Riceviamo e volentieri pubblichiamo la traduzione di un articolo del 7 giugno scorso su History and philosophy of the life sciences, in cui gli autori esortano i ricercatori e i decisori politici a non affidarsi solo alle previsioni dei modelli matematici, ma a tener conto anche dell’apporto che la memoria del passato può offrire alla comprensione delle probabili conseguenze del covid-19.
di George S. Heriot 1,4 e Euzebiusz Jamrozik
2,3,4
1
School of Public Health and Preventive Medicine, Monash University,
553 St Kilda Road, Melbourne VIC 3004, Clayton, VIC, Australia
2 The
Ethox Centre & Wellcome Centre for Ethics
and the Humanities, Nufeld Department of Population Health,
University of Oxford, Oxford, UK
3
Monash Bioethics Centre, Monash University, Clayton, VIC, Australia
4
Royal Melbourne Hospital Department of Medicine, University
of Melbourne, Parkville, VIC, Australia
Segnalazione e traduzione di Rosa Anselmi
L'emergere
del COVID-19 ha visto un'esplosione di modelli epidemiologici che cercano di
caratterizzare e prevedere il corso della pandemia. I risultati di questi
modelli hanno influenzato le decisioni politiche in tutto il mondo, nonostante
l’estrema disomogeneità della performance previsionale di modelli simili di
altre recenti malattie infettive emergenti. Piuttosto si potrebbe guardare ai
dati delle passate pandemie per informare le attuali valutazioni del rischio.
Alcuni considerano inaffidabili tali analogie con gli eventi del passato,
sollevando il truismo riduzionista dell’unicità di ogni combinazione di
malattia e contesto (Peckham 2020). Tuttavia, sia la modellizzazione
epidemiologica di scenari futuri che le analisi di dati storici sono passibili
di errori di input, ipotesi e interpretazioni; in questo articolo sosteniamo
che entrambe le tecniche dovrebbero essere considerate "sbagliate, ma
utili" (Christley et al. 2013) e che una maggiore consapevolezza dei dati
storici può migliorare la preparazione e le risposte alle pandemie.
La
costruzione di un modello epidemiologico incorpora ipotesi strutturali sul
sistema in studio e richiede l'assemblaggio di dati di input che descrivono il
contesto specifico e la malattia. I sistemi biologici complessi resistono a
questa semplice parametrizzazione e i modelli di questi sistemi comportano
necessariamente delle semplificazioni il cui impatto sull'abilità predittiva
del modello è di difficile quantificazione. Nella fase iniziale di una nuova
epidemia, le condizioni di input per questi modelli sono ricavate da
osservazioni imperfette condizionate, ad esempio, da errori di accertamento,
temporali e di segnalazione che ne compromettono sia l'accuratezza che la
precisione. La sensibilità di questi modelli alle loro condizioni di input,
così come l'adeguatezza e la solidità dei loro presupposti strutturali,
conferisce una sostanziale incertezza a qualunque previsione fatta; ancora meno
sicura è la loro estrapolazione oltre il tempo, il luogo o l'agente patogeno
iniziali.
Diversamente
dai modelli matematici, l'uso di dati storici per la previsione di epidemie
contemporanee non richiede ipotesi semplificatrici sui meccanismi di
propagazione delle epidemie o sulla struttura socio-geografica delle comunità
colpite. All'opposto, questo approccio si basa sulla comparabilità della
malattia e del contesto attuali con le malattie e i contesti precedenti,
similmente all’analogo metodo utilizzato per le previsioni del tempo prima
della disponibilità di dati e potenza di calcolo sufficientemente affidabili.
Da un lato, molte caratteristiche della pandemia da COVID-19 sono
inestricabilmente legate a circostanze contemporanee e contesti particolari. Varieranno
quindi le esperienze locali di epidemie tra i cittadini, i pazienti e i medici.
Dall’altro lato, anche se la scienza medica è progredita considerevolmente
negli ultimi secoli, la diffusione dei virus respiratori tra gli ospiti umani è
cambiata poco per millenni. Le persone si infettano nello stesso modo, soffrono
nello stesso modo e muoiono nello stesso modo. Pertanto, per quanto riguarda la
trasmissione e gli effetti dei virus pandemici, le comunità umane del XXI
secolo possono avere una maggiore somiglianza con le comunità del XVIII e XIX
secolo piuttosto che con una rappresentazione astratta nell’ambito di un
modello epidemiologico. Inoltre, gli studi epidemiologici sulla variazione
dell'espressione delle pandemie passate in differenti comunità possono essere
più informativi per le attuali risposte pandemiche rispetto alle simulazioni di
modelli basati su combinazioni di incerte variabili astratte di input.
Una
volta che una nuova pandemia sembra rientrare nella gamma di quelle osservate
in precedenza, il comportamento e l'impatto delle pandemie precedenti
dovrebbero essere presi in considerazione piuttosto che scartati. La
consultazione dei dati storici rivela le significative somiglianze tra le
pandemie virali respiratorie degli ultimi secoli in generale (Patterson 1986;
Valleron et al. 2010) e anche la disponibilità di analogie ragionevoli per le
osservazioni epidemiologiche specifiche riguardanti il COVID-19. L'infettività
e la severità di SARSCoV-2, sia che vengano valutate tramite parametrizzazione
statistica (numero di riproduzione di base [1]
e tassi aggiustati di letalità apparente [NdT case fatality ratios] o
plausibile [NdT infection fatality ratios] [2],
rispettivamente) o descrizione sinottica (tasso di attacchi domestici [3],
tempo al picco epidemico [4]
e tassi di mortalità in eccesso per tutte le cause [5]),
sono ben all'interno della gamma descritta dalle pandemie respiratorie virali degli
ultimi secoli (dove l'influenza del 1918-20 è l’evidente valore fuori scala).
La variazione nelle stime di questi parametri applicati al COVID-19 non è più ristretta
di quella calcolata in base a osservazioni storiche fatte in luoghi diversi
durante precedenti pandemie.
Forse
la migliore analogia storica disponibile per il COVID-19 è la pandemia di
" Grippe" del 1889-91, attribuita a un virus dell'influenza H3N8
(Dowdle 1999) o all'emergenza del coronavirus umano OC43 - ora un virus del
"raffreddore comune" endemico a livello globale (Vijgen et al. 2005).
Questa pandemia della fine del diciannovesimo secolo ha delle somiglianze
convincenti con la nostra attuale esperienza, sia dal punto di vista superfIciale
(inclusi la malattia precoce di un primo ministro britannico, la frenetica
copertura mediatica, la rilevanza delle sindromi da affaticamento post-infettivo
e le teorie di origine xenofoba o cospiratoria) [NdT l’articolo è stato ricevuto
il 12.10.2020 e accettato il 21.4.2021, prima che riprendesse sostanza
l’ipotesi dell’uscita del virus da un laboratorio], sia per quanto riguarda i
suoi apparenti parametri epidemiologici.
Le
correlazioni epidemiologiche specifiche tra le pandemie del 1889-91 e del
2020-21 includono la bassa morbilità pediatrica, la mancanza dello spostamento
della mortalità in eccesso verso gruppi più giovani di età che si osserva di
solito con la pandemia influenzale, l'ampiezza e la distribuzione dei picchi di
mortalità in eccesso negli ambienti metropolitani e la rapidità della
propagazione epidemica all'interno delle comunità ((Valleron et al. 2010;
Campbell A. e Morgan E. 2020; Nicoll et al. 2012; Nguyen-Van-Tam et al. 2003;
Honigsbaum 2010; Smith 1995). Mentre è chiaramente insensato ridurre questa
analogia sinottica per fare previsioni a breve termine dell’attività del
COVID-19 in qualunque luogo 130 anni dopo (le previsioni a breve termine da
dati locali ben osservati sono di gran lunga appannaggio della modellizzazione
computazionale), il dato storico può fornire una comprensione più ricca e più
utile della gamma di conseguenze a medio e lungo termine sulle società umane di
una pandemia di questo tipo epidemiologico persino rispetto al modello
matematico più complesso.
Le
analogie con le pandemie del passato possono fornire anche un controllo
importante delle ipotesi formulate durante la costruzione del modello. Ad
esempio, ogni pandemia respiratoria accertata degli ultimi 130 anni ha causato
ondate stagionali di infezione ed è culminata nell'endemicità virale.
Nonostante questa solida osservazione, i modelli iniziali per il COVID19
escludevano strutturalmente questa possibilità attraverso la mancata
incorporazione di effetti di trasmissione stagionali, o di immunità all’infezione
o preesistente o parziale post-infezione. Sebbene il SARS-CoV-2 sia un nuovo
agente patogeno non influenzale, il forte comportamento stagionale di
coronavirus endemici strettamente correlati sembra un punto di partenza più
affidabile rispetto all'ipotesi di un agente patogeno respiratorio mai visto
prima indifferente al tempo meteorologico, che causa un'immunità naturale
sterilizzante permanente. I recenti modelli del COVID-19 che incorporano queste
minime complicazioni aggiuntive dimostrano il caos deterministico risultante,
evidenziando sia i limiti degli attuali approcci matematici sia la necessità di
considerare altre fonti di orientamento per qualsiasi cosa più che le previsioni
a breve termine (Dalziel et al. 2016; Saad-Roy et al. 2020). Le estrapolazioni
dei modelli che suggeriscono che il COVID-19 avrà conseguenze sproporzionate
rispetto ad altre pandemie respiratorie comparabili dovrebbero essere viste con
sospetto piuttosto che come un valido controfattuale usato per giustificare
aspetti della risposta pandemica.
Mentre
è prudente un certo grado di umiltà epistemica (Jones 2020), dovrebbe essere respinta
l'apparente polarizzazione a favore delle tecniche di modellizzazione rispetto
alle analisi dei dati storici. Piuttosto che fare affidamento soltanto su
modelli matematici relativi al futuro, i ricercatori e i responsabili politici
dovrebbero considerare come la conoscenza del passato potrebbe aiutare a
comprendere le probabili conseguenze del COVID-19 e delle future pandemie
virali respiratorie.
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Journal of Virology, 79, 1595–1604
[1]
Il numero di nuove infezioni prodotte da ciascun individuo infetto in un
determinato contesto presupponendo una popolazione completamente suscettibile.
[2] La proporzione di soggetti
(identificati) deceduti per l’infezione, spesso aggiustati per età ed altri
fattori.
[3] La proporzione di contatti
domiciliari che contraggono l’infezione da un caso indice.
[4]
Il tempo intercorrente tra il primo caso diagnosticato e l’incidenza
giornaliera maggiore dell’infezione in una popolazione.
[5]
La differenza nel numero totale di morti durante una pandemia rispetto a un
precedente periodo confrontabile.