30/06/19

I dati sui livelli dei mari alterati da scienziati per creare la falsa impressione di innalzamento degli oceani

Mentre i media internazionali ci bombardano di notizie catastrofiche riguardo ai cambiamenti climatici, passano essenzialmente sotto silenzio importanti informazioni di senso opposto. Un esempio lampante è la questione del livello dei mari: mentre i dati mostrano che sono essenzialmente stabili, si vuole dare l’impressione che siano invece in vertiginoso aumento – se occorre alterando anche i dati storici. Si tratta dell’ennesimo tentativo (riuscito) di creare un’inesistente emergenza, in modo da prendere - all’insegna del “fate presto” - sconsiderati ed affrettati provvedimenti, sempre a vantaggio di pochi.

 

 

Di Vicki Batts, 18 febbraio 2019

 

 

Un articolo scientifico pubblicato da un gruppo di ricercatori australiani ha mostrato una scoperta sorprendente: gli scienziati del Servizio Permanente per il Livello Medio del Mare (PSMSL) hanno “aggiustato” i dati storici sui livelli della marea dell’Oceano Indiano. Le loro attività “decisamente discutibili” hanno dato l’impressione di mari in rapido innalzamento – mentre la verità è che non c’è alcun motivo di allarmarsi. Gli scienziati australiani hanno scoperto che i livelli dei mari sono stabili – e lo sono stati per tutto il ventesimo secolo.

 

Per dirla semplicemente, gli “scienziati" del PSMSL hanno arbitrariamente alterato i loro dati, per creare l’illusione di un problema che in realtà non c'è.

 

Secondo la squadra di ricercatori australiani, i livelli dei mari nell’Oceano Indiano sono rimasti stabili per decenni. Albert Parker e Clifford Ollier hanno recentemente pubblicato la loro sorprendente ricerca sulla rivista Sistemi Terrestri e Ambiente; il loro ampio studio offre uno sguardo approfondito su come è stato realizzato questo inganno di massa.

 

Il PSMSL ha “riallineato” le tendenze stabili dei livelli del mare

 

Come riportato dai ricercatori, ci sono diverse prove che mostrano che i livelli del mare nell’Oceano Indiano sono del tutto stabili. Inoltre, i due scienziati spiegano che coloro che hanno alterato i dati al PSMSL hanno raccolto dati sui livelli marini “disallineati o incompleti” (che non mostravano alcun aumento dei livelli del mare, o perfino livelli in diminuzione) e li hanno “riallineati”.

 

Come sostengono Parker e Ollier, “è sempre molto discutibile riferirsi a dati raccolti in un passato remoto senza alcun nuovo materiale comprovato a supporto”. Ma quello che rende ancora più discutibili le alterazioni dei dati del PSMSL è il fatto che i set di dati meno recenti sono stati trasposti in modo da farli sembrare più bassi, mentre tutti i nuovi set di dati dei livelli marini sono stati riconfigurati in modo da farli sembrare più alti. Considerando complessivamente queste modifiche arbitrarie, si crea la percezione di un aumento significativo e preoccupante dei livelli del mare – un aumento completamente artefatto.

 

Come riportato:

"Il livello del mare in India, compreso quello registrato a Mumbai, e a Karachi (Pakistan), è stato recentemente analizzato e discusso in Parker e Ollier (2015) e in Parker (2016). In entrambi i casi, è stato dimostrato che le ultime tendenze positive nel PSMSL RLR [Riferimento Locale Rivisto, dati modificati] sono solo il risultato di allineamenti arbitrari, mentre allineamenti alternativi e più legittimi rivelano condizioni del livello del mare molto stabili."


 

Inoltre, i ricercatori affermano che ci sono dubbi perfino più seri per quanto riguarda i cosiddetti risultati del PSMSL. Così scrivono:

 

"Ciò che è più pericoloso sono le correzioni recentemente introdotte nel passato per amplificare la tendenza o l'accelerazione del livello del mare. Come mostrato nella sezione precedente, le alterazioni introdotte dal PSMSL per rendere il RLR [Riferimento Locale Rivisto, o dati modificati] sono arbitrarie ad Aden, Karachi e Mumbai."


 

In un caso, Parker e Ollier hanno riportato uno studio del 1991 che mostrava che il livello del mare a Mumbai è diminuito in media di 0,3 millimetri all'anno tra gli anni 1930 e 1980. E affermano che nell'ultimo rapporto di PSMSL si dichiara che il livello del mare a Mumbai è aumentato di 0,52 millimetri all'anno durante lo stesso periodo di tempo.

 

In altre parole, il PSMSL ha completamente alterato i dati raccolti decenni fa, per dimostrare che c'è un aumento del livello del mare, anziché la diminuzione che è stata effettivamente registrata all’epoca.

 

Per riassumere, Ollier e Parker hanno scoperto che non c'è motivo di credere che i livelli del mare stiano aumentando - e che il PSMSL ha sempre più alterato i dati del livello del mare per creare l’impressione di un problema che in realtà non esiste.

 

Gli scienziati utilizzano dati reali per mostrare che i livelli dei mari sono stabili

 

Così i ricercatori australiani hanno dichiarato nel loro articolo:

 

"Contrariamente ai dati alterati degli indicatori di marea e ai dati inaffidabili dell'altimetro satellitare, i dati correttamente esaminati, provenienti dagli indicatori di marea e da altre fonti come la morfologia costiera, la stratigrafia, la datazione con il radiocarbonio, i resti archeologici e la documentazione storica, indicano l'assenza di un aumento allarmante del livello del mare negli ultimi decenni per tutto l'Oceano Indiano."


 

In altre parole, uno sguardo non imparziale dei dati originali degli indicatori di marea indica che non c'è nulla di cui preoccuparsi; i livelli attuali del mare sono ben all'interno di variabilità "normali". Infatti i due scienziati affermano nella conclusione che il livello del mare in diversi siti dell'Oceano Indiano sono rimasti stabili per "tutto il ventesimo secolo."

 

I due scienziati affermano anche nel loro articolo che tutti i principali punti di raccolta dei dati hanno mostrato un aumento del livello del mare di 0,0 millimetri per almeno gli ultimi 50 anni, il che è un indicatore di stabilità nei livelli oceanici.

 

Un recente rapporto della NASA ha mostrato anche che il livello del mare sta effettivamente prendendo un tendenza al ribasso negli ultimi anni - risultati che si trovano in netto contrasto con il rapporto allarmista del PSMSL sui dati sul livello del mare.

 

C'è stata molta polemica e rumore sulla presunta minaccia di un innalzamento del livello del mare, ma sembra che gran parte di questo allarme sia basato sulla finzione piuttosto che sulla realtà.

 

In definitiva, Parker e Ollier hanno concluso che i livelli del mare sono, e sono stati, abbastanza stabili nel corso del secolo scorso.

 

Le fonti di questo articolo includono:

NoTricksZone.com

Link.Springer.com

 

 

29/06/19

La BCE approva il progetto della Lega sulle riserve auree della Banca centrale con solo una modifica minore

Esulta Claudio Borghi dopo il parere della BCE: viene confermata la sua interpretazione sull’oro italiano. L’oro è detenuto e gestito da Banca d’Italia, ma è di proprietà dello Stato. Riportiamo il breve articolo di Euronews che spiega quanto accaduto, facendoci quattro risate nel leggere le fantasiose ricostruzioni dei nostri media politicamente orientati, che ignorano l’intento di Borghi, dichiarato da anni: lasciare l’oro agli italiani, evitando che Bruxelles e banche private ci possano mettere sopra le mani.

 

 

Di Gavin Jones, 25 giugno 2019

 

 

ROMA (Reuters) – Giovedì la Banca Centrale Europea ha dato nella sostanza il via libera a un disegno di legge del partito di governo della Lega, che punta a precisare che le riserve d’oro della Banca d’Italia appartengono allo Stato e non alla banca stessa.

 

Il disegno di legge, presentato a febbraio dall’economista di riferimento della Lega Claudio Borghi, è stato criticato dall'opposizione, che ha sostenuto che il suo obiettivo sarebbe quello di consentire alla coalizione di governo di vendere l’oro per risolvere i problemi di finanza pubblica dell’Italia.

 

In un parere ufficiale pubblicato sul sito web della BCE, la banca ha affermato che i trattati dell’UE non utilizzano il concetto di proprietà per quanto riguarda le riserve auree, ma trattano solo la questione della loro “detenzione e gestione esclusiva”.

 

 

Dalai Lama: se i migranti non torneranno nella loro terra, l'Europa diventerà musulmana o africana

 

In un'intervista alla BBC,  il Dalai Lama - personalità che non può essere accusata di scarsa attenzione sui temi etici - rilascia alcune dichiarazioni di puro buon senso sull'immigrazione, che nell'Europa offuscata dalla dittatura del politically correct solleverebbero il consueto coro di ipocrita riprovazione. Via Zero Hedge

 

 

Traduzione di Rododak

 

Di Tyler Durden, 29 giugno 2019

 

Il Dalai Lama ha avvertito che "tutta l'Europa alla fine diventerà un paese musulmano e africano" a meno che i rifugiati che sono stati accolti non vengano restituiti ai loro paesi d'origine.

 

Intervistato da Rajini Vaidyanathan della BBC nella sua casa nella città montana di McLeod-Ganj, nel nord dell'India, il leader spirituale di 83 anni ha affermato che, benché l'Europa fosse tenuta ad accogliere coloro che hanno bisogno di aiuto, alla fine devono essere restituiti alle loro terre d'origine.

 

"I paesi europei dovrebbero ricevere questi rifugiati e dare loro un'istruzione e una formazione, con l'obiettivo di farli tornare alla propria terra con determinate competenze", ha detto il Dalai Lama, aggiungendo che "un numero limitato è ok, ma l'intera Europa [finirà] alla fine col diventare un paese musulmano, un paese africano - non è possibile".

 

[i migranti] vengano pure accolti, aiutati, istruiti, ma alla fine dovrebbero tornare per creare sviluppo nei loro paesi.  Penso che l'Europa appartenga agli europei".

 

Ci chiediamo:  i progressisti che tanto ostentano le loro virtù, ora toglieranno dalle loro auto gli adesivi con su scritto "Free Tibet", adesso che al loro idolo mancano solo un paio di pantaloni caki e una torcia per entrare a far parte del movimento identitario europeo?

 

Il Dalai Lama ha cercato rifugio in India, dove ha vissuto in esilio con 10.000 tibetani.

 

"Il suo monastero - che domina le cime innevate della catena montuosa di Dhauladhar sull'Himalaya - è di una bellezza straordinaria. Ma la vista è dolce e amara insieme.

 

"La causa della sua vita - tornare a casa - rimane un sogno lontano, anche se egli insiste che possa ancora accadere. "Il popolo tibetano ha fiducia in me, mi chiedono di venire in Tibet", dice.

 

Ma subito dopo aggiunge che anche l'India è diventata la sua "casa spirituale". Un'accettazione implicita, forse, che il suo obiettivo di un Tibet autonomo è lontano dalla realtà." (BBC)

 

A una domanda sul presidente Trump, il monaco buddista ha risposto che "è privo di principi morali" e che la politica del suo governo "America first" è "sbagliata".

28/06/19

Il governo italiano ribelle mette nel mirino la banca centrale nella guerriglia con Bruxelles

Riportiamo il riassunto di un articolo di A. E. Pritchard pubblicato sul Telegraph, che fa un riepilogo delle ultime mosse del governo italiano in preparazione al confronto con le autorità europee. La coalizione di governo sembra affilare le proprie armi per condurre le battaglie europee, in modo da costringere la UE a prendere una decisione fondamentale: o esiste la volontà politica di cambiare le regole e  sanare le storture europee, oppure l’eurozona va smantellata a partire dai paesi del Nord, secondo il Manifesto di Solidarietà Europea.

 

 

Riassunto da un articolo di Ambrose Evans-Pritchard, 21 giugno 2019

 

 

Ambrose Evans-Pritchard si occupa del  nuovo fronte di confronto/scontro tra la UE e il Governo Italiano, riguardante il governo della Banca Centrale nazionale.

 

Una nuova proposta della coalizione di governo prevede che i membri del consiglio direttivo della Banca Centrale diventino di nomina governativa e parlamentare, e che non siano più di nomina interna come avviene attualmente. La Lega in particolare vedrebbe l’attuale Banca d’Italia come un feudo burocratico autoreferenziale, lontano da qualsiasi controllo democratico.

 

Pritchard collega questa iniziativa con l’introduzione dei “mini-bot”:

 

La proposta accompagna quella del mese scorso sull’introduzione dei “minibot” per consentire il pagamento di 53 miliardi di euro di arretrati a imprese e famiglie – uno strumento ambivalente, che potrebbe diventare una valuta parallela e una “Lira in pectore”.


 

Entrambe le misure vengono presentate come esercizi di efficientamento, che non rappresentano una minaccia per l’euro. Ma hanno chiaramente un altro scopo: sono pensate per attrezzare il governo ribelle con strumenti di resistenza se lo scontro con Bruxelles dovesse aumentare. “Abbiamo imparato la lezione della Grecia” ha detto un funzionario della Lega.


 

La proposta di statuto toglierebbe al Consiglio Superiore della Banca d’Italia i poteri di governare l’istituzione come un feudo burocratico. L’istituzione è vista dalla coalizione Lega-5 Stelle come implacabilmente ostile.


 

La legge è stata concepita dal Senatore Alberto Bagnai, un professore di economia di estrazione progressista che ha legato le sue sorti al partito nazionalista della Lega vedendolo come unico modo di “liberare” l’Italia – a suo parere – dalla trappola strutturale del regime eurista.


 

Il Telegraph si pone la questione dell’indipendenza delle Banche Centrali, obbligatoria secondo i trattati UE, che potrebbe venire violata da questa iniziativa. Ma fa rilevare che Bagnai è già pronto ad affrontare questa critica: semplicemente, le Banche Centrali degli altri paesi dell’eurozona sono già gestite in questo modo, e nessuno ha mai pensato che questo fosse in contraddizione con il principio della loro indipendenza:

 

Bagnai, che è a capo della commissione Finanze del Senato, ne è consapevole. Ha dichiarato al Corriere della Sera che il suo progetto si basa sul “modello Bundesbank”, dove le figure di spicco sono scelte in maniera mista dal governo e dal parlamento.


 

“Significa solo renderla meno autoreferenziale e così allinearsi agli standard europei. Il nostro sistema somiglia solo a quello della Grecia, dove la selezione del direttorio viene fatta solo affidandosi a organismi interni”, ha detto.


 

Pritchard riporta anche le parole di Bagnai riguardo all’uscita dall’euro: il programma elettorale della Lega prevedeva uno smantellamento dell’eurozona a partire dagli stati del Nord; un’uscita unilaterale dell’Italia “in questo momento sarebbe un atto suicida” e non troverebbe comunque il consenso del Paese, risultando quindi una scelta antidemocratica.

 

Secondo Pritchard, la strategia della Lega prevede che lo Stato italiano riprenda in mano il controllo del sistema economico (compresa la Banca Centrale nazionale), provocando nel frattempo un calo di consenso politico per l’euro nei paesi del Nord, mettendo a nudo i problemi dell’eurozona.

 

Il giornalista riprende a riguardo la posizione del premio Nobel Stiglitz:

 

L’economista premio Nobel Joseph Stiglitz dice che l’unica maniera in cui l’unione monetaria può essere smantellata senza traumi eccessivi è che la Germania – e altri stati creditori – lascino la struttura legale dell’eurozona. Le loro valute si apprezzerebbero, diminuendo il peso reale dei contratti di debito in euro.

 

“Se la Germania non vuole intraprendere i passi fondamentali necessari per migliorare l’unione monetaria, dovrebbe scegliere l’alternativa migliore: lasciare l’eurozona” ha detto.


 

L’Italia e gli stati più deboli rimarrebbero con un euro svalutato. Ciò ripristinerebbe il loro “equilibrio di tasso di cambio per la piena occupazione” mentre preserverebbe l’integrità dei contratti in euro, evitando una catena di fallimenti.


 

Pritchard si occupa anche del paragone con la crisi della Grecia del 2015. A suo tempo, il governo di Syriza si scontrò con la UE, poiché voleva porre fine alle politiche di austerità. In quel frangente, la Banca Centrale Greca si schierò politicamente dalla parte della UE, costringendo Tsipras e Varoufakis alla resa incondizionata. Il governo italiano ha studiato e imparato dall’esperienza greca:

 

Il riferimento di Bagnai alla Banca Centrale Greca dice molto. Gli euroscettici italiani hanno studiato la disfatta della Grecia nello scontro con la UE nel 2015, e hanno concluso che non devono assolutamente rischiare di trovarsi nella stessa situazione di vulnerabilità.


 

Yanis Varoufakis, allora ministro delle Finanze, ha dichiarato che la Banca Centrale Greca agì da esecutore della BCE e della struttura di potere UE contro il governo eletto di Syriza. Negò la liquidità di emergenza alle banche private e mise in ginocchio il paese. […]


 

Alla fine, Varoufakis non riuscì a perseguire una “guerriglia” contro la BCE o ad attivare la sua moneta parallela dato che la sua banca centrale lavorava essenzialmente per la parte avversa.


 

Anche l’Italia visse un’esperienza simile, nel 2011, quando la Banca d’Italia giocò un ruolo decisivo nel rovesciare il governo Berlusconi, usando come strumento di pressione lo spread:

 

Athanasios Orphanides, allora membro del consiglio direttivo della BCE, ha affermato che questi metodi fanno parte degli strumenti “oscuri” della BCE. “Minacciano i governi ribelli di distruggerli finanziariamente. Gli tagliano i rifinanziamenti e minacciano di uccidere il sistema bancario. Creano una crisi di rifinanziamento nel mercato obbligazionario. Questo è ciò che avvenne in Italia nel 2011”, ha detto.


 

La BCE scrisse una lettera segreta – stesa anche da Draghi, e più tardi rivelata al pubblico – che ordinava al governo di fare profondi cambiamenti alle leggi italiane sul mercato del lavoro e si occupava di aree politiche su cui la BCE non ha alcun mandato legale. Berlusconi disse che era vittima di un “colpo di stato”.


 

L’attuale governo italiano, non volendo correre rischi, sta compiendo i passi necessari per affrontare lo scontro con l’UE sulla base di presupposti diversi. Avere una Banca Centrale che risponde ai cittadini italiani – e non a se stessa o a Bruxelles – e una potenziale moneta alternativa pronta a essere messa in campo sono strumenti che potrebbero stavolta condurre a una vittoria nella battaglia contro la burocrazia europea.

 

24/06/19

Le entrate fiscali finanziano la spesa pubblica?

L'economista britannica Ann Pettifor spiega molto efficacemente come il riequilibrio dei conti pubblici non possa essere il risultato di aumenti delle tasse e di tagli di spese, non solo perché tali politiche restrittive drenano risorse dall'economia reale e impoverendola riducono lo stesso gettito fiscale, ma anche perché le imposte e le tasse non sono proprio da considerare come la fonte del finanziamento pubblico.  La spesa pubblica si finanzia con l'emissione dei titoli del debito pubblico, fornendo così un rifugio sicuro all'impiego dei risparmi dei cittadini, ed è essa stessa poi a generare il reddito e quindi le entrate fiscali necessarie a rimborsare i titoli emessi.

 

 

di Ann Pettifor, 7 febbraio 2018

 

Traduzione per Vocidallestero di @alexdelprete

 

Nella sua edizione del 25 gennaio l'Economist ha pubblicato un pezzo sulla base imponibile britannica. L'articolo inizia con un riferimento al discorso di Denis Healey alla conferenza dei laburisti del 1973, in cui egli prometteva aumenti fiscali che sarebbero stati accolti con "alte grida di dolore" da parte di tutti, non solo dei ricchi. Si dà il caso che la scorsa settimana abbia passato in rassegna l'elenco dei cancellieri laburisti. Con l'eccezione di Hugh Dalton, erano tutti economicamente ortodossi, e quasi tutti hanno fatto ricorso all'aumento delle tasse e al taglio della spesa pubblica. In altre parole, credevano che i bilanci pubblici fossero come i bilanci delle famiglie e che la spesa pubblica potesse essere finanziata solo aumentando le tasse. Ritenevano che fosse indispensabile essere ricordati come cancellieri "prudenti", impegnati a "riequilibrare i conti del governo" - prima di tutto. Nessuno di loro ha avuto successo, naturalmente, perché i Cancellieri e i loro governi, per quanto potenti, popolari o intelligenti, non possono "riequilibrare i conti". Solo l'economia può farlo. Con questo intendo dire che l'equilibrio dei conti del governo è determinato dalla salute e dalla prosperità dell'economia nel suo complesso, compreso quella del settore privato. Se quei Cancellieri laburisti si fossero concentrati sul rafforzamento degli investimenti, della produttività e dell'occupazione, avrebbero raccolto più soldi dalle tasse e avrebbero avuto maggiori possibilità di "riequilibrare i conti del governo".

 

Quando l'economia è al massimo, quando gli investimenti, l'occupazione e i salari sono alti, quando i tassi di interesse sono bassi, e le banche sostengono l'economia reale, non solo scommettendo sugli aumenti dei prezzi degli immobili - allora, molto presto, ecco che i conti del governo si riequilibrano. Quando l'economia è debole, quando gli investimenti calano, e l'occupazione è bassa, o precaria, o a bassa retribuzione; quando l'indebitamento privato e i tassi di interesse reali sono elevati e il settore finanziario fuori controllo - allora il gettito fiscale del governo diminuirà, e i conti del governo non si riequilibreranno.  Se il governo incoraggia i lavoratori a esercitare un lavoro autonomo, un lavoro precario con contratti a zero ore - allora la base imponibile del governo si restringe sempre di più. È come tagliare il ramo dell'albero su cui il governo è seduto. George Osborne, come cancelliere della coalizione di governo 2010-2016, è stato abile nel tagliare il "ramo" del gettito fiscale su cui era seduto il Tesoro.

 

Un’importante argomentazione contro l'aumento delle tasse nel debole contesto economico odierno è che una mossa del genere drena il reddito (entrate fiscali) da un'economia già debole - limitata da alti livelli di debito privato, da bassa produttività, bassi livelli di investimento e bassi redditi. (I salari non hanno ancora raggiunto i livelli pre-crisi). Anche se sarà sempre giusto assicurarsi che i ricchi paghino le tasse, e che l'HMRC (Agenzia delle Entrate UK, ndt) sia dotata di risorse per combattere l'evasione fiscale, non sarebbe saggio - in questo momento - drenare più reddito dall'economia, già indebolita. Ciò di cui l'economia ha disperatamente bisogno è un'iniezione di maggiori finanziamenti e investimenti, non una  estrazione di reddito.

 

Ma forse l'aspetto più viziato dell'argomentazione dell'Economist a favore dell' "aumento delle tasse" è questo: i governi non finanziano i loro investimenti, o in generale la loro attività, con le entrate fiscali. La maggior parte delle spese del governo è finanziata attraverso l'emissione di titoli di Stato. La vendita dei titoli di Stato fornisce al governo finanziamenti per gli investimenti e per tutte le spese. Allo stesso tempo i titoli di Stato forniscono un rifugio sicuro per i fondi pensione, come investimenti dei risparmi depositati. A tempo debito (quando andiamo in pensione) questi fondi pensione restituiscono a noi, pensionati, risparmiatori e contribuenti del Regno Unito, i profitti derivanti dall'investimento nei titoli di Stato.

 

Sono gli investimenti e la spesa pubblica, insieme agli investimenti e alla spesa privata, che generano le entrate pubbliche. Questo perché gli investimenti e le spese pubbliche creano posti di lavoro e li retribuiscono. E coloro che lavorano non solo pagano le tasse, ma generano anche maggiori entrate fiscali nel momento in cui  spendono per l'alloggio, il cibo e altri beni e servizi. E se questa spesa genera profitti, e i commercianti e le aziende pagano le imposte sulle imprese, allora il governo beneficia di un altro flusso di entrate.

 

Quando il settore privato è troppo debole, o avido, per investire e creare posti di lavoro che generino entrate fiscali, è proprio allora che il governo - sostenuto da una banca centrale - dovrebbe usare il suo peso per raccogliere fondi e investire per creare occupazione e quindi generare reddito sotto forma di entrate fiscali.

 

Naturalmente è molto importante che il governo rimborsi i suoi finanziamenti. Ed è qui che entrano in gioco le entrate fiscali - dopo l'investimento, le imposte forniscono il reddito necessario per rimborsare i debiti del governo e "far quadrare i conti".

 

Ma le tasse non sono la fonte del finanziamento pubblico, e non sono necessarie perché il governo possa spendere.

 

Quando l'economia è debole - quando il settore privato è debole - allora spremere i cittadini aumentando le tasse, è una pessima politica economica. La migliore strategia per il governo in queste circostanze è investire per aumentare l'occupazione.

 

L'aumento dell'occupazione - soprattutto del lavoro qualificato, ben pagato e produttivo - genererà maggiori entrate fiscali per il governo, senza aumenti delle imposte. E gli investimenti pubblici andranno a beneficio del settore privato, sia direttamente che indirettamente.

 

Non ci vuole mica uno scienziato!

21/06/19

ZH - Che cosa succede se Salvini procede con i minibot?

Un articolo pubblicato su Zero Hedge analizza la questione dei minibot sia dal punto di vista valutario che politico. Come nuova valuta parallela, i minibot avrebbero probabilmente diffusione, perché il governo ne garantisce la domanda per il pagamento di tasse e imposte. Dal punto di vista politico, l’autore dell’articolo suggerisce che vi sia una “troika italiana” formata da Conte, Mattarella e Tria, che teme di trovarsi alle prese con nuove elezioni, ma al contempo spera che queste possano condurre a uno stallo politico che estrometta Salvini dal potere.

 

 

 

 

da Zero Hedge, articolo di Tom Luongo, 14 giugno 2019

 

Da quando è stata lanciata l’idea, è iniziata una crescente speculazione su come e quando il leader della Lega, Matteo Salvini, potrebbe introdurre i minibot, sorta di moneta parallela, per migliorare la situazione fiscale in Italia.

 

Mike Shedlock ha scritto un ottimo post su questo argomento, che solleva una serie di questioni. Merita di essere letto. Ma partiamo dall’inizio.

 

I minibot, o minititoli del Tesoro, sono titoli di piccolo taglio che il Tesoro può emettere e che le aziende o le persone possono utilizzare all’interno del Paese come valuta alternativa.

 

Come fa notare Mike, fino a che l’Italia non ne rende obbligatorio l’uso, non viola la legislazione UE, la quale proibisce a qualsiasi paese [dell’eurozona] di emettere la propria valuta.

 

La grande questione è se l'offerta di questi minibot sarà realizzata o no. È molto probabile. Rispetto all’economia italiana l’euro è sopravvalutato, è troppo forte. Ma l’euro sarebbe sottovalutato rispetto a dei minibot che venissero emessi alla pari con l’euro stesso.

 

La legge di Gresham afferma che le monete sottovalutate escono dal mercato perché vengono accumulate e messe da parte, mentre quelle sopravvalutate tendono a circolare. È bene lasciare da parte l'idea secondo cui “la moneta cattiva scaccia quella buona”. Confonde l’analisi.

 

Se il governo italiano afferma di accettare sia minibot che euro per i pagamenti di tasse e imposte, ecco che abbiamo richiesta di minibot. Essi potranno allora circolare all'interno dell’economia italiana mentre l’euro, più scarso, verrà tenuto preferenzialmente per gli scambi nel contesto internazionale.

 

La UE, certo, è assolutamente contraria a tutto ciò e il presidente della BCE, Mario Draghi, ha affermato che la proposta è illegale. Ma questo non importa. La vera minaccia al piano di Salvini, che sarebbe ciò di cui l’Italia ha bisogno, viene dall’interno del governo stesso.

 

Mike nota giustamente che il presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, è un tecnocrate. Andrò oltre e vi ricorderò ciò che ho scritto la settimana scorsa. Ovvero che Conte, il presidente Mattarella e il ministro delle finanze Giovanni Tria rappresentano una troika di tecnocrati che lavorano per Bruxelles, non per Roma.

 

Ciò su cui sono in disaccordo con Mike non è l’analisi economica, ma la ricaduta politica:

 

Salvini ha ottenuto un ottimo risultato nelle elezioni per il Parlamento Europeo e molti ipotizzano che potrebbe spingere per indire nuove elezioni a breve, in modo da sbarazzarsi di Conte e Di Maio.


 

Per adesso abbiamo lo strano caso dei vicepremier Salvini e Di Maio che sono in disaccordo con Conte e col ministro dell’economia, Giovanni Tria.


 

Conte la scorsa settimana ha minacciato di dimettersi e potrebbe farlo in qualsiasi momento. “Voglio una risposta chiara, rapida e inequivocabile”, ha detto, chiedendo una “leale collaborazione” a tutti i ministri. Questo governo non durerà a lungo.


 

La troika italiana potrebbe deporre l’attuale governo nel caso in cui dovessero continuare a procedere come stanno facendo ora. E se la proposta dei minibot dovesse guadagnare consensi nel parlamento italiano e venire imposta sul tavolo del ministro Tria, qualcosa dovrà succedere.

 

Salvini non farà cadere il governo. Salvini lo ha escluso, fino a che il Movimento Cinque Stelle continuerà ad attenersi al programma condiviso. I Cinque Stelle hanno già raggiunto un importante traguardo con il reddito di cittadinanza. Adesso è il turno di Salvini.

 

Con Di Maio che è riuscito a spuntarla dopo il voto degli iscritti sulla sua leadership, la coalizione è forte. I puri e duri all'interno del Movimento Cinque Stelle, che vorrebbero una linea più rigida contro Salvini, sono stati battuti.

 

Il miglior gioco di Salvini adesso è lasciare che i traditori si impicchino da soli e che Bruxelles continui a sopravvalutare le proprie capacità. Entrambe le cose stanno continuando a verificarsi. Salvini resta intensamente focalizzato sullo sforzo di risolvere i problemi interni dell’Italia e intanto lascia i grandi problemi politici a se stessi.

 

Quindi non sarà Salvini a far cadere il governo italiano. Saranno Conte, Tria e Mattarella, non appena penseranno di poter ottenere una situazione di stallo in caso di voto politico alle elezioni, in modo da costringere Salvini ad allearsi con un partito minore, ad esempio Forza Italia di Silvio Berlusconi, che avrebbe le mani legate in caso di trattative per una coalizione.

 

Questo potrebbe succedere con la nuova legge elettorale, che assegna due terzi dei seggi col voto proporzionale e i rimanenti con il voto maggioritario. Non ho buoni presentimenti su come potrebbe andare a finire.

 

Ma ecco il problema. Proprio come in Gran Bretagna si può osservare che Jeremy Corbyn non invoca la sfiducia contro la maggioranza dei Tory/DUP (Democratic Unionist Party, ndr). E non si vede il DUP sfilarsi dalla coalizione che sta fallendo. Perché?

 

Perché sanno che alle elezioni verrebbero schiacciati dal partito della Brexit di Nigel Farage. E con questo perderebbero la loro migliore occasione di far naufragare la Brexit prima che i Tory si raggruppino sotto l’insegna di Boris Johnson entro questa estate.

 

Lo stesso calcolo è sul tavolo di Mattarella e colleghi. Si chiedono se una nuova elezione porterebbe loro vantaggio rispetto a un governo Lega/Cinque Stelle riorganizzato con Salvini come azionista principale. Se la risposta è no, allora la troika italiana terrà la linea pro-Bruxelles e userà le proprie posizioni per sabotare Salvini in ogni occasione.

 

Minacceranno di far cadere il governo solo se questo dovesse rafforzarli. In realtà penso che Conte ci abbia già provato e che Salvini glielo abbia impedito, con stile italiano.

 

Penso anche che far cadere il governo per far felice Bruxelles sia politicamente suicida. Non farebbe altro che rafforzare Salvini. E se Lega e Cinque Stelle dovessero fare campagna elettorale sugli stessi temi potrebbero raccogliere oltre il 60% dei voti e con questo avere un vantaggio decisivo sulla troika italiana e su Bruxelles.

 

Ricordate, Mattarella è già andato oltre i suoi poteri lo scorso anno, quando ha posto un veto sulla prima scelta di Salvini per il ministero delle Finanze, Paolo Savona. Si parlò perfino di impeachment. Alla fine Salvini lasciò perdere, nominò Tria e Conte per soddisfare Mattarella e formò il governo.

 

Se una nuova coalizione dovesse dare a Lega/Cinque Stelle una posizione più forte e Mattarella dovesse usurpare nuovamente il potere, potrebbe ricevere veramente l’impeachment ed essere sollevato dall’incarico. E questo cambierebbe l’intera dinamica.

 

L’Italia ha bisogno dei minibot o di uscire dall’euro. Salvini ha ragione nel dire che l’austerità tedesca sta uccidendo il Paese, strangolandolo. E non ingannatevi: il piano è proprio quello.

 

Questo è il motivo per cui la UE sta minacciando l’Italia con una procedura di infrazione del tutto inedita, che potrebbe ammontare a 3 o 4 miliardi di dollari. Questo è ridicolo e mostra le loro debolezze, se sono veramente disposti ad arrivare a questo punto per così poco.

 

Ma questa è anche l’unica leva che hanno contro il governo, per mezzo di un ministro delle Finanze che è di loro scelta e gradimento.

 

Mike ha ragione nel dire che i minibot sono un cavallo di Troia. Lo sono in molti modi. Si tratta della questione che potrebbe spingere l’attuale instabile struttura del governo italiano al suo punto di crisi e permettere così agli italiani di decidere chi vogliono veramente.

 

16/06/19

Vaccini: una battaglia condotta male

Pubblichiamo un importante contributo alla diatriba sui vaccini, che sposta i termini del problema rispetto alla solita contrapposizione tra favorevoli e contrari basata da un lato sulla messa in discussione della loro utilità, e dall'altro sulla valutazione dei fattori di rischio. La voce questa volta è italiana, ed è quella del dott. Paolo Mainardi, secondo il quale, a prescindere dalla effettiva utilità dei vaccini (e a questo proposito, possiamo aggiungere, la cosa veramente sicura è che sono un bancomat per le multinazionali), occorre comprendere bene la loro pericolosità, che va valutata non tanto guardando a quello che può contenere il vaccino, come metalli, nanoparticelle o altri inquinanti dei vaccini dagli effetti controversi e non dimostrati, quanto all'azione infiammatoria del vaccino in sé, che un organismo ancora vulnerabile come quello dei bambini piccoli o comunque debole per varie cause, può non riuscire a gestire, aprendo la strada a gravi patologie come ad esempio l'autismo. La conclusione è che se si ha a cuore la salute dei bambini, e delle persone in generale, protocolli vaccinali standard non sono ammissibili, ma la battaglia va portata avanti sui giusti binari, perché combattere contro falsi nemici consente gioco facile ai difensori dei vaccini.

Le argomentazioni di Paolo Mainardi sono il frutto di una appassionata ricerca condotta ormai da decenni  e basata sulla integrazione di varie discipline, dalla chimica alla biologia e fisiologia, alla fisica delle nanoparticelle, ricerca che l'ha condotto a comprendere l’importanza dell’asse intestino-cervello nelle diverse patologie, e alla conclusione che l’infiammazione cronica intestinale sia la causa patogenetica di molte, se non tutte, le patologie, conseguendo molti risultati incoraggianti. Qui qui e qui per altri approfondimenti, e intanto buona lettura.

 

di Paolo Mainardi, 20 Maggio 2019

 

Vaccini e autismo

 

I vaccini sono responsabili dell’autismo?

 

Argomento molto caldo, oggi, che divide la popolazione in 2 gruppi: quelli favorevoli al 100% e quelli contrari al 100%.

 

L’inizio della storia può essere collocata nel 1993, quando un giovane ricercatore inglese, Wakefield, pubblica su The Lancet  la presenza del virus del morbillo nel tessuto intestinale di pazienti affetti da S. di Crohn (13 su 15 pazienti) (1). Secondo Wakefield, il virus del morbillo è capace di causare una  infezione permanente intestinale e la S. di Crohn può essere causata da una vasculite gralumatosa in risposta a questo virus.

 

Nel 1995 pubblica uno studio che riporta come il vaccino contro il morbillo costituisca un fattore di rischio per lo sviluppo di malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD). (2) Nello studio di Wakefield il gruppo vaccinato presentava un rischio relativo di sviluppare la malattia di Crohn di 3,01 (IC 95% 1,45-6,23) e di sviluppare la colite ulcerosa di 2,53 (1,15-5,58). Secondo Wakefield il vaccino MMR provoca lesioni e infiammazioni del tratto digerente che poi arrivano al cervello.

 

La critica allo studio di Wakefield si basò sul fatto che i primi segni di infiammazione furono osservati dopo che i bambini erano stati diagnosticati con autismo, non prima, quindi i sintomi dell'autismo precedevano qualsiasi danno intestinale.

 

Da allora molti studi sono stati fatti per verificare se i vaccini MMR causassero IBD o coliti ulcerative, ma senza arrivare a nessuna conferma. (3)

 

I seguaci di Wakefield iniziarono a colpevolizzare i metalli o le nanoparticelle presenti nei vaccini, convinti che una elevata permeabilità della membrana intestinale (infiammazione) lasciasse passare metalli, nanoparticelle o patogeni in grado di raggiungere il cervello e provocare danni. Ipotesi fatte senza conoscere e tenere conto dei processi endogeni di detossificazione, senza saper cosa sono le metallotionine, il loro ruolo e come stimolarne la produzione. Ancora oggi è di moda proporre metodi per detossificare il corpo che non tengono minimamente conto dei metodi endogeni.

 

Wakefield cercò di correlare i vaccini MMR alle forme più severe di infiammazione intestinale: il Crohn’s e la colite ulcerosa, ma patologie infiammatorie intestinali (IBD), come dolore addominale, meteorismi, diarrea costipazione e flatulenza, sono largamente riportati nell’autismo, oggi più di 280 articoli su pubmed confermano l’osservazione iniziale di Wakefield. (4)

 

Wakefield aveva visto giusto, ma non è quanto può passare attraverso una membrana intestinale infiammata a causare danni cerebrali, quanto l’infiammazione stessa

 

Infiammazione.

 

I processi che abbiamo chiamato infiammatori sono in realtà processi comunicativi tra organi, con la riparazione come oggetto della comunicazione.

 

I processi riparativi tissutali sono portati avanti principalmente dalle citochine, una grande famiglia di piccoli peptidi, ognuna con compiti specifici, che sono inviati sul tessuto da riparare (5). Le prime citochine che arrivano sono  quelle pro-infiammatorie, che provocano necrosi, ovvero producono un danno enormemente maggiore di quello che hanno trovato. Poi arrivano quelle antiinfiammatorie che ricostruiscono i tessuti utilizzando le staminali (queste non mancano mai, sono riformate tutte le volte che le usiamo). La risposta infiammatoria è gestita dal microbiota in base alla sua “forza”, ovvero alla sua biodiversità dei ceppi batterici. Se è debole, allora si cade in quella che abbiamo definito infiammazione cronica, dove siamo capaci di produrre le prime citochine pro-infiammatorie, ma produciamo citochine anti-infiammatorie diverse da quelle capaci di ricostruire.

 



 

Non è un caso che l’infiammazione cronica sia stata definita la “madre delle patologie”. (6)

 

Alla nascita abbiamo acquisito pochi ceppi batterici durante la vita fetale, poi, soprattutto durante lo svezzamento, veniamo infestati e aumenta la biodiversità dei ceppi. Nell’anziano questa biodiversità si riduce e in questo periodo della vita è nota la “fragilità dell’anziano”, definita come una ridotta capacità a riparare i danni che subiamo continuamente dall’ambiente.

 

Alla riduzione della biodiversità dei ceppi batterici corrisponde, infatti, una risposta infiammatoria cronica, ossia incapace a ricostruire i tessuti danneggiati. Analoga situazione l’abbiamo nei primi giorni di vita, dove la definiamo “vulnerabilità”. La bassa diversità dei ceppi batterici rende il neonato incapace a gestire importanti risposte infiammatorie e produce una propensione a cadere in una risposta infiammatoria di tipo cronico (capace a demolire, ma non ricostruire).

 



 

Questo tipo di infiammazione è quello più propenso a migrare su altri organi. (7)

 

Questo tipo di infiammazione, quando parte dal cervello (esempio dopo trauma cranico) e arriva sulla membrana intestinale, provoca danni anatomici strutturali, veri “buchi”, a cui corrisponde una maggiore permeabilità.

 



 

Lo stesso tipo di danno è immaginabile quando parte dall’intestino e arriva al cervello. Provoca danni neuroanatomici strutturali: IL-6 elevation in the brain is involved in the mediation of autism-like behaviors through impairments of neuroanatomical structures and neuronal plasticity. (8)

 

I meccanismi di riparazione del cervello sono diversi da quelli di altri tessuti. Il cervello funziona attraverso le circuitazioni neuroni, non i singoli neuroni. Il processo infiammatorio riparativo del cervello, quindi, consiste in una prima fase dove le citochine pro-infiammatorie inibiscono la sinpatogenesi, ossia quei processi che consentono la realizzazione delle circuitazioni neuronali, questo facilita il distacco di eventuali neuroni malfunzionanti, poi arrivano le citochine anti-infiammatorie che riattivano i processi di sinaptogenesi e se occorre di neurogenesi, in modo da reclutare, o formare se necessario, altri neuroni limitrofi ben funzionanti. In caso di risposta infiammatoria cronica, le citochine anti-infiammatorie prodotte sono inabili a realizzare nuove circuitazioni. In questo caso si è capaci di staccare i neuroni malfunzionanti, ma non si è capaci di sostituirli con altri ben funzionanti. Le citochine partecipano anche al neurosviluppo, che non può procedere correttamente se portato avanti da citochine incapaci. (9)

 

Gravidanza

 

Le citochine anti-infiammatorie sono anche utilizzate dalla donna in gravidanza per realizzare i tessuti del feto. Lo sconvolgimento del microbiota durante la gravidanza non è dovuto alla necessità di nutrire il feto, ma di realizzarne i tessuti. La donna in 9 mesi realizza 3-4 kg di tessuti, non è una passeggiata.

 

Se la Natura valuta il microbiota della donna troppo debole per gestire questi processi, impone delle condizioni di infertilità. Forzare fertilità senza risolvere i motivi del blocco aumenta la vulnerabilità a patologie del neurosviluppo. Infatti se la donna cade in infiammazione cronica durante la gravidanza, i tessuti che sta realizzando sono realizzati da citochine incapaci. Anche la velocità d formazione del feto dipenderà dalla forza del microbiota della donna. Se è debole possiamo avere neonati più immaturi alla nascita e con maggiori sedi di future vulnerabilità.

 

Un'attenta anamnesi spesso consente di identificare dei potenziali rischi, come aborti spontanei, nascite premature, aumento eccessivo di peso da parte della mamma o del feto, diabete gravido come periodi di infertilità precedenti.

 

Questi neonati, nati più immaturi, hanno un sistema digerente più immaturo, meno capace di digerire i cibi (cibo indigerito nelle feci) e necessiterebbero di protocolli di svezzamento, che dura a fino a 7 anni di vita, più graduali. La maggior debolezza del loro microbiota, meno diversificato nei ceppi, li rende più propensi a risposte infiammatorie di tipo cronico, ovvero quelle incapaci a ricostruire. Un sistema digerente che non è riuscito ad essere avviato correttamente, non riesce a “mettere in sicurezza” l’ambiente intestinale, mantenendo così cibi mal digeriti che mantengono una infiammazione intestinale cronica.

 

Vaccini e infiammazione

 

Il vaccino scatena una risposta infiammatoria. Se il microbiota è capace a gestirla, non produce danni, se è debole si ha un rialzo febbrile, se è ancora più debole si ha una forte e prolungata risposta febbrile, ma se è ancora più debole si può avere una risposta infiammatoria di tipo cronico che raggiunge il cervello e impedisce i normali processi di plasticità neuroni. Le circuitazioni neuroni di questi bambini vengono continuamente demolite e non ricostruite, a seconda delle aree colpite, anche su predisposizione genetica, si hanno i diversi sintomi delle diverse forme di autismo.

 

Conclusioni.

 

La vera colpa dell’autismo è un microbiota debole: quello della mamma in gravidanza, che non riesce a mantenere una adeguata velocità di crescita fetale, che, se cade in infiammazione cronica, realizza tessuti danneggiati, quello del neonato che non è capace a gestire un “normale” svezzamento, o è così immaturo ad aver anche problemi a digerire il colostro. Nei casi in cui ci siano fattori di rischio, come precedenti periodi di infertilità della donna, precedenti aborti spontanei, gravidanze difficili, eccessivo aumento ponderale della donna o del feto, diabete gravidico, parto pre-termine, podalico, ritardato,…, occorre procedere con maggiore cautela . Non sono applicabili protocolli standard di svezzamento, terapeutici e nemmeno vaccinali.

 

Quale la cura.

 

Ripetere quanto avviene dopo la nascita (protocollo restart) in modo da “riavviare” gradualmente il sistema digerente. Lavorare per poter inserire tutti gli alimenti, anche quelli complessi, in modo da emulare quanto avviene durante lo svezzamento, che consiste nel portare il digerente in palestra. Il cibo è il suo allenatore.

 

 

 

Riferimenti bibliografici

 

(1) Wakefield AJ, Pittilo RM, Sim R, Cosby SL, Stephenson JR, Dhillon AP, Pounder RE. Evidence of persistent 1 measles virus infection in Crohn's disease. J Med Virol. 1993 Apr;39(4):345-53.

 

(2) Thompson NP, Montgomery SM, Pounder RE, Wakefield AJ. Is measles vaccination a risk factor for 2 inflammatory bowel disease? Lancet. 1995 Apr 29;345(8957):1071-4. Davis RL, Bohlke K. Measles vaccination and inflammatory bowel disease: controversy laid to rest? Drug Saf. 3 2001;24(13):939-46.

 

(3) Chaidez, V., Hansen, R. L., and Hertz-Picciotto, I. (2014). Gastrointestinal problems in children with autism, 4 developmental delays or typical development. J. Autism Dev. Disord. 44, 1117–1127

 

(4) Andreasen AS, Krabbe KS, Krogh-Madsen R, Taudorf S, Pedersen BK, Møller K. Human Endotoxemia as 5 a model of systemic inflammation. Curr Med Chem. 2008;15(17):1697-705

 

(5) Stig Bengmark, Acute and ‘‘chronic’’ phase reaction - a mother of disease. Clinical Nutrition (2004) 23, 1256– 6 1266

 

(6) Riazi K, Galic MA, Pittman QJ. Contributions of peripheral inflammation to seizure susceptibility: cytokines 7 and brain excitability. Epilepsy Res. 2010 Mar;89(1):34-42.

 

(7) Wei H, Alberts I, Li X. Brain IL-6 and autism. Neuroscience. 2013 Nov 12;252:320-5. 8

 

(8) Goines PE, Ashwood P. Cytokine dysregulation in autism spectrum disorders (ASD): possible role of the 9 environment. Neurotoxicol Teratol. 2013 Mar-Apr;36:67-81.

15/06/19

I mercati finanziari danno una mano a Salvini nella contesa con la Ue

Contrariamente a quanto oscuramente preconizzato dai tanti profeti di sventura pronti a salutare nello spread l'esecutore di un governo a loro non gradito, la condanna dei mercati nei confronti della coalizione gialloverde per ora si fa attendere. Al contrario, come rimarca anche Bloomberg, i titoli di Stato italiani stanno godendo di un autentico periodo di grazia. E la Commissione, nelle sue minacce contro l'Italia, si ritrova non soltanto a difendere regole sempre più evidentemente screditate, ma anche con in mano armi spuntate.

 

 

 

di JohnFollain, John Ainger e Chiara Albanese, 12 giugno 2019

 

Matteo Salvini deve un favore ai mercati finanziari. Il leader della Lega, partito di destra, è in rotta di collisione con l'Unione europea, ma gli investitori in titoli di Stato stanno acquistando entusiasticamente obbligazioni italiane, dandogli così spazio per proseguire nella sua crociata per tagliare le tasse.

 

Mentre la Commissione europea si appresta ad aprire una procedura di infrazione contro l'Italia per il mancato contenimento del debito pubblico, la pressione degli investitori nei confronti del governo populista si è alleggerita, grazie a un'offerta di obbligazioni conclusa con un pieno successo.

 

Mentre l'anno scorso la guerra con Bruxelles sulle finanze pubbliche aveva fatto schizzare lo spread tra btp decennali italiani e bund tedeschi a livelli che si erano visti ai tempi della crisi del debito dell'eurozona, la reazione dei mercati alle ultime minacce di punizioni contro l'Italia è stata scarsa. Nelle ultime settimane le obbligazioni italiane sono andate alla grande, sostenute dalla prospettiva di un altro stimolo monetario da parte della Banca centrale europea.

 

 

Questo rimbalzo lascia i funzionari di Bruxelles con meno strumenti in mano per costringere l'Italia a rimettere velocemente in linea le sue finanze pubbliche, e così la resa dei conti, se e quando arriverà, potrebbe essere ancora più rovinosa. Il debito del paese rappresenta una bomba a orologeria finanziaria che mette a rischio lo stesso euro, vista la posizione dell'Italia come terza maggiore economia dell'eurozona.

 

 

 

Cosa dicono gli economisti di Bloomberg...

 

"I recenti cambiamenti nei rendimenti dei titoli sovrani italiani suggeriscono che gli investitori stanno concedendo al governo populista il beneficio del dubbio sul fatto che alla fine troverà un modo per ridurre la spesa. Ma i finanziatori alla fine vogliono una prova concreta, come nei documenti di bilancio per il prossimo anno, che saranno pubblicati in ottobre." David Powell


 

Eppure, il sentire del mercato potrebbe inasprirsi, con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro delle Finanze Giovanni Tria in lotta entrambi per persuadere Salvini, la forza dominante nella coalizione, e il vice-premier Luigi Di Maio, del movimento anti-establishment Cinque Stelle, a limitare i loro tagli di imposte e programmi di spesa.  Ma gli investitori stanno comprando il debito italiano, a dispetto dei piani fiscali di Salvini e di Di Maio. Dato che il potere della Commissione in parte dipende dalle reazioni dei mercati, l'atteggiamento benevolo degli investitori concede respiro alla litigiosa coalizione di governo. Questo a sua volta aumenta il rischio politico di Bruxelles nell'infliggere una sanzione. La stessa Commissione si sta concentrando sulle misure correttive che vuole vedere adottate dal governo italiano - in mancanza di ciò, si prevede che il gruppo attiverà presto una formale procedura di infrazione.

 

Lo sprint italiano

I rendimenti sono crollati, a dispetto delle prospettive di una rinnovata tensione con l'UE



 

Il Tesoro italiano mercoledì ha approfittato dei rendimenti bassi per vendere 6 miliardi di euro di obbligazioni a 20 anni tramite un consorzio di collocamento, ricevendo ordini di acquisto quattro volte maggiori.

 

I rendimenti decennali sono ora in bilico intorno al 2,40%, un livello visto l'ultima volta prima che andasse al potere la coalizione populista a giugno dello scorso anno, e ben al di sotto del livello del 3,81% registrato in ottobre. Il differenziale rispetto ai rendimenti delle obbligazioni tedesche di durata simile, un indicatore di rischio chiave nel Paese, rimane elevato, a 266 punti base, dopo aver toccato il minimo del mese martedì.

 

Uno spread al livello di 400 punti base è stato ampiamente propagandato come il livello al quale il governo potrebbe collassare. Salvini una volta ha scherzato sullo spread, sostenendo che "ce lo mangiamo a colazione".

 

Il recente sprint del mercato obbligazionario ha reso attraenti i titoli del debito italiano perché gli investitori sono alla ricerca di rendimenti più elevati. "Quando lo spread a dieci anni arriva a 280 punti base, è un'opportunità semplicemente troppo buona per farsela scappare, nonostante la rischiosità connessa all'Italia", ha dichiarato Richard McGuire, responsabile della strategia degli investimenti della Rabobank International.

 

Obbligazioni protette

 

Secondo Raffaella Tenconi, fondatrice della società di consulenza ADA Economics di Londra, le obbligazioni italiane sono al momento protette.

 

"In un mondo in cui i titoli del Tesoro USA stanno comprimendosi strutturalmente e le tre banche centrali globali più importanti distorcono il mercato verso politiche di allentamento monetario, è praticamente impossibile che le obbligazioni italiane vengano svendute al punto da danneggiare seriamente l'economia o la sua struttura finanziaria", dichiara Tenconi. "E in ogni caso, qualsiasi svendita è un'opportunità di acquisto per gli investitori".

 

Pierre Moscovici, commissario europeo per gli affari economici e finanziari, ha ricordato al governo di Roma che Bruxelles attende maggiori informazioni.

 

"Siamo pronti a prendere in considerazione tutti i nuovi elementi che l'Italia potrebbe proporre, ma non perdiamo tempo", ha dichiarato Moscovici mercoledì ai giornalisti a Bruxelles. "La palla è nel campo dell'Italia".

 

La Commissione deve vedere un "percorso credibile per il 2019 e il 2020", ha aggiunto il commissario. "Nessuno dovrebbe dubitare che applicheremo le regole se i criteri non sono soddisfatti".

 

 

12/06/19

Olivier Blanchard - L'Europa deve riformare le sue regole fiscali

 

Nel campo di battaglia tra il governo italiano e la Commissione europea, una voce di particolare prestigio si aggiunge agli economisti che sostengono  il nostro governo nella sua volontà di ridiscutere i vincoli di bilancio dell'Eurozona. Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo monetario internazionale, dopo avere in passato tardivamente ammesso gli errori commessi nel valutare l'impatto delle misure di austerità imposte alla Grecia, oggi sostiene in un articolo su Project Syndicate la necessità di alleggerire le regole di bilancio dell'eurozona e consentire ai paesi membri di effettuare politiche fiscali espansive tra loro coordinate. Non solo perché sono regole prive di valide ragioni, ma anche (e forse soprattutto) perché, dice, occorre arginare la marea montante dei populisti che potrebbero proporre le loro soluzioni "semplicistiche". 

 

 

 

Di  Olivier Blanchard, 10 giugno 2019

 

In un contesto di tassi di interesse persistentemente bassi e produzione al di sotto del potenziale, i responsabili delle politiche economiche devono ripensare quello che è l'approccio prevalente al debito pubblico. Per la zona euro, questo significa creare un bilancio comune, o almeno riformare le regole fiscali che hanno legato le mani dei governi degli stati membri senza una valida ragione.

 

All'inizio di quest'anno, ho sostenuto che nei paesi in cui i tassi di interesse sono estremamente bassi e il debito pubblico è considerato sicuro dagli investitori - ed è così reso meno costoso sia dal punto di vista fiscale che economico - potrebbero essere necessari maggiori deficit fiscali per compensare i limiti della politica monetaria. L'eurozona ha ora raggiunto questa fase.

 

Dopo la crisi finanziaria del 2008 e la successiva crisi dell'euro, la politica monetaria ha svolto un ruolo chiave per stabilizzare e rilanciare la zona euro. Ci sono voluti pragmatismo, creatività e talento politico da parte del presidente della Banca centrale europea Mario Draghi per realizzare questa impresa. Ma benché la politica monetaria non sia ancora esaurita, non ci si può aspettare che svolga di nuovo lo stesso ruolo.

 

Per contro, la politica fiscale, l'altra componente chiave di una sana gestione macroeconomica keynesiana, è stata sottoutilizzata, con il risultato che la produzione della zona euro non è ancora al suo livello potenziale. Questo è un problema urgente che non può essere risolto da un solo paese; richiede una risposta concertata della zona euro. Ma benché la necessità di un bilancio comune nella zona euro da cui attingere per finanziare ulteriori spese sia più urgente rispetto al passato, ciò comporterebbe una condivisione del rischio tra gli Stati membri politicamente difficile.

 

Tuttavia, ci sono altre misure che la zona euro potrebbe perseguire, a partire da una modifica delle regole fiscali. Con tassi di interesse così bassi, un limite del rapporto debito/PIL del 60% non è l'obiettivo giusto (se mai si cominciasse a perseguirlo). Non solo dovrebbe essere più alto, ma dovrebbe essere anche allentato il requisito secondo cui gli stati membri che superano il limite si debbano adeguare ad esso a una determinata velocità. Inoltre, poiché i responsabili delle politiche monetarie hanno poco spazio di manovra, l'Unione europea deve concedere ai governi maggiore libertà di stimolare la domanda attraverso la politica fiscale. Ciò significa anche allentare il limite del 3% del PIL sui deficit di bilancio.

 

Per sicurezza, ai governi non dovrebbe essere data carta bianca; ma nemmeno dovrebbero avere le mani legate così strettamente. Ciò di cui l'UE ha bisogno è una nuova filosofia delle regole. L'eurozona si è spinta così oltre nel porre vincoli su vincoli, partendo dal presupposto che i governi si comportino sempre in modo scorretto o cerchino sempre di imbrogliare, che a volte il risultato è incomprensibile.

 

Come primo passo, la Commissione europea dovrebbe smettere di gestire nel dettaglio le politiche fiscali degli stati membri. La Commissione dovrebbe intervenire solo quando un governo sta tendenzialmente accumulando un debito veramente insostenibile (cosa che può certamente accadere sotto una leadership irresponsabile). In caso contrario, il compito principale della Commissione dovrebbe essere quello di fornire informazioni ai mercati sulla salute dell'economia degli Stati membri e sul loro tendenziale percorso di indebitamento.

 

In questo modo, deciderebbero i mercati. Lo spazio fiscale, dopo tutto, è sotto gli occhi dell'investitore. Il Giappone ha un grosso debito pubblico, ma gli investitori non sembrano preoccupati; per l'Italia, dove gli investitori stanno chiedendo un grande premio per il rischio, è un'altra questione. La sfida per un governo di uno stato membro, quindi, non sarebbe più quella di compiacere la Commissione, ma di convincere gli investitori che sta operando in modo responsabile rispetto al debito.

 

(A questo proposito riportiamo per inciso la fondamentale osservazione di Wolfgang Munchau nella rassegna stampa di Eurointelligence sul pezzo di Blanchard: "Una cosa che manca all'analisi di Blanchard è la consapevolezza che lo spazio fiscale non dipende solo dagli investitori, ma dipende in maniera cruciale dal sostegno della banca centrale. Non è certo un caso che gli investitori non sembrino preoccupati per il grande stock di debito del Giappone. La banca centrale giapponese ha un impegno inequivocabile ad acquistare il debito del suo governo.")

 

Come secondo passo, la zona euro deve migliorare il coordinamento della politica fiscale e monetaria. (In realtà, questo sarebbe sempre stato necessario, ma ora la questione è particolarmente urgente.) In questa fase, la politica monetaria non può fare il lavoro da sola. Lo stimolo deve assumere la forma di un'espansione fiscale che compensi ciò che la BCE non può fare. Tuttavia nessun paese ha un incentivo a fare questo in maniera isolata, perché, con gli Stati membri così profondamente integrati, una parte dell'eventuale espansione fiscale andrebbe inevitabilmente persa sotto forma di maggiori importazioni.

 

Ciò che è necessario, quindi, è o un dispositivo di coordinamento attraverso il quale ogni paese si impegni a una maggiore espansione fiscale autofinanziata, o, preferibilmente (ma è una questione più controversa), un bilancio comune, finanziato da eurobond, che possa essere utilizzato per finanziare maggiori spese in ogni paese, quando e se necessario.

 

La posta in gioco è alta. Senza aumentare i limiti sul debito e senza un migliore coordinamento - attraverso un nuovo dispositivo o un bilancio comune - la politica fiscale resterà troppo restrittiva, l'attività economica troppo depressa e il rischio che i populisti vengano fuori con soluzioni semplicistiche è troppo elevato. Questa è l'ultima cosa di cui la zona euro ha bisogno.

 

10/06/19

Eurointelligence - Il Piano A dell'estrema destra è fallito, ma il piano B potrebbe far saltare in aria la UE

Nelle recenti elezioni europee, la destra euroscettica è cresciuta ma non è diventata la prima forza all'Europarlamento. D'altronde, se anche fosse riuscita nell'intento, ben difficilmente avrebbe potuto tradurre in realtà le mirabolanti promesse di Salvini, Le Pen e degli altri leader euroscettici di ribaltare le politiche europee, e l'Unione, dall'interno. Tuttavia, lungi dall'essere una buona notizia per gli europeisti incalliti, lo stallo potrebbe portare questi partiti a concentrarsi sulla presa o sul consolidamento del potere in casa propria, a livello nazionale. Inutile dire che la prospettiva di elezioni anticipate in Italia, che i poll danno per stravinte da Salvini, fa accapponare la pelle agli europeisti, poiché in verità nessuno (nemmeno in Italia, ci sentiamo di aggiungere) sa cosa voglia davvero Salvini e quale sia la sua ambizione ultima. Se spingesse fino in fondo il pedale dello scontro con la UE, in una escalation presto fuori controllo, l'Italia potrebbe avviarsi all'Italexit, di sicuro dall'eurozona e forse anche dalla UE. E questa volta, sull'altro lato dell'Atlantico, non ci sarebbe nessun Obama a mettere la tenuta dell'Unione tra le sue priorità.

 

 

di Wolfgang Munchau, 6 giugno 2019

 

 

In politica come in guerra, ci sono battaglie che possono rendere lo sconfitto ancora più pericoloso per il vincitore. C'è una buona ragione per ritenere che l'apparente intenzione di Viktor Orbàn di non aggregare il suo gruppo parlamentare a quello di Matteo Salvini, il populista di estrema destra più potente nella UE, rientri esattamente in questa categoria.

 

La scorsa settimana, due annunci a sorpresa a Budapest sono sembrati gli ultimi chiodi sulla bara dell'apparente Piano A di Salvini per proiettarsi alla sommità della politica europea. II capo di gabinetto di Orbàn ha rifiutato disinvoltamente un'alleanza tra Fidesz e la Lega, annunciando anche l'accantonamento di una controversa riforma giudiziaria. La motivazione, secondo commentatori ungheresi indipendenti, è il risultato delle elezioni europee. La grande onda di estrema destra non è riuscita a materializzarsi, principalmente a causa delle scarse prestazioni di altri partiti di estrema destra come AfD in Germania. Nei calcoli post-elettorali di Orbàn, rimanere con gli enfant terrible dell'EPP, o stringere relazioni con il partito ultra-conservatore polacco PiS, batte l'adesione all'Alleanza Europea dei Popoli e delle Nazioni guidata da Salvini, imponente nel nome ma mediocre per numero dei propri parlamentari.

 

Il Piano A di Salvini, appoggiato con entusiasmo dai leader di partito che condividono le stesse idee in tutta Europa, era quello di capitalizzare la creduloneria dell'elettorato di estrema destra in modo da trasformare un miraggio in realtà politica. L'idea era di aumentare il numero dei voti di estrema destra in tutta la UE vendendo la proposta che sarebbe stato possibile creare un gruppo di parlamentari nazionali populisti abbastanza grande da attuare una trasformazione della politica europea e della stessa UE. Capitalizzando il fatto che la gran parte dei giornalisti intervistatori non avrebbe insistito sul punto per ignoranza del funzionamento dell'Europarlamento, l'estrema destra ha spensieratamente affermato che le elezioni del 2019 offrivano ai propri elettori un'opportunità senza precedenti per imporre una restrizione dei poteri della UE e cambiare il corso della politica europea. Il fatto che anche il gruppo più grande dell'Europarlamento non abbia nessuna possibilità di modellare il risultato politico senza costruire una grande coalizione è rimasto taciuto quando Jordan Bardella in Francia, Jorg Meuthen in Germania, o Salvini in Italia hanno promesso agli elettori che era arrivato il loro momento.

 

Notiamo l'ironia che il promesso sconvolgimento dall'interno dell'Europarlamento, un'istituzione a lungo derisa dalla destra euroscettica come un inutile luogo dove si fanno solo chiacchiere, de facto equivaleva a un'involontaria accettazione del sistema istituzionale della UE. Simpaticamente, ha spinto i candidati di spicco come Gilbert Collard del RN a dire che, ovviamente, deve essere dato maggior potere all'Europarlamento, poiché è espressione del voto del popolo. Dubitiamo che Collard fosse consapevole di mimare la posizione degli entusiasti federalisti europei. L'ironia non finisce qua. Il Piano A di Salvini ha aiutato a invertire una tendenza lunga decenni di disimpegno degli elettori dalle elezioni europee. Anche in questo caso, la Francia offre l'esempio più spettacolare. Anche se il RN ha visto il numero assoluto di voti crescere di ben oltre il mezzo milione, la sua percentuale di voti è scesa più di un punto rispetto a cinque anni fa perché ha fatto emergere anche l'opposizione al RN. Il Piano A dell'estrema destra ha rinvigorito l'importanza delle elezioni europee, aiutando l'Europarlamento ad affermare la propria autorità come l'espressione più diretta della democrazia europea.

 

Godere dell'ironia di tutto ciò non dovrebbe distrarci dal pericolo di fronte a noi. Il fallimento nel costruire una base di potere effettiva nell'Europarlamento logicamente farà concentrare gli sforzi dell'estrema destra su scenari alternativi. Questi sforzi saranno tutti basati sulla conquista di un maggior potere a livello nazionale, e Salvini è di gran lunga il più pericoloso tra i potenziali disgregatori. L'Italia sembra essere sul percorso che porta ad elezioni nazionali anticipate, e il sistema elettorale del paese darà alla Lega una grande vittoria, nelle attuali dinamiche politiche. Il pane quotidiano della politica di Salvini è la contrapposizione con la UE e le sue due potenze guida. Se Salvini vince le elezioni con un mandato elettorale per combattere la UE sulle politiche economiche, fiscali e sociali, potrebbe verificarsi uno scontro che porterà la UE e l'eurozona in territorio inesplorato.

 

La UE ha una comprovata esperienza nel far fare retromarcia ai governi, anche al prezzo di costringere un primo ministro alle dimissioni dopo averne distrutto l'autorità politica. George Papandreou ha dovuto fare un passo indietro dopo essere stato costretto ad abbandonare i suoi piani per un referendum. La posizione di Silvio Berlusconi è crollata completamente subito dopo che Angela Merkel e Nicolas Sarkozy hanno deliberatamente segnalato che non lo vedevano più come un interlocutore da prendere seriamente. Ma Salvini è molto più padrone di sé di quanto lo fosse Berlusconi. La situazione del 2019 è molto differente da quella del 2011. Oggi, Donald Trump potrebbe rallegrarsi dell'indebolimento della UE, mentre Barack Obama fece della sopravvivenza dell'eurozona una priorità fondamentale.

 

Nessuno che conosciamo ha una vera comprensione delle idee di Salvini e della sua ambizione finale. Vuole raggiungere il potere attraverso lo scontro, ma si tirerà indietro dall'intraprendere gli ultimi passi che farebbero rischiare all'Italia l'uscita dalla zona euro e forse dall'UE? La sua ostilità verso l'integrazione nell'UE è più tattica che ideologica? Cerca di condividere il potere con il mainstream, e se diventerà primo ministro si concederà di essere politicamente addomesticato, come membro del club dei leader? È uno stratega politico, un calcolatore attento, che flirta con la crisi ma che desidera evitarla una volta che la prospettiva diventi troppo reale? E come reagirebbero gli elettori italiani ad uno scontro che finisca fuori controllo?

 

Nel 2019 si può rispondere a queste stesse domande su altri leader e paesi, come ad esempio Orbàn e l'Ungheria. Ma mentre la perdita dell'Ungheria sarebbe un intoppo, la perdita dell'Italia sarebbe un disastro che potrebbe far saltare in aria la UE.

 

08/06/19

La valuta parallela dell'Italia è esplosiva per la zona euro

Come riporta questo articolo di Die Welt, in Germania la questione dei minibot italiani è presa molto seriamente. La diffusione di questi titoli statali di piccolo taglio, il cui valore sarebbe garantito dalla possibilità di usarli per pagare le tasse, porrebbe di fatto le basi per l’adozione di una nuova moneta nel Bel Paese. In uno scontro con l’UE, come avvenuto con la Grecia, l’Italia si troverebbe così a negoziare da una posizione di forza. Un paese che non ha beneficiato dei trattati attuali, che versa a Bruxelles più di quanto riceva in fondi europei, che ha un attivo di bilancia commerciale e con un’alternativa pronta già nelle tasche dei cittadini, potrebbe chiedere molto all’UE, oppure decidere che andarsene sia la scelta migliore. 

 

 

 

Di Daniel Eckert, 4 giugno 2019

Traduzione di Musso

 

 

Il governo italiano gioca con il fuoco. I politici della Lega di Matteo Salvini continuano a mettere sul tavolo l'idea di una moneta parallela. I minibot, ora resi possibili dal Parlamento, sono un primo passo in questa direzione.

 

Portano un nome che suona in qualche modo carino: i minibot. Ma una volta diffusi, i loro effetti potrebbero non essere carini. Perché i minibot sono uno strumento finanziario con il quale il governo populista d'Italia potrebbe scardinare l’eurozona. Quantomeno potrebbero sconfessare Bruxelles e l'Unione europea (UE) e seminare un nuovo dissidio nel cuore dell'unione monetaria.

 

Tra l’indifferenza dell’opinione pubblica interna, la Camera dei Deputati italiana ha votato la scorsa settimana per l'introduzione dei minibot. In futuro, lo stato dovrebbe avere il diritto di pagare i fornitori nazionali con questi titoli di credito. Si parla di una cifra di importo miliardario. Allo stesso tempo, il Tesoro può accettare queste carte anche per il regolamento dei debiti fiscali. Pertanto, la definizione di mezzi di pagamento sembra essere soddisfatta, soprattutto dal momento che i minibot, come suggerisce il termine "mini", dovrebbero essere emessi in piccole denominazioni (ad esempio, 100 euro).

 

Da quel momento in poi, è solo un piccolo passo verso una valuta parallela, e questo è esattamente ciò che Matteo Salvini, leader della Lega di destra e vice primo ministro, potrebbe mirare a fare. Il portavoce economico della Lega, Claudio Borghi, è un acceso sostenitore dei piccoli mostri fiscali. Come per gli altri paesi dell'unione monetaria, vale anche per l'Italia: la moneta a corso legale è solamente l'euro.

 

I minibot come minaccia contro la Commissione Europea

Se i minibot si diffondessero in tutta l'economia italiana e venissero passati di società in società e di cittadino in cittadino, lo stato italiano potrebbe farsi il proprio denaro. Nel corso del tempo, i nuovi coupon sarebbero negoziati sul mercato e quotati ad un prezzo (presumibilmente inferiore) rispetto all'euro. Sarebbe l'inizio della strisciante uscita dell'Italia dall'euro.

 

Piani per i minibot erano discussi in Italia già prima delle elezioni parlamentari del 2018. Erano poi anche nell'accordo di coalizione, ma non furono perseguiti, poiché il desiderio della popolazione di un Italexit (un'uscita del paese dall'unione monetaria) non era particolarmente grande.

 

"Posso ben immaginare che i minibot ora tornino, per rappresentare una minaccia contro la Commissione europea nella prossima procedura di deficit", afferma Thomas Mayer, capo economista e direttore fondatore del ‘Flossbach von Storch Research Institute’. Mentre ciò non permetterebbe a Roma di aggirare i criteri fiscali, poiché essi si concentrano su deficit e debito piuttosto che sul finanziamento: "Ma si può minacciare di lasciare gradualmente l'euro, se si è costretti dall'UE a ridurre il deficit".

 

"I minibot non sono l'inizio di una nuova valuta", afferma Erik Nielsen, Chief Economist presso UniCredit a Londra. Tuttavia, la retorica dello stesso governo italiano ha il potenziale di disorientare le persone. La confusa politica di comunicazione di Roma ha contribuito a confondere l'idea potenzialmente significativa di cartolarizzare il debito pubblico, con la dottrina voodoo di una valuta parallela. Così, gli investitori hanno reagito quasi freneticamente alla vitazione del Parlamento in merito al minibot, venerdì, prima che si calmassero, più tardi.

 

Yanis Varoufakis ha seguito una strategia simile durante il suo breve mandato come ministro delle Finanze greco nel 2015. Alla fine, tuttavia, non è riuscito a prevalere contro la troika composta dalla Commissione europea, dalla Banca centrale europea e dal Fondo monetario internazionale (FMI). "La sua valuta parallela era solo all’inizio della pianificazione e i creditori fecero sapere, che la Grecia poteva anche lasciare l'unione monetaria, se lo avesse voluto", dice Mayer.

 

Al contrario, i minibot in Italia, secondo lui, sono già ben progettati. "La Commissione e altri paesi preferirebbero non minacciare una uscita dell'Italia. Salvini ha carte migliori oggi, rispetto a Varoufakis nel 2015", dice Mayer, riferendosi all'importanza dell'economia italiana.

L'Italia è la terza economia più grande nella zona euro dopo la Germania e la Francia. A differenza di altre economie, tuttavia, il membro fondatore della Comunità europea del 1957 non ha apparentemente beneficiato dell'appartenenza all'unione monetaria. Soprattutto dopo la crisi finanziaria, la debolezza degli europei del Sud è divenuta sempre più evidente: l’indice della Borsa di Milano oggi è allo stesso livello di dieci anni fa. Il Dax è più che raddoppiato nello stesso periodo.

 

Mentre altre importanti economie europee possono indebitarsi a tassi d'interesse pari a zero o appena marginali, i partecipanti al mercato dei capitali italiani richiedono il 2,6 per cento per i titoli di stato decennali. L’agitata Grecia ora paga solo leggermente di più, il 2,8 per cento. Il debito è uno dei più alti del mondo, pari a oltre il 130 percento del prodotto interno lordo. Secondo le normative dell'UE, è consentito un massimo del 60 per cento.

 

 

Tuttavia, è ancora del tutto incerto se Salvini troverà una maggioranza parlamentare a sostegno della distribuzione dei minibot. Nell'elezione alla Camera dei Deputati nel 2018, la Lega aveva ottenuto il 17,4% dei voti. Nelle elezioni europee del 26 maggio, tuttavia, i populisti di destra hanno raddoppiato la loro percentuale di voti, arrivando al 34,3%.

 

Pertanto, l'uomo politico della Lega potrebbe impostare le eventuali elezioni anticipate come un voto sull'indipendenza del paese da Bruxelles. Da sola, la minaccia di una valuta parallela, potrebbe destabilizzare l'eurozona. Con un debito totale di 2,3 trilioni di euro, Roma ha un enorme potenziale di minaccia.

 

06/06/19

"La corruzione! il malgoverno!"... e intanto il 98,3 percento dell’oro del Ghana finisce in mano alle multinazionali

Un articolo su CommonDreams spiega il meccanismo neo-colonialista di saccheggio delle risorse. Le corporazioni multinazionali, sostenute dai creditori come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, si appropriano della totalità delle risorse dei paesi in via di sviluppo (ossia i paesi resi debitori e dipendenti dal capitale estero). Nel frattempo queste stesse istituzioni diffondono la narrazione ipocrita secondo cui la miseria è causata prevalentemente dalla corruzione e dal malgoverno dei funzionari locali — funzionari che di solito sono eterodiretti dalle multinazionali stesse e hanno comunque un limitato potere decisionale. Così si svuota la sovranità nazionale del suo significato mantenendone però le parvenze esteriori, mentre si diffonde surrettiziamente l'idea che i popoli non sappiano governarsi da soli.

 

 

di Celina della Croce, 19 maggio 2019

 

Ogni anno la gran parte delle risorse naturali prodotte dal Ghana viene rubata. Il paese è tra i più grandi esportatori di oro nel mondo. Tuttavia, secondo uno studio della Banca del Ghana, solamente meno dell’1,7 percento dei proventi totali della sua vendita di oro raggiungono il governo ghanese. Questo significa che il restante 98,3 percento viene gestito da entità esterne, prevalentemente da aziende multinazionali, che fanno la parte del leone nella spartizione dei profitti. In altre parole, dei 5,2 miliardi di dollari di oro prodotti tra il 1990 e il 2002, il governo ha ricevuto solo 87,3 milioni, composti da tasse sui redditi e royalties.

 

La narrazione dominante propagata da istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale (FMI), che controllano le leve della finanza globale, identifica il malgoverno dei funzionari locali come responsabile delle conseguenze di questo saccheggio, citando gli scandali di corruzione come ragione principale della mancanza di risorse. Tuttavia il discorso sul malgoverno, ovvero l’idea che la corruzione dei funzionari locali sia la causa della povertà endemica, del basso livello della sanità, istruzione e altre misure di benessere nazionale, si focalizza solo su ciò che succede su quell’1,7 percento di proventi che lo stato del Ghana riceve dalla vendita di oro. Sarah Bracking fa notare come “l’azienda può sostenere che il valore di mercato del suo prodotto non sia un sinonimo del suo surplus o profitto, dato che il capitale investito, i salari, il deprezzamento dei macchinari e così via rappresentano a loro volta un costo. Tuttavia, i dati mostrano chiaramente che i bassi proventi ricevuti dai proprietari sovrani delle risorse del sottosuolo in proporzione al loro valore finale di mercato – proventi che in Africa, in quella regione, possono essere stimati fra il 3 e il 5 percento – per il Ghana sono comunque bassi (circa l’1,7 percento)”. Dare la colpa ai funzionari per l’uso che fanno dei fondi pubblici può anche essere un argomento vero, ma cosa dobbiamo dire del restante 98,3 percento di proventi generati dall'esportazione di oro dal Ghana?

 

I singoli individui vengono accusati, le dita vengono rabbiosamente puntate contro i governi corrotti, mentre le nazioni che essi governano vengono derubate a mani basse dalle corporazioni multinazionali. Sono queste stesse corporazioni, che lavorano assieme a istituzioni come l’FMI e la Banca Mondiale, a definire i termini del discorso. Questi creditori internazionali seppelliscono i paesi debitori con tassi di interesse e termini di prestito tali da dare alle istituzioni creditrici il potere di determinare e approvare o disapprovare le politiche nazionali.

 

I leader nazionali dei paesi che cadono nella trappola del debito vengono costretti a cedere in pegno il diritto di determinare le proprie politiche al fine di poter accedere ai prestiti. Questi stessi leader vengono poi accusati dalle stesse istituzioni creditrici delle conseguenze delle politiche e dei termini stabiliti (questa è una caratteristica chiave del neocolonialismo). Questi leader vengono accusati anche delle conseguenze a lungo termine delle centinaia di anni di colonialismo precedente.

 

In certi casi è vero che i leader nazionali sono coinvolti in scandali di corruzione. In altri casi la corruzione è inventata, e la narrazione poggia su uno schema ormai profondamente interiorizzato e sulla mancanza di fiducia nella leadership nazionale nel Sud del mondo, seppure questa sia priva di evidenza (si veda il caso recente del Brasile con l'incarcerazione del candidato presidente Lula da Silva).

 

Anche nei casi in cui la corruzione dei governi locali esiste effettivamente, la quantità di denaro appropriato è impercettibile a confronto con la ricchezza prelevata e portata via dalle corporazioni multinazionali. In altre parole i baroni del furto su larga scala accusano i piccoli borseggiatori delle conseguenze del loro ladrocinio. Secondo la Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo, gli schemi fiscali delle multinazionali causano una perdita stimata in 100 miliardi di dollari ogni anno di perdita di gettito fiscale per i paesi in via di sviluppo. Vijay Prashad della Tricontinental: Institute for Social Research, definisce questo fenomeno “sciopero fiscale”, ovvero l’idea che “quelli che detengono la proprietà, i padroni del capitale, sono essenzialmente in sciopero contro i regimi di tassazione. Usano le loro ampie ricchezze per nascondere i soldi o cambiare il sistema di tasse in modo che gli offrano maggiori protezioni”. Anziché usare i soldi per l’utilità sociale, come investimento in servizi pubblici, infrastrutture, sanità o istruzione, utilizzano i soldi per incrementare la loro ricchezza, spesso “inflazionando i mercati valutari e le bolle speculative”.

 

Per fare un confronto, durante una lezione magistrale il presidente della Banca Mondiale Jim Yong Kim ha sostenuto che la corruzione sotto forma di tangenti e furti da parte dei funzionari dei governi costava, ogni anno, fra i 20 e i 40 miliardi di dollari ai paesi in via di sviluppo. In altre parole, secondo un calcolo grossolano, il costo dei governi corrotti sarebbe comunque fra il 40 e l’80 percento meno della metà di quello che gli stessi paesi perdono a causa dei paradisi fiscali off-shore.

 

Il vero potere rimane quindi nelle mani delle multinazionali, le quali non solo riescono a portare via grandi ricchezze che dovrebbero appartenere alle “nazioni scure”, ma continuano anche a esercitare il controllo sulle nazioni del Sud del mondo, laddove usano l’accesso alla finanza come leva per imporre politiche che vanno a beneficio di se stesse, a spese dei popoli che vivono in quei paesi.

 

Quando i leader locali vengono ritenuti una minaccia troppo grande agli interessi delle multinazionali, vengono rapidamente deposti con colpi di stato, come abbiamo visto ad Haiti (2004) e in Honduras (2009), o con campagne di destabilizzazione, come stiamo vedendo attualmente in Venezuela. Kwame Nkrumah, leader della lotta per l'indipendenza del Ghana e primo presidente del paese, ha parlato di questo processo come neocolonialismo. “L’essenza del neocolonialismo è che lo stato che vi è soggetto è in teoria indipendente e ha tutte le parvenze esteriori della sovranità verso l'estero. In realtà però il suo sistema economico, e quindi la sua politica, è dettata dall’esterno”, ha scritto Nkrumah nel suo libro “Neo-Colonialismo, l’ultima fase dell’imperialismo”. Attraverso organizzazioni come l’FMI e la Banca Mondiale, gli ex-colonialisti si battono per “i loro obiettivi… in modo da imporre il colonialismo nei fatti mentre nelle parole predicano l’indipendenza dei paesi”.

 

Cinquanta anni dopo che Nkrumah ha scritto “Neo-Colonialismo, l’ultima fase dell’imperialismo” (1965), e 62 anni dopo l’indipendenza del Ghana dalla Gran Bretagna (1957) le considerazioni di Nkrumah restano più vere che mai. Le parole preferite dall’imperialismo sono cambiate, ma la struttura sottostante è rimasta la stessa: un sistema dove l’illusione della libertà maschera i rapporti di potere, e dove il monopolio del capitale, nella forma delle corporazioni multinazionali e delle istituzioni creditrici, esercita il controllo sulla realtà economica e politica dei paesi.

 

La narrazione dei neocolonialisti di oggi accusa il “malgoverno” di essere l'ostacolo verso un futuro migliore nel quale i cittadini del Ghana potranno beneficiare delle loro grandi risorse minerarie, come fa notare Gyekye Tanoh del Network del Terzo Mondo (Africa), nella sua recente intervista con Tricontinental: Institute for Social Research. Secondo questo racconto la corruzione dei governi locali sarebbe colpevole di tutto. Tuttavia, questa narrazione lascia da parte e non menziona il saccheggio delle risorse naturali e lo sfruttamento del lavoro attuato dai colonizzatori (che nel caso del Ghana è la Gran Bretagna).

 

Non solo i sistemi di raffinazione dei minerali come oro e petrolio non sono stati sviluppati dai colonizzatori stessi, ma la dipendenza del paese dal capitale estero per acquistare ed elaborare queste risorse ha mantenuto il paese in una posizione simile a quella del suo status coloniale pre-1957, come aveva previsto Nkrumah. Una posizione nella quale le multinazionali, subentrate al posto della Gran Bretagna, detiene la vasta maggioranza dei proventi dell’oro e delle altre risorse prodotte dai ghanesi. Tanoh spiega: “l’intero sistema messo in atto dagli anni ’80 costringe i paesi a dipendere dall'esportazione di materiali grezzi e a diventare dipendenti dagli acquirenti esteri, lasciando così paesi come il Ghana con una porzione minuscola della ricchezza che appartiene alla sua terra. Il buon governo di per sé non può risolvere questo problema, a meno che il buon governo non inizi a rivolgersi alle dinamiche strutturali profonde”.

 

Puntando il proverbiale dito contro i responsabili della distribuzione dell’1,7 percento di ricchezza generata, e presentandoli come i principali colpevoli della corruzione, della povertà, e del sottosviluppo, non è solo dissennato e irresponsabile. È parte della narrazione sistemica che svia l’attenzione dai veri ladri: le corporazioni multinazionali che si appropriano del restante 98,3 percento della ricchezza. È intellettualmente disonesto ignorare il contesto storico più ampio che ha determinato l’esiguità dei proventi dell’oro ghanese che vengono distribuiti ai cittadini del Ghana. Il vero malgoverno è l’appropriazione del 98,3 percento della ricchezza prodotta dalle risorse naturali che viene incanalata nelle casse delle corporazioni multinazionali anziché venire restituita a beneficio dei ghanesi.

 

Delle 10 maggiori multinazionali che operano nel continente africano, solo una (Vale, brasiliana), ha sede nel Sud del mondo. Delle restanti nove, tre hanno sede negli Stati Uniti, tre in Canada, due in Australia, una in Gran Bretagna. Sono tutte multinazionali private. In altre parole, l’oro estratto dal suolo del Ghana (così come le ricchezze naturali estratte in tutto il continente africano e nel Sud del mondo) viene immediatamente messo nelle mani delle corporazioni multinazionali, quasi interamente controllate dal Nord del mondo (nel migliore dei casi, dalle élite nazionali), per essere elaborato, raffinato e distribuito. La morte, gli stupri e le malattie prevenibili che affliggono coloro che lavorano nelle miniere o vicino a essere imperversano nell'intera area dove le multinazionali operano (così come mostrato dall’ultimo briefing di Tricontinental: Institute for Social Research).

 

Sebbene il Ghana abbia conquistato la sua indipendenza nel 1957, le vestigia del colonialismo e del sottosviluppo non sono scomparse. Sotto il dominio colonialista le risorse venivano estratte dalle ex-colonie, come il Ghana, per ingrossare le ricchezze dei colonizzatori. La ricchezza prodotta dall'oro (ancora maggiore grazie al ricorso al lavoro forzato e alla schiavitù) usciva rapidamente dal paese, promuovendo lo sviluppo in Inghilterra e lasciando il Ghana privo di infrastrutture per sviluppare e raffinare a sua volta le proprie risorse, e lasciando i cittadini ghanesi senza accesso ai servizi essenziali.

 

Accettare la narrazione del malgoverno significa cedere in quella che Fidel Castro aveva chiamato la Battaglia delle Idee. Significa lasciare ai potenti – le corporazioni multinazionali, la rete di istituzioni che proteggono i loro interessi, dall’FMI alle corporazioni no-profit fino ai media mainstream – la definizione dei termini del discorso sullo sviluppo, la sovranità e la vita delle persone che abitano nelle terre ricche di risorse. Significa cedere il controllo delle risorse ghanesi alle corporazioni multinazionali, i veri ladri della maggior parte della ricchezza del paese, sotto il falso pretesto che i ghanesi non siano capaci di gestirsi da soli. Citando Gyekye, “il linguaggio del buon governo… implica che solamente il comportamento aberrante dei pubblici funzionari debba essere visto come corruzione. Eppure, certo, la mancanza di risorse disponibili per le istituzioni pubbliche democratiche rende impossibile creare o sostenere dei meccanismi interni di anti-corruzione”.

 

È intellettualmente disonesto accusare i leader locali di essere i maggiori colpevoli del malgoverno, lasciando convenientemente le multinazionali fuori dal quadro della situazione. Sono le vestigia del colonialismo, e la sua continuazione nella forma di neocolonialismo, che privano i ghanesi del diritto di elaborare, sviluppare e gestire le loro ricchezze naturali e di essere così i padroni delle proprie politiche. In altre parole, li privano del diritto alla sovranità nazionale. Le corporazioni multinazionali, che hanno preso il posto dell’Impero Britannico del passato, e sono spesso sostenute da un’entusiastica borghesia nazionale, hanno derubato il popolo ghanese della sovranità sulle sue risorse, della sua ricchezza e del suo futuro.

05/06/19

L’uomo sbagliato per la BCE

Un articolo di Politico si occupa della successione di Draghi alla BCE. Il candidato naturale, il falco tedesco Weidmann, spaventa anzitutto gli europeisti più convinti. Infatti la sua intransigenza, che gli impedirebbe di sostenere le eventuali economie periferiche in difficoltà, avrebbe come inevitabile conseguenza la rottura dell’eurozona, che secondo Weidmann non è compito della BCE prevenire.

 

 

 

Di Paul Taylor, 4 giugno 2019

 

 

Ha votato contro le decisioni che hanno salvato l’euro. Le criticò pubblicamente, mentre i mercati finanziari erano ancora in fibrillazione. Non offrì alcuna alternativa. E crede ancora che non sia compito della Banca Centrale Europea salvare l’eurozona – solo mantenere la stabilità dei prezzi.

 

Tuttavia, c'è qualcuno a Berlino e a Francoforte che vuole nominare Jens Weidmann, capo della Bundesbank e portabandiera dell’ortodossia monetaria tedesca, successore di Mario Draghi, quando l'attuale presidente italiano della BCE lascerà la carica, in autunno.

 

La competizione per il posto più potente e sensibile dell’economia europea dovrebbe rigorosamente avvenire in base ai suoi meriti. Ma come una rara eclissi di luna, la nomina – che avviene ogni otto anni – coincide quest'anno con il ciclo politico e legislativo quinquennale della UE, per la prima volta da quando è incominciato, nel 1998.

 

Di conseguenza le nomine della BCE sono diventate parte di una trattativa più ampia tra i leader della UE, trattativa che coinvolge le posizioni di vertice della Commissione europea, del Consiglio europeo e del Parlamento europeo, così come la prossima guida della politica estera dell’area valutaria.

 

Dopo che la scorsa settimana i leader hanno avuto una prima discussione informale riguardo a questo mercato (in italiano nell'originale, NdVdE), il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha detto che si sarebbe consultato con il Parlamento e i governi nazionali per provare a “fare chiarezza su questi posti già a giugno” al prossimo summit UE. Ha anche parlato della “necessità di riflettere la diversità dell’Unione in termini di geografia, grandezza dei paesi, genere, così come di affiliazione politica.

 

L’affermazione di Tusk è sembrata subordinare la scelta del capo della BCE al risultato della più ampia battaglia politica per il potere sulla Presidenza della Commissione, e alla necessità di bilanciare le scelte tra Est e Ovest, Nord e Sud, maschio e femmina e sinistra e destra. In breve, se la cancelliera tedesca Angela Merkel non riuscisse a far investire il conservatore bavarese Manfred Weber della carica più importante della Commissione, a causa dell’opposizione guidata dal presidente francese Emmanuel Macron, la Germania dovrebbe essere compensata con un altro posto importante.

 

Questo non è certo il modo di scegliere il capo della banca centrale che, in assenza di un governo centrale UE, è l’ultima linea di difesa dell’eurozona contro una crisi finanziaria. Potrebbe costare caro all’Europa quando la prossima crisi colpirà, che sia a causa della guerra commerciale globale scatenata dal presidente USA Donald Trump, da una Brexit caotica senza accordi, dall’esplosione fiscale dell’Italia o da qualche evento meno prevedibile.

 

La BCE ha bisogno di un leader disposto a pensare fuori dagli schemi e a intraprendere azioni non convenzionali in mezzo a una tempesta. Weidmann non ha la mentalità giusta per ricoprire il ruolo. Nonostante la sua intelligenza, le sue capacità comunicative in diverse lingue, l’esperienza di governo e il carisma, guardando al suo passato non c’è ragione di credere che questo tedesco conservatore sarebbe disposto a fare (o anche solo a dire) “qualunque cosa serva” per preservare l’euro, come fece Draghi con un gesto coraggioso di saggezza politica all’apice della crisi dell’eurozona nel 2012.

 

I sostenitori di Weidmann sostengono che sarebbe l’uomo giusto per far capire la politica della BCE alla scettica opinione pubblica tedesca. Ma Weidmann è accecato dal dogma dei limiti del mandato della Banca Centrale. Ha sostenuto che il fallire persistentemente al ribasso l’obiettivo di inflazione della BCE (vicino ma sotto il 2%) non è un problema, e non dovrebbe rimandare l’inasprimento della politica monetaria ultra espansiva. Ha anche manifestato la sua vicinanza al malcontento dei risparmiatori tedeschi, che non ricevono più un interesse reale sui loro depositi di risparmio a rischio nullo, a causa dei bassi tassi della BCE.

 

La volontà di Draghi di fare qualsiasi cosa per preservare l’euro, sostenuta da una politica pronta a comprare obbligazioni di breve durata dei governi in difficoltà che accettavano e implementavano un programma di aggiustamento, ha segnato un punta di svolta nella crisi dell’eurozona.

 

Non solo Weidmann si oppose all’OMT (Outright Monetary Transactions), ma testimoniò in una causa intentata da professori ultra-conservatori della Corte costituzionale tedesca, che sosteneva che la BCE non potesse agire da prestatore di ultima istanza per i governi dell’eurozona, con il rischio di perdite per i contribuenti tedeschi. Le sue affermazioni alimentarono i più accesi critici tedeschi della BCE, che accusano Draghi di un esproprio indiretto dei pensionati tedeschi per mantenere l’Italia a galla con prestiti a basso tasso.

 

“Se Weidmann venisse scelto, i mercati finanziari potrebbero velocemente voler mettere di nuovo alla prova l’eurozona”, ha dichiarato Guntram Wolf, direttore del think tank economico Bruegel a Bruxelles. “La cosa diventa ancor più probabile guardando il serio scontro politico in atto tra l’UE intera e la politica e l’economia italiana”.

 

Quando lo scorso anno il Frankfurter Allgemeine Zeitung gli chiese se la conservazione dell’euro dovrebbe essere un obiettivo di stabilità monetaria, Weidmann rispose: “La BCE ha un solo obiettivo, ossia assicurare la stabilità dei prezzi”. È compito dei politici, aggiunse, assicurare che gli stati membri attuino politiche economiche che rendano l’area valutaria sostenibile nel lungo periodo.

 

Altri banchieri centrali, come Draghi, hanno interpretato il mandato della BCE in maniera molto più vasta. Mentre il trattato UE fa della stabilità dei prezzi l’obiettivo primario, esso dice anche che la banca “sosterrà le politiche economiche generali dell’Unione” e promuoverà “il buon funzionamento dei sistemi di pagamento”.

 

Con i tassi di interesse a zero, l’inflazione che si ostina a rimanere bassa e la massa di obbligazioni governative che possono essere comprate vicina all’estinzione, la banca ha meno strumenti per combattere un nuovo rovescio, se questo dovesse arrivare. Potrebbe comprare azioni o obbligazioni bancarie, come ha fatto la Banca del Giappone. Potrebbe anche trovare modi per finanziare direttamente gli investimenti pubblici in infrastrutture e la transizione dell’eurozona all’energia verde, ma passi così controversi vanno in direzione opposta all’ortodossia conservatrice tedesca.

 

Ci sono molti candidati molto qualificati per guidare la BCE nei prossimi otto anni.

 

Il Governatore della Banca di Francia Francois Villeroy de Galhau, 60 anni, condivide l’idea più ampia di Draghi sul ruolo della BCE e ha sostenuto recentemente che la politica monetaria dovrebbe rimanere espansiva, mentre i falchi stanno tentando di “normalizzarla”. Questo uomo francese, che parla anche tedesco, con un curriculum rispettabile sia nel settore privato sia in quello pubblico, è la prima scelta di coloro che cercano la continuità rispetto agli anni di Draghi. Specialmente dal momento che l’altro francese, Benoit Corure, 50 anni, sembra non poter accedere alla carica dal momento che è nel mezzo di un mandato di otto anni non rinnovabile all’interno del comitato esecutivo della BCE.

 

Se entrambi i francesi venissero bloccati dall’opposizione tedesca, ci sono due finlandesi in attesa. Erkki Liikanen è stato un valido aiuto per Draghi nel consiglio direttivo della BCE, in quanto votante per l’ala nordica che ha sostenuto le azioni decisive nei momenti di crisi. Ma compirà 69 anni ad ottobre, forse troppo avanti con gli anni per un mandato di otto anni. Una possibilità che avrebbe un precedente è che Liikanen potrebbe impegnarsi per un mandato di durata inferiore e poi lasciare il posto a un successore più giovane.

 

Olli Rehn, 57 anni, è stato un commissario europeo per gli affari economici e monetari durante il picco della crisi dell’eurozona e ora è il governatore della Banca di Finlandia, ha fatto alcuni discorsi interessanti in cui richiedeva una revisione in stile FED della politica monetaria della BCE alla luce della persistente mancanza di inflazione rispetto al valore prefissato. Tuttavia, nessuno dei due finlandesi è un grande comunicatore.

 

CI sarà anche chi chiederà che si cerchi una donna, per bilanciare la schiacciante maggioranza maschile all’interno della gerarchia della BCE. C’è una sola donna nel Consiglio Governativo di 25 membri.

 

La vice governatrice della Bundesbank Claudia Buch, 53 anni, e la vice governatrice della Banca di Francia Sylvie Goulard, 54 anni, sembrerebbero non avere l’esperienza monetaria necessaria per il ruolo guida. Ma loro, e altre economiste donne distinte, come l’economista capo dell’OCSE Laurence Boone, 50 anni, le professoresse della London Business School, Helen Rey, 49 anni, e Lucrezia Reichlin, 64 anni, sono tutte ben qualificate per una posizione all’interno del Consiglio esecutivo.

 

C’è anche un altro pretendente che sembrerebbe ampiamente qualificato se la priorità fosse di dare alla Germania il posto di comando della BCE. Klaus Regling ha creato il fondo di salvataggio dell’eurozona, il Meccanismo di Stabilità Europea (ESM), da zero, dopo una carriera che lo ha visto al FMI, al ministero delle Finanze tedesco e nella Commissione europea. Regling, che compie 69 anni quest’anno, potrebbe essere abbastanza tedesco per rassicurare i cittadini di Francoforte, ma anche abbastanza flessibile mentalmente per fare “qualunque cosa sia necessaria” se dovesse esserci un’altra crisi.

 

Qualunque sia la questione, insomma, a proposito del prossimo presidente della BCE, la risposta non è Weidmann.