28/04/21

In Italia l’opposizione all’austerità supera il sostegno all’euro

 


Sul Blog European Politics and Policy della London School of Economics and Political Science è pubblicata una interessante analisi condotta da tre ricercatori del Max Planck Institute for the Study of Societies di Colonia, in Germania, secondo la quale se l'Italia, come già altri paesi del sud dell'eurozona, dovesse essere spinta in una crisi finanziaria e trovarsi a dover gestire una richiesta di salvataggio alle istituzioni UE, con i noti conseguenti programmi di austerità, la volontà popolare con molta probabilità si mostrerebbe favorevole a un'uscita dall'euro, compromettendo la sopravvivenza stessa dell'eurozona in maniera definitiva.   


di Lucio Baccaro, Björn Bremer, Erik Neimanns, 26 Aprile 2021 

(Traduzione dal Blog Giubbe Rosse) 


Il Covid-19 ha aumentato il rischio di una nuova crisi finanziaria nell’Eurozona. Questa volta l’epicentro sarebbe molto probabilmente l’Italia, dove il debito pubblico, già molto alto prima della pandemia, nel 2020 ha sfiorato il 160% del PIL, con una crescita che negli ultimi 25 anni è rimasta ferma . Se i mercati finanziari iniziassero ad avere dubbi sulla sostenibilità del debito italiano, spingerebbero al rialzo lo spread del tasso di interesse e costringerebbero il governo italiano a chiedere un piano di salvataggio europeo o a uscire dall’euro.

In base alle regole introdotte nella prima fase della crisi dell’euro, un paese che richiede un prestito dal Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) deve firmare un memorandum d’intesa che lo impegni all’austerità e a riforme strutturali. Un programma MES è una condizione preliminare necessaria per le transazioni monetarie definitive (OMT) da parte della Banca centrale europea (BCE), ovvero acquisti potenzialmente illimitati di titoli di Stato da parte della banca centrale.

Uno dei problemi di questa strategia di risoluzione delle crisi è che le misure di austerità imposte ai paesi in crisi sono altamente impopolari e portano a instabilità elettorale, a pubbliche proteste e all’emergere di forze anti-sistema. Tuttavia, la ricerca esistente mostra che nella maggior parte dei paesi in crisi gli elettori non sono disposti a uscire dall’euro, nonostante gli elevati costi sociali dell’austerità. Nel luglio 2015 in un referendum popolare gli elettori greci hanno respinto il pacchetto di salvataggio dell’Unione europea, tuttavia la ricerca mostra che i greci volevano rimanere nella moneta comune. Questa riluttanza all’uscita, nonostante i costi dell’austerità, ha rafforzato la posizione dei paesi “creditori” e durante la crisi dell’euro ha consentito loro di spostare il peso dell’aggiustamento suipaesi “debitori”.

Una crisi finanziaria in Italia, la terza più grande economia dell’Eurozona, avrebbe conseguenze pesanti per l’euro. Molti commentatori ritengono che la sopravvivenza o la fine dell’euro dipendano dall’Italia e che la possibilità di un’uscita sia tutt’altro che un’ipotesi puramente accademica. All’indomani della crisi dell’euro, il Movimento Cinque Stelle (M5S) aveva incluso nel suo programma elettorale del 2014 la promessa di un referendum sull’euro, mentre la Lega nel suo programma elettorale del 2018 e del 2019 proponeva un’uscita negoziata dall’eurozona. Inoltre, il sostegno all’euro, prima e dopo l’epidemia di Covid-19, è stato significativamente più basso in Italia che in quasi tutti gli altri Paesi. Tuttavia, poco sappiamo di come gli italiani valuterebbero i costi e i benefici di una permanenza nell’euro in caso di crisi finanziaria e come reagirebbero se un salvataggio finanziario fosse condizionato all’austerità e a riforme strutturali.

Un'indagine sperimentale

In un recente studio, abbiamo presentato a un ampio campione di italiani (n = 4.200) un ipotetico scenario di crisi finanziaria in stile greco. Abbiamo condotto la nostra indagine sperimentale nell’ottobre 2019, sulla scia di una situazione di stallo tra il governo italiano e la Commissione europea sul deficit pubblico del Paese. Abbiamo utilizzato un campionamento per quote al fine di garantire un campione rappresentativo basato su età, sesso e settore economico e un’indagine ponderata per correggere ulteriormente le deviazioni del nostro campione dalla popolazione reale su altre dimensioni. Tuttavia, i nostri risultati sono abbastanza robusti per l’uso di diversi tipi di pesi o di nessun peso.

A tutti gli intervistati viene sottoposto uno scenario in cui l’Italia si trova nel mezzo di una crisi finanziaria con congelamento delle immissioni di liquidità da parte della BCE, corse agli sportelli e fuga di capitali, un rapido aumento del premio di rischio sui titoli di Stato e l’incapacità del governo di adempiere ai propri impegni finanziari. Agli intervistati è stato quindi detto che il governo, prima di accettare un pacchetto di salvataggio europeo, voleva consultare i suoi cittadini attraverso un referendum, chiedendo loro se volevano rimanere nell’euro e, quindi, accettare il pacchetto di salvataggio, oppure rifiutare il pacchetto di salvataggio e di conseguenza uscire dall’euro. Infine, è stato chiesto ai partecipanti al sondaggio come avrebbero votato in questo ipotetico referendum.

Abbiamo aggiunto a questo scenario di base delle informazioni aggiuntive sul costo della permanenza nell’euro e sulla responsabilità della crisi. Ad alcuni cittadini selezionati a caso è stato detto che il piano di salvataggio europeo implicava austerità e riforme strutturali (regole più semplici per i licenziamenti, tagli alla spesa, privatizzazioni ecc.); altri cittadini non hanno ricevuto queste informazioni. Inoltre, alcuni intervistati selezionati in modo casuale hanno ricevuto informazioni che attribuivano la responsabilità della crisi a una procedura per disavanzo eccessivo avviata dall’Ue nei confronti dell’Italia; altri intervistati hanno ricevuto informazioni che attribuivano la responsabilità alla decisione del governo italiano di ignorare le regole fiscali europee; altri intervistati non hanno ricevuto informazioni su chi fosse il responsabile della crisi.

Risultati

I nostri risultati suggeriscono che l’opinione pubblica italiana è fortemente sensibile al costo della permanenza nell’euro. Se gli elettori vengono informati che la permanenza nell’Eurozona ha come prezzo da pagare l’austerità, il sostegno all’uscita aumenta del 15% e il sostegno alla permanenza diminuisce di quasi il 20%. Al contrario, non si registrano effetti significativi derivanti dall’attribuzione della responsabilità della crisi al governo italiano o a soggetti stranieri (Figura 1). A quanto pare, agli elettori italiani non interessa molto di chi sia la colpa della crisi, ma si oppongono fermamente a un’ulteriore austerità. 

Figura 1: Effetti di trattamento medio dell’austerità e dell’attribuzione di responsabilità sulla scelta di voto in un ipotetico referendum sull'”Italexit”



Nota: Gli effetti marginali e gli intervalli di confidenza al 95% dell'austerità e dell'attribuzione della responsabilità sono calcolati sulla base di modelli probit multinomiali.


È importante sottolineare che, quando agli intervistati non viene detto nulla in merito alle condizionalità associate a un salvataggio europeo, la maggioranza vuole rimanere nell’euro. Tuttavia, informare i partecipanti sulle condizionalità porta a una maggioranza relativa favorevole all'”Italexit” (Figura 2). Nel complesso, i nostri risultati suggeriscono che in Italia l’opposizione all’austerità prevale sul sostegno all’euro. Ciò implica che l’approccio alla risoluzione delle crisi finora seguito dalle autorità europee, basato sul consolidamento fiscale e sulle riforme strutturali in cambio del sostegno finanziario, potrebbe portare a una maggiore resistenza in Italia rispetto alla Grecia e ad altri paesi e, addirittura, a una rottura dell’Eurozona.

Figura 2: Previsioni sulle probabilità di voto in ipotetici referendum sull'”Italexit” in base al trattamento

 


Nota: Previsioni sulle probabilità di voto in un ipotetico referendum e intervalli di confidenza al 95% basati su modelli probit multinomiali.

Nel nostro studio non abbiamo presentato agli intervistati informazioni che evidenziassero i costi di un’uscita dall’euro e questo riduce i nostri risultati. È possibile che le preferenze per la permanenza nell’euro aumentino in modo significativo laddove si enfatizzino i costi dell’uscita e che ciò possa controbilanciare il calo dovuto all’enfasi sul costo della permanenza (austerità). Allo stesso tempo, il caso della Brexit suggerisce che i cittadini tendono a non dare peso al costo dell’uscita. Abbiamo in programma di analizzare in una prossima ricerca in che modo i cittadini valuterebbero il costo della permanenza rispetto al costo dell’uscita dall’euro.

 

 

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