Su Politico si disegna un ampio quadro delle relazioni difficili tra USA e Germania, e delle narrazioni che da tempo alimentano le pubbliche opinioni dei due paesi. Da questo punto di vista sembra non sia tanto rilevante chi vincerà le elezioni presidenziali americane, perché le divergenze sono profonde e di lunga data, e coinvolgono in maniera bipartisan entrambi gli schieramenti della politica USA.
di MATTHEW KARNITSCHNIG, 20 ottobre 2020
La stretta alleanza degli Stati Uniti con Berlino sarà messa in discussione chiunque vinca le elezioni presidenziali.
John McCain era di umore malinconico.
Dopo avermi aggiornato sulle ultime novità nel nostro stato, l'Arizona, McCain si rivolse ad un'altra delle sue passioni: l'Europa. Il senatore era appena tornato da un viaggio nei Balcani (ove, tra gli altri luoghi, aveva trascorso un po’ di tempo in uno dei padiglioni di caccia di Tito) ed era preoccupato che né Washington né gli europei stessero prestando sufficiente attenzione alla situazione della sicurezza in quella regione, in particolare per quanto riguarda la minaccia rappresentata dalla Russia. Feci una domanda sui tedeschi, sapendo quanto McCain fosse stato frustrato nel corso degli anni per la posizione di Berlino sulla Russia. (Nel 2015 McCain, infuriato per il rifiuto di Berlino di aiutare ad armare l'Ucraina, disse che la linea di Angela Merkel gli ricordava "le politiche degli anni '30", un riferimento alla sfortunata strategia di pacificazione del Regno Unito nei confronti di Hitler).
McCain, che non aveva mai abbandonato la parlata colorita di quando era pilota di caccia, sfoderò un malizioso sorriso.
"I fottuti tedeschi," rise. "Cosa c'è da dire?"
Se fosse ancora vivo, McCain avrebbe senza dubbio molto da dire sulla linea di politica estera del governo della Merkel negli ultimi anni.
Dalla morte di McCain nel 2018, la Germania non ha mai sostenuto gli Stati Uniti su quasi nessuno dei principali fronti di politica estera, sia nei riguardi della Cina, che della Russia, dell’Iran, di Israele o del Medio Oriente in generale.
Inoltre, Berlino continua a non essere all'altezza degli obiettivi di spesa per la difesa della NATO e del ministero della Difesa - negli ultimi giorni ha dovuto rinunciare al progetto di acquisto di un nuovo fucile d'assalto standard per una controversia sui brevetti – è tutta una commedia degli equivoci.
Si è tentati di incolpare Donald Trump di questa nuova divisione transatlantica, per la sua messa in discussione degli obiettivi della NATO e per la sua bizzarra ossessione di amore-odio sia verso la Merkel che verso la Germania in generale, la terra dei suoi antenati.
McCain, non certo un fan di Trump, si sarebbe unito senza dubbio a quel coro. Ma probabilmente avrebbe anche sottolineato che le divisioni di cui si parla sono anteriori a Trump e avrebbe puntato dritto a una domanda fondamentale: da che parte sta la Germania?
Nessuno, su entrambe le sponde dell'Atlantico, sta neanche tentando di nascondere le profonde divergenze nella relazione tra i due paesi. Di recente ho chiesto a Christian Lindner, il leader dei Liberi Democratici tedeschi, un partito ufficialmente filoamericano, quali fossero le sue aspettative per il partenariato tedesco-americano. La sua risposta: "A quale relazione transatlantica si sta riferendo?"
Con le relazioni tedesco-americane al loro livello più basso dalla seconda guerra mondiale, la frustrazione di McCain per la politica tedesca ci ricorda che l'esasperazione dell'establishment transatlantico americano nei confronti della Germania è profonda ed è bipartisan. Le stravaganti provocazioni di Trump hanno spinto molti tedeschi a dimenticare che anche Barack Obama ha fatto pressioni su Berlino perché spendesse di più nella difesa. In effetti, il primo presidente a criticare gli europei come "profittatori" è stato Obama.
Questa storia suggerisce che le speranze di molti a Berlino, che i rapporti USA-Germania tornino in qualche modo alla normalità precedente, nel caso Joe Biden (un caro amico di McCain per decenni) vincesse la presidenza, non sono solo esagerate: sono una fantasia.
Non si torna indietro
Una delle ragioni principali per cui non si può tornare indietro è l'attenzione di Washington sulla Cina, una delle poche aree di consenso bipartisan negli schieramenti della politica americana.
"Poiché la politica estera degli Stati Uniti si concentra sempre di più sulla concorrenza strategica con la Cina e subordina le relazioni con gli alleati di lunga data a quella priorità assoluta, l'Europa dovrà affrontare scelte difficili, chiunque sia il presidente", ha osservato recentemente Hans Kundnani di Chatham House.
Eppure c'è una spiegazione più prosaica del perché l'orologio transatlantico non può tornare indietro nel tempo: trent'anni dopo la fine della Guerra Fredda, è diventato sempre più difficile spiegare agli americani perché il paese ha bisogno di rimanere in Europa.
Ciò è particolarmente vero per la presenza militare americana in Germania, dove gli Stati Uniti hanno basato il loro impegno europeo per decenni. Gli attacchi di Trump alle modeste spese militari di Berlino possono scatenare indignazione in Germania, ma negli Stati Uniti sono considerate, tra le sue esplosioni, le meno controverse.
Potrebbe essere perché, come Obama prima di lui, ha delle ragioni. Perché gli Stati Uniti dovrebbero continuare a sostenere il peso finanziario di proteggere il paese più ricco d'Europa? A questa domanda diventa ancora più difficile rispondere se si considera il continuo impegno della Germania con la Russia, ad esempio tramite il gasdotto Nord Stream 2, nonostante le forti obiezioni degli Stati Uniti e di altri alleati.
Il mese scorso, Wolfgang Ischinger, un ex ambasciatore tedesco negli Stati Uniti che ora è presidente della Conferenza sulla sicurezza di Monaco, l’incontro annuale dell'alleanza transatlantica, ha messo in guardia contro l'annullamento del Nord Stream 2 sulla scia del sospetto avvelenamento da parte della Russia del leader dell'opposizione Alexei Navalny con un agente nervino.
Fermare il progetto "scatenerebbe un urlo di trionfo nell'amministrazione Trump", ha detto Ischinger a un pubblico in prima serata alla televisione tedesca.
In altre parole, era più importante mantenere la parola della Germania con la Russia che concedere a Trump di apparire vittorioso, soprattutto dopo le minacce di sanzioni che Washington aveva lanciato per mesi verso chiunque fosse collegato al progetto. Non importa che gli Stati Uniti siano presumibilmente il più stretto alleato di Berlino, con truppe e armi nucleari di stanza in Germania per proteggerla, tra tutti i paesi, dalla Russia.
Finora, il governo tedesco ha seguito il consiglio di Ischinger e ha mostrato poca disponibilità ad abbandonare il gasdotto, una mossa che preoccupa Berlino perché provocherebbe ulteriormente Vladimir Putin.
Il calcolo dei tedeschi nel resistere alla pressione degli Stati Uniti si fonda in parte sulla convinzione che gli Stati Uniti abbiano bisogno della Germania quasi quanto la Germania ha bisogno degli Stati Uniti.
L'approccio di Trump "ha conseguenze dannose, più per gli Stati Uniti che per la Germania", mi ha detto di recente Norbert Röttgen, presidente della commissione per gli affari esteri del Parlamento tedesco ed esponente conservatore candidato a sostituire la Merkel, riferendosi alla decisione di Trump di ridurre il numero delle truppe statunitensi nel paese di circa un terzo. "È difficile lavorare con quel tipo di irrazionalità."
Calcolo discutibile
Eppure il nucleo centrale di questo argomento - che gli Stati Uniti hanno bisogno della presenza dei tedeschi per il loro "progetto di potere" e per condurre guerre senza fine in Medio Oriente – ha le sue radici più nelle realtà dell'amministrazione di George W. Bush che nella probabile strategia degli Stati Uniti negli anni a venire, quando Washington focalizzerà la sua attenzione e le sue risorse sull'Indo-Pacifico.
Nonostante questo cambiamento strategico e le profonde tensioni nelle relazioni tedesco-americane, dire "Auf Wiedersehen" è tutt'altro che semplice. La lobby transatlantica - una sorta di combinazione di think tank tedeschi e americani popolata da un assortimento eterogeneo di accademici, generali in pensione e ambasciatori, alcuni a libro paga del "complesso militare-industriale" - è decisa a preservare la relazione, qualunque cosa accada. Lo stesso vale per molti membri del Congresso, compresi i repubblicani.
Alcuni osservatori ritengono che il modo migliore per procedere sarebbe quello di "ridefinire" la NATO, trasferendo una parte maggiore dell'onere sull'Europa. Benché Washington abbia compiuto alcuni progressi su questo fronte negli ultimi anni, spronando gli altri paesi membri a destinare più risorse ai loro militari, gli Stati Uniti rappresentano ancora circa il 70% della spesa totale per la difesa dei membri della NATO.
"Bisogna uscire dalla mentalità che questa sia una relazione sul tipo di un protettorato ... è distruttivo per entrambe le parti", ha detto Dan Hamilton, una voce americana di spicco negli affari transatlantici che ha trascorso decenni tra mondo accademico e diplomazia, da entrambe le sponde dell'Atlantico. "Dà agli americani questo tipo di atteggiamento paternalistico nei confronti degli europei e significa che gli europei non sono tenuti a fare molto".
Sebbene molti europei accetterebbero senza dubbio questo tipo di partnership, è tutt'altro che chiaro se i tedeschi lo accoglierebbero. La Germania, sebbene più di recente abbia cominciato a spendere, si muove a rilento su una linea di difesa. In effetti, l'esercito del paese è così gravemente disfunzionale dopo anni di abbandono, che è difficile vedere un miglioramento fondamentale all'orizzonte. Secondo un recente studio della Conferenza sulla sicurezza di Monaco, meno della metà dei tedeschi pensa che la spesa militare dovrebbe aumentare,.
La percezione degli Stati Uniti da parte dell’opinione
pubblica tedesca raramente è stata peggiore. Secondo uno studio di Pew
pubblicato il mese scorso, solo il 26 per cento dei tedeschi ha una visione
"positiva" degli Stati Uniti, il tasso più basso tra tutti i paesi ad
esclusione del Belgio. Ciò contrasta con le valutazioni più favorevoli verso
gli Stati Uniti in Spagna, Italia e Regno Unito, tra il 40 e il 45 per cento.
Uno studio della Conferenza sulla sicurezza di Monaco ha rilevato una percentuale altrettanto bassa di tedeschi (27%) che considera gli Stati Uniti il più importante alleato militare del paese. Circa la metà dei tedeschi afferma che l'alleato più importante del paese è la Francia.
Su una base puramente oggettiva, i risultati sono sbalorditivi. Che piaccia o no ai tedeschi, la dipendenza del paese dagli Stati Uniti per la sua sicurezza è a tutti gli effetti totale.
Anche se gli Stati Uniti dovessero procedere con il ritiro delle truppe, il paese continuerà ad avere più truppe in Germania che in quasi tutti gli altri paesi del mondo. La loro presenza - se il loro scopo principale è proteggere la Germania, direttamente o meno - si aggiunge all'ombrello di sicurezza garantito anche dall'arsenale nucleare americano.
Sebbene la dipendenza economica della Germania dagli Stati Uniti sia in qualche modo diminuita con l'ascesa della Cina, l'America rimane il più grande mercato di esportazione della Germania e un centro di produzione chiave per aziende come BMW e Siemens.
La maggior parte dei commentatori attribuisce la scarsa opinione dei tedeschi nei confronti degli Stati Uniti alla loro viscerale avversione per Trump. Ma questa è solo una parte della storia. Gli americani che credono che la maggior parte dei tedeschi senta di dover ancora gratitudine agli Stati Uniti per la riabilitazione del paese dopo la seconda guerra mondiale e per aver aperto la strada alla riunificazione, si stanno illudendo. Anche le élite del paese vedono l'America come un "amico-nemico", nella migliore delle ipotesi. Il recente sconvolgimento sociale negli Stati Uniti ha convinto anche molti tedeschi istruiti che il paese a cui una volta guardavano con considerazione è tutt'altro che un modello, specialmente quando si tratta di democrazia.
"È un sistema profondamente ingiusto e per certi versi antidemocratico", ha concluso Michael Butter, professore tedesco di letteratura americana, durante un recente dibattito con me sulla campagna presidenziale statunitense alla radio tedesca.
Il panorama dei media tedeschi è diventato una cassa di risonanza dell'idea che l'America è uno stato profondamente imperfetto, razzista e semi-democratico, di fanatici religiosi armati. Al momento, il Paese è sull'orlo del collasso e / o di una guerra civile. Il messaggio di fondo: Trump è solo un sintomo di una disfunzione molto più profonda.
Sebbene quella narrazione abbia preso piede in altri paesi (compresi gli stessi Stati Uniti), raramente viene raccontata con tale fervore o mancanza di sfumature come in Germania.
Per un americano, a volte può sembrare che i tedeschi desiderino quasi che Trump venga rieletto, semplicemente per il fattore "ve l’avevamo detto". Che alla radice del perdurante senso di superiorità culturale del paese vi sia la schadenfreude (malignità, compiacimento per le disgrazie altrui, ndt), o l'umiliazione subita per mano degli Stati Uniti in due guerre mondiali, o una combinazione di entrambe, nessuno lo sa.
"La nostra amicizia con l'America non è mai stata veramente sentita", mi ha confidato recentemente un eminente esponente filoamericano dei Democratici Cristiani della Merkel, davanti ad alcuni boccali di birra.
Impazziti e catastrofici
Un recente bestseller tedesco che riesce a canalizzare lo stato d'animo attuale si intitola “Crazed, The American Catastrophe” (“Impazziti, la Catastrofe Americana”, ndt). Il libro (e un documentario con lo stesso titolo che uscirà alla fine di questa settimana) sostiene che gli Stati Uniti si sono trasformati in "una nazione arrabbiata unita da nient'altro che odio". Klaus Brinkbäumer, il coautore, è un ex editore di Der Spiegel ed è il responsabile della famosa copertina del 2017 che rappresentava Trump che decapita la Statua della Libertà, in stile ISIS. "Crazed" è il sequel della sua opera del 2018, "America’s Obituary". (Brinkbäumer era anche il capo dell'ex reporter di Der Spiegel, Claas Relotius, il quale è andato avanti per anni ad affascinare i lettori con storie fantasiose che alimentavano i cliché tedeschi sulla vita americana, fino a quando non è stato tutto smascherato come frode giornalistica, con storie risultate piene di invenzioni.)
Alimentati da una costante copertura mediatica anti-americana, non sorprende che molti tedeschi abbiano espresso più sollievo che allarme per la decisione di Trump di ritirare le truppe americane. Secondo un sondaggio di YouGov condotto ad agosto, quasi la metà dei tedeschi approva questa mossa. Mentre un quarto dei tedeschi vuole vedere gli Stati Uniti ritirare tutte le truppe, meno di un terzo sostiene il mantenimento degli attuali livelli di truppe, per un totale di circa 36.000 uomini.
Mentre l'antiamericanismo tedesco ha una lunga storia di alti e bassi, il sentimento attuale è fondato su profondi disaccordi politici che sarà difficile ignorare, indipendentemente da chi occuperà la Casa Bianca.
Analogamente al suo approccio morbido verso la Russia, Berlino è stata anche riluttante a prendere misure che potrebbero mettere a repentaglio le sue relazioni economiche con la Cina, un partner commerciale chiave.
Anche se Biden vincesse - come sta pregando la maggior parte dei tedeschi - non c'è motivo di aspettarsi che la posizione della Germania sulla Cina cambierà, date le realtà economiche in gioco. E anche se i consiglieri di politica estera di Biden, la maggior parte dei quali hanno prestato servizio nell'amministrazione Obama, notoriamente ammirano la Merkel, la cancelliera non sarà ancora in giro per molto, avendo dichiarato che si dimetterà alla fine del suo attuale mandato, il prossimo autunno.
L'unico candidato in corsa per sostituirla, che probabilmente devierà dalla sua linea di politica estera - Röttgen - è considerato un outsider.
Un'altra questione che incombe sulle relazioni a lungo termine tra i due paesi è cosa succederà dopo che Biden se ne sarà andato, specialmente se verrà sostituito da un repubblicano. L'establishment politico tedesco si è effettivamente alleato con il partito democratico. Questo fatto non sfuggirà ai repubblicani una volta che torneranno al potere.
Ciò che preoccupa gli strateghi di Berlino è anche che la Germania non si è praticamente preparata su cosa fare se Trump sorprenderà tutti e riuscirà a essere rieletto.
Tutti sanno che la Germania rimarrebbe esposta, il futuro della NATO sarebbe in dubbio.
Maximilian Terhalle, analista e studioso strategico tedesco, afferma che la reazione della Germania sarà quella di rivolgersi a Parigi, abbracciando la visione francese di una "autonomia strategica" europea e un'architettura di sicurezza "che si estenda da Lisbona agli Urali".
Ciò comporterebbe anche un ulteriore riavvicinamento (leggi concessioni) verso la Russia, cosa a cui la Polonia e i Paesi baltici resisterebbero con le unghie e con i denti. L'Europa sarebbe divisa sulla sicurezza, con alcuni paesi che si affretterebbero ad assicurarsi accordi bilaterali con gli Stati Uniti.
Ma ci sarebbe un chiaro vincitore.
"Il mantra di Putin, che la fine della Guerra Fredda non è stato il verdetto finale della storia, alla fine potrebbe rivelarsi giustificato", ha detto Terhalle.
In altre parole, McCain, che ha sempre voluto sbagliarsi sulla Germania, potrebbe ancora avere ragione.
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