Ricevo e volentieri pubblico un articolo apparso su History and philosophy of the life sciences
in cui si evidenzia come, nella risposte alla pandemia di COVID-19, la maggior
parte delle democrazie abbia fatto affidamento sulle cosiddette politiche
“basate sull’evidenza”, in cui l’onere della giustificazione è demandato alla
scienza. Tuttavia, argomentano gli Autori, le scienze biomediche forniscono
delle evidenze impregnate di presupposti teorici e spesso vi è carenza di dati
statistici affidabili a supporto delle misure adottate. Pertanto l’evidenza
scientifica non può da sola legittimare le misure di sanità pubblica attuate
nel corso della pandemia, che sono, in definitiva, basate su decisioni politiche.
Per evitare il rischio di arbitrarietà, dunque, le decisioni necessitano di uno scrutinio
democratico maggiore e non, come è accaduto, minore.
di Giorgio Airoldi* e
Davide Vecchi**, 23 giugno 2021
* Facultad de Filosofía, Departamento de Lógica, Historia y Filosofía de La Ciencia, UNED, Paseo de la Senda del Rey 7, 28040 Madrid, Spain
** Centro de Filosofia das Ciencias, Departamento de História e Filosofia das Ciencias, Faculdade de Ciencias, Universidade de Lisboa, 1749‑016 Lisboa, Portugal
Segnalazione e traduzione di Rosa Anselmi
1 -
Introduzione
Quando è scoppiata la pandemia di COVID-19, i decisori hanno
avallato un approccio precauzionale per giustificare le politiche di lockdown,
i cui effetti erano ampiamente ignoti alle società democratiche. Man mano che
prendevano piede le successive ondate infettive, i governi hanno introdotto
politiche più mirate nel tentativo di ridurre l'impatto sociale dei lockdown.
Concentrandosi su una serie di indicatori epidemiologici e sanitari (come tasso
di mortalità, tasso di infezione, numero di riproduzione, tasso di positività,
ricoveri in terapia intensiva, ecc.) le evidenze alla base del processo
decisionale sono state gradualmente affinate. Tuttavia, la definizione di tali
indicatori non è priva di presupposti teorici e sono generalmente pochi i dati
affidabili che collegano tali indicatori ai risultati delle politiche.
Banalmente, ma da notare, ciò significa che non esiste una conoscenza
scientifica oggettiva, priva di presupposti teorici, da cui derivino
automaticamente le strategie politiche. In effetti, le misure adottate sono
fondamentalmente basate su decisioni politiche che dovrebbero essere, in quanto
tali, esaminate a fondo. È per questa ragione che l'attuale erosione degli
standard di controllo democratico è potenzialmente dannosa.
2 - L’evidenza usata nelle decisioni politiche è impregnata
di convinzioni teoriche ad ogni livello di analisi
I concetti
di tasso di mortalità e di infezione sono stati centrali nella politica di
salute pubblica (Verity, 2020). Lungi dall'essere determinati da una conoscenza
biomedica priva di teoria, questi concetti sono definiti sul piano operativo,
una procedura metodologica che richiede scelte teoretiche. Non è sorprendente,
quindi, che le metodologie per stimare i tassi di mortalità del COVID-19
rimangano non standardizzate. Nel luglio 2020, ad esempio, Public Health
England ha deciso di
ridurre da 60 a 28 giorni il lasso di tempo intercorrente tra l'infezione diagnosticata
da Sars-CoV-2 e il decesso per considerare il COVID-19 come causa di quest'ultimo.
Questo cambiamento di definizione ha portato a una sostanziale diminuzione
(oltre 5000 persone) del conteggio dei decessi associati al COVID-19. Per altre malattie,
stime affidabili del tasso di mortalità sono generalmente disponibili solo con
notevoli sfasamenti temporali. In netto contrasto, i decessi da COVID-19 sono
comunicati quotidianamente. Di conseguenza, le stime del tasso di mortalità
sono cambiate enormemente nel corso della pandemia: considerato superiore al
10% nell'Italia settentrionale e nella regione di Madrid all'inizio della
pandemia, il tasso di mortalità è attualmente stimato tra lo 0,27 e lo 0,57%
(Ioannidis, 2020). Quindi, le politiche governative che si basano sulle stime
del tasso di mortalità dipendono parimenti da specifiche definizioni operative
del concetto di morte-da-COVID-19 (ad esempio "morte entro n giorni dalla
diagnosi dell'infezione") e dalla metodologia di stima impiegata, che è condizionata
dall'arco temporale scelto e richiede una giustificazione statistica
indipendente.
Non sorprendentemente, il carico teorico condiziona anche il
concetto di tasso di infezione. Un caso di COVID-19 è definito in riferimento a
un risultato positivo del test PCR (Polymerase Chain Reaction) piuttosto che a
sintomi clinici osservabili. Tale definizione molecolare, che curiosamente
implica che una persona asintomatica per il COVID-19 sia un caso, dipende dalla
complessità della tecnologia PCR, che moltiplica i frammenti di RNA virale
attraverso diversi cicli di amplificazione. Il numero di cicli di
amplificazione selezionati può influenzare il risultato del test, con una
correlazione positiva tra il numero di cicli e la probabilità di falsi
positivi. Inoltre, dopo 24 cicli di amplificazione, i campioni non mostrano una
crescita virale (Bullard et al. 2020). Infatti, nessuno studio di cui siamo a
conoscenza correla positività della PCR e infettività (Jefferson et al. 2020),
che è rilevabile solo mediante la coltura virale. Ancora una volta,
l'affidamento della politica dei governi sulle stime del tasso di infezione
dipende da specifiche definizioni operative del concetto di caso-di-COVID-19,
come un test PCR positivo, così come dalla metodologia di test impiegata che
dipende dal numero di cicli PCR considerati rilevanti.
3 - Le scelte politiche sono spesso compromesse dalla
mancanza di dati statistici affidabili
Inoltre, il fondamento statistico delle politiche è spesso
inconsistente. Si ritiene, per esempio, che le mascherine facciali riducano le
infezioni sulla base di intuitive considerazioni meccanicistiche; tuttavia,
all'inizio della pandemia non erano disponibili studi clinici randomizzati,
mentre alcuni studi recenti non mostrano una riduzione statisticamente
significativa della trasmissione (Frieden e Shama 2020; Olilla et al.2021). La
stessa mancanza di una chiara correlazione statistica ha caratterizzato tutti i
principali aspetti delle decisioni politiche, compresa la relazione tra i lockdown
e la riduzione della mortalità in eccesso (Candel et al. 2021). Come hanno
detto gli autori di una approfondita revisione sistematica riguardante il ruolo
causale putativo delle scuole nel guidare il contagio: "I nostri risultati
sono coerenti con il fatto che le chiusure delle scuole sono da inefficaci a
molto efficaci" (Walsh et al. 2021, p. 2). Questo ironico eufemismo sintetizza
lo stato attuale delle cose, con i governi locali e nazionali che adottano un coacervo
idiosincratico di politiche. Dati statistici solidi sul tasso di letalità da
infezione, sull'utilità delle mascherine facciali e dei lockdown, e sul ruolo
delle scuole nelle dinamiche di trasmissione emergeranno molto probabilmente
solo nei prossimi anni. Questa parziale limitazione dei Big Data non sorprende:
il tasso di letalità dell'influenza, ad esempio, può essere calcolato con
affidabilità solo in termini di morti in eccesso rispetto a un consistente
periodo temporale di riferimento, solitamente gli ultimi 5 anni (Rosano et al.
2019). L'implicazione generale è che, sia nella raccolta che
nell'interpretazione dei dati, così come nella catena che dai dati conduce alle
politiche, c'è inevitabilmente spazio per l'arbitrarietà nelle decisioni
politiche (ad esempio, dando priorità a specifici indicatori epidemiologici
invece che ad altri per motivi opachi). Per evitare il rischio di arbitrarietà,
i governi devono essere ritenuti responsabili e devono essere messi in atto
meccanismi rigorosi di revisione delle politiche. Durante tutta la pandemia di COVID-19,
tuttavia, gli standard di controllo sono stati sostanzialmente abbassati.
4 - Il controllo dovrebbe essere rafforzato anziché
ridotto
Ci sembra cruciale che i governi mantengano due
responsabilità fondamentali nei confronti dei loro cittadini: in primo luogo,
rendere trasparenti le evidenze alla base delle loro politiche; e in secondo
luogo, chiarire la logica extra-scientifica delle stesse. Durante la pandemia,
osserviamo che i governi, in varia misura, si sono comportati male su entrambi
i fronti: il controllo parlamentare è stato regolarmente aggirato ricorrendo a
decreti legge, ostacolando il ruolo critico dell'opposizione; l’evidenza alla
base delle politiche generalmente non è stata resa disponibile al pubblico,
impedendo la democratizzazione del processo di consulenza politica;
l'inquadramento etico delle politiche è generalmente rimasto nascosto,
paralizzando ogni serio dibattito sulla sostenibilità dei loro obiettivi;
l'obiettivo dei programmi di vaccinazione è spesso criptico, incentivando un'errata
definizione delle priorità e abusi palesi. Inoltre, questa erosione degli
standard di controllo democratico è avvenuta in un contesto già caratterizzato
dalla temporanea sospensione del processo di revisione scientifica tra pari (London
& Kimmelman, 2020). Noi sosteniamo che l'erosione degli standard di controllo:
allarga il divario tra cittadini e decisori; riduce la comprensione e la
fiducia nell'efficacia delle politiche; aumenta il disinteresse; in breve, compromette
potenzialmente i fondamenti della democrazia. Non neghiamo che circostanze
eccezionali richiedano politiche eccezionali; suggeriamo piuttosto che la
trasparenza dovrebbe essere direttamente proporzionale alla loro eccezionalità.
Questo è particolarmente vero in circostanze che conferiscono ai governi poteri
di emergenza e affidano loro decisioni politiche che influiscono sui cittadini
in modo così drammatico.
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