Dal blog spagnolo Voxpopuli un articolo sulla situazione economica della Spagna, che dopo aver fatto diligentemente i compiti a casa deve constatare come la situazione sia in realtà peggiorata, la disoccupazione non cala anche se i salari diminuiscono, e i tanto agognati investimenti esteri peggiorano la bilancia dei pagamenti...
Traduzione e grafici di Kappa di Picche.
di Francesco Spoto @Spud85
Appare ancora una volta evidente, anche all’occhio del lettore più distratto, di quanto la realtà strida con il wishful thinking dei sostenitori dell’austerità. La Spagna ha attuato diligentemente tutti i diktat della Troika, comprimendo la spesa pubblica e tagliando i salari. Ciò nonostante, la sua economia non solo non è ripartita – come gli Austerians pensavano facesse grazie all’approccio mercantilista – bensì si è avvitata in una spirale deflattiva che ha aggravato la già precaria condizione del suo sistema bancario, salvato solo grazie agli aiuti statali ed europei (40 Miliardi di Euro).
La fuga degli skilled workers e
lo spostamento dei settori dell’export iberico verso segmenti a basso
valore aggiunto, non ha permesso di conseguire vantaggi sostanziali in
termini di bilancia dei pagamenti, anzi ha costretto le imprese
esportatrici – in massima parte nel settore automobilistico –
ad approvvigionarsi di macchinari avanzati dall’estero, peggiorando la
bilancia commerciale.
Il “repentino” e intenso peggioramento
del nostro settore estero negli ultimi trimestri ha incrementato il
debito estero netto della nostra amata Spagna fino ad arrivare ad un
nuovo record storico: né più né meno di 1,021 miliardi di euro, il 99,8%
del PIL. Ancora non siamo usciti dalla crisi e una nuova crisi di
bilancia dei pagamenti si profila sulla nostra economia.
Com’è possibile che stia succedendo ciò, si domandano i consulenti della Moncloa (ndr: residenza del primo ministro spagnolo) ?
Non doveva la svalutazione
interna – eufemismo con il quale si riferiscono all’impoverimento
massivo della cittadinanza via tagli salariali, generare un boom del
nostro settore estero? Non era la Spagna incamminata verso un
nuovo Eldorado che ci avrebbe garantito grandi surplus della bilancia di
conto corrente, nello “stile tedesco”?
Torniamo di nuovo al punto di partenza di
questa crisi. La diagnosi realizzata dall’ortodossia economica, tra i
quali si annoverano senza dubbio i consulenti dell’attuale esecutivo,
sui problemi della nostra amata Spagna era sbagliata, e, per tanto, le
sue raccomandazioni di politica economica tremendamente dannose, molto
dannose. Però andiamo per gradi.
Effetti perversi della riforma del lavoro
Coloro che sono attualmente al governo
attribuivano la colpa dei mali dell’economia spagnola all’inefficienza
del settore pubblico e ad una bassa produttività del fattore lavoro.
Di conseguenza era una questione irrinunciabile e non
negoziabile, secondo loro, imporre una svalutazione interna, un taglio
salariale in piena regola. Ancora ricordo degli studi
memorabili del servizio studi della BBVA dove si poteva incontrare
questa nuova manna, l’evidenza empirica per la quale la discesa dei
salari reali in Spagna si sarebbe accompagnata alla riduzione del tasso
di disoccupazione.
Pura correlazione spuria, poiché c’era
una terza variabile che loro non consideravano, e che in realtà
provocava questa correlazione spuria. Ci riferiamo al debito.
Le riduzioni dei salari non sono efficaci nella lotta contro la disoccupazione, invece la domanda risulta importante, e molto.
Già da tempo gli economisti Engelbert Stockhammer e Özlem Onaran dimostrarono
che per economie così differenti come quelle degli Stati Uniti, Regno
Unito o Francia, e contrariamente alle aspettative neoclassiche, non
esisteva nessuna evidenza che un cambiamento nei salari reali, e quindi
della distribuzione dei redditi, avessero un effetto sulla
disoccupazione. Non solo, la sostituzione dal lavoro al capitale in
risposta a una maggiore partecipazione dei salari non si verificava
empiricamente.
La conclusione politica più importante è molto semplice: le riduzioni salariali non sono efficaci nella lotta contro la disoccupazione, mentre la domanda risulta molto importante.
In verità , la riforma del lavoro ha
convertito la Spagna in un paese di camerieri – impiego precario,
part-time, salario miserabile, con straordinari non retribuiti – e di
assemblatori. Lasciate che spieghi quest’ultimo punto con un esempio.
Il settore dell’automobile è uno dei nostri principali settori esportatori.
Ciò nonostante, qui, sfruttando una manodopera molto a basso costo e qualificata, si fa solamente assemblaggio. Nonostante ciò sia un bene, perché fa mantenere i posti di lavoro, in realtà tutti i componenti si importano, inclusi i macchinari necessari per la produzione. Il valore aggiunto va tutto all’estero, essenzialmente in Germania.
Come risultato la bilancia commerciale del settore alla fine si riduce praticamente a zero.
Se il motore della crescita della nostra
economia fosse il settore estero, il surplus crescente della bilancia
commerciale si vedrebbe accompagnato da un processo netto di
investimento che migliorerebbe il nostro apparato produttivo.
Questo però non sta accadendo. Né gli
investimenti diretti esteri nel nostro paese stanno migliorando, né le
imprese spagnole stanno implementando processi di investimento sui beni
di produzione con i loro per nulla disdegnabili ritorni di capitale.
Preferiscono, incomprensibilmente, ridurre il debito e investire fuori a
tassi irrisori. E di questo il governo neppure si accorge.
Pertanto, dove sono andati questi milioni
di euro stranieri che secondo i diversi portavoce dei media stanno o
stavano entrando nel nostro paese? Sono andati a migliorare il nostro
apparato produttivo? Oppure semplicemente approfittavano della brutale
caduta dei prezzi in diversi attivi immobiliari e finanziari per
ottenere rapidi, effimeri e grassi guadagni? La mia tesi è che si tratti
di denaro caldo il cui unico obiettivo è ottenere una rendita rapida ed
elevata per il solo fatto di comprare a basso costo.
Per sostenere questo argomento, ci
concentriamo nella componente delle rendite della nostra bilancia dei
pagamenti. Negli ultimi mesi questa sta registrando un deficit
crescente. Da un lato gli investimenti stranieri ottengono un
importante ritorno, il che si traduce in importanti aumenti di rendita.
La principale spiegazione è che hanno comprato a prezzi molto bassi, prezzi di saldo. Dall’altro lato, gli importanti investimenti diretti spagnoli all’estero, in pieno processo di internazionalizzazione della grande impresa spagnola, producono
un rendimento bassissimo, che si traduce in un ingresso di rendita
ridicolo. La principale spiegazione è che hanno comprato ad un prezzo molto
caro.
Di fronte alla verbosità del governo, pertanto, non c’è nessun
nuovo modello di crescita basato sulle esportazioni, chiediamo prestiti
all’estero per finanziare un debito pubblico crescente, parte del quale
non va più a finanziare la spesa corrente, bensì a terzi.
A ciò dobbiamo aggiungere che ancora non abbiamo ridotto e ristrutturato
il sistema bancario nazionale in accordo alla dimensione dell’economia
reale, e al costo di gestione e ai creditori. Nemmeno si è fatto nulla
per diminuire mediante deroghe il volume del nostro debito totale –
privato più pubblico, che risulta impagabile. In definitiva, se nessuno
pone rimedio a questi punti ci vedremo condotti verso una crisi di debito sovrano e bilancia dei pagamenti.
Piddine, quid rides?
RispondiEliminaMutato nomine de te fabula narratur!
Ma le rendite derivanti dagli investimenti diretti esteri spagnoli, quelli che "producono un rendimento bassissimo, che si traduce in un ingresso di rendita ridicolo" a fronte del denaro investito, dove vengono contabilizzate (sotto quale giurisdizione fiscale intendo)?
RispondiEliminaBenchè da brava potenza ex coloniale la Spagna già conservi importanti IDE in gruppi strategici, ad esempio in Sud America (cosa che già consente, potendo diluire l'assetto societario in più giurisdizioni, trucchi contabili noti come trasferimenti fiscali - pratica comune a tutte le multinazionali peraltro...), se di recente internazionalizzazione della grande impresa spagnola si parla allora la componente fiscale credo rivesta un ruolo fondamentale. Se dette società, o loro controllate, avessero successivamente ottenuto residenza fiscale in paesi di fatto offshore come Olanda, Irlanda o Inghilterra (e territori della Corona), allora anche le rendite, in tutto o in parte là dichiarate, potrebbero rimanere parcheggiate al largo della fiscalità (e della contabilità) nazionale spagnola. Essendo nota la spregiudicatezza del capitalismo spagnolo nel raffrontarsi con le peggiori pratiche finanziarie (loro sì che hanno capito come si sta nell'Uem da debitori!), l'ipotesi non sarebbe tanto peregrina.
Magari in attesa di tempi "migliori", decidendo di rientrare nel momento in cui, dopo un ulteriore calo dei salari e dei prezzi, le occasioni per investire dovessero risultare ancor più convenienti rispetto a oggi. Cosa impedirebbe poi di contabilizzarli nelle statistiche ufficiali come investimenti diretti esteri in Spagna, godendo peraltro di una fiscalità di favore in quanto tali, pur essendolo solo nominalmente (benché a norma di legge)?
Per il resto le giuste conclusioni tratte valgono un po' dovunque nel Sud Europa moralizzato dal dolore: il capitale "estero" mette a rendita i lavoratori "flessibilizzati" (a differenza della Sacra Moneta, il che andrebbe contro il volere divino), liberi di cedere al ricatto della miseria scannandosi per un salario di sussistenza; fintanto che conviene investirvi si intende, potendo godere della ottocentesca corsa al ribasso salariale a cui le nostre moderne democrazie di mercato ci hanno iscritto a nostra insaputa. Corsa al profitto di breve periodo, di norma accompagnata da un eccesso di indebitamento privato, che puntualmente genera crisi. Oggi che il sistema bancario è già al collasso (per le stesse ragioni che portano questi criminali imbecilli a sostenere il modello che ora li arricchisce...), tenuto in vita da Bce e finanze pubbliche in una corsa contro il tempo, per indebitarsi servono "canali alternativi". Parola di Mario.
Se i governi stanno a guardare nonostante il fallimento delle politiche "che l'Europa ci chiede per ridurre gli squilibri macroeconomici", continuando a mentire nonostante la realtà li sbugiardi ogni giorno, significa soltanto che rappresentano gli interessi di chi, nonostante tutto, dalla crisi ci sta ancora guadagnando. "Destra" o "sinistra" poco cambia: rimangono comitati d'affari.
PS_One boat fits for all!, pare urlassero dalla prima classe del Titanic...