18/03/22

John Mearsheimer sulla crisi Ucraina: responsabilità e possibili sviluppi

Pubblichiamo il video sottotitolato in italiano della prima parte dell'importante dibattito tenutosi il 2 Marzo presso il Committee for the Republic sulla politica estera americana, in cui il prof. John Mearsheimer, tra i più autorevoli esperti di relazioni internazionali americani, appartenente alla scuola di pensiero realista (di cui già abbiamo tradotto un articolo sul New Yorker), risponde alle domande sulle cause della invasione russa dell'Ucraina e quindi su chi ricadano le principali responsabilità, oltre a fare delle interessanti e anche preoccupanti ipotesi sulla possibile evoluzione futura degli eventi.



Trascrizione dell'intervento:

In primo luogo vorrei parlare delle cause della crisi attuale e mi piacerebbe riflettere su dove

tutto questo ci porterà.  Per quanto riguarda le cause, è molto importante capire chi ha provocato questa situazione. E' una cosa di tremenda importanza perché significa attribuire la responsabilità. In realtà qui abbiamo due scelte: o sosteniamo che l’occidente e in particolare gli Stati Uniti hanno causato la crisi o possiamo dire che sono stati i russi a provocare la crisi, ma ciò significa che chiunque secondo voi abbia causato la crisi è responsabile del disastro, ed è importante capire che questo è un disastro.

L’Ucraina ha perso la Crimea e secondo me perderà anche il Dombass. La sola questione importante per me a questo punto è capire se perderà anche dell’altro territorio nella parte orientale del paese. Inoltre l’economia dell’Ucraina è distrutta. Le sue città saranno distrutte. L’economia internazionale sarà fortemente danneggiata da questi eventi. Tutto questo penso che avrà delle terribili conseguenze  per i democratici in autunno. Inoltre renderà difficile per gli Stati Uniti spostare la propria attenzione dall’Europa per rivolgerla alla Cina, che rappresenta una minaccia potenziale. Oltre al fatto che stiamo spingendo i russi tra le braccia dei cinesi,  una cosa del tutto priva di senso, e allo stesso tempo stiamo rendendo l’Europa orientale una regione molto instabile e quindi costringerci se non altro ad alzare la posta in gioco lì.

Quindi la situazione è disastrosa e la domanda veramente importante è chi l’ha provocata e chi ne porta la responsabilità. L’opinione diffusa negli Stati Uniti e più in generale nel mondo occidentale è che la responsabilità è dei russi e in particolare di Vladimir Putin e come penso quasi tutti voi sappiate io non condivido affatto questa visione e non la condivido già da molto tempo.

Secondo me è soprattutto l’Occidente ad essere fondamentalmente responsabile di ciò che sta accadendo oggi e in gran parte questo è il risultato della decisione dell’aprile 2006 di far entrare Ucraina e Georgia nella Nato.  Volevamo integrare l’Ucraine nella Nato a tutti i costi nonostante che i russi dicessero al tempo che era una cosa categoricamente inaccettabile. I Russi avevano detto chiaramente di aver dovuto mandar giù le prime due fasi di espansione della Nato del 99 e del 2004, a che Georgia e Ucraina non avrebbero dovuto entrare nella Nato. Stavano tracciando una linea sulla sabbia. La consideravano una minaccia esistenziale. E infatti nell’agosto del 2008 c’è stata una guerra tra i russi e i georgiani su questa faccenda se la Georgia dovesse o no entrare nella Nato. 

È importante capirequando parliamo di politica occidentale e della espansione della Nato in Ucraina che in realtà la politica occidentale aveva tre direttrici . L'obiettivo principale era integrare definitivamente l’Ucraina nella Nato, ma gli altri due erano  integrare l’Ucraina nella Unione europeae trasformare l’Ucraina in una democrazia liberale filoccidentale  in effetti mettendo in piedi una rivoluzione colorata. E questi tre punti della strategia erano tutti progettati per trasformare l’Ucraina in un paese filo-occidentale, un paese nell’orbita dell’occidente ai confini della Russia. E anche allora i Russi hanno detto con chiarezza inequivocabile che questo non doveva succedere.

Ora, la prima crisi è scoppiata a febbraio2014. Io la vedo così, che c’è stata una crisi importante a febbraio 2014. Poi c’è stata una grossa crisi scoppiata a dicembre dell’anno scorso, dicembre 2021, e il 24 febbraio di quest’anno è cominciata la guerra. Che dire di questa crisi del febbraio 2014. Il 22 febbraio per l’esattezza. La crisi è precipitata in gran parte a causa del colpo di stato sostenuto dagli Stati Uniti che ha avuto luogo in Ucraina ed è sfociato nel fatto che leader filo-russo, il presidente Yanukovych è stato destituito e rimpiazzato da un primo ministro filo-americano. I Russi l’hanno trovato intollerabile, ma allo stesso tempo stavano discutendo con l’Occidente e con gli Ucraini sulla espansione della Ue  e nello sfondo sempre in quella fase vi era anche la espansione della Nato, che stava venendo fuori. Con due conseguenze, una che in effetti i russi  si sono presi la Crimea sottraendola all’Ucraina.  Non avevano nessuna intenzione di lasciare Sebastopoli. E in secondo luogoi russi hanno contribuito ad alimentare una guerra civile nell’Ucraina dell’est e naturalmente quella guerra civile è andata avanti ben oltre il 2014.  Ma la crisi in realtà era scoppiata nel 2014. 

E poi a circa metà del 2021 per poi veramente incendiarsi alla fine dell’anno, direi a dicembre 2021, c’è stata la seconda crisi importante e la domanda è cosa ha causato la crisi, e secondo me,  in gran parte è stato il fatto che l’Ucraina stava diventando “di fatto” membro della Nato.  È un luogo comune in Occidente e specialmente a Washington in questi giorni dire che la Russia non aveva affatto da temere che l’Ucraina diventasse parte della Nato, perché la Nato non stava facendo niente per integrare l’Ucraina nella Nato.Penso che in un senso formale questo può essere assolutamente corretto, ma “di fatto” è sbagliato. Quello che stavamo facendo era  armare gli Ucraini, e ricordiamo che il President Trump a dicembre del 2017 è stato oggetto di forti pressioni e ha deciso di armare gli Ucraini. Quindi noi stavamo armando gli Ucraini, li stavamo addestrando e stabilendo rapporti diplomatici sempre più stretti con gli Ucraini, e questo ha allarmato i russi, specialmente nell’estate dell’anno scorso, quando l’esercito Ucraino ha usato i droni contro le forze russe nel Donbass. Soprattutto questo ha spaventato i russi l’estate scorsa,  quando un cacciatorpediniere britannico è entrato nelle acque territoriali russenel Mar Nero.  E a novembre quando dei caccia sono entrati entro le 13 miglia dalle coste russe. Quindi tutti questi eventi si accompagnano a questa integrazione “de facto”dell’Ucraina nella Nato e hanno spinto i russi a quello che Sergey Lavrov ha definito essere il punto di non ritorno. A gennaio è stato domandato a Lavrov perché i russi sono arrivati a questo punto e perché ci siamo trovati nel mezzo di questa crisi e a gennaio Lavrov ha detto che era stato raggiunto il loro punto di non ritorno. Prima espansione della Nato, seconda espansione della Nato, e poi tutti questi eventi collegati all’Ucraina. I russi ne hanno avuto abbastanza e quindi c’è stata una crisi di enormi proporzioni, che poi naturalmente è sfociata  il 24 febbraio nell’invasione dell’Ucraina da parte dei russi.

E ora ci troviamo nel mezzo di una vera guerra. Questa non è solo una guerra civile in Ucraina orientale come quella che c’era prima del 24 febbraio. Ora ci troviamo in una vera guerra e questo ci porta alla domanda su quale sia l’opinione comune su questo argomento e su cosa penso dell’argomento contrario, che tutto questo non ha niente a che fare con l’espansione della Nato.

È abbastanza notevole quando si ascoltano parlare persone dell’amministrazione, quando si leggono gli editoriali sul Washington Post, che si sentano pronunciare discorsi di questo genere, che ciò non ha assolutamente niente a che fare con l’espansione della Nato. Non capisco come si possano dire cose simili. I russi lo stanno dicendo sin dall’aprile 2008, che il problema è l’espansione della Nato, che l’espansione della Nato in Ucraina è per loro una minaccia esistenziale. Ma gli americani semplicemente si sono rifiutati di crederci. Non tutti gli americani, ma una gran parte e soprattutto l’élite di questo paese. 

E invece quel che hanno fattoè aver creato una storia secondo la quale non è la politica americana, non è l’espansione della Nato che sta dietro a questa storia, ma invece è Vladimir Putin e la sua volontà o di ricreare l’unione sovietica o di creare una Russia più grande. Ma in ogni caso vuole procedere a una espansione e grazie al cielo che abbiamo esteso la Nato, perché se non l’avessimo fatto probabilmente ormai sarebbe già a Berlino o addirittura a Parigi.  Questo è il principale argomento. Lui è un aggressore. 

Ma questo argomento presenta dei problemi. In primo luogo prima del 22 febbraio nessuno sosteneva che Putin aveva intenzioni aggressive e nessuno sosteneva che l’espansione della Nato era necessaria allo scopo di contenere la Russia. Prima del 22 febbraio 2014 nessuno pensava che fosse un problema. E infatti quando la crisi è scoppiata il 22 febbraio 2014 siamo rimasti scioccati. Se si va indietro e si guardano i giornali del tempo l’amministrazione Obama è stata colta alla sprovvista perché non pensavano che i russi  fossero aggressivi. Ma naturalmente abbiamo dovuto inventare la storia dopo che è scoppiata la crisi per cui non era nostra la responsabilità di quanto sta accadendo, ma dei russi

La seconda ragione per cui bisogna dubitare è che Putin non ha mai detto di voler ricreare l’ Unione sovietica o una Russia più grande, non ha mai detto di voler conquistare l’Ucraina e annetterla alla Russia. Non c’è alcun dubbio che lui pensi dentro di sé che sarebbe giusto che l’Ucraina fosse parte della Russia, è chiaro che nel suo cuore vorrebbe tornare alla Unione sovietica, ma ha anche detto esplicitamente che razionalmentec omprende che non sarebbe una buona idea. Quindi se guardiamo a quello che lui ha detto non c’è ragione di pensare che lui voglia ricreare l’Unione sovietica o una grande Russia.

E per andare anche oltre, lui non ne ha la capacità. Per due ragioni: in primo luogo non ha un esercito abbastanza potente. Parliamo di un paese il cui Pil è inferiore a quello del Texas. Certamente non è più l’Unione sovietica dei tempi migliori. Inoltre i russi comprendono che occupare un paese o anche dei paesi e dei territori nell’Europa orientale significa cacciarsi in grossi guai.

In questo dibattito siamo quasi tutti vecchi abbastanza da ricordare la guerra fredda e tutti i problemi che aveva allora l’Unione sovietica.  Si pensi alla Germania dell’est nel 1953, all’Ungheria nel 1956, alla Cecoslovacchia nel 1968, continui problemi di consenso, E potremmo dire che i rumeni e gli albanesi sono stati il problema più grande che si sono trovati davanti. I russi sono certamente abbastanza sofisticati da capire che non solo non avrebbero la capacità, ma che occupare l’Ucraina e gli stati baltici vorrebbe dire suicidarsi. Sarebbe da pazzi, quindi penso che non ci sia nessuna prova a sostegno di questo e il mio ultimo argomento è che se si guarda a quello che i russi stanno facendo in Ucraina dal punto di vista militare al momento non sembra che vogliano conquistare il paese e occuparlo annettendolo ad una Grande Russia.

Comunque siamo qui e penso che siamo tutti molto interessati a capire dove si va a finire. Quindi vorrei formulare alcune osservazioni preliminari sulla politica americana. La politica americana, ciò che stiamo facendo è ripetere quel che è stato fatto dopo il 2014. Invece di riconsiderare e  magari dire che l’espansione della Nato non è stata una buona idea, siamo andati nella direzione opposta. Ed è per questo che vi dico che dal 2021 i russi hanno capito che stavamo “de facto” portando l’Ucraina dentro la Nato. Quindi ciò che abbiamo fatto dopo il 2014 è stato raddoppiare la posta ed è questo che ancora stiamo facendo anche adesso, raddoppiare la posta.

E questo cosa  significa, che noi stiamo incoraggiando gli Ucraini a resistere. Noi non combatteremo per loro, capite, sarà una sfida, sino all’ultimo ucraino, ma noi non faremo nessuna battaglia, loro sono soli in questo, ma li stiamo armando e stiamo facendo tutto il possibile per portarli a questo punto, sperando che possano tenere duro e giocarsela fino in fondo con i russi.  Nnessuno crede che potranno sconfiggere i russi, ma forse arrivare a uno stallo.

Ora, la domanda che bisogna porsi, che è veramente la questione cruciale, è cosa faranno i russi. Mi sembra che molti in occidente pensino che se gli ucraini faranno abbastanza resistenza i russi desisteranno o forse Vladimir Putin alzerà le mani e si arrenderà, dirà che è stata una cattiva idea e che gli dispiace. O forse ci sarà un colpo di stato a Mosca, lui sarà destituito e insedieranno un leader che arriverà a un accordo. E l’Ucraina vivrà felice per sempre e noi vivremo felici per sempre e i russi saranno puniti.  Ho passato molta della mia vita da adulto a studiare la politica delle grandi potenze e conosco a fondo la politica e so che non è così che funziona. E non è certamente così che lavorano i russi. Dovete capire, tornando indietro a quello che ho detto sulla decisione dell’aprile 2008. I russi hanno detto allora che questa era una minaccia esistenziale. Una vera minaccia esistenziale. Quindi anche prima di questa guerra che l’Ucraina divenisse parte della Nato era visto come una minaccia esistenziale. E ora stiamo parlando di una situazione in cui i russi in Ucraina vengono sconfitti. Un esito molto peggiore per i russi rispetto a quanto accaduto nell’aprile 2008 e molto peggiore di quanto accaduto a febbraio 2014. E i russi non hanno nessuna intenzione di desistere e arrendersi. Quel che i russi faranno in realtà sarà di  schiacciare gli ucraini, impiegare le armi pesanti, radere al suolo kiev e altre città in Ucraina. Faranno come a Fallujah, come a  Mosul, come a Grozny. Sapete cosa è successo nella seconda guerra mondiale quando gli Stati Uniti si trovarono di fronte alla possibilità di dover invadere le isole del Giappone nel 1945. L’idea di invadere il Giappone dopo quello che era successo a Iwo Jima e più tardi ad Okinawa veramente ci spaventava e quindi sapete cosa abbiamo fatto. Abbiamo deciso di radere al suolo le città giapponesi. A partire dal 10 marzo 1945 abbiamo ucciso più gente la notte che abbiamo bombardato Tokyo di quanti ne abbiamo ammazzato a  Hiroshima o Nagasaki. E abbiamo sistematicamente raso al suolo le città giapponesi. E perché? Perché non volevamo invaderele isole giapponesi. Quando una grande potenza si sente minacciata…

I russi non risparmieranno gli sforzi in Ucraina per essere sicuri di vincere e quindi questa è una dimensione di tipo nucleare. I russi hanno già messo in allerta le armi nucleari, e questo è uno sviluppo veramente significativo perché ciò che faranno sarà di mandarci un segnale molto forte su quanto stanno prendendo sul serio questa crisi e tutto quello che sta accadendo. E quindi se cominciamo a riportare delle vittorie e i russi cominciano ad avere perdite, dovete capire che stiamo parlando di costringere all’angolo una grande potenza nucleare che considera quanto sta accadendo come una minaccia esistenziale. Ed è una cosa molto pericolosa. 

Tornando indietro alla crisi dei missili a Cuba io non penso che quel che è successo in questa crisi dei missili fosse per noi una minaccia come lo è oggi per i russi questa situazione. Ma se si ritorna indietro e si guarda a quello che pensavano gli americani allora, erano veramente terrorizzati,  pensavano che i missili sovietici a Cuba erano una minaccia esistenziale  e molti dei consiglieri di Kennedy volevano usare il nostro arsenale nucleare contro l’Unione sovietica.

Le grandi potenze la prendono molto seriamente quando ritengono di trovarsi davanti a delle minacce esistenziali e quindi secondo me siamo in una situazione molto pericolosa. Penso che la probabilità di una guerra nucleare sia molto bassa, ma non c’è bisogno che la probabilità sia alta per essere veramente spaventati, a causa delle  conseguenze dell’uso di armi nucleari. Quindi faremmo meglio a essere molto prudenti, rispetto al fatto di spingere all’angolo i russi

Ma ancora, io non credo che succederà, perché credo che quello che accadrà è che in questa competizione tra noi e i russi vinceranno i russi. Ora, vi chiederete perché sto dicendo questo. Io credo  che se pensate un po’ a chi ha più risolutezza, a chi veramente si preoccupa di più di questa situazione, i russi o gli americani, gli americani non tengono così tanto all’Ucraina. Gli americani hanno chiarito che non hanno nessuna intenzione di combattere e morire per l’Ucraina, qQuindi non è così importante per noi. Mentre i russi hanno reso chiaro che per loro questa è una minaccia esistenziale. Quindi l’equilibrio della determinazione credo che sia a loro favore. Quindi come avanziamo nell’escalation della tensione, la mia impressione – ed è una mia ipotesi - è che i russi prevarranno, non gli americani, e i russi prevarranno perché sono più determinati.

Ora la domanda è chi perderà questa guerra. Io penso che non importa molto agli Stati Uniti se perdiamo, nel senso che i russi vinceranno in Ucraina. E penso che i veri perdenti in questa guerra saranno gli ucraini. E quel che è successo è che abbiamo portato l’Ucraina alla rovina. Abbiamo spinto molto per incoraggiarli a voler diventare parte della Nato. Abbiamo spinto molto forte per farli entrare nella Nato e fare di loro un baluardo occidentale  ai confini della Russia,  malgrado i russi avessero detto molto chiaramente che sarebbe stato per loro inaccettabile. 

Qui in effetti – e sto parlando dell’occidente – abbiamo preso un bastone e abbiamo colpito l’orso sulla testa. E come voi tutti sapete, se prendete un bastone e colpite un orso sulla testa l’orso probabilmente, non la prenderà bene e probabilmente risponderà. Ed è proprio questo che sta succedendo, quell’orso farà a pezzi l’Ucraina, sta per fare a pezzi l’Ucraina. 

E di nuovo ritorniamo al punto da cui siamo partiti. Chi porta la responsabilità di tutto questo. Sono i russi ad essere i responsabili? Io non credo. Non c’è dubbio che i russi stanno facendo il lavoro sporco. non voglio mentire su questo. Ma la domanda è che chi ha portato i russi a fare questo. E secondo la mia opinione la risposta è semplice: gli Stati Uniti d’America.

Grazie.

 

06/03/22

New Yorker - Perché John Mearsheimer incolpa gli Stati Uniti per la crisi in Ucraina


Il New Yorker pubblica un'intervista al prof. John Mearsheimer, politologo e studioso delle relazioni internazionali tra i più autorevoli e conosciuti nel suo campo,  una assoluta autorità in materia, in cui lo studioso svolge una argomentata e severa critica alla politica estera americana degli ultimi decenni e più in generale dell'occidente, accusati di una pericolosa mancanza di realismo e di una grave miopia nei confronti del vero concorrente degli USA, che non è la Russia, ma la Cina. 
(preziosa segnalazione di @BuffagniRoberto)


Il politologo afferma da anni che l'aggressione di Putin nei confronti dell'Ucraina è causata dall'intervento occidentale. Gli eventi recenti gli hanno fatto cambiare idea?

 

Di Isaac Chotiner, 1 marzo 2022

Il politologo John Mearsheimer è stato uno dei più famosi critici della politica estera americana dalla fine della Guerra Fredda. Forse meglio conosciuto per il libro che ha scritto con Stephen Walt, "The Israel Lobby and US Foreign Policy", Mearsheimer è un sostenitore della politica delle grandi potenze, una scuola di relazioni internazionali realistiche che presume che, in un tentativo egoistico di preservare la sicurezza nazionale, gli stati agiranno in via preventiva per anticipare gli avversari. Per anni, Mearsheimer ha sostenuto che gli Stati Uniti, spingendo per espandere la Nato verso est e stabilendo relazioni amichevoli con l'Ucraina, hanno aumentato le probabilità di una guerra tra potenze nucleari e hanno gettato le basi per la posizione aggressiva di Vladimir Putin nei confronti dell'Ucraina. Infatti, nel 2014, dopo che la Russia ha annesso la Crimea, Mearsheimer ha scritto che "gli Stati Uniti e i loro alleati europei condividono la maggior parte della responsabilità per questa crisi".

L'attuale invasione dell'Ucraina ha rinnovato il dibattito di lunga data sulle relazioni tra Stati Uniti e Russia. Sebbene molti critici di Putin abbiano sostenuto che avrebbe perseguito una politica estera aggressiva nei confronti delle ex repubbliche sovietiche indipendentemente dal coinvolgimento occidentale, Mearsheimer mantiene la sua posizione, secondo la quale gli Stati Uniti sono colpevoli di averlo provocato. Di recente ho parlato con Mearsheimer per telefono. Durante la nostra conversazione, che è stata modificata per ragioni di lunghezza e chiarezza, abbiamo discusso sul fatto se la guerra in corso avrebbe potuto essere evitata, se ha senso pensare alla Russia come a una potenza imperiale e  quali sono i progetti di Putin sull'Ucraina.

 

Guardando ora alla situazione con Russia e Ucraina, come pensa che il mondo sia arrivato a questo punto?

Penso che tutti i problemi siano iniziati in realtà nell'aprile 2008, al vertice della NATO a Bucarest, dove la NATO ha rilasciato una dichiarazione in cui si affermava che l'Ucraina e la Georgia sarebbero diventate parte della NATO. I russi all'epoca hanno chiarito inequivocabilmente che consideravano questa una minaccia esistenziale e hanno tracciato una linea nella sabbia. Tuttavia, quello che è successo con il passare del tempo è che siamo andati avanti per includere l'Ucraina in Occidente e per fare dell'Ucraina un baluardo occidentale al confine con la Russia. Naturalmente, questo significa più della semplice espansione della NATO. L'espansione della NATO è il cuore della strategia, ma questo comporta anche l'espansione dell’UE, significa trasformare l'Ucraina in una democrazia liberale filoamericana e, dal punto di vista russo, questa è una minaccia esistenziale.

Lei ha detto che si tratta di "trasformare l'Ucraina in una democrazia liberale filoamericana". Non credo molto nell'America che "trasforma" i posti in democrazie liberali. E se fosse l'Ucraina, il popolo ucraino, a voler vivere in una democrazia liberale filoamericana?

Se l'Ucraina diventa una democrazia liberale filoamericana, membro della NATO e membro dell'UE, i russi lo considereranno un fatto categoricamente inaccettabile. Se non ci fosse un'espansione della NATO e dell'UE, e l'Ucraina semplicemente diventasse una democrazia liberale amica degli Stati Uniti e dell'Occidente più in generale, probabilmente potrebbe farla franca. Deve capire che qui è in gioco una strategia a tre punte: espansione UE, espansione NATO e trasformazione dell'Ucraina in una democrazia liberale filoamericana.

Lei continua a dire "trasformare l'Ucraina in una democrazia liberale" e sembra che sia un problema per gli ucraini prendere questa decisione. La Nato può decidere chi ammettere, ma abbiamo visto nel 2014 che sembrava che molti ucraini volessero essere considerati parte dell'Europa. Sembrerebbe quasi una sorta di imperialismo dire loro che non possono essere una democrazia liberale.

Non è imperialismo; questa è la politica delle grandi potenze. Quando sei un paese come l'Ucraina e vivi accanto a una grande potenza come la Russia, devi prestare molta attenzione a ciò che pensano i russi, perché se prendi un bastone e li colpisci negli occhi, si vendicheranno. Gli Stati dell'emisfero occidentale lo capiscono perfettamente quando si tratta degli Stati Uniti.

La Dottrina Monroe, in sostanza.

Certo. Non c'è paese nell'emisfero occidentale a cui sia permesso di invitare una grande potenza geograficamente lontana a portare forze militari in quel paese.

Giusto, ma dire che l'America non permetterà ai paesi dell'emisfero occidentale, che sono per la maggior parte democrazie, di decidere che tipo di politica estera fare – si può pensare che sia una cosa buona o meno, ma questo è imperialismo, giusto? In sostanza, stiamo dicendo che abbiamo una sorta di voce in capitolo su come i paesi democratici debbano gestire i loro affari.

Abbiamo questa voce in capitolo e, in effetti, abbiamo rovesciato dei leader democraticamente eletti nell'emisfero occidentale durante la Guerra Fredda perché non eravamo contenti delle loro politiche. Questo è il modo in cui si comportano le grandi potenze.

Certo che l'abbiamo fatto, ma mi chiedo se dovremmo comportarci in quel modo. Quando pensiamo alla politica estera, non dovremmo provare a creare un mondo in cui né gli Stati Uniti né la Russia si possano comportare in quel modo?

Non è così che funziona il mondo. Quando provi a creare un mondo che assomigli a quello, finisci con fare delle politiche disastrose, come quelle che gli Stati Uniti hanno perseguito durante la fase unipolare. Abbiamo girato il mondo cercando di creare democrazie liberali. Il nostro obiettivo principale, ovviamente, era il Medio Oriente, e ha presente come ha funzionato. Non molto bene.

Penso che sia difficile dire che la politica americana in Medio Oriente negli ultimi settantacinque anni dalla fine della seconda guerra mondiale, o negli ultimi trent'anni dalla fine della guerra fredda, sia stata quella di creare democrazie in Medio Oriente.

Penso che fosse questa la Dottrina Bush durante il periodo unipolare.

In Iraq. Ma non nei territori palestinesi, o in Arabia Saudita, o in Egitto, o altrove, giusto?

No, be’, non in Arabia Saudita e non in Egitto. Per cominciare, la Dottrina Bush affermava sostanzialmente che se avessimo potuto creare una democrazia liberale in Iraq, questo avrebbe avuto un effetto domino e altri paesi come la Siria, l'Iran e infine l'Arabia Saudita e l'Egitto, si sarebbero trasformati in democrazie. Questa era la filosofia di base dietro la Dottrina Bush. La Dottrina Bush non era stata progettata solo per trasformare l'Iraq in una democrazia. Avevamo in mente un disegno molto più grande.

Possiamo discutere di quanto le persone in carica nell'amministrazione Bush volessero davvero trasformare il Medio Oriente in tante democrazie, e pensassero davvero di avere successo. La mia sensazione era che non ci fosse molto entusiasmo nel trasformare l'Arabia Saudita in una democrazia.

Bene, penso che concentrarsi sull'Arabia Saudita sia un modo facile per confermare il suo punto di vista. Questo è stato il caso più difficile dal punto di vista dell'America, perché l'Arabia Saudita ha così tanta influenza su di noi a causa del petrolio, e di certo non è una democrazia. Ma la Dottrina Bush, se andiamo a vedere quello che veniva detto all'epoca, si basava sulla convinzione che avremmo potuto democratizzare il grande Medio Oriente. Non sarebbe successo dall'oggi al domani, ma alla fine sarebbe accaduto.

Mi sembra che il mio argomento può essere che le azioni parlano più delle parole e, qualunque cosa abbia detto Bush nei suoi discorsi fioriti, non credo che la politica degli Stati Uniti in nessun momento della loro storia recente sia stata quella di cercare di instaurare delle democrazie liberali in tutto il mondo.

C'è una grande differenza tra come si sono comportati gli Stati Uniti durante la fase unipolare e come si sono comportati nel corso della loro storia. Sono d'accordo con lei quando parla della politica estera americana nel corso della sua storia più in generale, ma il periodo unipolare è stato un momento molto speciale. Credo che durante questa fase ci siamo impegnati a fondo nella diffusione della democrazia.

A proposito dell'Ucraina, è molto importante capire che, fino al 2014, non avevamo previsto l'espansione della Nato e dell'UE come una politica volta a contenere la Russia. Prima del 22 febbraio 2014 nessuno pensava seriamente che la Russia fosse una minaccia. L'espansione della NATO, della UE, e trasformare l'Ucraina, la Georgia e altri paesi in democrazie liberali significava creare una gigantesca zona di pace che si estendesse in tutta Europa e includesse l'Europa orientale e l'Europa occidentale. Non mirava a contenere la Russia. Quello che è successo è che è scoppiata questa grave crisi e abbiamo dovuto cercare la colpa, e ovviamente non avremmo mai dato la colpa a noi stessi. Dovevamo incolpare i russi. Quindi abbiamo inventato questa storia secondo cui la Russia era intenzionata all'aggressione nell'Europa orientale. Che Putin è interessato a creare una Russia più grande, o forse anche a ricreare l'Unione Sovietica.

Torniamo a quel momento e all'annessione della Crimea. Stavo leggendo un vecchio articolo in cui scrivevi: “Secondo la visione prevalente in Occidente, la crisi ucraina può essere attribuita quasi interamente all'aggressione russa. Il presidente russo Vladimir Putin, secondo questa teoria, ha annesso la Crimea per il suo desiderio di lunga data di resuscitare l'impero sovietico, e alla fine potrebbe conquistare il resto dell'Ucraina e altri paesi dell'Europa orientale". E poi dice: "Ma questo resoconto è sbagliato". Quello che è successo nelle ultime due settimane le fa pensare che il resoconto fosse più vicino alla verità di quanto avrebbe potuto pensare?

Oh, penso che avevo ragione. Penso che vi sia una chiara evidenza che non pensavamo che Putin fosse un aggressore prima del 22 febbraio 2014. Questa è una storia che abbiamo inventato per potergli attribuire la colpa.  La mia argomentazione è che l'Occidente, in particolare gli Stati Uniti, sono il principale responsabile di questo disastro. Ma nessun politico americano, e quasi nessuno nell'establishment della politica estera americana, vorrà riconoscere questa linea di argomentazione, e diranno che i responsabili sono i russi.

Intende perché i russi hanno fatto l'annessione e l'invasione?

Sì.

Mi interessava quell'articolo perché sostiene che l'idea che Putin possa alla fine voler prendere il resto dell'Ucraina, così come altri paesi dell'Europa orientale, è sbagliata. Dato che ora sembra proprio volere il resto dell'Ucraina, pensa col senno di poi che quell'argomento magari era vero, anche se all'epoca non lo sapevamo?

È difficile dire se vorrà prendere il resto dell'Ucraina, perché – anche se non voglio fare il pignolo - ciò implicherebbe che vuole conquistare tutta l'Ucraina e poi rivolgersi agli stati baltici e che il suo obiettivo sia creare una Russia più grande, o una reincarnazione dell'Unione Sovietica. Non vedo alcuna prova che questo sia vero. È difficile dire, guardando le mappe del conflitto in corso, cosa stia combinando esattamente. Mi sembra abbastanza chiaro che prenderà il Donbass e che il Donbass diventerà o due stati indipendenti o un grande stato indipendente, ma, a parte questo, non è chiaro cosa farà. Voglio dire, sembra evidente che non stia toccando l'Ucraina occidentale.

Però le sue bombe sì, la stanno toccando, giusto?

Ma non è questo il problema più importante. La questione cruciale è: quale territorio conquisti e quale territorio ti tieni? L'altro giorno stavo parlando con qualcuno di cosa accadrà con queste forze che stanno uscendo dalla Crimea, e questa persona mi ha detto che pensava che si sarebbero dirette a ovest e avrebbero preso Odessa. Parlando con qualcun altro più recentemente sembrava che ciò non sarebbe accaduto. So cosa accadrà? No, nessuno di noi sa cosa accadrà.

Non pensa che abbia progetti su Kiev?

No, non credo che abbia progetti su Kiev. Penso che sia interessato a prendere almeno il Donbass, e forse un po' più di territorio e l’Ucraina orientale, e, in secondo luogo, vuole installare a Kiev un governo filo-russo, un governo che sia in sintonia con gli interessi di Mosca.

Pensavo avesse detto che non era interessato a prendere Kiev.

No, è interessato a prendere Kiev ai fini del cambio di regime. OK.?

Invece di che cosa?

Invece di conquistare Kiev definitivamente.

Sarebbe un governo favorevole alla Russia su cui presumibilmente avrebbe voce in capitolo, giusto?

Si, esattamente. Ma è importante capire che è fondamentalmente diverso dal conquistare e mantenere Kiev. Capisce quello che sto dicendo?

Potremmo pensare ai possedimenti imperiali dove una specie di prestanome veniva posto sul trono, anche se la madrepatria controllava effettivamente quello che stava succedendo lì, giusto? Potremmo dire che quei luoghi erano stati conquistati, giusto?

Ho problemi con il suo uso della parola "imperiale". Non conosco nessuno che parli di tutto questo problema in termini di imperialismo. Questa è la politica delle grandi potenze, e ciò che i russi vogliono è un regime a Kiev che sia in sintonia con gli interessi russi. Alla fine potrebbe essere che i russi sarebbero disposti a vivere con un'Ucraina neutrale e che non sarà necessario che Mosca abbia alcun controllo significativo sul governo di Kiev. Può darsi che vogliano solo un regime neutrale e non filoamericano.

Quando ha detto che nessuno ne parla come di imperialismo, nei suoi discorsi Putin si riferisce specificamente al "territorio dell'ex impero russo", che si lamenta di aver perso. Quindi sembra che ne stia parlando.

Penso che sia sbagliato, perché penso che lei stia citando solo la prima metà della frase, come fa la maggior parte delle persone in Occidente. Ha detto: "Chi non sente la mancanza dell'Unione Sovietica non ha cuore". E poi ha detto: "Chi la rivuole indietro non ha cervello".

Sta anche dicendo che l'Ucraina è essenzialmente una nazione inventata, creata artificialmente, e sembra invaderla, no?

OK, ma metta insieme queste due cose e mi dica cosa significano. Non ne sono troppo sicuro. Lui crede che sia una nazione inventata. Potremmo fargli notare che tutte le nazioni sono inventate. Qualsiasi studente di nazionalismo può dirlo. Inventiamo questi concetti di identità nazionale. Sono pieni di ogni sorta di miti. Quindi ha ragione sull'Ucraina, proprio come ha ragione sugli Stati Uniti o la Germania. Il punto molto più importante è: capisce che non può conquistare l'Ucraina e integrarla in una Russia più grande o in una reincarnazione dell'ex Unione Sovietica. Non può farlo. Quello che sta facendo in Ucraina è fondamentalmente diverso. Ovviamente sta portando via un po' di territorio. Prenderà parte del territorio dall'Ucraina, oltre a quanto accaduto con la Crimea nel 2014. Inoltre, è decisamente interessato al cambio di regime. Oltre a ciò, è difficile dire esattamente a cosa porterà tutto questo, tranne il fatto che non conquisterà tutta l'Ucraina. Sarebbe un errore di proporzioni colossali provare a farlo.

Presumo che se provasse a farlo, ciò cambierebbe la sua analisi degli eventi.

Assolutamente. La mia argomentazione è che non vuole ricreare l'Unione Sovietica o cercare di costruire una Russia più grande, che non è interessato a conquistare e integrare l'Ucraina nella Russia. È molto importante capire che noi abbiamo inventato questa storia secondo la quale Putin è molto aggressivo ed è il principale responsabile di questa crisi in Ucraina. L'argomento che è stato inventato dall'establishment della politica estera negli Stati Uniti, e più in generale in Occidente, ruota attorno all'affermazione che Putin è interessato a creare una Russia più grande o una reincarnazione dell'ex Unione Sovietica. Ci sono persone che credono che quando avrà finito di conquistare l'Ucraina, si dirigerà  verso gli stati baltici. Non si rivolgerà agli stati baltici. Prima di tutto, gli stati baltici sono membri della Nato e...

Questa è una cosa buona?

No.

Sta dicendo che non li invaderà perché fanno parte della Nato, ma non dovrebbero far parte della Nato.

Sì, ma sono due questioni molto diverse. Non sono sicuro del motivo per cui le sta collegando. Se penso o no che dovrebbero far parte della NATO è indipendente dal fatto che facciano parte della NATO. Di fatto fanno parte della Nato. Hanno la garanzia dell'articolo 5: questo è tutto ciò che conta. Inoltre, non ha mai dato alcuna prova che sia interessato a conquistare gli stati baltici. In effetti, non ha mai dato alcuna prova che sia interessato a conquistare l'Ucraina.

Mi sembra che se vuole ritornare indietro a qualcosa, è all'impero russo che precedette l'Unione Sovietica. Sembra molto critico nei confronti dell'Unione Sovietica, giusto?

Be’, non so se è critico.

Lo ha detto nel grande saggio che ha scritto l'anno scorso, e in un recente discorso ha detto che essenzialmente considera come una colpa il fatto che le politiche sovietiche abbiano concesso un certo grado di autonomia alle repubbliche dell’Urss, come l'Ucraina.

Ma ha anche detto, come ho letto prima, "Chi non sente la mancanza dell'Unione Sovietica non ha cuore". Questo è in qualche modo in contrasto con quello che ha appena detto. Voglio dire, in effetti sta dicendo che gli manca l'Unione Sovietica, giusto? Questo è quello che sta dicendo. Quello di cui stiamo parlando qui è la sua politica estera. La domanda che si deve porre è se questo sia un paese che ha la capacità di farlo. Si renda conto che questo è un paese che ha un PIL più piccolo del Texas.

I paesi cercano sempre di fare cose che non hanno la capacità di fare. Avrebbe potuto dirmi: "Chi penserebbe che l'America possa far funzionare rapidamente il sistema di potere iracheno? Abbiamo questi problemi anche in America". E avrebbe avuto ragione Eppure pensavamo di potercela fare, e ci abbiamo provato, e abbiamo fallito, giusto? L'America non ha potuto fare ciò che voleva durante il Vietnam, e sono sicuro che mi dirà che questo è un motivo per non combattere queste varie guerre - e sono d'accordo - ma ciò non significa che fossimo corretti o razionali riguardo alle nostre capacità.

Sto parlando del potenziale di potere della Russia, la potenza economica di cui dispone. La potenza militare si basa sulla potenza economica. C'è bisogno di una base economica per costruire un esercito davvero potente. Andare a conquistare paesi come l'Ucraina e gli stati baltici e ricreare l'ex Unione Sovietica o ricreare l'ex impero sovietico nell'Europa orientale richiederebbe un esercito imponente e quindi una base economica che la Russia contemporanea nemmeno si  avvicina ad avere. Non c'è motivo di temere che la Russia eserciti un'egemonia a livello regionale in Europa. La Russia non è una seria minaccia per gli Stati Uniti. A livello internazionale siamo di fronte a una seria minaccia. Siamo di fronte a un concorrente alla pari. E questo è la Cina. La nostra politica nell'Europa orientale sta minando la nostra capacità di affrontare la minaccia più pericolosa che dobbiamo affrontare oggi.

Quale pensa che dovrebbe essere la nostra politica in Ucraina in questo momento, e cosa la preoccupa di ciò che stiamo facendo, nel senso che potrebbe indebolire la nostra politica verso la Cina?

In primo luogo dovremmo distogliere l’attenzione dall'Europa per focalizzarci sulla Cina. E, in secondo luogo, dovremmo impegnarci in modo straordinario per creare relazioni amichevoli con i russi. I russi fanno parte della nostra coalizione di equilibri contro la Cina. Se vivi in ​​un mondo in cui ci sono tre grandi potenze - Cina, Russia e Stati Uniti - e una di queste grandi potenze, la Cina, è un concorrente alla pari, quello che dovresti voler fare se sei gli Stati Uniti è avere la Russia dalla tua parte. Invece, quello che abbiamo fatto con le nostre assurde politiche nell'Europa orientale è stato portare i russi tra le braccia dei cinesi. Questa è una violazione della politica dell’equilibrio tra le potenze.  

Sono andato a rileggere sulla London Review of Books il suo articolo del 2006 sulla lobby israeliana. Stava parlando della questione palestinese e ha detto una cosa su cui sono molto d'accordo, ovvero: "C'è una dimensione morale anche qui. La lobby degli Stati Uniti è diventata il supporto de facto dell'occupazione israeliana nei territori occupati, rendendosi complice dei crimini perpetrati contro i palestinesi”. Mi ha fatto piacere leggerlo, perché so che si considera un vecchio duro e burbero che non parla di moralità, ma mi è sembrato che stesse suggerendo che in questo caso esiste una dimensione morale. Sono curioso di sapere cosa ne pensa, se vi sia una dimensione morale in ciò che sta accadendo in Ucraina in questo momento.

Penso che in quasi tutte le questioni di politica internazionale sia coinvolta una dimensione strategica e una morale. Penso che a volte le dimensioni morali e strategiche si allineino l'una con l'altra. In altre parole, se stai combattendo contro la Germania nazista dal 1941 al 1945, conosci il resto della storia. Ci sono altre occasioni in cui quelle frecce puntano in direzioni opposte, in cui fare ciò che è strategicamente giusto è moralmente sbagliato. Penso che se ti unisci in alleanza con l'Unione Sovietica per combattere la Germania nazista, questa è una politica strategicamente saggia, ma moralmente sbagliata. Ma lo fai perché non hai scelta, per ragioni strategiche. In altre parole, quello che le sto dicendo, Isaac, è che quando arriva il momento critico, le considerazioni strategiche prevalgono sulle considerazioni morali. In un mondo ideale, sarebbe meraviglioso se gli ucraini fossero liberi di scegliere il proprio sistema politico e di scegliere la propria politica estera.

Ma nel mondo reale, questo non è fattibile. Gli ucraini hanno un legittimo interesse a prestare seria attenzione a ciò che i russi vogliono da loro. Corrono un grave rischio a rendere i russi fondamentalmente ostili nei loro confronti. Se la Russia pensa che l'Ucraina rappresenti una minaccia esistenziale per la Russia perché si sta allineando con gli Stati Uniti e i suoi alleati dell'Europa occidentale, ciò causerà un danno enorme all'Ucraina. Questo ovviamente è esattamente ciò che sta accadendo ora. Quindi la mia argomentazione è: la strategia strategicamente saggia per l'Ucraina è quella di interrompere le sue strette relazioni con l'Occidente, in particolare con gli Stati Uniti, e cercare di accogliere i russi. Se non ci fosse stata la decisione di spostare la Nato verso est per includere l'Ucraina, la Crimea e il Donbass sarebbero oggi parte dell'Ucraina e non ci sarebbe guerra in Ucraina.

Questo consiglio sembra poco verosimile ora. C'è ancora tempo, nonostante quello che stiamo vedendo sul campo, perché l'Ucraina riesca a placare in qualche modo la Russia?

Penso che ci sia una seria possibilità che gli ucraini possano elaborare una sorta di modus vivendi con i russi. E il motivo è che i russi ora stanno scoprendo che occupare l'Ucraina e cercare di dirigere la politica ucraina comporta grossi guai.

Quindi sta dicendo che occupare l'Ucraina sarà una difficile impresa?

Assolutamente, ed è per questo che le ho detto che non pensavo che i russi intendano occupare l'Ucraina a lungo termine. Ma, per essere molto chiari, ho detto che prenderanno almeno il Donbass e, si spera, non più della parte più orientale dell'Ucraina. Penso che i russi siano troppo intelligenti per rimanere coinvolti in un'occupazione dell'Ucraina.

 

04/03/22

Fermarsi davanti al precipizio




Il pubblicista e ricercatore indipendente Tanner Greer, collaboratore di Foreign Policy,  sul suo sito The Scholar's Stage, offre interessanti spunti di riflessione sul processo decisionale nella politica estera occidentale degli ultimi decenni, che gli appare come guidato più da imperativi moralistici che da lucide e dettagliate riflessioni razionali. Anche negli ultimi precipitosi eventi in Ucraina le decisioni politiche dell'Occidente sembrano più informate a giudizi di valore e al bisogno impellente di "fare qualcosa" che ad una attenta valutazione delle conseguenze delle proprie scelte. Certamente questo aspetto morale e valoriale delle decisioni politiche è e dovrebbe essere sempre presente. Il problema si pone - come pare in questo caso - quando ci si costruisce degli imperativi morali senza mantenere solide basi di realtà.
Grazie a @BuffagniRoberto per la segnalazione. 


di Tanner Greer, 28 febbraio 2022


La risposta occidentale all'invasione russa arriva con violenza e rapidità. Le azioni dell'UE, delle nazioni dell'Anglosfera e del Giappone sono sia straordinarie che consequenziali: diversi stati della NATO hanno sfacciatamente dichiarato la loro intenzione di armare le forze ucraine con armi convenzionali e di precisione e persino aerei militari. Lo spazio aereo europeo è chiuso a tutti gli aerei russi. Le capitali occidentali non hanno solo annunciato sanzioni agli oligarchi del Cremlino, ma anche restrizioni alla banca centrale russa. Le istituzioni russe vengono rimosse dal sistema SWIFT. I norvegesi, con una manovra che sarà sicuramente imitata, hanno scaricato tutti gli asset russi dal loro fondo sovrano. Olaf Scholz  ha ripudiato in un discorso tutto l'ultimo decennio della politica energetica e di difesa tedesca. E ora si parla di far entrare Svezia e Finlandia nella NATO.

Nessuna di queste azioni è audace quanto l'invasione russa che le ha provocate. Sono una risposta naturale, proporzionata e persino prevedibile alla decisione di Putin di risolvere la questione dell’Ucraina attraverso la forza delle armi. Eppure è proprio alla naturalezza della nostra politica che dobbiamo stare attenti. Una reazione giusta può essere pericolosa. Gli imperativi dell'azione nascondono un'amara verità: nel campo della politica della forza sono i risultati, non le intenzioni, che contano. L'incapacità di frenare ed esaminare attentamente i presupposti e le motivazioni alla base delle nostre scelte può portare a decisioni che sul momento sembrano giuste, ma non riescono a salvaguardare i nostri interessi, a garantire i nostri valori o a ridurre il bilancio in vite umane della guerra a lungo termine.

Di fronte a una nuova crisi geopolitica, i miei pensieri si rivolgono spesso al libro di Michael Mazarr del 2019, Leap of Faith: Hubris, Negligence, and America's Greatest Foreign Policy Tragedy. Il libro di Mazarr è uno studio del processo decisionale alla base dell'invasione dell'Iraq del 2003. Per scoprire come gli Stati Uniti si siano precipitati a capofitto nella catastrofe, Mazarr ha letto tutte le memorie dell'amministrazione, ha rintracciato tutto il materiale open source disponibile sui dibattiti prebellici e ha intervistato quasi tutte le persone coinvolte, tranne lo stesso George W. Bush. Il suo libro (e altri simili, come How To Start a War di Draper o Riseof the Vulcans di Mann) fa emergere alcuni dei comuni miti sulla spinta alla guerra dell'amministrazione Bush. L'amministrazione non ha intenzionalmente ingannato la nazione per indurla alla guerra; il ragionamento motivato, non l'inganno, deformava la loro comprensione degli eventi. Il petrolio non è mai stato al centro della campagna; quando se ne è parlato, nelle discussioni del consiglio di guerra, è stato solo con il roseo presupposto che le entrate petrolifere dell'Iraq sarebbero state sufficienti a coprire i costi della ricostruzione. Contrariamente all'opinione diffusa oggi in molti ambienti, l'invasione dell'Iraq non riguardava l’esportazione della democrazia liberale in Medio Oriente. Quella giustificazione per la guerra è arrivata principalmente nel 2004 e negli anni successivi, quando la minaccia delle armi di distruzione di massa era stata smascherata come una chimera. Il liberalismo non ci ha condotto in Iraq e nemmeno ci ha fatto rimanere lì.

Forse il fatto più sorprendente dell'invasione americana dell'Iraq è che il Consiglio di sicurezza nazionale non ha mai discusso formalmente la decisione di fare la guerra. "Uno dei più grandi misteri per me", ha scritto un direttore dell'NSC (Consiglio per la sicurezza nazionale) dopo aver lasciato l'incarico, "è il momento esatto in cui la guerra in Iraq è diventata inevitabile"(1). La sua confusione è comprensibile: non c'è stato un momento, un incontro, in cui i pro e i contro dell’invasione sono stati esposti per intero. Nessuno ha mai chiesto "dovremmo veramente invadere?". Invece discutevano su questioni come "se decidiamo di invadere, cosa dobbiamo fare per prepararci?" e "Quando invadiamo, quali devono essere i nostri obiettivi?" Mazarr spiega questa curiosa mancanza di riflessione sul punto principale, come l’origine della autopersuasione che ha prodotto sia valutazioni intellettuali imperfette che richieste di azione inutilmente affrettate, come sottoprodotto di imperativi morali. Ecco come introduce questo quadro:


“…il secondo fattore che sto cercando di evidenziare: un meccanismo di giudizio intuitivo ed emergente che è guidato principalmente da imperativi, la sensazione all'interno del gruppo dirigente di una nazione in un momento specifico che una determinata scelta sia "la cosa giusta da fare", nel senso che è più una scelta moralista che una scelta razionale in modo calcolato.

La maggior parte delle concezioni su ciò che viene chiamato processo decisionale "razionale" include alcune affermazioni essenziali sui modi in cui gli esseri umani affrontano le scelte. Una persona che agisce razionalmente sta cercando di massimizzare qualche guadagno e quindi valuta varie alternative per giudicare quale di esse consentirà il maggior valore. Tale concezione è quindi prevalentemente "consequenzialista". È ossessionata dai risultati, perché solo prendendo sul serio i risultati si possono anticipare benefici e costi. Viene anche definita "strumentale", nel senso che le azioni mirano a produrre un risultato che serva gli interessi del decisore.

Ma ci sono potenti modelli alternativi per il giudizio umano, modelli che enfatizzano i valori piuttosto che le conseguenze e descrivono un’immagine di decisori che servono un imperativo o una norma piuttosto che cercare di massimizzare gli obiettivi. Uno di questi è il concetto di razionalità del valore del sociologo Max Weber. Mentre la "razionalità strumentale" si riferisce agli sforzi per anticipare i possibili risultati e calcolare il vantaggio, la razionalità del valore descrive situazioni in cui le persone prendono decisioni, non sulla base di ciò che pensano possa loro giovare maggiormente, ma per compiere la cosa giusta da fare, cioè per fare qualcosa di giusto per se stessi. Sto sostenendo che, abbastanza spesso su importanti questioni di politica estera, i leader e gli alti funzionari vengono guidati proprio da tale pensiero basato sui valori, piuttosto che da un pensiero strumentale o orientato ai risultati. Piuttosto che quella che è stata definita una logica delle conseguenze (soppesare il valore e il costo dei risultati rispetto ai propri obiettivi), impiegano una logica di appropriatezza, una forma di giudizio in cui i decisori si preoccupano di fare ciò che è giusto o appropriato, dato il loro ruolo e le circostanze.

La mentalità che ne risulta assomiglia molto a un impegno verso quelli che alcuni studiosi hanno definito "valori sacri". Questi sono distinti dagli interessi materiali per il loro aspetto moralistico; sono, "o dovrebbero essere, assoluti e inviolabili". Non possono essere soggetti a compromessi o scambiati con altri valori; sono assoluti piuttosto che strumentali e devono essere perseguiti a prescindere dalle conseguenze. Nel perseguire tali valori sacri, i decisori attribuiranno "caratteristiche molto negative” a chi viola le norme, che saranno oggetto di rabbia e disprezzo, e sostegno entusiasta "per l'applicazione di punizioni" contro coloro che dubitano della linea d'azione; "censureranno" e "ostracizzeranno" coloro che non sono d'accordo. Anche i valori sacri possono promuovere calcoli utilitaristici, ma più spesso sono “derivati ​​da regole che prevedono determinate azioni indipendentemente dai risultati attesi o dalle prospettive di successo, e si agisce in accordo con esse perché sono la cosa giusta da fare”.

Gli esempi di un tale modo di pensare sono innumerevoli nella storia della politica estera degli Stati Uniti. L'impegno americano in Vietnam si basava in parte sull'idea che i valori strategici in gioco fossero inviolabili, che combattere il comunismo nel  sud-est asiatico fosse la cosa giusta da fare. L'attacco alla Cuba di Castro alla Baia dei Porci è nato da un simile senso di obbligo; doveva essere fatto, perché Castro doveva andarsene. Più recentemente, l'impegno americano per l'allargamento della NATO ha assunto un simile sapore moralistico: non può essere abbandonato e nemmeno condizionato perché i paesi in gioco hanno il diritto di fare quella scelta. Questi e altri esempi dimostrano come le preoccupazioni che restano politiche e strategiche possano comunque assumere l'aspetto di valori sacri, e presentarsi non come la scelta migliore o più utile, ma come quella “giusta”. 

 

La chiave per il consenso morale emergente nel 2002 è stata la natura rapida e intuitiva dei giudizi di valore che informano la politica:

 

Nel processo, il carattere di questi giudizi diverge  dai calcoli a volte quasi matematici del razionalismo classico. Emergono attraverso una sorta di immaginazione intuitiva, un salto creativo per dare un senso agli eventi, piuttosto che una valutazione dei guadagni previsti e dei probabili rischi... Henry Kissinger ha chiamato questa pratica, di creazione di significato immaginativa, "congettura". "La scelta tra... le politiche non risiedeva nei 'fatti', ma nella loro interpretazione", ha scritto. Il processo decisionale di politica estera richiede la "capacità di proiettare oltre il noto". E in quest'area, "c'è davvero poco a guidare il decisore politico, tranne le sue convinzioni".

Questo è vero per una ragione preponderante: la schiacciante complessità e incertezza che circondano le principali scelte di sicurezza nazionale. Ci sono semplicemente troppe variabili in gioco, troppa non linearità, per giudicare i risultati con un qualche grado di precisione. I decisori non hanno il tipo di informazioni complete assunte dalle teorie decisionali razionali e operano invece in un ambiente di "profonda incertezza". E così i decisori cercano regole decisionali semplificate, valori chiave o imperativi che possano aprire un varco nella complessità e offrire una chiara base per la scelta.

Di fronte a situazioni così complesse, i decisori non possono leggere la verità oggettiva da una situazione: devono costruire un significato dalla loro esperienza. E il risultato è che l'interazione dei decisori senior con questioni complesse è un'impresa fondamentalmente interpretativa e di fantasia. I fatti in un mondo del genere sono come le immagini in un dipinto astratto, o la nuvola di forme su una macchia di Rorschach: ambigui e aperti a comprensioni multiple. Gli osservatori stanno creando un significato, non semplicemente leggendolo o determinandolo...

Questo meccanismo di giudizio appare ai partecipanti come razionalismo, ed essi lo percepiscono come tale.  Ci sentiamo come se stessimo considerando gli obiettivi, come se fossimo diretti all'obiettivo, come se soppesassimo varie opzioni in base a quanto contribuiscono a interessi chiaramente identificati che stiamo cercando di massimizzare. In realtà, però, ciò che stiamo facendo è interiorizzare una massa di informazioni e consentire al nostro inconscio di fare un lavoro per lo più involontario esprimendo giudizi. Il filosofo Alfred Schütz definì questo approccio "un'anticipazione della condotta futura attraverso l'immaginazione". Il giudizio è un'impresa fondamentalmente immaginativa. Emerge come una visione, un'illusione, una narrazione inventata; una convinzione, un credo, tutt'altro che un calcolo formalmente ragionato.

Un simile approccio al giudizio ci permette di vedere la decisione irachena per quello che era: una sensazione strisciante (o improvvisa e potente) che una determinata linea di condotta fosse quella giusta, basata su regole semplici o convinzioni più moralistiche o normative che analitiche. E il fatto che la decisione avesse questo carattere ci permette di comprenderne meglio molti aspetti apparentemente confusi: il linguaggio moralistico che accompagnava il processo politico, la resistenza al dissenso e il rifiuto di prendere sul serio i rischi. I giudizi intrapresi in un tale stato d'animo hanno più l'impronta della fede che del processo decisionale consequenzialista, hanno qualcosa in comune con la rivelazione più che con il calcolo. Quando le persone applicano i valori sacri, arrivano ad avere una convinzione quasi sconsiderata su quello che stanno facendo. È giusto - sembra loro giusto, dal profondo del loro ben affinato giudizio intuitivo - e gli argomenti pratici hanno poco spazio in un tale processo di pensiero.

George Ball, il famoso dissidente sulle decisioni di escalation degli Stati Uniti in Vietnam, ha scritto del fatto che le argomentazioni analitiche semplicemente rimbalzavano su persone che credevano di "dovere" fare qualcosa. “Con mio sgomento”, ha scritto a proposito delle reazioni alle sue previsioni sul destino fallimentare della strategia statunitense in Vietnam, “non ho trovato nessuna simpatia per questi punti di vista. Sia McNamara che Gilpatric sembravano preoccupati dell'unica domanda: come possono gli Stati Uniti impedire che il Vietnam del Sud sia conquistato dai vietcong? Cosa proporre per evitarlo? La ”teoria del domino" era un'onnipresenza minacciosa. “Le dichiarazioni ufficiali sull'impegno degli Stati Uniti nel Vietnam del Sud”, prosegue Ball, "avevano il suono e la solennità di un giuramento religioso: 'Ora prendiamo la decisione di impegnarci nell'obiettivo di prevenire la caduta del Vietnam del Sud a causa del comunismo". La solennità di un giuramento religioso: è esattamente questo il modo, credo, di comprendere le convinzioni esplose dopo l'11 settembre.

 

Questo è uno schema potente per comprendere le crisi di politica estera. Il catastrofico errore di valutazione si basa sulla convergenza di due elementi: un senso emergente che esiste un imperativo morale ad agire, associato ad una rottura dei processi decisionali formali che costringono i responsabili politici a valutare attentamente le potenziali conseguenze delle loro decisioni. La combinazione di questi due elementi crea un "modello di errore di valutazione" che cambia il modo in cui i funzionari "valutano i costi e i benefici" delle loro decisioni, poiché passano da un approccio di "analisi dettagliata" ad "un impegno morale ad agire, quasi indipendentemente dalle conseguenze.” 

Il primo elemento della diade è inevitabile. La richiesta di "fare qualcosa" è la conseguenza di forti emozioni di pericolo e indignazione, siano esse emozioni provocate da un attacco terroristico nel cuore dell'America o da un'invasione nelle terre di confine dell'Europa. Il sistema di "interazione tra agenzie diverse" è stato in parte progettato con questa inevitabilità in mente. Quando funziona correttamente, porta i funzionari a confrontarsi con i propri presupposti ed emozioni. Ma il sistema non è infallibile. Per l'amministrazione Bush il difetto di intuizione era il prodotto di una squadra di sicurezza nazionale disfunzionale; l'acume burocratico e i conflitti interpersonali dei suoi massimi funzionari hanno distrutto tutte le linee guida procedurali che avrebbero potuto riportare l'amministrazione alla realtà. Subiamo ancora le conseguenze di quell'implosione procedurale.

Oggi il pericolo è diverso. Ci avviciniamo alla quinta alba di una guerra in rapida evoluzione; i decisori sono determinati a rispondere ad un evento che non si è ancora concluso. Questa fretta di agire mentre l'azione è ancora possibile significa che tutto il proceduralismo lento sarà necessariamente sospeso. Nei giorni a venire coloro che sono in posizioni elevate saranno costretti a fare affidamento su giudizi sbrigativi e risposte emotive che guideranno le loro decisioni.

Alcune realtà di terra rendono questo pericolo più urgente. Come mostra il drammatico capovolgimento politico a Berlino, questa guerra ribalta i vecchi presupposti che guidavano la politica estera in tutto il continente. Quali nuove ipotesi dovrebbero guidarci in futuro non è ancora stato chiarito. L'invasione dell'Ucraina è stata una violazione delle norme morali su cui si basa l'ordine europeo. Lo shock cognitivo e l'indignazione morale che proviamo sono approfonditi dalla relativa inutilità della nostra posizione. Se non si vuole correre il rischio di un'escalation nucleare, la capacità della NATO di prevenire la sconfitta ucraina è limitata. È una posizione umiliante per i più potenti statisti del mondo occidentale. Chiunque, costretto in tali circostanze, si sentirà obbligato a trovare un modo per riaffermare la sua azione. Le nostre emozioni ci richiederanno di fare qualcosa, se non altro per dimostrare a noi stessi che abbiamo ancora la capacità di agire.

Questo tipo di determinazione morale non è intrinsecamente negativa. È l'unica fonte di audacia o di  forza. Ma la nostra audacia deve accordarsi con i risultati che desideriamo! Molte delle politiche menzionate nel primo paragrafo di questa missiva hanno conseguenze che dureranno a lungo dopo la fine di questa guerra. Abbiamo davvero pensato a quali potrebbero essere?

Distruggiamo l'economia russa perché pensiamo seriamente che così facendo spodesteremo Putin, invertiremo la marcia del suo esercito in Ucraina o lo dissuaderemo da un simile ricorso alle armi in futuro? O lo facciamo perché dobbiamo fare qualcosa e la coercizione economica è l'unico strumento a nostra disposizione?

Abbiamo valutato gli effetti strategici della rimozione dei russi da SWIFT con la probabile creazione di un sistema SWIFT parallelo su cui avremo meno influenza?

Come avrebbe reagito l'America se i russi avessero armato apertamente e sfacciatamente gli insorti in Iraq e in Afghanistan? Questo genere di cose non ha precedenti nella storia delle relazioni russo-americane... ma ha delle conseguenze. Quale pensiamo potrebbe essere la risposta russa?

Si può fare una difesa convincente per ognuna di queste misure. È del tutto possibile che tutte, combinate con le altre opzioni attualmente in discussione nelle capitali occidentali, smorzeranno con successo l'aggressione russa, rafforzeranno la difesa a lungo termine della NATO o dissuaderanno paesi come la Cina dal ripetere la strategia russa in luoghi come Taiwan. È possibile. Eppure gli eventi stanno scorrendo veloci. Lo sviluppo vertiginoso di queste politiche non suggerisce una campagna di pressione attentamente calcolata, quanto un tentativo affrettato di soddisfare le richieste dei nostri stessi imperativi morali.

La logica dell'imperativo ha già portato l'Occidente al disastro. Dobbiamo essere vigili per non fare ancora una volta un salto nella catastrofe.

 

01/03/22

Fëdor Lukyanov - La fine di un'era



Su Russia Global Affairs, una piattaforma di scienza politica pubblicata in lingua russa e inglese e dedicata al confronto a livello internazionale delle analisi geopolitiche sulle relazioni tra i paesi, il giornalista e scienziato politico Fyodor Lukyanov offre una lettura degli eventi che si stanno svolgendo in terra ucraina che aiuta a comprendere il punto di vista russo.La Russia ha voluto voltare pagina rispetto alla fase del nuovo ordine mondiale consolidatosi dopo la caduta del muro di Berlino, per aprire ad un modello in cui il potere sia più distribuito. 


La pagina della cooperazione con l'Occidente è stata chiusa

 

di Fyodor Lukyanov, 

 

L'intervento militare della Russia in Ucraina ha segnato la fine di un'epoca nella situazione geopolitica dopo che la scorsa settimana il presidente Vladimir Putin ha lanciato il suo intervento. Il suo impatto si farà sentire negli anni a venire, ma Mosca si è posizionata per "diventare un agente di cambiamento fondamentale per il mondo intero".

L'operazione delle forze armate russe in Ucraina segna la fine di un'era. Quest’era è iniziata con la caduta dell'Unione Sovietica e la sua dissoluzione nel 1991, quando una struttura bipolare abbastanza stabile è stata sostituita da quello che alla fine è stato conosciuto come "Ordine mondiale liberale". Questo ha aperto la strada agli Stati Uniti e ai loro alleati verso un ruolo dominante nella politica internazionale incentrata sull'ideologia universalista.

La crisi si è manifestata già molto tempo fa, anche se non ci sono state resistenze significative da parte delle grandi potenze rimaste insoddisfatte della loro posizione nel nuovo campo di gioco politico. In effetti, per un periodo piuttosto lungo (almeno un decennio e mezzo), non c'è stata praticamente alcuna opposizione. I paesi non occidentali, in particolare Cina e Russia, hanno compiuto degli sforzi per integrarsi nella gerarchia del potere. Pechino non solo ci è riuscita, ma ha anche sfruttato al meglio la situazione per prendere piede come giocatore dominante. Mosca, invece, che ne era uscita molto peggio, ha impiegato più tempo per adattarsi a questo nuovo ordine mondiale e consolidare un posto rispettabile all'interno delle sue fila.

Il sistema si è rivelato essere allo stesso tempo rigido e instabile, poiché escludeva concettualmente qualsiasi equilibrio di potere. Cosa ancora più importante, inoltre, non consentiva un livello sufficiente di diversità culturale e politica, un aspetto intrinsecamente essenziale per il funzionamento sostenibile del mondo. Una visione del mondo uniforme, che escludeva tutte le altre, è stata imposta utilizzando vari mezzi, compresi gli atteggiamenti nei confronti dell'attività militare.

L'operazione russa è un'immagine speculare di ciò che gli Stati Uniti e i loro alleati hanno fatto più di una volta negli ultimi decenni in diverse parti del mondo.

Secondo la leggenda, dopo la battaglia di Poltava nel 1709 lo zar Pietro il Grande brindava ai suoi "maestri svedesi". Ora, l'attuale leadership russa può anche dire di aver imparato molto dall'Occidente. Nelle azioni della Russia in Ucraina, è facile individuare alcuni degli elementi – dall'esercito all'informazione – che erano presenti nelle campagne americane e della NATO contro la Jugoslavia, l'Iraq e la Libia.

La tensione è stata a lungo in ebollizione e l'Ucraina è ora diventata la prima linea decisiva. Questa non è una battaglia ideologica come quella a cui si è assistito nella seconda metà del Novecento. L'egemonia mondiale attualmente viene rimessa in discussione a favore di un modello molto più distribuito. Il vecchio concetto di "sfere di influenza" della Guerra Fredda non è più applicabile, perché il mondo è diventato molto più trasparente e interconnesso, rendendo possibile l'isolamento solo in misura limitata. Almeno, così abbiamo pensato - fino ad ora.

Come spesso è accaduto in passato, la battaglia attuale si sta svolgendo per un territorio strategicamente importante. Il vecchio adagio "la storia si ripete" è evidente quando si passa da un mezzo di comunicazione all'altro. Si sono scontrati due diversi approcci. Da un lato, c'è l'esercizio dell'hard power classico, che è guidato da principi semplici, rozzi, ma chiaramente comprensibili: sangue e terra. Dall'altro lato, vi è invece un moderno metodo di promozione dei propri interessi e influenza, realizzato attraverso un insieme di strumenti ideologici, comunicativi ed economici, efficaci e allo stesso tempo flessibili - comunemente chiamati "valori".

Dalla Guerra Fredda, il più moderno di questi approcci è stato quasi sempre il metodo di riferimento. Chiamiamola con il suo nome più elegante, ma impreciso, "guerra ibrida". Nella maggior parte dei casi, questo metodo non ha mai incontrato una seria resistenza, per non parlare di uno scontro armato diretto.

L'Ucraina 2022 è il test decisivo che dimostrerà quale di questi approcci regnerà vittorioso. In questo senso, hanno ragione coloro che sospettano che le conseguenze potrebbero essere molto più profonde di quanto si pensi.

La leadership russa, che ha deciso di compiere dei passi estremamente drastici, probabilmente ne ha compreso le conseguenze, o addirittura le ha consapevolmente perseguite. La pagina della cooperazione con l'Occidente è stata chiusa. Ciò non significa che l'isolazionismo diventerà la norma, ma segna la fine di un importante capitolo nella storia delle relazioni politiche. La nuova Guerra Fredda non finirà presto.

Tra qualche tempo, molto probabilmente gli effetti di questa operazione militare cominceranno a placarsi, e alcune forme di interazione riprenderanno, ma la linea è inevitabilmente tracciata. Anche in uno scenario favorevole, passeranno molti anni prima che le sanzioni vengano revocate e che i rapporti vengano ripristinati in modo graduale e selettivo. La ristrutturazione delle priorità economiche richiederà un approccio diverso, che stimolerà lo sviluppo di alcune modalità e in altri casi lo rallenterà. La parte più attiva della società russa dovrà rendersi conto che il loro vecchio modo di vivere è scomparso.

“Fort Russia” ha deciso di mettere alla prova la sua forza e, allo stesso tempo, è diventata un agente di cambiamento fondamentale per il mondo intero.


*Fyodor Lukyanov è caporedattore di Russia in Global Affairs, presidente del Presidium of the Council on Foreign and Defense Policy e direttore della ricerca del Valdai International Discussion Club.