Solitamente la diagnosi di Laboratorio dell’infezione da COVID-19 si basa sulla ricerca in un tampone delle alte vie aeree (naso-faringeo o oro-faringeo) dell’RNA virale con metodiche di biologia molecolare (PCR). Tuttavia, come sostiene il prof. Heneghan, Direttore del Centro di Medicina basata sull’Evidenza [la pratica medica basata sull’uso esplicito e coscienzioso delle migliori prove scientifiche] dell’Università di Oxford, "annunciare semplicemente i nuovi positivi al test ci dice molto poco, mentre quello che dobbiamo sapere con un ragionevole grado di certezza è se un caso 'positivo' è contagioso oppure no", anche per non correre il rischio di isolare persone non infettanti e mettere in quarantena i loro contatti o intere comunità.
Alla
luce di questi presupposti, di recente ha avuto ampia risonanza mediatica (si
veda, ad esempio, qui e qui ) la notizia di una possibile sovrastima al tampone dei casi effettivamente
positivi e contagiosi, riportata in un lavoro del team di Oxford attualmente in
corso di revisione tra pari. Una scoperta importante che aggiunge ulteriori elementi a un dibattito in
corso nel mondo scientifico e con ampie ricadute nella pratica clinica (si veda
ad esempio qui oppure qui).
Il ragionamento sotteso è spiegato dal prof. Heneghan
e dal suo collaboratore T. Jefferson in un articolo divulgativo pubblicato il 1° settembre su The Spectator, di cui presentiamo di seguito la traduzione.
di Carl Heneghan* e Tom Jefferson*, 1 Settembre 2020
Traduzione di Rosa Anselmi
Sta accadendo qualcosa di
alquanto strano nelle due nazioni europee più colpite dal Covid-19. Il Regno
Unito e l'Italia registrano un numero crescente di casi ma un numero stabile e
molto basso di decessi, anche settimane dopo che i casi hanno ripreso ad
aumentare.
Al momento in cui
scriviamo, il Regno Unito registra 1.750 nuovi casi al giorno e un decesso su
una popolazione di 67 milioni. Con una popolazione più o meno simile e una
media di 602 casi al giorno, l'Italia ha avuto poco più di quattro morti al
giorno nell'ultimo mese. Il rapporto tra casi e morti non si avvicina nemmeno a
quello che era al picco della pandemia. L'altra caratteristica degna di nota è
che i casi riguardano una popolazione più giovane.
Ci possono essere diverse
spiegazioni per questo andamento. In primo luogo, l'agente virale potrebbe
essere mutato in una forma meno virulenta. Sebbene siano stati pubblicati alcuni studi che mostrano mutazioni minori, questo è ciò che ci si
aspetterebbe da un virus a RNA che è intrinsecamente instabile (si pensi ai
virus influenzali, che cambiano continuamente forma).
In secondo luogo,
forse abbiamo imparato ad affrontare meglio il Covid-19. A parte il desametasone
[un farmaco corticosteroide, n.d.t.] nell'esiguo numero di ricoverati in terapia intensiva, non ci sono trattamenti specifici per la malattia e
dato che non si osserva un aumento sostanziale dei ricoveri o della gravità
dei casi, anche questa sembra una spiegazione improbabile.
In terzo luogo, le nostre
misure preventive potrebbero aver funzionato, facendo sì che si manifestino nuovi casi solo
quando si verificano degli errori. Se così fosse, ci sarebbe da spettarsi un'efficacia contro tutte le forme di infezioni respiratorie acute, come le
malattie invernali. Questo è effettivamente accaduto nell'emisfero australe, ma
il cambiamento nell'età dei casi verificatisi non si adatta a questa teoria.
Una quarta possibile e
molto più complessa spiegazione è ciò che chiamiamo il "problema di
realtà". Si stanno rapidamente accumulando evidenze che i test utilizzati
in tutto il mondo per identificare i casi in modalità binaria "Sì o
No" vengono utilizzati in modo semplicistico e non coordinato. Abbiamo già spiegato i limiti della reazione a catena della polimerasi (PCR o Polymerase Chain Reaction) per
eseguire test di massa.
La PCR è un test molto
sensibile, il che significa che rileva i frammenti più piccoli del virus di cui si effettua la ricerca amplificando il campione milioni di volte. Tuttavia, un frammento
non è un virus intero, capace di replicarsi e di infettare altri esseri umani.
È una piccola parte della struttura virale che il primer della PCR sta cercando,
non l'intero microrganismo [I primer costituiscono gli elementi di innesco
della reazione di amplificazione, n.d.t.]. Solo virus interi possono infettarci.
Inoltre, raramente viene
riportato il numero di cicli di amplificazione necessari per raggiungere un
"test positivo". Ora sappiamo che questa è un'informazione cruciale per
interpretare i risultati. Un numero molto alto di cicli può rilevare dei frammenti
e dare un risultato positivo, ma un numero inferiore di cicli è molto più
probabile che identifichi individui infettati e infettivi che richiedono la
quarantena.
Ci si aspetterebbe che
tutto questo venisse riportato nei risultati della PCR, ma di routine non viene fatto. E c'è di peggio. Un test molto sensibile è
vulnerabile alla contaminazione con materiale genetico estraneo (da qui la
necessità di preparare adeguatamente gli operatori). La rapida espansione dei test effettuati potrebbe aver eroso la nostra capacità di mantenere l'ambiente sterile,
a causa della accresciuta produttività e delle condizioni di forte pressione in cui è avvenuta la formazione del personale
di laboratorio. Abbiamo anche trovato studi che esaminano le diverse performance
dei kit PCR sullo stesso campione e i risultati non sono incoraggianti, con
un'ampia variazione dei cicli soglia [il numero di cicli di
amplificazione necessari per individuare il materiale genetico che si sta
cercando, n.d.t.] per gli stessi risultati positivi, il che indica la necessità assoluta
di test standardizzati in tutto il mondo, che confrontino continuamente
procedure e prestazioni dei test rispetto all'unica vera regola aurea per
misurare la contagiosità di una persona: la coltura virale.
Stanno aumentando le evidenze che una buona percentuale di "nuovi" casi lievi e di persone
che risultano di nuovo positive al test dopo la quarantena o la dimissione
dall'ospedale non sono contagiosi, ma stanno semplicemente eliminando
particelle innocue di virus che il loro sistema immunitario ha gestito in modo
efficiente. Le persone la cui immunità è più attiva sono esattamente nella
fascia di età dei "positivi" osservati e hanno meno probabilità di
accusare una malattia grave.
Quindi, sembra che vi sia una realtà della circolazione virale, probabilmente in rapido declino, e una realtà percepita di un simpatico test usato in modo improprio e interpretato in maniera semplicistica che può essere utilizzato con grande efficacia quando la circolazione virale è molto più alta (essendoci una maggior probabilità che un test positivo identifichi correttamente il virus) o allo scopo di trovare tracce di virus che sono bravi a nascondersi nel nostro corpo, o per trovarne dei frammenti nelle acque reflue che ne indicano la presenza in qualche momento nel passato.
Per evitare questa realtà duale e i pericoli di isolare persone non contagiose o intere comunità, abbiamo bisogno di uno sforzo internazionale per la standardizzazione dei test, la loro calibrazione periodica rispetto alla coltura [virale] o ad altre misure riconosciute di infettività e rigorosi protocolli e procedure di laboratorio, probabilmente con un'autorità centrale di rilascio delle licenze. È necessario fare molto di più per correlare i cicli soglia, le caratteristiche dei pazienti e le informazioni sulla circolazione del virus. La medicina e la sanità pubblica riguardano le persone, non i tabulati.
* Carl Heneghan è Professore di Evidence-Based Medicine e Direttore del Centro di Evidence-Based Medicine dell’Università di Oxford
* Tom Jefferson è Ricercatore del Centro di Evidence-Based Medicine dell’Università di Oxford
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