa è la situazione. C’è un equilibrio di poteri che è in realtà un equilibrio di debolezze. Seehofer è stato duramente colpito dalla sconfitta del suo partito nelle elezioni nazionali dello scorso anno. Non ha la forza di disarcionare la cancelliera. Ma anche la Merkel non è più abbastanza forte per liberarsi del suo avversario.
Gli alleati della Merkel sperano in una sconfitta della CSU in Baviera
Il risultato è una continuazione dell’attuale conflitto riguardo alla politica sui rifugiati. La Merkel prende tempo. I suoi alleati sperano che il problema-Seehofer si risolva da solo dopo le elezioni in Baviera. Si profila una sconfitta storica per la CSU, e molti daranno la colpa al capo del partito Seehofer. Ma quello che verrà dopo non si sa. Anche se la CSU dovesse inviare un nuovo ministro a Berlino, la disputa ideologica fondamentale rimane, per decidere se i due partiti gemellati – la CDU della Merkel e la CSU di Seehofer – debbano rimanere ancorati al centro o debbano andare verso lo spettro conservatore. Questo è precisamente il nocciolo della questione dei rifugiati.
In mezzo al fronte CDU/CSU sta la SPD, che in realtà avrebbe voluto posizionare il Vice Cancelliere Olaf Scolz come alternativa alla Merkel e che improvvisamente si trova ad essere la guardia del corpo della cancelliera. I Socialdemocratici si prendono la maggior parte delle colpe per il cambiamento di guida dell’importante ministero di Seehofer. Anziché celebrare i successi del lavoro del governo – la legge per migliorare i centri diurni di guardia che è appena stata approvata, o la riduzione dei contributi di disoccupazione, per esempio – la SPD viene utilizzata come uno sparring partner. Non c’è da stupirsi che i rivali della coalizione si sentano rassicurati. Il discontento della base potrebbe rapidamente trasformarsi in rivolta.
Ci si è quasi dimenticati nel frattempo che l’accordo di coalizione era stato proclamato “una nuova partenza per l’Europa”. La speranza era che un asse franco-tedesco potesse condurre l’Europa in un momento di incertezza. Sei mesi dopo, nessuno a Berlino sembra rendersi conto che il presidente riformatore, Emmanuel Macron, è in grossi guai. Mentre il governo tedesco è assorbito dai suoi problemi interni, un’opportunità storica sta sfumando. I nemici dell’Europa, sia interni sia esterni, si rallegrano aspettando che accada il peggio.
23/09/18
Dibattito sull'immigrazione: una sconfitta del pensiero di sinistra?
Un editoriale dell'Obs illustra la svolta della sinistra europea sul problema dell'immigrazione, a partire dal movimento Aufstehen di Sahra Wagenknecht. L'autrice lega la sopravvivenza stessa di un'Europa democratica alla capacità della sinistra - ormai in agonia - di risintonizzarsi con l'elettorato popolare. Benché sembri scordare che si può essere democratici senza essere necessariamente di sinistra, l'articolo discute un tema cruciale nel dibattito politico odierno, su cui la sinistra sconta l'avere aderito con miope rigidità - non scevra da ipocrisia - a uno schema ideologico in realtà modellato sugli interessi del grande capitale e delle classi privilegiate.
di Sara Daniel, 19 settembre 2018
Non si è ancora calmata l'onda provocata dall'annuncio da parte della musa della sinistra tedesca radicale, Sahra Wagenknecht, della nascita all'inizio di settembre del suo movimento Aufstehen ("Alzati"). Sfidando il dogma "frontiere aperte" del suo partito, Die Linke, la Wagenknecht ha effettivamente scoperchiato un tabù e dato uno scossone a una sinistra che finora ha eluso l'argomento, anche nelle istruzioni date ai suoi dirigenti. Ed ecco qua: la sinistra europea è ridotta all'agonia, e c'è chi nei suoi ranghi ritiene di non potersi più risparmiare questo dibattito, lasciando all'estrema destra il suo cavallo di battaglia.
I cittadini europei hanno in gran parte sequestrato le loro più recenti elezioni nazionali per trasformarle in altrettanti referendum sull'immigrazione, e gli osservatori concordano nel prevedere che questo si ripeterà su scala continentale alle elezioni europee del maggio 2019.
Di fronte all'abbandono da parte dei loro elettori, dopo essere stati accusati di avere tradito il popolo in nome di un mondo senza frontiere al servizio di un devastante ultra-liberismo invece che dell'internazionale socialista, i partiti di sinistra e alcuni movimenti al loro interno, sono ormai divisi sulla strategia da adottare per riconquistare i voti dell'elettorato popolare. Alcuni hanno già rifatto il loro Bad Godesberg (o... "good" Godesberg, dipende dai punti di vista), vale a dire hanno ripetuto quello che avvenne in Germania al congresso del Partito socialdemocratico tedesco (SPD) di Bad Godesberg, che nel 1959 ha sancito la rottura con il marxismo e l'adesione all'economia di mercato.
L'obiettivo è non rimanere eternamente all'opposizione e riconquistare gli elettori che, come spiega Sahra Wagenknecht "non sono tutti razzisti". Un'idea condivisa da Jeremy Corbyn in Gran Bretagna e ancora in Francia da Jean-Luc Mélenchon, che dice di volersi rivolgere "agli arrabbiati e non ai fascisti" (gioco di parole tra i termini con suono simile " fâchés", arrabbiati, e "fachos", fascisti, ndt), fustiga il grande capitale che fa a pezzi il proletariato dei migranti e abbraccia il concetto di sovranità nazionale. Da parte loro, i socialdemocratici svedesi e danesi hanno fatto la loro rivoluzione, propugnando dapprima il contenimento dell'immigrazione e poi l'assimilazione totale dei nuovi arrivati.
È una sconfitta della linea di pensiero "non bisogna mettere gli uni contro gli altri i lavoratori francesi e stranieri, invece di prendere di mira i padroni canaglia, che sono francesi", come ha dichiarato Benoît Hamon in un'intervista a "L'Obs" ? Gli elettori di sinistra, che conoscono la loro storia, potrebbero dire che una cosa non esclude l'altra. Così Marx aveva fatto notare che l'Irlanda, mandando la sua popolazione in eccedenza in Inghilterra, "provocò un calo dei salari e un peggioramento delle condizioni morali e materiali della classe lavoratrice inglese". E, aggiunse, questo antagonismo tra gli operai inglesi e irlandesi "è il segreto attraverso il quale la classe capitalista mantiene il suo potere".
Naturalmente, si comprendono le esitazioni della sinistra a intraprendere il pericoloso cammino della rinegoziazione verso il basso delle condizioni di quell'accoglienza, di cui ha fatto una bandiera. Eppure, a ogni grande crisi, in ogni periodo travagliato, la sinistra francese è stata attraversata dalle stesse divisioni che osserviamo oggi nella sinistra europea.
Ricordiamo qui solo quello che ancora oggi paralizza la discussione (in Francia, ndt): l'esclusione nel novembre 1933 da parte di Leon Blum dei neo-socialisti della SFIO, che finiranno con il collaborare con il regime di Vichy. Allo stesso modo furono banditi i partigiani di Marcel Deat. E chi pensava che la guerra avesse segnato i limiti dell'internazionale, come Adrien Marquet, che scrisse: "Il 2 agosto 1914 il concetto di classe è crollato di fronte al concetto di Nazione. Che cosa significa questo concetto di classe che scompare al momento della tragedia?" O chi, come Henri de Man nel suo libro "Oltre il marxismo", riteneva che il capitalismo guidasse la classe padrona verso l'internazionalismo, mentre spingeva la classe lavoratrice verso il nazionalismo.
Possiamo davvero criticare oggi la sinistra, nel contesto degradato che conosciamo, perché prende in considerazione le paure e l'esasperazione delle classi lavoratrici, cercando di prendere le necessarie precauzioni per tornare all'umanesimo fondante dei valori europei ? Perché è il fallimento stesso del liberalismo, incapace di gestire politicamente il movimento migratorio che promuove economicamente, a spiegare perché l'opinione pubblica si sia opposta, sicuramente più della crisi economica o persino dell'aggravamento delle disuguaglianze sociali.
Nel "Destino d'Europa", il politologo bulgaro Ivan Krastev scrive: "Il rifiuto dei liberali ad ammettere che le ondate migratorie possano avere il minimo effetto negativo è all'origine di questa reazione di ostilità verso l'establishment che scuote la vita politica di tante democrazie oggi".
Se si vuole una sopravvivenza dell'Europa democratica, la sinistra deve indubbiamente misurare anche il fallimento della strategia di disprezzo di classe nei confronti degli elettori che cedono alle sirene del populismo.
di Sara Daniel, 19 settembre 2018
Non si è ancora calmata l'onda provocata dall'annuncio da parte della musa della sinistra tedesca radicale, Sahra Wagenknecht, della nascita all'inizio di settembre del suo movimento Aufstehen ("Alzati"). Sfidando il dogma "frontiere aperte" del suo partito, Die Linke, la Wagenknecht ha effettivamente scoperchiato un tabù e dato uno scossone a una sinistra che finora ha eluso l'argomento, anche nelle istruzioni date ai suoi dirigenti. Ed ecco qua: la sinistra europea è ridotta all'agonia, e c'è chi nei suoi ranghi ritiene di non potersi più risparmiare questo dibattito, lasciando all'estrema destra il suo cavallo di battaglia.
I cittadini europei hanno in gran parte sequestrato le loro più recenti elezioni nazionali per trasformarle in altrettanti referendum sull'immigrazione, e gli osservatori concordano nel prevedere che questo si ripeterà su scala continentale alle elezioni europee del maggio 2019.
Riconquistare i voti dell'elettorato popolare
Di fronte all'abbandono da parte dei loro elettori, dopo essere stati accusati di avere tradito il popolo in nome di un mondo senza frontiere al servizio di un devastante ultra-liberismo invece che dell'internazionale socialista, i partiti di sinistra e alcuni movimenti al loro interno, sono ormai divisi sulla strategia da adottare per riconquistare i voti dell'elettorato popolare. Alcuni hanno già rifatto il loro Bad Godesberg (o... "good" Godesberg, dipende dai punti di vista), vale a dire hanno ripetuto quello che avvenne in Germania al congresso del Partito socialdemocratico tedesco (SPD) di Bad Godesberg, che nel 1959 ha sancito la rottura con il marxismo e l'adesione all'economia di mercato.
L'obiettivo è non rimanere eternamente all'opposizione e riconquistare gli elettori che, come spiega Sahra Wagenknecht "non sono tutti razzisti". Un'idea condivisa da Jeremy Corbyn in Gran Bretagna e ancora in Francia da Jean-Luc Mélenchon, che dice di volersi rivolgere "agli arrabbiati e non ai fascisti" (gioco di parole tra i termini con suono simile " fâchés", arrabbiati, e "fachos", fascisti, ndt), fustiga il grande capitale che fa a pezzi il proletariato dei migranti e abbraccia il concetto di sovranità nazionale. Da parte loro, i socialdemocratici svedesi e danesi hanno fatto la loro rivoluzione, propugnando dapprima il contenimento dell'immigrazione e poi l'assimilazione totale dei nuovi arrivati.
È una sconfitta della linea di pensiero "non bisogna mettere gli uni contro gli altri i lavoratori francesi e stranieri, invece di prendere di mira i padroni canaglia, che sono francesi", come ha dichiarato Benoît Hamon in un'intervista a "L'Obs" ? Gli elettori di sinistra, che conoscono la loro storia, potrebbero dire che una cosa non esclude l'altra. Così Marx aveva fatto notare che l'Irlanda, mandando la sua popolazione in eccedenza in Inghilterra, "provocò un calo dei salari e un peggioramento delle condizioni morali e materiali della classe lavoratrice inglese". E, aggiunse, questo antagonismo tra gli operai inglesi e irlandesi "è il segreto attraverso il quale la classe capitalista mantiene il suo potere".
Per la sopravvivenza dell'Europa democratica
Naturalmente, si comprendono le esitazioni della sinistra a intraprendere il pericoloso cammino della rinegoziazione verso il basso delle condizioni di quell'accoglienza, di cui ha fatto una bandiera. Eppure, a ogni grande crisi, in ogni periodo travagliato, la sinistra francese è stata attraversata dalle stesse divisioni che osserviamo oggi nella sinistra europea.
Ricordiamo qui solo quello che ancora oggi paralizza la discussione (in Francia, ndt): l'esclusione nel novembre 1933 da parte di Leon Blum dei neo-socialisti della SFIO, che finiranno con il collaborare con il regime di Vichy. Allo stesso modo furono banditi i partigiani di Marcel Deat. E chi pensava che la guerra avesse segnato i limiti dell'internazionale, come Adrien Marquet, che scrisse: "Il 2 agosto 1914 il concetto di classe è crollato di fronte al concetto di Nazione. Che cosa significa questo concetto di classe che scompare al momento della tragedia?" O chi, come Henri de Man nel suo libro "Oltre il marxismo", riteneva che il capitalismo guidasse la classe padrona verso l'internazionalismo, mentre spingeva la classe lavoratrice verso il nazionalismo.
Possiamo davvero criticare oggi la sinistra, nel contesto degradato che conosciamo, perché prende in considerazione le paure e l'esasperazione delle classi lavoratrici, cercando di prendere le necessarie precauzioni per tornare all'umanesimo fondante dei valori europei ? Perché è il fallimento stesso del liberalismo, incapace di gestire politicamente il movimento migratorio che promuove economicamente, a spiegare perché l'opinione pubblica si sia opposta, sicuramente più della crisi economica o persino dell'aggravamento delle disuguaglianze sociali.
Nel "Destino d'Europa", il politologo bulgaro Ivan Krastev scrive: "Il rifiuto dei liberali ad ammettere che le ondate migratorie possano avere il minimo effetto negativo è all'origine di questa reazione di ostilità verso l'establishment che scuote la vita politica di tante democrazie oggi".
Se si vuole una sopravvivenza dell'Europa democratica, la sinistra deve indubbiamente misurare anche il fallimento della strategia di disprezzo di classe nei confronti degli elettori che cedono alle sirene del populismo.
20/09/18
Austerità, morbillo e vaccinazioni obbligatorie: analisi cross-regionale dei vaccini in Italia nel periodo 2000-2014
Un articolo pubblicato sulla rivista scientifica European Journal of Public Health sfida il luogo comune secondo il quale la diminuzione della copertura vaccinale sarebbe imputabile principalmente alla diffusione di teorie anti-scientifiche, suggerendo piuttosto l'impatto delle politiche di austerità. La diffusione delle "teorie anti-scientifiche" è maggiore nelle regioni del Nord, ma il calo maggiore della copertura vaccinale è avvenuto in quelle regioni italiane, tanto al Nord quanto al Sud, che hanno subito i maggiori tagli alla spesa pubblica per la sanità. Questa conclusione è coerente con risultati già riportati in letteratura sull'impatto dei fattori economici e della distanza dai centri medici sulla copertura vaccinale. L'obbligo recentemente introdotto tenta di metterci una pezza "per legge", ma la spesa pubblica sanitaria resta inadeguata alle necessità.
articolo originale di Veronica Toffolutti, Martin McKee, Alessia Melegaro, Walter Ricciardi, e David Stuckler – European Journal of Public Health, 11 settembre 2018 - tradotto da Voci dall'Estero
Abstract
Premessa: L’Italia ha assistito a un aumento dei casi di morbillo a partire dal 2015. Sebbene molta enfasi sia stata data alla scelta dei singoli individui di evitare le vaccinazioni, in questo articolo esamineremo l’ipotesi che i pesanti tagli alla spesa pubblica per la sanità abbiano contribuito a questa condizione.
Metodo: Abbiamo utilizzato modelli statistici multivariati per valutare la relazione tra morbillo, parotite e rosolia (riassunti nella sigla MMR) e spesa pubblica reale pro-capite per la sanità nelle 20 regioni italiane nel corso del periodo 2000-2014.
Risultati: Tra il 2010 e il 2014 la spesa pubblica italiana per la sanità è diminuita di oltre il 2 per cento, sebbene con variazioni da regione a regione. I modelli a effetti fissi stimano che ogni punto percentuale di riduzione della spesa pubblica sanitaria pro-capite si associ a una diminuzione di 0,50 punti percentuali (con intervallo di confidenza al 95% tra 0,36 e 0,65) nella copertura vaccinale per MMR, dopo aver controllato per l’andamento temporale e per gli specifici effetti regionali. Le conseguenze sono illustrate dal caso di due regioni: il Lazio, dove la spesa pubblica sanitaria è scesa del 5 per cento e la copertura per MMR del 3 per cento, e la Sardegna, una regione storicamente più arretrata, dove la spesa pubblica sanitaria è lievemente aumentata e i tassi di MMR sono rimasti pressoché invariati.
Conclusioni: L’adozione delle politiche di austerità nel sistema sanitario italiano è significativamente associata a una diminuzione dei tassi di vaccinazione per MMR. Tuttavia la recente introduzione dell’obbligo vaccinale per i bambini italiani potrebbe contribuire a ridurre questa tedenza.
Introduzione
L’adozione di misure di austerità in Europa negli anni recenti ha in molti casi influenzato negativamente i sistemi di tutela della salute, un ambito che spesso è stato finanziato in modo troppo scarso perfino quando le economie andavano bene [1]. Queste misure sono sono state associate a numerosi effetti negativi sulla salute, tra cui i suicidi [2,3], l’aumento di necessità sanitarie insoddisfatte [4], ed epidemie di malattie che hanno colpito specialmente i gruppi più vulnerabili [5]. Gli esempi dalla recente crisi finanziaria globale includono la malaria in Grecia e l’HIV in Grecia e in Romania [1,6]. Durante crisi economiche precedenti, i tagli alla spesa pubblica sanitaria erano associati a epidemie di difterite [5], leptospirosi [7] e tubercolosi[8].
Molti paesi europei hanno assistito a una diminuzione dei tassi di vaccinazione e all’aumento dei tassi di incidenza del morbillo. Nel 2017 più di 14.000 casi sono stati registrati in Europa, che hanno causato 30 morti, di cui 19 in Romania, 4 in Italia, e 1 in Bulgaria, Germania, Portogallo, Francia e Spagna [9,10]. L’Italia è stata colpita in modo particolarmente, con 5.004 casi registrati, il secondo paese in Europa nel 2017 [11-13].
La ragione principale della comparsa delle epidemie è la diminuzione della copertura vaccinale per il morbillo, che genera ampie sacche di individui vulnerabili. In Italia, tra tutti i casi registrati, l’88 percento non era vaccinato, e il 6% aveva ricevuto solo una delle due dosi di vaccino richieste [14]. La copertura vaccinale per morbillo, parotite e rosolia (riassunti nella sigla MMR) è attualmente al di sotto del 95 per cento stabilito come obiettivo nel 2012 dal piano nazionale di prevenzione e immunizzazione per raggiungere l’immunità di gregge [15].
C’è stato un ampio dibattito sul modo migliore di reagire al problema. L’attenzione è stata focalizzata soprattutto sugli adulti che hanno rifiutato di far vaccinare i propri figli (la cosiddetta “esitazione vaccinale”) [16]. Paolo Gentiloni, presidente del Consiglio italiano durante l’epidemia del 2017, per esempio, ha incolpato la “diffusione di teorie anti-scientifiche”. Come risposta, il governo italiano ha avviato una politica di vaccinazione obbligatoria a partire dal 2017. Con questa nuova politica tutti i bambini e ragazzi sotto i 16 anni dovranno dimostrare di essersi sottoposti alla vaccinazione contro le 10 malattie infettive più comuni, tra cui il morbillo, prima di potersi iscrivere alle scuole pubbliche.
Sebbene le teorie anti-scientifiche abbiano indubbiamente giocato un ruolo importante nella comparsa di nuove potenziali epidemie, è stato osservato che tali teorie si riscontrano più frequentemente tra le famiglie più benestanti e nelle regioni più ricche del nord Italia [17]. Tuttavia l’aumento dei casi di morbillo si è concentrato prevalentemente nelle regioni più povere e in popolazioni più difficili da raggiungere, suggerendo che anche altri fattori debbano avere avuto un ruolo [18-20]. Perciò un’altra ipotesi collega le recenti epidemie alle minoranze, specialmente in Lazio, che ha avuto un terzo di tutti i casi registrati in Italia nel 2017. Alcuni hanno collegato, in particolare, il morbillo alle alte concentrazioni di migranti romeni in questa regione [21,22]. Questa idea sembra supportata da quanto osservato nelle precedenti epidemie del 2006 e del 2015/16 nelle regioni del Nord, la parte più ricca del paese: tali epidemie si concentravano soprattutto tra le popolazioni Rom e gli immigrati [19], sebbene queste stesse popolazioni non siano state colpite in modo particolare dall’epidemia del 2017. In effetti nel 2017 il 7 per cento dei casi si è verificato in adulti nei contesti di cura, piuttosto che tra i bambini [22].
Un altro possibile fattore è l’impatto delle condizioni economiche sulla capacità del sistema sanitario pubblico. Nel novembre 2011 il governo ha ridotto il bilancio sanitario di 7,5 milioni di euro e introdotto dei ticket per le visite specialistiche. Il bilancio sanitario è stato poi ridotto di 900 milioni nel 2012, un taglio di quasi l’uno per cento in un bilancio che prima era in crescita. C’è stato poi un ulteriore taglio di 1,8 miliardi di euro nel 2013 e di altri 2 miliardi di euro nel 2014 [23]. Questi tagli hanno colpito una quantità di servizi tra cui i programmi di prevenzione, i prodotti farmaceutici, il personale e le attrezzature mediche [24]. Purtroppo non è possibile identificare specifiche voci di bilancio nei dati disponibili pubblicamente. Tuttavia i report del governo nel 2013 e nel 2014 annotavano come la spesa per i vaccini fosse diminuita di oltre il 10 per cento in quel periodo [25].
L’obiettivo di questo studio è quindi di valutare se le politiche di austerità nel settore pubblico possano avere avuto un impatto negativo sulla copertura dei vaccini per MMR in Italia.
Metodo
(...)
[Vengono descritti i dataset utilizzati come fonti dei dati e i modelli statistici adottati per le analisi. Si veda l’articolo originale per i dettagli, che qui non traduciamo per brevità. NdT]
Risultati
La Figura 1 mostra che la tendenza della spesa pubblica sanitaria pro-capite a crescere si inverte a partire dal 2010. Va notato che, fino ad allora, cresceva rapidamente, a un tasso annuale di circa il 3,51 percento dal 2000 al 2009. Poi però il trend si è interrotto e capovolto, scendendo di circa il 2 percento tra il 2010 e il 2014.
Figura 1. Andamento della spesa pubblica sanitaria reale pro-capite e della copertura vaccinale per MMR in Italia, 2000-2014. Fonte: per la spesa sanitaria, elaborazione degli autori su dati dell'OMS, Health for All. Per la copertura vaccinale, elaborazione degli autori su dati dell'Istituto Superiore di Sanità.
Questi dati aggregati, però, nascondono le variazioni regionali. In nove regioni la spesa pubblica sanitaria reale è aumentata (Ligura, Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio, Puglia, Calabria, Sardegna e Toscana). Al contrario, la maggior parte dei tagli si è concentrato nelle regioni del Sud più povere, come la Basilicata e il Molise, che hanno assistito a una diminuzione di oltre il 10 per cento.
Prima di questi tagli, la copertura per MMR stava progressivamente crescendo, dal 74,1 per cento del 2000 al 90,6 per cento del 2012 (vedi Figura 1). Dopo questo periodo, che ha coinciso con l’introduzione delle politiche di austerità, la copertura è tornata a scendere fino all’85,1 percento del 2014. Tra il 2010 e il 2013, in particolare, le tre regioni che hanno avuto il maggiore declino in copertura per MMR (oltre il 3 percento), all’interno del periodo indagato, sono state tra quelle che hanno ricevuto i maggiori tagli finanziari (Friuli Venezia Giulia: -3,39 percento; Marche: -3,59 percento; Valle d’Aosta: -6,89 percento) (Figura 2).
Figura 2. Variazioni nel tasso di copertura vaccinale per MMR in Italia, confronto 2010-2013. Note: i dati per il Trentino Alto Adige sono disponibili solo a livello provinciale. Fonte: elaborazione degli autori sui dati dell'Istituto Superiore di Sanità.
La Figura 3 riporta le stime di una serie di modelli statistici (i risultati per esteso sono riportati nella Tabella A2 in Appendice nel materiale supplementare online). I nostri modelli senza variabili di controllo stimano che a ogni punto percentuale di aumento della spesa pubblica sanitaria reale si associa un aumento significativo della copertura vaccinale per MMR pari a 0,29 punti percentuali (intervallo di confidenza al 95% tra 0,19 e 0,40). Dopo avere controllato per gli effetti fissi regionali per tenere conto delle variazioni temporali nella sorveglianza e nelle infrastrutture sanitarie, la stima raggiunge 0,53 punti percentuali (con intervallo di confidenza al 95% tra 0,37 e 0,69). In modo simile, quando si controlla per le tendenze temporali a livello regionale, ogni punto percentuale di aumento della spesa pubblica sanitaria reale pro-capite (corrispondente a 17 euro pro-capite) si associa a un aumento di 0,50 punti percentuali di copertura per MMR (intervallo di confidenza al 95% tra 0,36 e 0,65).
Figura 3. Associazione tra copertura per MMR e spesa pubblica sanitaria pro-capite nelle 20 regioni italiane, 2000-2014. Gli intervalli di confidenza sono basati sugli errori standard robusti, raggruppati a livello regionale. Il modello corretto controlla per le tendenze a livello regionale e le tendenze temporali a livello regionale. I modelli sono in scala log e i coefficienti stimati rappresentano l'elasticità.
Queste associazioni sono coerenti con quanto osservato a livello di episodi regionali di morbillo. La maggiore epidemia in Italia si è verificata in Lazio, che include la città di Roma. Qui un taglio del 5 per cento nella spesa pubblica sanitaria reale pro-capite si è associato a una diminuzione del 2,5 percento nella copertura vaccinale per MMR. La seconda maggiore epidemia si è verificata in Piemonte, nel Nord. Anche questa regione è stata colpita da un taglio del 5 per cento nella spesa, e ha avuto un calo del 3 per cento nella copertura contro MMR. È interessante notare che anche tra le regioni più ricche del Nord la più ampia diminuzione nella copertura per MMR ha coinciso con il più ampio taglio alla spesa sanitaria pro-capite. Altri esempi includono la Valle d’Aosta, dove una diminuzione di oltre il 6 per cento nella spesa si è associata a una riduzione di copertura MMR di oltre 11 punti percentuali, e il Friuli Venezia Giulia, dove una diminuzione del 3 per cento della spesa sanitaria si è associata a una diminuzione di copertura MMR di 6,65 punti percentuali.
La Sicilia e la Sardegna rappresentano casi contrastanti rispetto al resto. I nostri dati mostrano che in Sardegna l’immunizzazione è aumentata del 3,8 per cento e in Sicilia di 1,4 per cento nel periodo 2010-2013. Per ragioni storiche queste due regioni, assieme al Trentino Alto Adige, alla Valle d’Aosta e al Friuli Venezia Giulia, godono di autonomie speciali secondo la Costituzione italiana. La Sicilia e la Sardegna sono considerate tra le regioni italiane più attive per le politiche di immunizzazione. La Sicilia è stata la prima a introdurre l’immunizzazione per la varicella nel 2003, e la Sardegna è stata una delle prime regioni a raggiungere gli obiettivi del piano nazionale di immunizzazione per il 2012-2014 [27-29]. Durante il periodo considerato dalle analisi qui presentate, la Sardegna è riuscita a far aumentare il proprio bilancio di spesa sanitaria di una media del 3 per cento annuo, e dopo il 2008 del 2 per cento annuo. Si tratta del più ampio aumento tra tutte le regioni dopo l’inizio della Grande Recessione.
Controllo di robustezza
(...)
[Vengono descritti ulteriori modelli non-lineari e si rimanda al materiale supplementare online, NdT]
Discussione
La nostra analisi suggerisce che le misure di austerità adottate in Italia abbiano contribuito in modo significativo al ritorno del morbillo. Abbiamo stimato che a ogni punto percentuale di riduzione della spesa sanitaria reale pro-capite corrisponde una diminuzione di 0,5 punti percentuali nella copertura vaccinale per MMR. Nelle regioni più colpite, ossia con tagli del 5 per cento, questo significa una diminuzione del 2,5 per cento nella copertura vaccinale. I risultati sono in linea con precedenti studi che associavano la diminuzione della copertura vaccinale con fattori economici come la povertà [30], la distanza percepita rispetto alle cliniche mediche [31], il basso reddito familiare [32-34], e la mancanza di assicurazione sanitaria [35-37].
Prima di esaminare le possibili implicazioni per la politica e la ricerca, dobbiamo notare vari limiti della nostra analisi. Per prima cosa il nostro studio non ha considerato le infezioni, ma i tassi di vaccinazione. Non ci sono molti dubbi sul fatto che il principale fattore di rischio per le epidemie di morbillo sia la diminuzione dei livelli di copertura vaccinale e il fatto che la popolazione non raggiunga, col 95 percento di tale copertura, l’immunità di gregge. Idealmente avremmo dovuto valutare anche l’impatto della riduzione della spesa pubblica sanitaria sulla ospedalizzazione per morbillo e sui tassi di incidenza. Questo però avrebbe richiesto un sistema di sorveglianza che fornisse i relativi dati, cosa che purtroppo non era disponibile. In secondo luogo i nostri dati non permettono di controllare per tutte le variabili potenzialmente rilevanti, e ammettiamo questo come ulteriore limite. Terzo, sebbene dati dettagliati sui bilanci per le malattie infettive siano disponibili per alcune regioni da alcuni anni, questi non vengono registrati routinariamente e non sono comparabili nel tempo e tra regioni, perciò non abbiamo potuto utilizzarli per la presente analisi. Inoltre, considerato che anche i dati aggregati sono disponibili solo fino al 2014, non siamo riusciti a esaminare la più recente epidemia di morbillo, quella del 2017, che ha prodotto più di 5.000 casi, ovviamente soprattutto tra le persone non vaccinate. Quarto, il sistema sanitario italiano è gestito a livello regionale, per cui, nonostante sia un servizio nazionale, le regioni sono responsabili del finanziamento, della pianificazione e dell’implementazione dei servizi di cura. Questo genera eterogeneità tra le regioni, specialmente per quelle cinque regioni che ricevono una maggiore quantità di fondi perché, storicamente, erano più svantaggiate (cioè Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta). Quinto, sebbene abbiamo escluso la provincia di Bolzano a priori a causa delle sue caratteristiche particolari, tra cui il suo tasso di copertura vaccinale contro MMR estremamente basso, ammettiamo che i suoi dati sono incoerenti rispetto al risultato generale per cui la spesa pubblica sanitaria è positivamente correlata con la copertura contro MMR. Tuttavia, anche quando abbiamo fatto un controllo di robustezza, abbiamo trovato che questo non incide comunque sui nostri risultati generali.
Nonostante le limitazioni, le nostre osservazioni possono contribuire a capire i pattern regionali nella diminuzione delle vaccinazioni contro il morbillo in Italia. Cosa importante, la diminuzione non si è concentrata né nelle regioni più povere né in quelle più ricche, ma in quelle che hanno avuto i maggiori tagli alla spesa pubblica sanitaria. Perciò, nonostante la Sardegna sia una delle regioni più povere, ha aumentato la spesa pubblica sanitaria pro-capite anche mentre l’Italia stava implementando misure di austerità, e non ha avuto nessuna importante epidemia di morbillo.
Nel marzo 2017 l’Organizzazione Mondiale per la Sanità ha espresso preoccupazione per le epidemie di morbillo in Europa, che avvenivano a dispetto della disponibilità di vaccini sicuri e a basso costo [38]. Con questa premessa, una nuova legge adottata in Italia a luglio di quell’anno offriva un esempio per gli altri [39]. Questa legge rende i vaccini obbligatori per tutti i bambini che entrano nelle scuole primarie pubbliche. Questa legge è però stata molto controversa, e coloro che si opponevano alle vaccinazioni nella Provincia di Bolzano hanno cercato di evitarla attraverso le scuole private, o attraversando il confine con l’Austria o altri paesi vicini. È troppo presto per sapere se il nuovo piano di immunizzazioni sarà efficace. Tuttavia i primi segni sono promettenti, con un dato di copertura presentato alla fine del dicembre 2017 che ha stimato un aumento da 87,9 a 92,2 percento per i bambini di 3 anni di età.
I cambiamenti avvenuti in Italia hanno avuto eco in altri paesi europei. In Germania, nonostante i genitori negli ultimi tre anni abbiano dovuto fornire prova di aver ricevuto consulenza sulla vaccinazione prima che i loro bambini potessero entrare all’asilo, una recente proposta di legge renderebbe obbligatorio per tutti gli asili notificare l’autorità sanitaria nel caso in cui i genitori non abbiano fornito tale prova. Dopo l’introduzione delle vaccinazioni obbligatorie in Italia, il primo ministro francese Édouard Philippe ha detto che “è inaccettabile che i bambini muoiano ancora di morbillo in un paese che è stato pioniere dei primi vaccini” [40]. Attualmente i vaccini per difterite, tetano e polio sono obbligatori in Francia. Tuttavia il governo ha reso obbligatori otto ulteriori vaccini a partire dal 1° gennaio 2018: pertosse, morbillo, parotite, rosolia, epatite B, influenza (si tratta dell’Haemophilus influenzae B, ndt), polmonite e meningite C.
L’ultimo bilancio italiano per la sanità prevede un aumento della spesa pubblica di 1,3 per cento all’anno per il triennio 2018-2020. Questo creerà spazio fiscale per investire nella prevenzione delle malattie infettive. Tuttavia resta da vedere se questo sarà sufficiente a invertire la tedenza al declino nella copertura vaccinale, dato che l’aumento resta comunque inferiore rispetto all’aumento del PIL previsto.
In conclusione, questi risultati evidenziano i rischi del disinvestimento nei servizi pubblici sanitari. L’Italia sta ora lavorando sui suoi bassi tassi di vaccinazione, con una combinazione di leggi e di aumenti nel bilancio sanitario. È importante monitorare questi sviluppi, non solo per stabilire le politiche da adottare in Italia, ma anche per tutta l’Europa, dove molti paesi hanno problemi simili.
Ringraziamenti
Gli autori ringraziano Caterina Rizzo (Istituto Superiore di Sanità) per aver fornito i dati sulla copertura per MMR.
Finanziamenti
V.T. e D.S. sono stati finanziati dall’ERC Grant 313590-HRES. D.S. è stato finanziato anche da Wellcome Trust. A.M. è stata finanziata dall’ERC Grant 283955-Decide. Tutti gli autori hanno completato il modulo ICMJE. Gli autori non avuto relazioni finanziarie con alcuna organizzazione che può avere interesse alla presentazione del presente articolo negli scorsi cinque anni, né altre relazioni o attività che possano aver influenzato il presente lavoro.
Conflitto di interessi: niente da dichiarare.
Riferimenti bibliografici
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[Elencati per numero nell’articolo, NdT]
articolo originale di Veronica Toffolutti, Martin McKee, Alessia Melegaro, Walter Ricciardi, e David Stuckler – European Journal of Public Health, 11 settembre 2018 - tradotto da Voci dall'Estero
Abstract
Premessa: L’Italia ha assistito a un aumento dei casi di morbillo a partire dal 2015. Sebbene molta enfasi sia stata data alla scelta dei singoli individui di evitare le vaccinazioni, in questo articolo esamineremo l’ipotesi che i pesanti tagli alla spesa pubblica per la sanità abbiano contribuito a questa condizione.
Metodo: Abbiamo utilizzato modelli statistici multivariati per valutare la relazione tra morbillo, parotite e rosolia (riassunti nella sigla MMR) e spesa pubblica reale pro-capite per la sanità nelle 20 regioni italiane nel corso del periodo 2000-2014.
Risultati: Tra il 2010 e il 2014 la spesa pubblica italiana per la sanità è diminuita di oltre il 2 per cento, sebbene con variazioni da regione a regione. I modelli a effetti fissi stimano che ogni punto percentuale di riduzione della spesa pubblica sanitaria pro-capite si associ a una diminuzione di 0,50 punti percentuali (con intervallo di confidenza al 95% tra 0,36 e 0,65) nella copertura vaccinale per MMR, dopo aver controllato per l’andamento temporale e per gli specifici effetti regionali. Le conseguenze sono illustrate dal caso di due regioni: il Lazio, dove la spesa pubblica sanitaria è scesa del 5 per cento e la copertura per MMR del 3 per cento, e la Sardegna, una regione storicamente più arretrata, dove la spesa pubblica sanitaria è lievemente aumentata e i tassi di MMR sono rimasti pressoché invariati.
Conclusioni: L’adozione delle politiche di austerità nel sistema sanitario italiano è significativamente associata a una diminuzione dei tassi di vaccinazione per MMR. Tuttavia la recente introduzione dell’obbligo vaccinale per i bambini italiani potrebbe contribuire a ridurre questa tedenza.
Introduzione
L’adozione di misure di austerità in Europa negli anni recenti ha in molti casi influenzato negativamente i sistemi di tutela della salute, un ambito che spesso è stato finanziato in modo troppo scarso perfino quando le economie andavano bene [1]. Queste misure sono sono state associate a numerosi effetti negativi sulla salute, tra cui i suicidi [2,3], l’aumento di necessità sanitarie insoddisfatte [4], ed epidemie di malattie che hanno colpito specialmente i gruppi più vulnerabili [5]. Gli esempi dalla recente crisi finanziaria globale includono la malaria in Grecia e l’HIV in Grecia e in Romania [1,6]. Durante crisi economiche precedenti, i tagli alla spesa pubblica sanitaria erano associati a epidemie di difterite [5], leptospirosi [7] e tubercolosi[8].
Molti paesi europei hanno assistito a una diminuzione dei tassi di vaccinazione e all’aumento dei tassi di incidenza del morbillo. Nel 2017 più di 14.000 casi sono stati registrati in Europa, che hanno causato 30 morti, di cui 19 in Romania, 4 in Italia, e 1 in Bulgaria, Germania, Portogallo, Francia e Spagna [9,10]. L’Italia è stata colpita in modo particolarmente, con 5.004 casi registrati, il secondo paese in Europa nel 2017 [11-13].
La ragione principale della comparsa delle epidemie è la diminuzione della copertura vaccinale per il morbillo, che genera ampie sacche di individui vulnerabili. In Italia, tra tutti i casi registrati, l’88 percento non era vaccinato, e il 6% aveva ricevuto solo una delle due dosi di vaccino richieste [14]. La copertura vaccinale per morbillo, parotite e rosolia (riassunti nella sigla MMR) è attualmente al di sotto del 95 per cento stabilito come obiettivo nel 2012 dal piano nazionale di prevenzione e immunizzazione per raggiungere l’immunità di gregge [15].
C’è stato un ampio dibattito sul modo migliore di reagire al problema. L’attenzione è stata focalizzata soprattutto sugli adulti che hanno rifiutato di far vaccinare i propri figli (la cosiddetta “esitazione vaccinale”) [16]. Paolo Gentiloni, presidente del Consiglio italiano durante l’epidemia del 2017, per esempio, ha incolpato la “diffusione di teorie anti-scientifiche”. Come risposta, il governo italiano ha avviato una politica di vaccinazione obbligatoria a partire dal 2017. Con questa nuova politica tutti i bambini e ragazzi sotto i 16 anni dovranno dimostrare di essersi sottoposti alla vaccinazione contro le 10 malattie infettive più comuni, tra cui il morbillo, prima di potersi iscrivere alle scuole pubbliche.
Sebbene le teorie anti-scientifiche abbiano indubbiamente giocato un ruolo importante nella comparsa di nuove potenziali epidemie, è stato osservato che tali teorie si riscontrano più frequentemente tra le famiglie più benestanti e nelle regioni più ricche del nord Italia [17]. Tuttavia l’aumento dei casi di morbillo si è concentrato prevalentemente nelle regioni più povere e in popolazioni più difficili da raggiungere, suggerendo che anche altri fattori debbano avere avuto un ruolo [18-20]. Perciò un’altra ipotesi collega le recenti epidemie alle minoranze, specialmente in Lazio, che ha avuto un terzo di tutti i casi registrati in Italia nel 2017. Alcuni hanno collegato, in particolare, il morbillo alle alte concentrazioni di migranti romeni in questa regione [21,22]. Questa idea sembra supportata da quanto osservato nelle precedenti epidemie del 2006 e del 2015/16 nelle regioni del Nord, la parte più ricca del paese: tali epidemie si concentravano soprattutto tra le popolazioni Rom e gli immigrati [19], sebbene queste stesse popolazioni non siano state colpite in modo particolare dall’epidemia del 2017. In effetti nel 2017 il 7 per cento dei casi si è verificato in adulti nei contesti di cura, piuttosto che tra i bambini [22].
Un altro possibile fattore è l’impatto delle condizioni economiche sulla capacità del sistema sanitario pubblico. Nel novembre 2011 il governo ha ridotto il bilancio sanitario di 7,5 milioni di euro e introdotto dei ticket per le visite specialistiche. Il bilancio sanitario è stato poi ridotto di 900 milioni nel 2012, un taglio di quasi l’uno per cento in un bilancio che prima era in crescita. C’è stato poi un ulteriore taglio di 1,8 miliardi di euro nel 2013 e di altri 2 miliardi di euro nel 2014 [23]. Questi tagli hanno colpito una quantità di servizi tra cui i programmi di prevenzione, i prodotti farmaceutici, il personale e le attrezzature mediche [24]. Purtroppo non è possibile identificare specifiche voci di bilancio nei dati disponibili pubblicamente. Tuttavia i report del governo nel 2013 e nel 2014 annotavano come la spesa per i vaccini fosse diminuita di oltre il 10 per cento in quel periodo [25].
L’obiettivo di questo studio è quindi di valutare se le politiche di austerità nel settore pubblico possano avere avuto un impatto negativo sulla copertura dei vaccini per MMR in Italia.
Metodo
(...)
[Vengono descritti i dataset utilizzati come fonti dei dati e i modelli statistici adottati per le analisi. Si veda l’articolo originale per i dettagli, che qui non traduciamo per brevità. NdT]
Risultati
La Figura 1 mostra che la tendenza della spesa pubblica sanitaria pro-capite a crescere si inverte a partire dal 2010. Va notato che, fino ad allora, cresceva rapidamente, a un tasso annuale di circa il 3,51 percento dal 2000 al 2009. Poi però il trend si è interrotto e capovolto, scendendo di circa il 2 percento tra il 2010 e il 2014.
Figura 1. Andamento della spesa pubblica sanitaria reale pro-capite e della copertura vaccinale per MMR in Italia, 2000-2014. Fonte: per la spesa sanitaria, elaborazione degli autori su dati dell'OMS, Health for All. Per la copertura vaccinale, elaborazione degli autori su dati dell'Istituto Superiore di Sanità.
Questi dati aggregati, però, nascondono le variazioni regionali. In nove regioni la spesa pubblica sanitaria reale è aumentata (Ligura, Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio, Puglia, Calabria, Sardegna e Toscana). Al contrario, la maggior parte dei tagli si è concentrato nelle regioni del Sud più povere, come la Basilicata e il Molise, che hanno assistito a una diminuzione di oltre il 10 per cento.
Prima di questi tagli, la copertura per MMR stava progressivamente crescendo, dal 74,1 per cento del 2000 al 90,6 per cento del 2012 (vedi Figura 1). Dopo questo periodo, che ha coinciso con l’introduzione delle politiche di austerità, la copertura è tornata a scendere fino all’85,1 percento del 2014. Tra il 2010 e il 2013, in particolare, le tre regioni che hanno avuto il maggiore declino in copertura per MMR (oltre il 3 percento), all’interno del periodo indagato, sono state tra quelle che hanno ricevuto i maggiori tagli finanziari (Friuli Venezia Giulia: -3,39 percento; Marche: -3,59 percento; Valle d’Aosta: -6,89 percento) (Figura 2).
Figura 2. Variazioni nel tasso di copertura vaccinale per MMR in Italia, confronto 2010-2013. Note: i dati per il Trentino Alto Adige sono disponibili solo a livello provinciale. Fonte: elaborazione degli autori sui dati dell'Istituto Superiore di Sanità.
La Figura 3 riporta le stime di una serie di modelli statistici (i risultati per esteso sono riportati nella Tabella A2 in Appendice nel materiale supplementare online). I nostri modelli senza variabili di controllo stimano che a ogni punto percentuale di aumento della spesa pubblica sanitaria reale si associa un aumento significativo della copertura vaccinale per MMR pari a 0,29 punti percentuali (intervallo di confidenza al 95% tra 0,19 e 0,40). Dopo avere controllato per gli effetti fissi regionali per tenere conto delle variazioni temporali nella sorveglianza e nelle infrastrutture sanitarie, la stima raggiunge 0,53 punti percentuali (con intervallo di confidenza al 95% tra 0,37 e 0,69). In modo simile, quando si controlla per le tendenze temporali a livello regionale, ogni punto percentuale di aumento della spesa pubblica sanitaria reale pro-capite (corrispondente a 17 euro pro-capite) si associa a un aumento di 0,50 punti percentuali di copertura per MMR (intervallo di confidenza al 95% tra 0,36 e 0,65).
Figura 3. Associazione tra copertura per MMR e spesa pubblica sanitaria pro-capite nelle 20 regioni italiane, 2000-2014. Gli intervalli di confidenza sono basati sugli errori standard robusti, raggruppati a livello regionale. Il modello corretto controlla per le tendenze a livello regionale e le tendenze temporali a livello regionale. I modelli sono in scala log e i coefficienti stimati rappresentano l'elasticità.
Queste associazioni sono coerenti con quanto osservato a livello di episodi regionali di morbillo. La maggiore epidemia in Italia si è verificata in Lazio, che include la città di Roma. Qui un taglio del 5 per cento nella spesa pubblica sanitaria reale pro-capite si è associato a una diminuzione del 2,5 percento nella copertura vaccinale per MMR. La seconda maggiore epidemia si è verificata in Piemonte, nel Nord. Anche questa regione è stata colpita da un taglio del 5 per cento nella spesa, e ha avuto un calo del 3 per cento nella copertura contro MMR. È interessante notare che anche tra le regioni più ricche del Nord la più ampia diminuzione nella copertura per MMR ha coinciso con il più ampio taglio alla spesa sanitaria pro-capite. Altri esempi includono la Valle d’Aosta, dove una diminuzione di oltre il 6 per cento nella spesa si è associata a una riduzione di copertura MMR di oltre 11 punti percentuali, e il Friuli Venezia Giulia, dove una diminuzione del 3 per cento della spesa sanitaria si è associata a una diminuzione di copertura MMR di 6,65 punti percentuali.
La Sicilia e la Sardegna rappresentano casi contrastanti rispetto al resto. I nostri dati mostrano che in Sardegna l’immunizzazione è aumentata del 3,8 per cento e in Sicilia di 1,4 per cento nel periodo 2010-2013. Per ragioni storiche queste due regioni, assieme al Trentino Alto Adige, alla Valle d’Aosta e al Friuli Venezia Giulia, godono di autonomie speciali secondo la Costituzione italiana. La Sicilia e la Sardegna sono considerate tra le regioni italiane più attive per le politiche di immunizzazione. La Sicilia è stata la prima a introdurre l’immunizzazione per la varicella nel 2003, e la Sardegna è stata una delle prime regioni a raggiungere gli obiettivi del piano nazionale di immunizzazione per il 2012-2014 [27-29]. Durante il periodo considerato dalle analisi qui presentate, la Sardegna è riuscita a far aumentare il proprio bilancio di spesa sanitaria di una media del 3 per cento annuo, e dopo il 2008 del 2 per cento annuo. Si tratta del più ampio aumento tra tutte le regioni dopo l’inizio della Grande Recessione.
Controllo di robustezza
(...)
[Vengono descritti ulteriori modelli non-lineari e si rimanda al materiale supplementare online, NdT]
Discussione
La nostra analisi suggerisce che le misure di austerità adottate in Italia abbiano contribuito in modo significativo al ritorno del morbillo. Abbiamo stimato che a ogni punto percentuale di riduzione della spesa sanitaria reale pro-capite corrisponde una diminuzione di 0,5 punti percentuali nella copertura vaccinale per MMR. Nelle regioni più colpite, ossia con tagli del 5 per cento, questo significa una diminuzione del 2,5 per cento nella copertura vaccinale. I risultati sono in linea con precedenti studi che associavano la diminuzione della copertura vaccinale con fattori economici come la povertà [30], la distanza percepita rispetto alle cliniche mediche [31], il basso reddito familiare [32-34], e la mancanza di assicurazione sanitaria [35-37].
Prima di esaminare le possibili implicazioni per la politica e la ricerca, dobbiamo notare vari limiti della nostra analisi. Per prima cosa il nostro studio non ha considerato le infezioni, ma i tassi di vaccinazione. Non ci sono molti dubbi sul fatto che il principale fattore di rischio per le epidemie di morbillo sia la diminuzione dei livelli di copertura vaccinale e il fatto che la popolazione non raggiunga, col 95 percento di tale copertura, l’immunità di gregge. Idealmente avremmo dovuto valutare anche l’impatto della riduzione della spesa pubblica sanitaria sulla ospedalizzazione per morbillo e sui tassi di incidenza. Questo però avrebbe richiesto un sistema di sorveglianza che fornisse i relativi dati, cosa che purtroppo non era disponibile. In secondo luogo i nostri dati non permettono di controllare per tutte le variabili potenzialmente rilevanti, e ammettiamo questo come ulteriore limite. Terzo, sebbene dati dettagliati sui bilanci per le malattie infettive siano disponibili per alcune regioni da alcuni anni, questi non vengono registrati routinariamente e non sono comparabili nel tempo e tra regioni, perciò non abbiamo potuto utilizzarli per la presente analisi. Inoltre, considerato che anche i dati aggregati sono disponibili solo fino al 2014, non siamo riusciti a esaminare la più recente epidemia di morbillo, quella del 2017, che ha prodotto più di 5.000 casi, ovviamente soprattutto tra le persone non vaccinate. Quarto, il sistema sanitario italiano è gestito a livello regionale, per cui, nonostante sia un servizio nazionale, le regioni sono responsabili del finanziamento, della pianificazione e dell’implementazione dei servizi di cura. Questo genera eterogeneità tra le regioni, specialmente per quelle cinque regioni che ricevono una maggiore quantità di fondi perché, storicamente, erano più svantaggiate (cioè Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta). Quinto, sebbene abbiamo escluso la provincia di Bolzano a priori a causa delle sue caratteristiche particolari, tra cui il suo tasso di copertura vaccinale contro MMR estremamente basso, ammettiamo che i suoi dati sono incoerenti rispetto al risultato generale per cui la spesa pubblica sanitaria è positivamente correlata con la copertura contro MMR. Tuttavia, anche quando abbiamo fatto un controllo di robustezza, abbiamo trovato che questo non incide comunque sui nostri risultati generali.
Nonostante le limitazioni, le nostre osservazioni possono contribuire a capire i pattern regionali nella diminuzione delle vaccinazioni contro il morbillo in Italia. Cosa importante, la diminuzione non si è concentrata né nelle regioni più povere né in quelle più ricche, ma in quelle che hanno avuto i maggiori tagli alla spesa pubblica sanitaria. Perciò, nonostante la Sardegna sia una delle regioni più povere, ha aumentato la spesa pubblica sanitaria pro-capite anche mentre l’Italia stava implementando misure di austerità, e non ha avuto nessuna importante epidemia di morbillo.
Nel marzo 2017 l’Organizzazione Mondiale per la Sanità ha espresso preoccupazione per le epidemie di morbillo in Europa, che avvenivano a dispetto della disponibilità di vaccini sicuri e a basso costo [38]. Con questa premessa, una nuova legge adottata in Italia a luglio di quell’anno offriva un esempio per gli altri [39]. Questa legge rende i vaccini obbligatori per tutti i bambini che entrano nelle scuole primarie pubbliche. Questa legge è però stata molto controversa, e coloro che si opponevano alle vaccinazioni nella Provincia di Bolzano hanno cercato di evitarla attraverso le scuole private, o attraversando il confine con l’Austria o altri paesi vicini. È troppo presto per sapere se il nuovo piano di immunizzazioni sarà efficace. Tuttavia i primi segni sono promettenti, con un dato di copertura presentato alla fine del dicembre 2017 che ha stimato un aumento da 87,9 a 92,2 percento per i bambini di 3 anni di età.
I cambiamenti avvenuti in Italia hanno avuto eco in altri paesi europei. In Germania, nonostante i genitori negli ultimi tre anni abbiano dovuto fornire prova di aver ricevuto consulenza sulla vaccinazione prima che i loro bambini potessero entrare all’asilo, una recente proposta di legge renderebbe obbligatorio per tutti gli asili notificare l’autorità sanitaria nel caso in cui i genitori non abbiano fornito tale prova. Dopo l’introduzione delle vaccinazioni obbligatorie in Italia, il primo ministro francese Édouard Philippe ha detto che “è inaccettabile che i bambini muoiano ancora di morbillo in un paese che è stato pioniere dei primi vaccini” [40]. Attualmente i vaccini per difterite, tetano e polio sono obbligatori in Francia. Tuttavia il governo ha reso obbligatori otto ulteriori vaccini a partire dal 1° gennaio 2018: pertosse, morbillo, parotite, rosolia, epatite B, influenza (si tratta dell’Haemophilus influenzae B, ndt), polmonite e meningite C.
L’ultimo bilancio italiano per la sanità prevede un aumento della spesa pubblica di 1,3 per cento all’anno per il triennio 2018-2020. Questo creerà spazio fiscale per investire nella prevenzione delle malattie infettive. Tuttavia resta da vedere se questo sarà sufficiente a invertire la tedenza al declino nella copertura vaccinale, dato che l’aumento resta comunque inferiore rispetto all’aumento del PIL previsto.
In conclusione, questi risultati evidenziano i rischi del disinvestimento nei servizi pubblici sanitari. L’Italia sta ora lavorando sui suoi bassi tassi di vaccinazione, con una combinazione di leggi e di aumenti nel bilancio sanitario. È importante monitorare questi sviluppi, non solo per stabilire le politiche da adottare in Italia, ma anche per tutta l’Europa, dove molti paesi hanno problemi simili.
Ringraziamenti
Gli autori ringraziano Caterina Rizzo (Istituto Superiore di Sanità) per aver fornito i dati sulla copertura per MMR.
Finanziamenti
V.T. e D.S. sono stati finanziati dall’ERC Grant 313590-HRES. D.S. è stato finanziato anche da Wellcome Trust. A.M. è stata finanziata dall’ERC Grant 283955-Decide. Tutti gli autori hanno completato il modulo ICMJE. Gli autori non avuto relazioni finanziarie con alcuna organizzazione che può avere interesse alla presentazione del presente articolo negli scorsi cinque anni, né altre relazioni o attività che possano aver influenzato il presente lavoro.
Conflitto di interessi: niente da dichiarare.
Riferimenti bibliografici
(...)
[Elencati per numero nell’articolo, NdT]
19/09/18
La ONG greca che guadagna miliardi dal traffico illegale di esseri umani
Mentre la Grecia deve affrontare l’infinita crisi economica e migratoria che l'ha messa in ginocchio, le ONG che operano sul suo territorio, anziché preoccuparsi di fornire aiuto alle persone bisognose, si occupano di fare profitti facilitando l’immigrazione clandestina ed approfittando dei programmi governativi di integrazione. Via Zero Hedge. .
Di Maria Polizoidou, 15 settembre 2018
Il 28 di agosto trenta membri della ONG greca "Centro Internazionale di Risposta alle Emergenze" (ERCI) sono stati arrestati per il loro coinvolgimento nella rete del traffico di esseri umani che opera nell’isola di Lesbo fin dal 2015. Secondo una dichiarazione rilasciata dalla polizia greca, in seguito alle indagini che hanno portato agli arresti, “le attività di una rete criminale organizzata che facilitava sistematicamente l’ingresso illegale di stranieri, sono state portate totalmente alla luce”.
Tra le attività scoperte ci sono la falsificazione, lo spionaggio e il monitoraggio illegale sia della guardia costiera greca sia dell’agenzia di confine UE, Frontex, allo scopo di ottenere informazioni confidenziali sui flussi di immigrati turchi. Le indagini hanno inoltre portato alla scoperta di altri sei cittadini greci e 24 cittadini stranieri implicati nei reati.
L’ERCI si autodescrive come:
“Un’organizzazione greca senza scopo di lucro che fornisce risposte alle emergenze e aiuti umanitari in tempo di crisi. La filosofia di ERCI è di identificare le lacune negli aiuti umanitari e colmarle, per fornire assistenza nella maniera più efficiente e impattante. Al momento ERCI ha 4 programmi attivi con i rifugiati in Grecia, nell’area di Ricerca e Salvataggio, Medica, nell’Istruzione e nel Coordinamento dei Campi di Rifugiati”.
Tuttavia, a dispetto della sua missione dichiarata e del suo profilo senza scopo di lucro, la ERCI – secondo le autorità greche, ha guadagnato una quantità di denaro considerevole grazie al fatto di essersi messa a disposizione come collegamento al servizio di attività illegali. L’ERCI a quanto pare ha ricevuto 2.000 euro per ogni immigrante illegale che ha aiutato ad entrare in Grecia. Inoltre, i suoi membri hanno creato un business per l’”integrazione dei rifugiati” nella società greca, assicurandosi 5.000 euro all’anno per ogni immigrato da diversi programmi governativi (nell’istruzione, nell’alloggio e nel sostentamento). L’ERCI avrebbe favorito l’ingresso illegale in Grecia di 70.000 immigrati a partire dal 2015, facendo incassare all’organizzazione “no-profit” mezzo miliardo di euro all’anno.
Tuttavia questa scoperta non rivela che una piccola parte dell’estensione delle attività illecite che gravitano intorno all’ingresso di immigrati in Grecia. Nel 2017, per esempio, le autorità greche hanno arrestato 1.399 trafficanti di esseri umani, alcuni dei quali si celavano dietro operazioni “umanitarie”; e durante i primi quattro mesi del 2018, le autorità hanno arrestato 25.594 immigrati illegali.
Ancora più preoccupante del prezzo decisamente salato pagato ai trafficanti di persone dagli immigrati stessi – o dal governo greco sotto forma di sussidi per l’integrazione – è il pesante tributo che questa situazione sta imponendo a tutta la società greca.
Secondo le statistiche della polizia greca, ci sono state 75.707 rapine e furti nel 2017. Di questi casi, solo 15.048 sono stati risolti, e 4.207 sono stati commessi da stranieri. Inoltre, la polizia stima che più del 40% dei crimini gravi sono commessi da immigrati illegali (in Grecia gli immigrati – legali e illegali – rappresentano il 10-15% della popolazione totale).
Nel 2016, le prigioni greche contenevano 4246 greci e 5221 stranieri condannati per crimini gravi: 336 per omicidio, 101 per tentato omicidio, 77 per stupro e 635 per rapina. Inoltre, migliaia di casi erano in attesa di giudizio.
In un recente e drammatico caso, il 15 agosto, uno studente di college di 25 anni di Atene – mentre era in visita a casa dagli studi all’università di Scozia – è stato ucciso da tre immigrati illegali mentre era in giro a visitare la città con una sua amica portoghese.
I tre colpevoli, due pakistani e un iracheno di età compresa tra i 17 e i 28 anni, hanno detto alla polizia di aver inizialmente assalito la giovane donna, rubandole denaro, carte di credito, un passaporto e un telefono cellulare dalla borsetta, ma quando hanno visto che il suo cellulare era “vecchio” hanno puntato al cellulare del ragazzo, minacciandolo con un coltello. Quando questi ha cercato di difendersi, hanno dichiarato nella confessione, lo hanno spinto e lui è caduto da una rupe, incontrando la morte. Dopo l’interrogatorio, è emerso che i tre assassini erano già ricercati per 10 altre rapine nella stessa zona.
In una lettera di protesta indirizzata al Primo Ministro Greco Alexis Tsipras, ai membri del parlamento e al sindaco di Atene, la madre della vittima ha accusato Tsipras di “negligenza criminale” e di “complicità” nell’uccisione di suo figlio.
“Invece di dare il benvenuto e fornire “terra e acqua” a ogni criminale o individuo pericoloso dagli istinti selvaggi”, ha scritto, “lo stato non dovrebbe forse pensare prima alla sicurezza dei suoi stessi cittadini, a cui succhia il sangue tutti i giorni [economicamente]? [Lo stato dovrebbe forse] abbandonare [i cittadini] a bande fameliche, per le quali la vita umana vale meno di un telefono cellulare o una catenina d’oro?”.
Anche se queste sono le parole di una madre in lutto, questi sentimenti sono diffusi e si manifestano in tutta la Grecia, dove incidenti simili sono sempre più comuni.
Il 29 agosto, due settimane dopo l’omicidio, nel nord della Grecia sei immigrati hanno assalito verbalmente un anziano di 52 anni in strada, apparentemente senza motivo. Quando questi ha continuato a camminare ignorandoli, uno di loro lo ha pugnalato alla scapola con un coltello da 24 centimetri, mandandolo all’ospedale.
Due giorni prima, il 27 agosto, circa 100 immigrati, che protestavano per le condizioni di vita nel loro campo a Malakasa, hanno bloccato l’autostrada statale per più di tre ore. I guidatori bloccati sulla strada hanno detto che alcuni manifestanti si sono infuriati, bersagliando le auto a colpi di bastone. A peggiorare la situazione, la polizia intervenuta sulla scena ha detto di non aver ricevuto istruzioni dal Ministero della Protezione Civile di sgomberare l’autostrada o proteggere le vittime. Dopo ulteriori indagini, Gatestone ha scoperto che non c’è stata alcuna dichiarazione da parte della polizia o del ministero, solo le dichiarazioni dei cittadini.
Mentre a quanto pare il governo greco non ha la più pallida idea di come gestire la crisi migratoria e salvaguardare la sicurezza dei suoi cittadini, è particolarmente sconcertante scoprire che le principali ONG, il cui mandato è dare aiuti umanitari agli immigrati, approfittano invece della situazione per trarre profitto da questo traffico illegale. Il recente arresto dei membri dell’ERCI evidenzia la necessità di mettere sotto esame tutte le organizzazioni di questo tipo.
Maria Polizoidou, reporter, è una giornalista radiofonica e consulente per gli affari internazionali ed esteri, residente in Grecia. Ha un master in "Geopolitica e problemi di sicurezza nel complesso islamico di Turchia e Medio Oriente" presso l'Università di Atene.
Di Maria Polizoidou, 15 settembre 2018
Il 28 di agosto trenta membri della ONG greca "Centro Internazionale di Risposta alle Emergenze" (ERCI) sono stati arrestati per il loro coinvolgimento nella rete del traffico di esseri umani che opera nell’isola di Lesbo fin dal 2015. Secondo una dichiarazione rilasciata dalla polizia greca, in seguito alle indagini che hanno portato agli arresti, “le attività di una rete criminale organizzata che facilitava sistematicamente l’ingresso illegale di stranieri, sono state portate totalmente alla luce”.
Tra le attività scoperte ci sono la falsificazione, lo spionaggio e il monitoraggio illegale sia della guardia costiera greca sia dell’agenzia di confine UE, Frontex, allo scopo di ottenere informazioni confidenziali sui flussi di immigrati turchi. Le indagini hanno inoltre portato alla scoperta di altri sei cittadini greci e 24 cittadini stranieri implicati nei reati.
L’ERCI si autodescrive come:
“Un’organizzazione greca senza scopo di lucro che fornisce risposte alle emergenze e aiuti umanitari in tempo di crisi. La filosofia di ERCI è di identificare le lacune negli aiuti umanitari e colmarle, per fornire assistenza nella maniera più efficiente e impattante. Al momento ERCI ha 4 programmi attivi con i rifugiati in Grecia, nell’area di Ricerca e Salvataggio, Medica, nell’Istruzione e nel Coordinamento dei Campi di Rifugiati”.
Tuttavia, a dispetto della sua missione dichiarata e del suo profilo senza scopo di lucro, la ERCI – secondo le autorità greche, ha guadagnato una quantità di denaro considerevole grazie al fatto di essersi messa a disposizione come collegamento al servizio di attività illegali. L’ERCI a quanto pare ha ricevuto 2.000 euro per ogni immigrante illegale che ha aiutato ad entrare in Grecia. Inoltre, i suoi membri hanno creato un business per l’”integrazione dei rifugiati” nella società greca, assicurandosi 5.000 euro all’anno per ogni immigrato da diversi programmi governativi (nell’istruzione, nell’alloggio e nel sostentamento). L’ERCI avrebbe favorito l’ingresso illegale in Grecia di 70.000 immigrati a partire dal 2015, facendo incassare all’organizzazione “no-profit” mezzo miliardo di euro all’anno.
Tuttavia questa scoperta non rivela che una piccola parte dell’estensione delle attività illecite che gravitano intorno all’ingresso di immigrati in Grecia. Nel 2017, per esempio, le autorità greche hanno arrestato 1.399 trafficanti di esseri umani, alcuni dei quali si celavano dietro operazioni “umanitarie”; e durante i primi quattro mesi del 2018, le autorità hanno arrestato 25.594 immigrati illegali.
Ancora più preoccupante del prezzo decisamente salato pagato ai trafficanti di persone dagli immigrati stessi – o dal governo greco sotto forma di sussidi per l’integrazione – è il pesante tributo che questa situazione sta imponendo a tutta la società greca.
Secondo le statistiche della polizia greca, ci sono state 75.707 rapine e furti nel 2017. Di questi casi, solo 15.048 sono stati risolti, e 4.207 sono stati commessi da stranieri. Inoltre, la polizia stima che più del 40% dei crimini gravi sono commessi da immigrati illegali (in Grecia gli immigrati – legali e illegali – rappresentano il 10-15% della popolazione totale).
Nel 2016, le prigioni greche contenevano 4246 greci e 5221 stranieri condannati per crimini gravi: 336 per omicidio, 101 per tentato omicidio, 77 per stupro e 635 per rapina. Inoltre, migliaia di casi erano in attesa di giudizio.
In un recente e drammatico caso, il 15 agosto, uno studente di college di 25 anni di Atene – mentre era in visita a casa dagli studi all’università di Scozia – è stato ucciso da tre immigrati illegali mentre era in giro a visitare la città con una sua amica portoghese.
I tre colpevoli, due pakistani e un iracheno di età compresa tra i 17 e i 28 anni, hanno detto alla polizia di aver inizialmente assalito la giovane donna, rubandole denaro, carte di credito, un passaporto e un telefono cellulare dalla borsetta, ma quando hanno visto che il suo cellulare era “vecchio” hanno puntato al cellulare del ragazzo, minacciandolo con un coltello. Quando questi ha cercato di difendersi, hanno dichiarato nella confessione, lo hanno spinto e lui è caduto da una rupe, incontrando la morte. Dopo l’interrogatorio, è emerso che i tre assassini erano già ricercati per 10 altre rapine nella stessa zona.
In una lettera di protesta indirizzata al Primo Ministro Greco Alexis Tsipras, ai membri del parlamento e al sindaco di Atene, la madre della vittima ha accusato Tsipras di “negligenza criminale” e di “complicità” nell’uccisione di suo figlio.
“Invece di dare il benvenuto e fornire “terra e acqua” a ogni criminale o individuo pericoloso dagli istinti selvaggi”, ha scritto, “lo stato non dovrebbe forse pensare prima alla sicurezza dei suoi stessi cittadini, a cui succhia il sangue tutti i giorni [economicamente]? [Lo stato dovrebbe forse] abbandonare [i cittadini] a bande fameliche, per le quali la vita umana vale meno di un telefono cellulare o una catenina d’oro?”.
Anche se queste sono le parole di una madre in lutto, questi sentimenti sono diffusi e si manifestano in tutta la Grecia, dove incidenti simili sono sempre più comuni.
Il 29 agosto, due settimane dopo l’omicidio, nel nord della Grecia sei immigrati hanno assalito verbalmente un anziano di 52 anni in strada, apparentemente senza motivo. Quando questi ha continuato a camminare ignorandoli, uno di loro lo ha pugnalato alla scapola con un coltello da 24 centimetri, mandandolo all’ospedale.
Due giorni prima, il 27 agosto, circa 100 immigrati, che protestavano per le condizioni di vita nel loro campo a Malakasa, hanno bloccato l’autostrada statale per più di tre ore. I guidatori bloccati sulla strada hanno detto che alcuni manifestanti si sono infuriati, bersagliando le auto a colpi di bastone. A peggiorare la situazione, la polizia intervenuta sulla scena ha detto di non aver ricevuto istruzioni dal Ministero della Protezione Civile di sgomberare l’autostrada o proteggere le vittime. Dopo ulteriori indagini, Gatestone ha scoperto che non c’è stata alcuna dichiarazione da parte della polizia o del ministero, solo le dichiarazioni dei cittadini.
Mentre a quanto pare il governo greco non ha la più pallida idea di come gestire la crisi migratoria e salvaguardare la sicurezza dei suoi cittadini, è particolarmente sconcertante scoprire che le principali ONG, il cui mandato è dare aiuti umanitari agli immigrati, approfittano invece della situazione per trarre profitto da questo traffico illegale. Il recente arresto dei membri dell’ERCI evidenzia la necessità di mettere sotto esame tutte le organizzazioni di questo tipo.
Maria Polizoidou, reporter, è una giornalista radiofonica e consulente per gli affari internazionali ed esteri, residente in Grecia. Ha un master in "Geopolitica e problemi di sicurezza nel complesso islamico di Turchia e Medio Oriente" presso l'Università di Atene.
16/09/18
Time - Intervista a Salvini, il volto nuovo dell'Europa
Dal Time, l'intervista a tutto campo rilasciata al settimanale dal Ministro dell'Interno italiano Matteo Salvini, su immigrazione, sicurezza, Europa, Trump e Russia, in cui Salvini viene presentato come il volto nuovo dell'Europa e uno dei leader europei potenzialmente più determinanti, dato il suo obiettivo di trasformare le istituzioni europee. L'intervista è la trascrizione riadattata per lunghezza e chiarezza di un video in lingua italiana, riportato anch'esso sul Time.
di Vivienne Walt, 13 settembre 2018
Matteo Salvini potrà non essere il Primo Ministro italiano. Ma ci sono pochi dubbi sul fatto che il ministro degli interni italiano è il politico più influente nel paese. E se ci riesce, potrebbe diventare uno dei leader più potenti in Europa.
Salvini è a capo della Lega, il partito nazionalista di estrema destra che ha ottenuto il 17,4% dei voti nelle elezioni dello scorso marzo, promuovendo una linea aggressivamente anti-immigrazione. Dopo aver contribuito a costruire una coalizione con l' anti-establishment Movimento Cinque Stelle, è diventato Ministro degli Interni con responsabilità sulla sicurezza, l'ordine pubblico e l'immigrazione.
E sull'ultimo tema non ha perso tempo per lasciare il segno. Ha provato a sospendere completamente le procedure di asilo fino a che nella UE non si raggiunga un accordo per una distribuzione equa dei rifugiati. Ha fatto imbestialire i leader UE impedendo alle barche coi migranti tratti in salvo di attraccare nei porti italiani - ad agosto, per esempio, ha rifiutato di autorizzare una nave della Guardia Costiera Italiana, la Diciotti, a sbarcare 177 migranti soccorsi nel Mediterraneo.
Questo approccio deciso del "non si fanno prigionieri" gli ha fatto conquistare nuovi consensi in Italia; i sondaggi adesso indicano che la Lega ha il sostegno del 30% degli elettori. E Salvini ha solo allargato la sua sfera di influenza. Il 7 settembre, l'ex direttore della campagna elettorale di Trump, Steve Bannon, si è incontrato con Salvini per coinvolgerlo nella sua nuova organizzazione a Bruxelles, che mira a una forte affermazione dei partiti populisti di destra alle elezioni europee del prossimo anno.
Salvini adesso ha nel mirino niente di meno che l'obiettivo di trasformare l'unione politica ed economica. "Cambiare l'Europa è un grande obiettivo", ha detto l TIME in una intervista esclusiva nel suo ufficio di Roma il 4 settembre. "Ma penso che sia alla nostra portata".
Qui di seguito la trascrizione riadattata per lunghezza e chiarezza.
TIME: Immagini che domani ci sia un altro incidente come quello della Diciotti. Cosa farà?
SALVINI: Stiamo lavorando per non avere un altro caso come quello. Ma se accadrà di nuovo, ci comporteremo esattamente allo stesso modo.
Quindi non permetterebbe nuovi sbarchi sui lidi italiani. È questo che sta dicendo? Perché l'Unione Europea, le ONG, stanno dicendo che ciò è contro il diritto del mare, contro i diritti umani, contro le convenzioni che l'Italia ha firmato.
Sono padre di due bambine, quindi anche dalla Diciotti abbiamo permesso lo sbarco di bambini, malati, donne. Ma fermare il traffico di essere umani è troppo importante per noi e per il loro futuro.
Le Figaro, il giornale francese, questa settimana ha scritto che lei vuole "far esplodere l'Unione Europea". È quello che vuole fare?
No. No. Al contrario, penso che la storia ci affidi il ruolo di salvare i valori europei - dalle radici giudaico-cristiane al diritto al lavoro, il diritto alla sicurezza, il diritto alla vita. Questa unione è cresciuta troppo, e troppo velocemente, senza radici comuni, soltanto con una moneta comune. Quindi stiamo lavorando per rifondare lo spirito europeo che è stato tradito da coloro che governano l'unione.
Quindi perché non spingere per far uscire l'Italia dall'Unione europea? Lei ha esitato su questo tema. Molti dei suoi sostenitori con cui ho parlato dicono "non vogliamo stare nella UE". Lei è d'accordo?
Io ho scelto di cambiare le cose dall'interno. Questo probabilmente è più difficile, più lungo e più complicato, ma è una soluzione più concreta. Lavorare dall'interno per cambiare le politiche monetarie, finanziarie, agricole, commerciali, industriali. Stiamo crescendo, e ci stiamo alleando con altri paesi europei per cambiare la UE dall'interno. Se abbandonassimo, sarebbe la fine della speranza.
Lei ha forze potenti contro, il Presidente francese Emmanuel Macron, e la Cancelliera tedesca Angela Merkel. Pensa di poter fare abbastanza cambiamenti da soddisfare i suoi sostenitori e convincerli che vale la pena rimanere nella UE?
Penso di sì. Stiamo lavorando con amici da Francia, Germania, Polonia, Romania, Bulgaria, Olanda, Belgio, Austria per creare un'alleanza alternativa al duopolio dei Cristiano Democratici e dei Socialisti che ha sempre governato l'Europa. È chiaro che devo cambiare le dinamiche europee per creare un luogo migliore per italiani, francesi, austriaci e spagnoli.
L'obiettivo è creare un'alleanza senza i Socialisti, quindi senza Macron, senza [l'ex Primo Ministro italiano Matteo] Renzi. Questa alleanza deve cambiare gli equilibri nel Parlamento europeo e nella Commissione europea. Sono stato eletto segretario della Lega quattro anni e mezzo fa, il partito era al 3% nei sondaggi. Oggi i sondaggi ci danno al 30%. Quindi cambiare l'Europa è un grande obiettivo, ma penso che sia alla nostra portata.
Vuole chiudere i confini europei?
I confini esterni. Penso che questo adesso sia l'obiettivo di quasi tutti i leader europei, anche quelli di sinistra, come Pedro Sanchez in Spagna. La protezione dei confini esterni ci permetterebbe di riaprire i confini interni che adesso sono chiusi. Mi piacerebbe la libera circolazione all'interno della UE, come risultato della protezione delle frontiere esterne.
Lei è incredibilmente concentrato sull'immigrazione. Alcuni la chiamerebbero ossessione. Perché è così deciso a controllare l'immigrazione?
Il problema più grande in Italia è il lavoro. E un'immigrazione fuori controllo danneggia il mercato del lavoro, perché gli italiani non possono competere con lavoratori illegali che vengono sfruttati. Quindi per ridare dignità al lavoro dobbiamo controllare l'immigrazione.
Non è l'unico problema. Il Ministro degli Interni ha la responsabilità della sicurezza. Quindi ci stiamo dedicando alla lotta alla Mafia, alle droghe, alla violenza contro le donne. Ma l'immigrazione è uno dei temi.
Quando parla di crimini e migranti, la gente dice che lei è un razzista o un nazista. Questo non sembra preoccuparla.
Gli immigrati regolari in Italia sono cinque milioni, l'8% della popolazione. Sono i benvenuti. ll problema è l'immigrazione irregolare, che porta crimine e conflitto sociale. Se riuscirò a ridurre il numero di questi crimini e la presenza di immigrati illegali, possono chiamarmi razzista quanto vogliono. Andrò avanti e la gente continuerà a sostenermi. Anche gli elettori di sinistra vogliono più sicurezza e più rigore in questo campo. Altrimenti non si spiegherebbe perché la Lega sia data al 30% nei sondaggi.
Per molti americani lei ricorda molto il Presidente Trump. Lui dice "Prima l'America", mentre lo slogan della sua campagna è stato "Prima gli Italiani". Lei è andato ad incontrarlo quando era un candidato presidenziale. In che modo l'ha ispirata?
Ovviamente siamo paesi diversi, con storie diverse, economie diverse e siamo due persone diverse. Ma ho apprezzato le sue proposte sulla sicurezza e specialmente sull'economia, e il fatto che ha mantenuto questi impegni dopo le elezioni - anche su temi caldi, come spostare la capitale di Israele a Gerusalemme. Mi piace il fatto che abbia mantenuto gli impegni fatti sulla protezione delle frontiere, sulla riduzione delle tasse, sugli investimenti. La situazione economica degli Stati Uniti è assolutamente positiva.
Io penso che anche se sono più piccolo e l'Italia è più piccola, condivido con il Presidente americano gli attacchi dal mondo mainstream del politicamente corretto: attori, cantanti, registi, giornalisti. E questo significa che stiamo lavorando bene.
Lei è anche un utente appassionato di social media, anche se su Facebook piuttosto che sul mezzo preferito di Trump, Twitter. Cosa ha imparato da questo?
All'inizio non volevo nemmeno avere Facebook. Ho installato Whatsapp un mese fa per lavorare al ministero. Ma attraverso i social media ho un contatto personale diretto. Per esempio, il video che ho fatto in montagna durante l'episodio della Diciotti ha raggiunto otto milioni di persone. Un numero molto più grande di quello dei media tradizionali.
È d'accordo con l'opinione del Presidente Trump, che molti dei media mainstream sono quelli che lui definisce fake news?
No. Penso che le persone adesso abbiano abbastanza opportunità per informarsi: da Internet, dalla radio, dai giornali e dalle televisioni. L'informazione in Italia è sbilanciata a favore della sinistra, ma questo è sempre stato vero, anche se non influenza più l'opinione pubblica. Non penso ci siano cospirazioni.
Pensa che lei e Trump siate parte dello stesso movimento globale?
Direi di si. La storia ha dei cicli. Questo è un ciclo che più che il confronto tra destra e sinistra rappresenta il confronto tra élite e popolo. Quindi valori popolari, famiglia, lavoro, sicurezza, benessere, bambini, contro le imposizioni di finanza, multinazionali, pensiero unico. Non so quanto durerà.
Penso che sia una storia simile. Non solo negli Stati Uniti o in Europa, ma anche in altri luoghi. I cambiamenti sono in Russia, in Cina. È un fattore comune: il confronto tra popolo e élite.
Sostiene di porre fine alle sanzioni contro la Russia? E considera Putin un alleato o no?
Ho sempre detto che le sanzioni non sono utili per raggiungere gli scopi per le quali erano state imposte e sono un costo economico per l'Italia, l'Europa e la Russia. Preferisco il dialogo alle sanzioni. Ho incontrato Putin solo una volta. Non ci sono legami economici o rapporti commerciali. Voglio soltanto delle buone relazioni tra Russia e Europa. C'è un accordo tra la Lega e il partito [di Putin] Russia Unita. Spero di mettere fine a questo regime di sanzioni il prima possibile, perché non c'è bisogno di combattere.
Il Presidente Putin in effetti ha detto, per come è stato tradotto in inglese, che gli è piaciuto come sono andate le cose dopo le elezioni in Italia. Pensa che i russi abbiano interferito con le elezioni come sembra che abbiano fatto negli Stati Uniti, in Francia e Germania?
No, non c'è stata assolutamente interferenza, e nessun tipo di collegamento economico o mediatico. Cercano hacker russi dappertutto. Gli italiani pensano con la propria testa. Non so cosa abbiano fatto o se hanno fatto qualcosa in America o in Francia. Ma, per come la vedo io, questa storia delle interferenze russe è ridicola. Le fake news sono già distribuite 24 ore al giorno dalle compagnie televisive ufficiali italiane pagate dai contribuenti italiani, e non dagli hacker russi. Non ho mai incontrato un hacker russo. Sarei curioso di incontrarne uno.
Steve Bannon ha detto di averla consigliata prima delle elezioni e vi siete riuniti per ore. Lui l'ha consigliata di formare la coalizione con il Movimento Cinque Stelle. Come è stata la discussione con lui? È stata utile?
Abbiamo parlato al telefono e ci siamo incontrati prima e dopo le elezioni, discutendo ognuno le idee dell'altro. Ha un'idea interessante per sviluppare i legami tra i paesi occidentali. Poi ovviamente in Italia abbiamo la nostra sensibilità, le nostre necessità, che non sono sempre vicine a quelle degli altri paesi. Ha un'idea interessante dell'evoluzione politica futura. L'ho incontrato, e probabilmente lo incontrerò di nuovo, poiché mi ritengo fortunato ad incontrare altri liberi pensatori, ad allargare i miei orizzonti.
Ci stiamo avvicinando alle elezioni europee del prossimo maggio. Quale sarà la sua richiesta di fondo in questa campagna europea? E cosa succederà se non otterrà quel che vuole a Bruxelles? Che tipo di influenza ha?
L'Italia è la seconda potenza industriale europea, un membro fondatore [della UE]. Siamo 60 milioni. Paghiamo 6 miliardi [di euro] all'anno al bilancio europeo. Quindi pensiamo di avere buone ragioni per essere ascoltati. Saremo ascoltati, perché l'Europa senza l'Italia non esiste.
Altri hanno provato e fallito. Qual è il suo piano B?
Porta sempre sfortuna rivelare il piano B. Lo terrò per la prossima intervista.
Quindi, nessuna uscita dalla UE?
No. Vogliamo cambiare le cose dall'interno.
di Vivienne Walt, 13 settembre 2018
Matteo Salvini potrà non essere il Primo Ministro italiano. Ma ci sono pochi dubbi sul fatto che il ministro degli interni italiano è il politico più influente nel paese. E se ci riesce, potrebbe diventare uno dei leader più potenti in Europa.
Salvini è a capo della Lega, il partito nazionalista di estrema destra che ha ottenuto il 17,4% dei voti nelle elezioni dello scorso marzo, promuovendo una linea aggressivamente anti-immigrazione. Dopo aver contribuito a costruire una coalizione con l' anti-establishment Movimento Cinque Stelle, è diventato Ministro degli Interni con responsabilità sulla sicurezza, l'ordine pubblico e l'immigrazione.
E sull'ultimo tema non ha perso tempo per lasciare il segno. Ha provato a sospendere completamente le procedure di asilo fino a che nella UE non si raggiunga un accordo per una distribuzione equa dei rifugiati. Ha fatto imbestialire i leader UE impedendo alle barche coi migranti tratti in salvo di attraccare nei porti italiani - ad agosto, per esempio, ha rifiutato di autorizzare una nave della Guardia Costiera Italiana, la Diciotti, a sbarcare 177 migranti soccorsi nel Mediterraneo.
Questo approccio deciso del "non si fanno prigionieri" gli ha fatto conquistare nuovi consensi in Italia; i sondaggi adesso indicano che la Lega ha il sostegno del 30% degli elettori. E Salvini ha solo allargato la sua sfera di influenza. Il 7 settembre, l'ex direttore della campagna elettorale di Trump, Steve Bannon, si è incontrato con Salvini per coinvolgerlo nella sua nuova organizzazione a Bruxelles, che mira a una forte affermazione dei partiti populisti di destra alle elezioni europee del prossimo anno.
Salvini adesso ha nel mirino niente di meno che l'obiettivo di trasformare l'unione politica ed economica. "Cambiare l'Europa è un grande obiettivo", ha detto l TIME in una intervista esclusiva nel suo ufficio di Roma il 4 settembre. "Ma penso che sia alla nostra portata".
Qui di seguito la trascrizione riadattata per lunghezza e chiarezza.
TIME: Immagini che domani ci sia un altro incidente come quello della Diciotti. Cosa farà?
SALVINI: Stiamo lavorando per non avere un altro caso come quello. Ma se accadrà di nuovo, ci comporteremo esattamente allo stesso modo.
Quindi non permetterebbe nuovi sbarchi sui lidi italiani. È questo che sta dicendo? Perché l'Unione Europea, le ONG, stanno dicendo che ciò è contro il diritto del mare, contro i diritti umani, contro le convenzioni che l'Italia ha firmato.
Sono padre di due bambine, quindi anche dalla Diciotti abbiamo permesso lo sbarco di bambini, malati, donne. Ma fermare il traffico di essere umani è troppo importante per noi e per il loro futuro.
Le Figaro, il giornale francese, questa settimana ha scritto che lei vuole "far esplodere l'Unione Europea". È quello che vuole fare?
No. No. Al contrario, penso che la storia ci affidi il ruolo di salvare i valori europei - dalle radici giudaico-cristiane al diritto al lavoro, il diritto alla sicurezza, il diritto alla vita. Questa unione è cresciuta troppo, e troppo velocemente, senza radici comuni, soltanto con una moneta comune. Quindi stiamo lavorando per rifondare lo spirito europeo che è stato tradito da coloro che governano l'unione.
Quindi perché non spingere per far uscire l'Italia dall'Unione europea? Lei ha esitato su questo tema. Molti dei suoi sostenitori con cui ho parlato dicono "non vogliamo stare nella UE". Lei è d'accordo?
Io ho scelto di cambiare le cose dall'interno. Questo probabilmente è più difficile, più lungo e più complicato, ma è una soluzione più concreta. Lavorare dall'interno per cambiare le politiche monetarie, finanziarie, agricole, commerciali, industriali. Stiamo crescendo, e ci stiamo alleando con altri paesi europei per cambiare la UE dall'interno. Se abbandonassimo, sarebbe la fine della speranza.
Lei ha forze potenti contro, il Presidente francese Emmanuel Macron, e la Cancelliera tedesca Angela Merkel. Pensa di poter fare abbastanza cambiamenti da soddisfare i suoi sostenitori e convincerli che vale la pena rimanere nella UE?
Penso di sì. Stiamo lavorando con amici da Francia, Germania, Polonia, Romania, Bulgaria, Olanda, Belgio, Austria per creare un'alleanza alternativa al duopolio dei Cristiano Democratici e dei Socialisti che ha sempre governato l'Europa. È chiaro che devo cambiare le dinamiche europee per creare un luogo migliore per italiani, francesi, austriaci e spagnoli.
L'obiettivo è creare un'alleanza senza i Socialisti, quindi senza Macron, senza [l'ex Primo Ministro italiano Matteo] Renzi. Questa alleanza deve cambiare gli equilibri nel Parlamento europeo e nella Commissione europea. Sono stato eletto segretario della Lega quattro anni e mezzo fa, il partito era al 3% nei sondaggi. Oggi i sondaggi ci danno al 30%. Quindi cambiare l'Europa è un grande obiettivo, ma penso che sia alla nostra portata.
Vuole chiudere i confini europei?
I confini esterni. Penso che questo adesso sia l'obiettivo di quasi tutti i leader europei, anche quelli di sinistra, come Pedro Sanchez in Spagna. La protezione dei confini esterni ci permetterebbe di riaprire i confini interni che adesso sono chiusi. Mi piacerebbe la libera circolazione all'interno della UE, come risultato della protezione delle frontiere esterne.
Lei è incredibilmente concentrato sull'immigrazione. Alcuni la chiamerebbero ossessione. Perché è così deciso a controllare l'immigrazione?
Il problema più grande in Italia è il lavoro. E un'immigrazione fuori controllo danneggia il mercato del lavoro, perché gli italiani non possono competere con lavoratori illegali che vengono sfruttati. Quindi per ridare dignità al lavoro dobbiamo controllare l'immigrazione.
Non è l'unico problema. Il Ministro degli Interni ha la responsabilità della sicurezza. Quindi ci stiamo dedicando alla lotta alla Mafia, alle droghe, alla violenza contro le donne. Ma l'immigrazione è uno dei temi.
Quando parla di crimini e migranti, la gente dice che lei è un razzista o un nazista. Questo non sembra preoccuparla.
Gli immigrati regolari in Italia sono cinque milioni, l'8% della popolazione. Sono i benvenuti. ll problema è l'immigrazione irregolare, che porta crimine e conflitto sociale. Se riuscirò a ridurre il numero di questi crimini e la presenza di immigrati illegali, possono chiamarmi razzista quanto vogliono. Andrò avanti e la gente continuerà a sostenermi. Anche gli elettori di sinistra vogliono più sicurezza e più rigore in questo campo. Altrimenti non si spiegherebbe perché la Lega sia data al 30% nei sondaggi.
Per molti americani lei ricorda molto il Presidente Trump. Lui dice "Prima l'America", mentre lo slogan della sua campagna è stato "Prima gli Italiani". Lei è andato ad incontrarlo quando era un candidato presidenziale. In che modo l'ha ispirata?
Ovviamente siamo paesi diversi, con storie diverse, economie diverse e siamo due persone diverse. Ma ho apprezzato le sue proposte sulla sicurezza e specialmente sull'economia, e il fatto che ha mantenuto questi impegni dopo le elezioni - anche su temi caldi, come spostare la capitale di Israele a Gerusalemme. Mi piace il fatto che abbia mantenuto gli impegni fatti sulla protezione delle frontiere, sulla riduzione delle tasse, sugli investimenti. La situazione economica degli Stati Uniti è assolutamente positiva.
Io penso che anche se sono più piccolo e l'Italia è più piccola, condivido con il Presidente americano gli attacchi dal mondo mainstream del politicamente corretto: attori, cantanti, registi, giornalisti. E questo significa che stiamo lavorando bene.
Lei è anche un utente appassionato di social media, anche se su Facebook piuttosto che sul mezzo preferito di Trump, Twitter. Cosa ha imparato da questo?
All'inizio non volevo nemmeno avere Facebook. Ho installato Whatsapp un mese fa per lavorare al ministero. Ma attraverso i social media ho un contatto personale diretto. Per esempio, il video che ho fatto in montagna durante l'episodio della Diciotti ha raggiunto otto milioni di persone. Un numero molto più grande di quello dei media tradizionali.
È d'accordo con l'opinione del Presidente Trump, che molti dei media mainstream sono quelli che lui definisce fake news?
No. Penso che le persone adesso abbiano abbastanza opportunità per informarsi: da Internet, dalla radio, dai giornali e dalle televisioni. L'informazione in Italia è sbilanciata a favore della sinistra, ma questo è sempre stato vero, anche se non influenza più l'opinione pubblica. Non penso ci siano cospirazioni.
Pensa che lei e Trump siate parte dello stesso movimento globale?
Direi di si. La storia ha dei cicli. Questo è un ciclo che più che il confronto tra destra e sinistra rappresenta il confronto tra élite e popolo. Quindi valori popolari, famiglia, lavoro, sicurezza, benessere, bambini, contro le imposizioni di finanza, multinazionali, pensiero unico. Non so quanto durerà.
Penso che sia una storia simile. Non solo negli Stati Uniti o in Europa, ma anche in altri luoghi. I cambiamenti sono in Russia, in Cina. È un fattore comune: il confronto tra popolo e élite.
Sostiene di porre fine alle sanzioni contro la Russia? E considera Putin un alleato o no?
Ho sempre detto che le sanzioni non sono utili per raggiungere gli scopi per le quali erano state imposte e sono un costo economico per l'Italia, l'Europa e la Russia. Preferisco il dialogo alle sanzioni. Ho incontrato Putin solo una volta. Non ci sono legami economici o rapporti commerciali. Voglio soltanto delle buone relazioni tra Russia e Europa. C'è un accordo tra la Lega e il partito [di Putin] Russia Unita. Spero di mettere fine a questo regime di sanzioni il prima possibile, perché non c'è bisogno di combattere.
Il Presidente Putin in effetti ha detto, per come è stato tradotto in inglese, che gli è piaciuto come sono andate le cose dopo le elezioni in Italia. Pensa che i russi abbiano interferito con le elezioni come sembra che abbiano fatto negli Stati Uniti, in Francia e Germania?
No, non c'è stata assolutamente interferenza, e nessun tipo di collegamento economico o mediatico. Cercano hacker russi dappertutto. Gli italiani pensano con la propria testa. Non so cosa abbiano fatto o se hanno fatto qualcosa in America o in Francia. Ma, per come la vedo io, questa storia delle interferenze russe è ridicola. Le fake news sono già distribuite 24 ore al giorno dalle compagnie televisive ufficiali italiane pagate dai contribuenti italiani, e non dagli hacker russi. Non ho mai incontrato un hacker russo. Sarei curioso di incontrarne uno.
Steve Bannon ha detto di averla consigliata prima delle elezioni e vi siete riuniti per ore. Lui l'ha consigliata di formare la coalizione con il Movimento Cinque Stelle. Come è stata la discussione con lui? È stata utile?
Abbiamo parlato al telefono e ci siamo incontrati prima e dopo le elezioni, discutendo ognuno le idee dell'altro. Ha un'idea interessante per sviluppare i legami tra i paesi occidentali. Poi ovviamente in Italia abbiamo la nostra sensibilità, le nostre necessità, che non sono sempre vicine a quelle degli altri paesi. Ha un'idea interessante dell'evoluzione politica futura. L'ho incontrato, e probabilmente lo incontrerò di nuovo, poiché mi ritengo fortunato ad incontrare altri liberi pensatori, ad allargare i miei orizzonti.
Ci stiamo avvicinando alle elezioni europee del prossimo maggio. Quale sarà la sua richiesta di fondo in questa campagna europea? E cosa succederà se non otterrà quel che vuole a Bruxelles? Che tipo di influenza ha?
L'Italia è la seconda potenza industriale europea, un membro fondatore [della UE]. Siamo 60 milioni. Paghiamo 6 miliardi [di euro] all'anno al bilancio europeo. Quindi pensiamo di avere buone ragioni per essere ascoltati. Saremo ascoltati, perché l'Europa senza l'Italia non esiste.
Altri hanno provato e fallito. Qual è il suo piano B?
Porta sempre sfortuna rivelare il piano B. Lo terrò per la prossima intervista.
Quindi, nessuna uscita dalla UE?
No. Vogliamo cambiare le cose dall'interno.
15/09/18
Macron vuole dividere la Francia?
Uno degli effetti più inaspettati ed epocali della presidenza Macron potrebbe essere la caduta di uno dei pilastri sui quali si è tradizionalmente basata la nazione francese: il suo fiero e rivendicato laicismo, che fin dall'Illuminismo ha caratterizzato la Francia e l'ha resa un punto di riferimento per altre nazioni. Oggi, con un paio di codicilli apparentemente innocui, si fa strada invece l'idea che le confessioni religiose possano essere indipendenti dallo Stato, e in certi casi persino sovraordinate alle amministrazioni pubbliche. Non è un mistero queste misure siano state pensate per venire incontro alle gerarchie musulmane, poiché l'islam è la religione più intransigente verso qualsiasi ingerenza dello Stato. Nel fare ciò, Macron ha cercato il sostegno di Papa Francesco, anch'egli dichiaratamente favorevole a un'apertura all'islam, e ha designato il laicismo come pericoloso e ostile. Si tratta davvero di una rivoluzione copernicana del rapporto tra Stato e fede in Francia, i cui esiti sono al momento tutt'altro che scontati. Dal Gatestone Institute.
di Yves Mamou, 25 agosto 2018
Nel libro autobiografico, "Un presidente non dovrebbe dire che...", pubblicato nel 2016 pochi mesi prima delle elezioni presidenziali francesi del 2017, l'allora presidente francese François Hollande ammetteva che la Francia avesse "un problema con l'Islam. Non ci sono dubbi", scriveva. E anche che la Francia avesse un problema con le donne velate in pubblico e con l'immigrazione di massa. Aggiungendo poi: "Come possiamo evitare una spaccatura? Perché è questo dopo tutto ciò che sta accadendo: una spaccatura".
La "spaccatura" di cui parlava Hollande sarebbe la vera e propria partizione della Francia - una parte per i musulmani e un'altra per i non musulmani.
Il successore di Hollande, il presidente Emmanuel Macron eletto nel 2017, sembra considerare questo rischio di spaccatura più come una soluzione. Tenendo conto delle sue esternazioni e delle sue mosse dopo l'incarico, si può dire che la divisione del Paese sia ormai in corso. Ufficialmente, ovviamente, Macron continua a essere il guardiano della Costituzione, che incarna l'unità nazionale. Ma passo dopo passo, sembra profilarsi una strategia di partizione della Francia.
Il primo passo di questo processo di partizione è stato, a quanto pare, creare un nuovo avversario. Per Macron, infatti, l'avversario non è l'Islam radicale, che molti ritengono responsabile per l’uccisione di centinaia di persone in Francia negli ultimi anni, ma il laicismo radicale, che di sicuro non ha mai ucciso nessuno. Nel mese di dicembre 2017, per esempio, un paio di mesi dopo la sua elezione, Macron ha organizzato un incontro con i rappresentanti delle sei confessioni principali (cattolici, protestanti, ortodossi orientali, musulmani, ebrei e buddisti) all'Eliseo. Durante questo incontro Macron avrebbe "criticato duramente la radicalizzazione del laicismo". A parte questa piccola citazione, non è trapelato molto altro da questo incontro - e probabilmente non a caso. Nell'ottobre 2016, prima della sua elezione, Macron aveva denunciato i difensori di "una spietata visione del laicismo". Dopo la sua elezione, tuttavia, il credo presidenziale non è mai cambiato. In base ad esso, l'Islam politico non è un problema; il problema è la resistenza all'Islam.
Per questa strategia - isolare il laicismo e rappresentarlo come il nuovo avversario - Macron aveva bisogno di un alleato. Lo ha trovato facilmente nella Chiesa cattolica, la quale era stata penalizzata in Francia dalla legge del 1905 che sanciva la separazione tra Chiesa e Stato. Nell’aprile 2018 Macron ha accettato l'invito della Conferenza dei Vescovi di Francia, e, nei sontuosi ambienti del collegio dei Bernardini, di fronte a più di 400 esponenti della Chiesa cattolica, il Presidente della Repubblica francese ha pronunciato un discorso erudito e lirico, privo di qualsiasi proposizione al di là di un'allusione a "riparare il legame danneggiato" tra la Chiesa e lo Stato. Alla fine del discorso, i 400 funzionari cattolici si sono alzati in piedi per applaudire.
Nel giugno 2018, Macron ha ribadito il suo proposito con una visita a Papa Francesco in Vaticano, e accettando da lui il titolo ereditario di Protocanonico d’onore della Basilica di San Giovanni in Laterano. Macron ha anche riaffermato la sua volontà di "approfondire i rapporti di amicizia e fiducia con la Santa Sede".
Con questo potente alleato cattolico dalla sua parte, Macron poteva ormai lanciare la seconda fase di quella che sembra la sua strategia di partizione: avviare un processo di rafforzamento dei musulmani in Francia affidando loro la responsabilità delle "politiche urbane", che in Francia è un sinonimo delle politiche di integrazione e assimilazione. Negli ultimi 30 anni, lo Stato francese ha versato 48 miliardi di euro in progetti di rinnovamento nelle periferie svantaggiate che ospitano milioni di immigrati - inclusi milioni di immigrati musulmani di prima, seconda e terza generazione. Tuttavia, sembra che costruire nuovi edifici, nuove strade e nuove reti di trasporto pubblico abbiano prodotto l'effetto opposto a quello desiderato: scontri ricorrenti, aggressioni nelle scuole e nei distretti di polizia, spaccio di droga quasi a ogni angolo, una proliferazione di moschee salafite e più di 1700 jihadisti che sono partiti per arruolarsi nell'ISIS.
Nel maggio 2018, Macron ha giustamente respinto la raccomandazione del Rapporto Borloo di versare altri 48 miliardi di euro per altri 30 anni, poiché questa politica aveva già fallito. Invece di continuare a comprare una (instabile) pace sociale con miliardi di soldi dei contribuenti, Macron ha fatto di meglio: ha creato il "consiglio presidenziale della città", una struttura politica composta principalmente da personalità musulmane (due terzi dei membri totali del consiglio) e rappresentanti delle organizzazioni che lavorano nei sobborghi. Questo organismo ha adesso il compito di monitorare la politica urbana. Non vi è denaro in più ma un "comitato consultivo musulmano" che reindirizza i fondi dalle vecchie politiche. Due agenzie sono coinvolte nel finanziamento del ripristino dei quartieri in "aree urbane sensibili": ANRU (Agenzia nazionale per il rinnovamento urbano) e ACSÉ (Agenzia per la coesione sociale e le pari opportunità). Entrambe queste agenzie saranno presto sostituite dall'Ufficio del Commissario generale per l'uguaglianza territoriale. I fondi destinati alle politiche urbane, dettagliati nel progetto di bilancio, ammontano a 429 milioni di euro per il 2018.
L'idea di affidare la responsabilità delle periferie musulmane alle organizzazioni islamiche non è nuova. Fu formulata per la prima volta dal consigliere di stato Thierry Tuot in un famoso rapporto, "La grande nation: pour une société inclusive” [La grande nazione: per una società inclusiva"], presentata nel 2013 all'allora Primo Ministro Jean-Marc Ayrault. La principale proposta contenuta nella relazione era di assegnare le politiche urbane alle organizzazioni islamiche, limitando il ruolo dello Stato al solo sovvenzionamento.
Per completare questo schema di emancipazione dell'Islam politico in Francia, due clausole legislative sono state approvate nella "Legge per uno Stato al servizio di una società sicura", alla fine di giugno 2018. La prima clausola legislativa ha abolito l'obbligo delle associazioni religiose di dichiararsi come gruppi di pressione. Questa misura apre chiaramente la strada a entità come il movimento dei Fratelli Musulmani per fare pressioni sui membri del Parlamento senza lasciare traccia. La seconda clausola legislativa - contravvenendo alla legge sulla laicità del 1905 - autorizza tutte le organizzazioni religiose ad agire come attori privati nel mercato immobiliare. Secondo il Comité Laïcité République (Comitato per la laicità della Repubblica, CLR), questa clausola legislativa renderebbe impossibile a un comune o una regione appropriarsi di terreni o edifici venduti da una chiesa o da una moschea. "In questo modo, il codice di pianificazione urbanistica e la legge del 1905 verrebbero ad essere modificati a questi fini", ha affermato CLR. In altre parole, viene legalizzato il finanziamento privato da parte delle confessioni.
La terza fase della spaccatura è tuttora in evoluzione. Riguarda il tentativo di costruire un "Islam di Francia" - diverso dal vecchio "Islam in Francia". In altre parole, la Grande Moschea di Parigi potrebbe non essere più considerata come se fosse l'equivalente dell'ambasciata algerina. "A partire da questo autunno, daremo all'Islam un inquadramento e una disciplina che assicuri che questa religione venga praticata in un modo coerente con le leggi della Repubblica", ha detto Macron. Si tratta di una dichiarazione sorprendente perché la tradizione in Francia dalla legge del 1905 - una regola accettata da tutte le religioni tranne l'Islam - è che la religione non può imporre le sue regole sulla società laica. Ora sembra però che sia la Francia a doversi adattare all'Islam.
[caption id="attachment_15953" align="alignnone" width="1024"] La grande moschea di Parigi. (Fonte immagine: LPLT / Wikimedia Commons)[/caption]
Cosa succederà a settembre? Apparentemente il governo intende seguire la stessa strada intrapresa dall'Austria: tagliare i legami finanziari tra le comunità musulmane francesi e i loro paesi di origine (ad esempio Turchia, Algeria, Marocco); creare un'imposta sull’industria dell’halal (con entrate per oltre 6 miliardi di euro l'anno), e quindi utilizzare queste nuove entrate fiscali per formare imam "repubblicani" in Francia.
Il governo sembra inoltre intenzionato a creare una sorta di agenzia nazionale per organizzare pellegrinaggi alla Mecca. Stimato in oltre 250 milioni di euro, il business dei pellegrinaggi è affidato a circa 40 agenzie di viaggio musulmane autorizzate dal Ministero dell'Hajj dell'Arabia Saudita a ricevere le loro quote di visti. Sembra che molte agenzie di viaggio musulmane operino illegalmente e facciano pagare prezzi esorbitanti per un pessimo servizio. Quindi, Macron dovrebbe riformare e dare al sistema una sembianza di "normalità". Sono questi l’"inquadramento" e la "disciplina" di cui parla Macron.
La domanda sorge però spontanea: chi dirigerà e gestirà questo inquadramento? La Fratellanza Musulmana, l'organizzazione più potente, che controlla più di 2.000 moschee in Francia? O un nuovo organismo di vigilanza composto da tecnocrati musulmani vicini al presidente ma senza legami con moschee, imam e la comunità musulmana organizzata in generale? Lo sapremo presto. Inoltre, circola voce che Tareq Oubrou, un imam di Bordeaux, e noto per essere una figura di spicco della Fratellanza Musulmana, potrebbe diventare "Grand Imam di France".
Ma è compito dello Stato laico francese organizzare i musulmani e addestrare imam "repubblicani"? No, neanche per sogno. È normale che due terzi degli imam in servizio in Francia non parlino correntemente il francese? Ed è possibile addestrare gli imam islamisti alla maniera "repubblicana"? Magari sì, ma a quale scopo? L'imam di Brest in Bretagna è diventato famoso per un video nel quale spiegava ai bambini che la musica potrebbe trasformare chi la ascolta in un maiale o una scimmia, e si è filmato mentre beveva urina di cammello; è scritto in un Hadith che l'urina di cammello avrebbe proprietà medicinali. Nel 2017, lo stesso imam di Brest si è laureato, come "referente laico" - ossia, un islamista informato su aspetti della laicità, ma senza alcun obbligo di rispettarla - all'Università di Rennes in Bretagna.
Nel 1627 il cardinale de Richelieu, primo ministro del re Luigi XIII, aveva preso d'assalto la città di La Rochelle nel sud-ovest della Francia allo scopo di riportare i protestanti in Francia. Ora, nel 2018, Macron si dà da fare in tutti i modi per aiutare i musulmani francesi allo scopo di riportare l’Islam in Francia.
Yves Mamou, autore e giornalista basato in Francia, ha lavorato per un ventennio come giornalista per Le Monde. Il suo prossimo libro, "Le grand abandon, les élites françaises et l'islamisme" (Il grande abbandono, l'élite francese e l'islamismo) sarà pubblicato ad ottobre 2018.
di Yves Mamou, 25 agosto 2018
Nel libro autobiografico, "Un presidente non dovrebbe dire che...", pubblicato nel 2016 pochi mesi prima delle elezioni presidenziali francesi del 2017, l'allora presidente francese François Hollande ammetteva che la Francia avesse "un problema con l'Islam. Non ci sono dubbi", scriveva. E anche che la Francia avesse un problema con le donne velate in pubblico e con l'immigrazione di massa. Aggiungendo poi: "Come possiamo evitare una spaccatura? Perché è questo dopo tutto ciò che sta accadendo: una spaccatura".
La "spaccatura" di cui parlava Hollande sarebbe la vera e propria partizione della Francia - una parte per i musulmani e un'altra per i non musulmani.
Il successore di Hollande, il presidente Emmanuel Macron eletto nel 2017, sembra considerare questo rischio di spaccatura più come una soluzione. Tenendo conto delle sue esternazioni e delle sue mosse dopo l'incarico, si può dire che la divisione del Paese sia ormai in corso. Ufficialmente, ovviamente, Macron continua a essere il guardiano della Costituzione, che incarna l'unità nazionale. Ma passo dopo passo, sembra profilarsi una strategia di partizione della Francia.
Il primo passo di questo processo di partizione è stato, a quanto pare, creare un nuovo avversario. Per Macron, infatti, l'avversario non è l'Islam radicale, che molti ritengono responsabile per l’uccisione di centinaia di persone in Francia negli ultimi anni, ma il laicismo radicale, che di sicuro non ha mai ucciso nessuno. Nel mese di dicembre 2017, per esempio, un paio di mesi dopo la sua elezione, Macron ha organizzato un incontro con i rappresentanti delle sei confessioni principali (cattolici, protestanti, ortodossi orientali, musulmani, ebrei e buddisti) all'Eliseo. Durante questo incontro Macron avrebbe "criticato duramente la radicalizzazione del laicismo". A parte questa piccola citazione, non è trapelato molto altro da questo incontro - e probabilmente non a caso. Nell'ottobre 2016, prima della sua elezione, Macron aveva denunciato i difensori di "una spietata visione del laicismo". Dopo la sua elezione, tuttavia, il credo presidenziale non è mai cambiato. In base ad esso, l'Islam politico non è un problema; il problema è la resistenza all'Islam.
Per questa strategia - isolare il laicismo e rappresentarlo come il nuovo avversario - Macron aveva bisogno di un alleato. Lo ha trovato facilmente nella Chiesa cattolica, la quale era stata penalizzata in Francia dalla legge del 1905 che sanciva la separazione tra Chiesa e Stato. Nell’aprile 2018 Macron ha accettato l'invito della Conferenza dei Vescovi di Francia, e, nei sontuosi ambienti del collegio dei Bernardini, di fronte a più di 400 esponenti della Chiesa cattolica, il Presidente della Repubblica francese ha pronunciato un discorso erudito e lirico, privo di qualsiasi proposizione al di là di un'allusione a "riparare il legame danneggiato" tra la Chiesa e lo Stato. Alla fine del discorso, i 400 funzionari cattolici si sono alzati in piedi per applaudire.
Nel giugno 2018, Macron ha ribadito il suo proposito con una visita a Papa Francesco in Vaticano, e accettando da lui il titolo ereditario di Protocanonico d’onore della Basilica di San Giovanni in Laterano. Macron ha anche riaffermato la sua volontà di "approfondire i rapporti di amicizia e fiducia con la Santa Sede".
Con questo potente alleato cattolico dalla sua parte, Macron poteva ormai lanciare la seconda fase di quella che sembra la sua strategia di partizione: avviare un processo di rafforzamento dei musulmani in Francia affidando loro la responsabilità delle "politiche urbane", che in Francia è un sinonimo delle politiche di integrazione e assimilazione. Negli ultimi 30 anni, lo Stato francese ha versato 48 miliardi di euro in progetti di rinnovamento nelle periferie svantaggiate che ospitano milioni di immigrati - inclusi milioni di immigrati musulmani di prima, seconda e terza generazione. Tuttavia, sembra che costruire nuovi edifici, nuove strade e nuove reti di trasporto pubblico abbiano prodotto l'effetto opposto a quello desiderato: scontri ricorrenti, aggressioni nelle scuole e nei distretti di polizia, spaccio di droga quasi a ogni angolo, una proliferazione di moschee salafite e più di 1700 jihadisti che sono partiti per arruolarsi nell'ISIS.
Nel maggio 2018, Macron ha giustamente respinto la raccomandazione del Rapporto Borloo di versare altri 48 miliardi di euro per altri 30 anni, poiché questa politica aveva già fallito. Invece di continuare a comprare una (instabile) pace sociale con miliardi di soldi dei contribuenti, Macron ha fatto di meglio: ha creato il "consiglio presidenziale della città", una struttura politica composta principalmente da personalità musulmane (due terzi dei membri totali del consiglio) e rappresentanti delle organizzazioni che lavorano nei sobborghi. Questo organismo ha adesso il compito di monitorare la politica urbana. Non vi è denaro in più ma un "comitato consultivo musulmano" che reindirizza i fondi dalle vecchie politiche. Due agenzie sono coinvolte nel finanziamento del ripristino dei quartieri in "aree urbane sensibili": ANRU (Agenzia nazionale per il rinnovamento urbano) e ACSÉ (Agenzia per la coesione sociale e le pari opportunità). Entrambe queste agenzie saranno presto sostituite dall'Ufficio del Commissario generale per l'uguaglianza territoriale. I fondi destinati alle politiche urbane, dettagliati nel progetto di bilancio, ammontano a 429 milioni di euro per il 2018.
L'idea di affidare la responsabilità delle periferie musulmane alle organizzazioni islamiche non è nuova. Fu formulata per la prima volta dal consigliere di stato Thierry Tuot in un famoso rapporto, "La grande nation: pour une société inclusive” [La grande nazione: per una società inclusiva"], presentata nel 2013 all'allora Primo Ministro Jean-Marc Ayrault. La principale proposta contenuta nella relazione era di assegnare le politiche urbane alle organizzazioni islamiche, limitando il ruolo dello Stato al solo sovvenzionamento.
Per completare questo schema di emancipazione dell'Islam politico in Francia, due clausole legislative sono state approvate nella "Legge per uno Stato al servizio di una società sicura", alla fine di giugno 2018. La prima clausola legislativa ha abolito l'obbligo delle associazioni religiose di dichiararsi come gruppi di pressione. Questa misura apre chiaramente la strada a entità come il movimento dei Fratelli Musulmani per fare pressioni sui membri del Parlamento senza lasciare traccia. La seconda clausola legislativa - contravvenendo alla legge sulla laicità del 1905 - autorizza tutte le organizzazioni religiose ad agire come attori privati nel mercato immobiliare. Secondo il Comité Laïcité République (Comitato per la laicità della Repubblica, CLR), questa clausola legislativa renderebbe impossibile a un comune o una regione appropriarsi di terreni o edifici venduti da una chiesa o da una moschea. "In questo modo, il codice di pianificazione urbanistica e la legge del 1905 verrebbero ad essere modificati a questi fini", ha affermato CLR. In altre parole, viene legalizzato il finanziamento privato da parte delle confessioni.
La terza fase della spaccatura è tuttora in evoluzione. Riguarda il tentativo di costruire un "Islam di Francia" - diverso dal vecchio "Islam in Francia". In altre parole, la Grande Moschea di Parigi potrebbe non essere più considerata come se fosse l'equivalente dell'ambasciata algerina. "A partire da questo autunno, daremo all'Islam un inquadramento e una disciplina che assicuri che questa religione venga praticata in un modo coerente con le leggi della Repubblica", ha detto Macron. Si tratta di una dichiarazione sorprendente perché la tradizione in Francia dalla legge del 1905 - una regola accettata da tutte le religioni tranne l'Islam - è che la religione non può imporre le sue regole sulla società laica. Ora sembra però che sia la Francia a doversi adattare all'Islam.
[caption id="attachment_15953" align="alignnone" width="1024"] La grande moschea di Parigi. (Fonte immagine: LPLT / Wikimedia Commons)[/caption]
Cosa succederà a settembre? Apparentemente il governo intende seguire la stessa strada intrapresa dall'Austria: tagliare i legami finanziari tra le comunità musulmane francesi e i loro paesi di origine (ad esempio Turchia, Algeria, Marocco); creare un'imposta sull’industria dell’halal (con entrate per oltre 6 miliardi di euro l'anno), e quindi utilizzare queste nuove entrate fiscali per formare imam "repubblicani" in Francia.
Il governo sembra inoltre intenzionato a creare una sorta di agenzia nazionale per organizzare pellegrinaggi alla Mecca. Stimato in oltre 250 milioni di euro, il business dei pellegrinaggi è affidato a circa 40 agenzie di viaggio musulmane autorizzate dal Ministero dell'Hajj dell'Arabia Saudita a ricevere le loro quote di visti. Sembra che molte agenzie di viaggio musulmane operino illegalmente e facciano pagare prezzi esorbitanti per un pessimo servizio. Quindi, Macron dovrebbe riformare e dare al sistema una sembianza di "normalità". Sono questi l’"inquadramento" e la "disciplina" di cui parla Macron.
La domanda sorge però spontanea: chi dirigerà e gestirà questo inquadramento? La Fratellanza Musulmana, l'organizzazione più potente, che controlla più di 2.000 moschee in Francia? O un nuovo organismo di vigilanza composto da tecnocrati musulmani vicini al presidente ma senza legami con moschee, imam e la comunità musulmana organizzata in generale? Lo sapremo presto. Inoltre, circola voce che Tareq Oubrou, un imam di Bordeaux, e noto per essere una figura di spicco della Fratellanza Musulmana, potrebbe diventare "Grand Imam di France".
Ma è compito dello Stato laico francese organizzare i musulmani e addestrare imam "repubblicani"? No, neanche per sogno. È normale che due terzi degli imam in servizio in Francia non parlino correntemente il francese? Ed è possibile addestrare gli imam islamisti alla maniera "repubblicana"? Magari sì, ma a quale scopo? L'imam di Brest in Bretagna è diventato famoso per un video nel quale spiegava ai bambini che la musica potrebbe trasformare chi la ascolta in un maiale o una scimmia, e si è filmato mentre beveva urina di cammello; è scritto in un Hadith che l'urina di cammello avrebbe proprietà medicinali. Nel 2017, lo stesso imam di Brest si è laureato, come "referente laico" - ossia, un islamista informato su aspetti della laicità, ma senza alcun obbligo di rispettarla - all'Università di Rennes in Bretagna.
Nel 1627 il cardinale de Richelieu, primo ministro del re Luigi XIII, aveva preso d'assalto la città di La Rochelle nel sud-ovest della Francia allo scopo di riportare i protestanti in Francia. Ora, nel 2018, Macron si dà da fare in tutti i modi per aiutare i musulmani francesi allo scopo di riportare l’Islam in Francia.
Yves Mamou, autore e giornalista basato in Francia, ha lavorato per un ventennio come giornalista per Le Monde. Il suo prossimo libro, "Le grand abandon, les élites françaises et l'islamisme" (Il grande abbandono, l'élite francese e l'islamismo) sarà pubblicato ad ottobre 2018.
14/09/18
Jeffrey Sachs – La guerra in Siria spiegata in due minuti
Zero Hedge presenta un estratto di due minuti in cui Jeffrey Sachs della Columbia University espone il ruolo degli Stati Uniti nella guerra in Siria in un modo inusuale per una trasmissione della MSNBC, uno dei canali televisivi mainstream. La guerra iniziata dal “premio Nobel per la pace” Obama dura già da sette anni, ed è un enorme sforzo bellico supportato dalla CIA e dal Pentagono, mai discusso davanti al Congresso e all’opinione pubblica americana. Nonostante Trump abbia manifestato “l’istinto” di tirare gli Stati Uniti fuori da quel caos, finora si è piegato allo "Stato permanente" dell'establishment.
di Zero Hedge, 11 settembre 201
L’ultima volta che il presidente Trump ha lanciato un massiccio attacco contro la Siria, nell’aprile 2018, Jeffrey Sachs è andato al programma Morning Joe della MSNBC, proprio due giorni prima dell’attacco, per dare all’opinione pubblica americana una prospettiva che non avevano mai sentito esporre su nessuno dei maggiori canali televisivi.
Cosa importante, Sachs non è un signor nessuno che fa il blogger né un ignoto editorialista, ma un rinomato professore della Columbia University, con una carriera accademica ad Harvard, che ha vinto numerosi riconoscimenti e presta servizio come consigliere economico speciale alle Nazioni Unite.
Durante il programma, Sachs sembra aver scioccato i conduttori con una erudita analisi di come la lunga guerra in Siria, che dura ormai da sette anni, sia stata portata avanti essenzialmente come un silenzioso cambio di regime da parte dell’Occidente e dei suoi alleati sul Golfo – un tema raro o del tutto inedito per questo programma televisivo.
Nel giro di soli due minuti Sachs ha fatto un riassunto di come l’amministrazione Trump abbia – e lo sta facendo ancora adesso – diffuso affermazioni del tutto infondate su un attacco chimico di Assad contro i civili per preparare l’opinione pubblica a un intervento militare.
Durante il programma sulla MSNBC Sachs ha dichiarato:
"Sappiamo che hanno inviato la CIA allo scopo di rovesciare Assad. La CIA e l’Arabia Saudita assieme, in operazioni segrete, hanno cercato di rovesciare Assad. È stato un disastro.
Alla fine questo ha fatto intervenire sia l’ISIS, come gruppo scissionista rispetto agli jihadisti già presenti, sia la Russia.
E così abbiamo continuato a scavare, scavare e scavare. Ciò che dovremmo fare adesso è andarcene di lì, smetterla di lanciare i missili, evitare lo scontro con la Russia..."
Oggi ci troviamo praticamente nella stessa identica situazione di sei mesi fa, con la stessa guerra di parole tra Stati Uniti e Russia, con il potenziale di una “provocazione chimica” a Idlib, in Siria, che potrebbe innescare una pericolosa escalation verso la terza guerra mondiale, e le parole di Jeffrey Sachs sono oggi più che mai significative.
Ecco come si spiegano le cause della guerra in Siria in due minuti…
Trascrizione tradotta dei due minuti del discorso di Sachs:
“Questo è un errore degli Stati Uniti che è iniziato sette anni fa. Ricordo il giorno in cui il presidente Obama disse ‘Assad se ne deve andare’. Ero in questo stesso show. Lo guardai e dissi: ‘Ah, come intende fare? Con quale politica?’. E sappiamo che hanno inviato la CIA per rovesciare Assad. La CIA e l’Arabia Saudita, assieme, in operazioni segrete per cercare di rovesciare Assad. È stato un disastro. Alla fine questo ha fatto intervenire sia l’ISIS, come gruppo scissionista rispetto agli jihadisti già presenti, sia la Russia. E così abbiamo continuato a scavare, scavare e scavare. Ciò che dovremmo fare adesso è andarcene di lì, smetterla di lanciare i missili, evitare lo scontro con la Russia. Sette anni sono stati un disastro, sotto Obama, ed è continuata con Trump. Questo è ciò che definirei lo ‘Stato permanente’, questa è la CIA, è il Pentagono, che vogliono tenere la Russia fuori dalla Siria. Ma non c’è modo di farlo. E così abbiamo fatto una guerra per procura in Siria, sono state uccise 500.000 persone e fatti 10 milioni di profughi, e posso dire che tutto questo era prevedibile, perché lo avevo previsto sette anni fa, che gli obiettivi non sarebbero stati raggiunti e che si sarebbe generato un caos totale. Quindi ciò di cui vorrei pregare il presidente Trump è che ci tirari fuori di lì, come il suo istinto gli diceva di fare, peraltro. Era il suo istinto, ma poi c’è tutto l’establishment, il New York Times, il Washington Post, il Pentagono, tutti dicevano: ‘No, no, sarebbe irresponsabile’. Ma il suo istinto è quello giusto: andarsene. Abbiamo già fatto abbastanza danni per sette anni, e adesso rischiamo seriamente uno scontro con la Russia.”
Nell’intervista completa Sachs ha poi sintetizzato così:
“Tutto questo è accaduto a causa nostra… Abbiamo iniziato una guerra per rovesciare un regime. È stata un’operazione sotto copertura… un grosso sforzo bellico avvolto nella segretezza, mai discusso davanti al Congresso, mai spiegato al popolo americano… E questo ha generato il caso, e adesso continuare a lanciare altri missili non è la risposta giusta”.
Ha poi insistito:
“Questa è la CIA, è il Pentagono, che vogliono tenere la Russia fuori dalla Siria. Ma non c’è modo di farlo. E così abbiamo fatto una guerra per procura, sono state uccise 500.000 persone e fatti 10 milioni di profughi, e posso dire che tutto questo era prevedibile”.
di Zero Hedge, 11 settembre 201
L’ultima volta che il presidente Trump ha lanciato un massiccio attacco contro la Siria, nell’aprile 2018, Jeffrey Sachs è andato al programma Morning Joe della MSNBC, proprio due giorni prima dell’attacco, per dare all’opinione pubblica americana una prospettiva che non avevano mai sentito esporre su nessuno dei maggiori canali televisivi.
Cosa importante, Sachs non è un signor nessuno che fa il blogger né un ignoto editorialista, ma un rinomato professore della Columbia University, con una carriera accademica ad Harvard, che ha vinto numerosi riconoscimenti e presta servizio come consigliere economico speciale alle Nazioni Unite.
Durante il programma, Sachs sembra aver scioccato i conduttori con una erudita analisi di come la lunga guerra in Siria, che dura ormai da sette anni, sia stata portata avanti essenzialmente come un silenzioso cambio di regime da parte dell’Occidente e dei suoi alleati sul Golfo – un tema raro o del tutto inedito per questo programma televisivo.
Nel giro di soli due minuti Sachs ha fatto un riassunto di come l’amministrazione Trump abbia – e lo sta facendo ancora adesso – diffuso affermazioni del tutto infondate su un attacco chimico di Assad contro i civili per preparare l’opinione pubblica a un intervento militare.
Durante il programma sulla MSNBC Sachs ha dichiarato:
"Sappiamo che hanno inviato la CIA allo scopo di rovesciare Assad. La CIA e l’Arabia Saudita assieme, in operazioni segrete, hanno cercato di rovesciare Assad. È stato un disastro.
Alla fine questo ha fatto intervenire sia l’ISIS, come gruppo scissionista rispetto agli jihadisti già presenti, sia la Russia.
E così abbiamo continuato a scavare, scavare e scavare. Ciò che dovremmo fare adesso è andarcene di lì, smetterla di lanciare i missili, evitare lo scontro con la Russia..."
Oggi ci troviamo praticamente nella stessa identica situazione di sei mesi fa, con la stessa guerra di parole tra Stati Uniti e Russia, con il potenziale di una “provocazione chimica” a Idlib, in Siria, che potrebbe innescare una pericolosa escalation verso la terza guerra mondiale, e le parole di Jeffrey Sachs sono oggi più che mai significative.
Ecco come si spiegano le cause della guerra in Siria in due minuti…
2 minutes of truth about US intervention in Syria from Jeffrey Sachs @JeffDSachs is worth more than 98 percent of the bullshit we are hearing on TV -- worth clicking on this: pic.twitter.com/T503g2oL1d
— Mark Weisbrot (@MarkWeisbrot) 12 aprile 2018
Trascrizione tradotta dei due minuti del discorso di Sachs:
“Questo è un errore degli Stati Uniti che è iniziato sette anni fa. Ricordo il giorno in cui il presidente Obama disse ‘Assad se ne deve andare’. Ero in questo stesso show. Lo guardai e dissi: ‘Ah, come intende fare? Con quale politica?’. E sappiamo che hanno inviato la CIA per rovesciare Assad. La CIA e l’Arabia Saudita, assieme, in operazioni segrete per cercare di rovesciare Assad. È stato un disastro. Alla fine questo ha fatto intervenire sia l’ISIS, come gruppo scissionista rispetto agli jihadisti già presenti, sia la Russia. E così abbiamo continuato a scavare, scavare e scavare. Ciò che dovremmo fare adesso è andarcene di lì, smetterla di lanciare i missili, evitare lo scontro con la Russia. Sette anni sono stati un disastro, sotto Obama, ed è continuata con Trump. Questo è ciò che definirei lo ‘Stato permanente’, questa è la CIA, è il Pentagono, che vogliono tenere la Russia fuori dalla Siria. Ma non c’è modo di farlo. E così abbiamo fatto una guerra per procura in Siria, sono state uccise 500.000 persone e fatti 10 milioni di profughi, e posso dire che tutto questo era prevedibile, perché lo avevo previsto sette anni fa, che gli obiettivi non sarebbero stati raggiunti e che si sarebbe generato un caos totale. Quindi ciò di cui vorrei pregare il presidente Trump è che ci tirari fuori di lì, come il suo istinto gli diceva di fare, peraltro. Era il suo istinto, ma poi c’è tutto l’establishment, il New York Times, il Washington Post, il Pentagono, tutti dicevano: ‘No, no, sarebbe irresponsabile’. Ma il suo istinto è quello giusto: andarsene. Abbiamo già fatto abbastanza danni per sette anni, e adesso rischiamo seriamente uno scontro con la Russia.”
Nell’intervista completa Sachs ha poi sintetizzato così:
“Tutto questo è accaduto a causa nostra… Abbiamo iniziato una guerra per rovesciare un regime. È stata un’operazione sotto copertura… un grosso sforzo bellico avvolto nella segretezza, mai discusso davanti al Congresso, mai spiegato al popolo americano… E questo ha generato il caso, e adesso continuare a lanciare altri missili non è la risposta giusta”.
Ha poi insistito:
“Questa è la CIA, è il Pentagono, che vogliono tenere la Russia fuori dalla Siria. Ma non c’è modo di farlo. E così abbiamo fatto una guerra per procura, sono state uccise 500.000 persone e fatti 10 milioni di profughi, e posso dire che tutto questo era prevedibile”.
12/09/18
Il Parlamento europeo minaccia Internet con una catastrofica legge sul copyright
Come sempre accade, la UE applica il ben noto metodo-Juncker. Anche la legge sul copyright - la direttiva liberticida presentata a luglio e bocciata causa le numerose e forti proteste dal mondo del web - viene riproposta con pochi cambiamenti cosmetici, finché non verrà approvata, in barba alla logica e alla volontà popolare. La narrazione mainstream vuole che si tratti di regole per limitare lo strapotere delle major come Google e Facebook, nella realtà si tratta di burocrazia e di costi fissi che limiteranno la libera circolazione delle informazioni sulla rete facendo scomparire gli attori piccoli e medi – come anche noi di Voci dall’Estero.
Di Rhett Jones, 12 settembre 2018
I membri del Parlamento Europeo oggi hanno votato a favore di una profonda revisione delle leggi sul copyright dell’Unione europea, compresi due articoli controversi che minacciano di mettere ancora più potere nelle mani delle aziende tecnologiche più ricche e, in generale, di compromettere internet.
Complessivamente, i Parlamentari hanno votato a favore della Direttiva UE sui diritti d’autore con una forte maggioranza, di 438 a 226. Ma il processo non è finito. Ci sono diverse altre procedure parlamentari da superare, e i singoli paesi dovranno poi decidere come intenderanno applicare le regole. Questo è in parte il motivo per cui è così difficile suscitare il pubblico interesse sulla questione.
Quest’estate era sorto un movimento di opposizione alla legge, culminato con la decisione del Parlamento di prendere in esame degli emendamenti nel mese di luglio. Molti pensavano che il peggio fosse scongiurato. Ma si sbagliavano – capitemi bene, il voto di oggi in favore della direttiva avrà pesanti conseguenze.
Le questioni più spinose della legge riguardano gli articoli 11 e 13, rispettivamente noti come la “tassa sul link” e il “filtro di upload" .
In breve, la tassa sul link dovrebbe limitare lo strapotere di piattaforme giganti come Google e Facebook, imponendo loro di pagare i mezzi di informazione per il diritto di linkare o citare gli articoli da loro provenienti. Ma i critici dicono che questa regola colpirà per lo più i siti web più piccoli che non possono permettersi di pagare la tassa, mentre i giganti tecnologici potranno facilmente pagarla o semplicemente decidere di non mettere il link al mezzo di informazione. Quest’ultimo caso si è già verificato quando questa regola è stata sperimentata in Spagna. Oltre a inibire la diffusione delle notizie, la tassa sul link potrebbe rendere quasi impossibile a Wikipedia e ad altre fonti di istruzione non-profit continuare con il loro lavoro, tutto basato su link e citazioni.
La parte della legge che riguarda il filtro di upload richiede che tutte le piattaforme, escluse le piccole e micro imprese, usino un sistema di content ID per prevenire che materiale protetto da copyright venga caricato sui siti. I siti dovranno affrontare eventuali penali di copyright nel caso in cui qualche materiale di questo tipo superi il filtro. Dal momento che perfino i migliori sistemi di filtro, come quelli di YouTube, sono tuttora scarsissimi, secondo i critici l’inevitabile conseguenza sarà un filtro eccessivo applicato a tappeto. Il riutilizzo e la condivisione di materiale di pubblico dominio e altri usi appropriati diverrebbero facilmente vittime delle piattaforme, che preferirebbero andare sul sicuro, escludere i contenuti dubbi, ed evitare le battaglie legali. I troll dei diritti d’autore potrebbero verosimilmente rivendicare in maniera fraudolenta la proprietà intellettuale di alcuni contenuti, con pochi ricorsi da parte delle vittime.
Abbiamo analizzato più in dettaglio tutte le implicazioni della direttiva sul diritto d’autore, ma il punto fondamentale è che è talmente intrisa di espressioni vaghe e vicoli ciechi che ci è impossibile dire quali saranno le sue conseguenze. Joe McNamee, direttore esecutivo per l’associazione dei diritti digitali EDRi, ha dichiarato recentemente a The Verge: ”La norma è talmente complicata che venerdì il comitato per gli affari legali [del Parlamento europeo] ha twittato una valutazione errata di ciò che sta accadendo. Se non capiscono loro le regole, come possiamo sperare di farlo noi?”. Mentre ci accingiamo a vivere una vita parallela online, una legislazione di questo genere è molto pericolosa.
In una dichiarazione resa a Gizmodo, Julia Reda, membro del Parlamento europeo, ha dichiarato che “Sfortunatamente, tutte le preoccupazioni sollevate da accademici, esperti e utenti di internet che hanno portato alla bocciatura del testo lo scorso luglio, rimangono tuttora valide”. La Reda ha dichiarato che la UE si affida a delle “pie illusioni” anziché affrontare gli evidenti problemi della direttiva. La sua valutazione complessiva del voto è stata schietta: “La decisione di oggi è un duro colpo a un internet libero e aperto. Applicando nuovi limiti legali e tecnici a quanto viene inviato e condiviso online, il Parlamento europeo mette i profitti delle multinazionali davanti alla libertà di espressione e abbandona i principi che per lungo tempo avevano fatto di internet quello che è oggi”.
A gennaio è prevista una nuova votazione, ma la Reda crede che la decisione finale verrà presa la prossima primavera. Nel caso in cui la legge venisse confermata, di sicuro sarà concesso un po’ di tempo alle piattaforme per la sua implementazione. Come abbiamo visto nel caso della legge UE GDPR sulla privacy, molte piattaforme importanti sono state oscurate quando questa è divenuta operativa, anche se avevano avuto due anni di preavviso. I cittadini UE che si oppongono a questa legge sbagliata non devono pensare che la questione è chiusa, ma rendersi conto che nei mesi a venire sarà necessaria moltissima pressione per risolvere questo pasticcio.
Di Rhett Jones, 12 settembre 2018
I membri del Parlamento Europeo oggi hanno votato a favore di una profonda revisione delle leggi sul copyright dell’Unione europea, compresi due articoli controversi che minacciano di mettere ancora più potere nelle mani delle aziende tecnologiche più ricche e, in generale, di compromettere internet.
Complessivamente, i Parlamentari hanno votato a favore della Direttiva UE sui diritti d’autore con una forte maggioranza, di 438 a 226. Ma il processo non è finito. Ci sono diverse altre procedure parlamentari da superare, e i singoli paesi dovranno poi decidere come intenderanno applicare le regole. Questo è in parte il motivo per cui è così difficile suscitare il pubblico interesse sulla questione.
Quest’estate era sorto un movimento di opposizione alla legge, culminato con la decisione del Parlamento di prendere in esame degli emendamenti nel mese di luglio. Molti pensavano che il peggio fosse scongiurato. Ma si sbagliavano – capitemi bene, il voto di oggi in favore della direttiva avrà pesanti conseguenze.
Le questioni più spinose della legge riguardano gli articoli 11 e 13, rispettivamente noti come la “tassa sul link” e il “filtro di upload" .
In breve, la tassa sul link dovrebbe limitare lo strapotere di piattaforme giganti come Google e Facebook, imponendo loro di pagare i mezzi di informazione per il diritto di linkare o citare gli articoli da loro provenienti. Ma i critici dicono che questa regola colpirà per lo più i siti web più piccoli che non possono permettersi di pagare la tassa, mentre i giganti tecnologici potranno facilmente pagarla o semplicemente decidere di non mettere il link al mezzo di informazione. Quest’ultimo caso si è già verificato quando questa regola è stata sperimentata in Spagna. Oltre a inibire la diffusione delle notizie, la tassa sul link potrebbe rendere quasi impossibile a Wikipedia e ad altre fonti di istruzione non-profit continuare con il loro lavoro, tutto basato su link e citazioni.
La parte della legge che riguarda il filtro di upload richiede che tutte le piattaforme, escluse le piccole e micro imprese, usino un sistema di content ID per prevenire che materiale protetto da copyright venga caricato sui siti. I siti dovranno affrontare eventuali penali di copyright nel caso in cui qualche materiale di questo tipo superi il filtro. Dal momento che perfino i migliori sistemi di filtro, come quelli di YouTube, sono tuttora scarsissimi, secondo i critici l’inevitabile conseguenza sarà un filtro eccessivo applicato a tappeto. Il riutilizzo e la condivisione di materiale di pubblico dominio e altri usi appropriati diverrebbero facilmente vittime delle piattaforme, che preferirebbero andare sul sicuro, escludere i contenuti dubbi, ed evitare le battaglie legali. I troll dei diritti d’autore potrebbero verosimilmente rivendicare in maniera fraudolenta la proprietà intellettuale di alcuni contenuti, con pochi ricorsi da parte delle vittime.
Abbiamo analizzato più in dettaglio tutte le implicazioni della direttiva sul diritto d’autore, ma il punto fondamentale è che è talmente intrisa di espressioni vaghe e vicoli ciechi che ci è impossibile dire quali saranno le sue conseguenze. Joe McNamee, direttore esecutivo per l’associazione dei diritti digitali EDRi, ha dichiarato recentemente a The Verge: ”La norma è talmente complicata che venerdì il comitato per gli affari legali [del Parlamento europeo] ha twittato una valutazione errata di ciò che sta accadendo. Se non capiscono loro le regole, come possiamo sperare di farlo noi?”. Mentre ci accingiamo a vivere una vita parallela online, una legislazione di questo genere è molto pericolosa.
In una dichiarazione resa a Gizmodo, Julia Reda, membro del Parlamento europeo, ha dichiarato che “Sfortunatamente, tutte le preoccupazioni sollevate da accademici, esperti e utenti di internet che hanno portato alla bocciatura del testo lo scorso luglio, rimangono tuttora valide”. La Reda ha dichiarato che la UE si affida a delle “pie illusioni” anziché affrontare gli evidenti problemi della direttiva. La sua valutazione complessiva del voto è stata schietta: “La decisione di oggi è un duro colpo a un internet libero e aperto. Applicando nuovi limiti legali e tecnici a quanto viene inviato e condiviso online, il Parlamento europeo mette i profitti delle multinazionali davanti alla libertà di espressione e abbandona i principi che per lungo tempo avevano fatto di internet quello che è oggi”.
A gennaio è prevista una nuova votazione, ma la Reda crede che la decisione finale verrà presa la prossima primavera. Nel caso in cui la legge venisse confermata, di sicuro sarà concesso un po’ di tempo alle piattaforme per la sua implementazione. Come abbiamo visto nel caso della legge UE GDPR sulla privacy, molte piattaforme importanti sono state oscurate quando questa è divenuta operativa, anche se avevano avuto due anni di preavviso. I cittadini UE che si oppongono a questa legge sbagliata non devono pensare che la questione è chiusa, ma rendersi conto che nei mesi a venire sarà necessaria moltissima pressione per risolvere questo pasticcio.