29/07/18

ZH - La diseguaglianza economica negli Stati Uniti continua a peggiorare, anche con Trump

Nonostante l’exploit economico dell'ultimo trimestre, negli Stati Uniti non accenna a diminuire la diseguaglianza economica tra l'1% più ricco e il resto della popolazione: un membro dell'élite economica in un anno guadagna mediamente 26,3 volte il reddito di un appartenente al 99%, con variazioni locali che arrivano fino a 44,1 a 1 in alcuni stati. La riforma fiscale di Trump non ha fatto altro che reiterare le logiche neoliberali degli ultimi 40 anni; anche le politiche di re-industrializzazione e i dazi non hanno aumentato il potere contrattuale dei lavoratori americani, i cui salari rimangono fermi al palo quando non peggiorano, come nel primo semestre 2018 - troppo presto per vederne gli effetti? Insomma, anche a causa del mancato cambio di marcia sulla disuguaglianza dei redditi, i Repubblicani di Trump rischiano di perdere la Camera nelle elezioni di midterm.

 

di Tyler Durden, 28 luglio 2018

 

 

Secondo i ricercatori dell'Economic Policy Institute (EPI), un think tank liberale con sede a Washington, D.C., nel 2015 l'1% più ricco delle famiglie americane ha guadagnato all'incirca 26,3 volte il reddito del rimanente 99% - un incremento del 4% dal 2013.

 

Il rapporto, intitolato "La nuova età aurea: la disuguaglianza dei redditi negli Stati Uniti, per stato, area metropolitana e contea", è stato scritto da Estelle Sommeiller, economista sociale all'Institute for Research in Economic and Social Scienses [Istituto per la Ricerca nelle Scienze Economiche e Sociali, ndt] in Francia, e Mark Price, economista al Keystone Research Center a Harrisburg, Pennsylvania, che mettono in guardia sull'allarmante tendenza nella disuguaglianza dei redditi diffusa in tutto il paese.

 

I ricercatori hanno usato gli ultimi dati pubblici per analizzare come se la sono cavata dal 1970 al 2015 l'1% più ricco e il restante 99%, per contea e area metropolitana. Questa analisi rivela la vasta e diffusa crescita della disuguaglianza dei redditi in "ogni angolo del paese", afferma il report.

 

[caption id="attachment_15617" align="alignnone" width="486"] Quanto è iniquo il tuo stato? A seconda dello stato, chi appartiene all'1% più ricco di media ogni anno guadagna tra 12.7 e 44.4 volte più del restante 99%.[/caption]

 

La crescita dei redditi del restante 99% è aumentata leggermente dall'ultimo rapporto. Comunque, il divario tra l'1% più ricco e il restante 99% nella maggior parte degli stati si sta allargando gravemente.

 

[caption id="attachment_15618" align="alignnone" width="513"] Quota di crescita del reddito che va all'1% più ricco durante le fasi di espansione economica, negli Stati Uniti e per regione - in ogni periodo, da sinistra a destra: Stati Uniti; Nord-Est; Midwest; Sud; Ovest.[/caption]

 

La crescente disuguaglianza colpisce praticamente ogni parte del paese, non soltanto le grandi aree urbane o i centri finanziari", ha detto Sommeiller. "È un problema costante in tutto il paese - nelle grandi e nelle piccole città, in tutti e 50 gli stati. Mentre l'economia continua a recuperare, i responsabili delle politiche dovrebbero fare della crescita dei redditi dei lavoratori e del tenere sotto controllo gli utili societari la loro prima priorità".

 



 

Le principali osservazioni incluse nel report:

 

- Per stare nell'1% più ricco, a livello nazionale nel 2015 una famiglia doveva avere un reddito di $ 421.926. In 13 stati e nel Distretto di Columbia, in 107 aree metropolitane e 317 contee l'1% più ricco locale aveva una soglia di reddito più alta della media nazionale.


 

- Le soglie più alte per essere parte dell'1% più ricco dei relativi stati erano in Connecticut ($ 700,800), Distretto di Columbia ($ 598,155), New Jersey ($ 588,575), Massachusetts ($ 582,774), New York ($ 550,174) e California ($ 514,694).


 

- Dal 2009 al 2015, i redditi dell'1% più ricco sono cresciuti più rapidamente dei redditi del 99% in 43 stati e nel Distretto di Columbia. L'1% più ricco ha preso la metà o più di tutta la crescita dei redditi in nove stati.


 

- Jackson, in Wyoming-Idaho, è stata la zona metropolitana più ineguale, seguita da Naples-Immokalee-Marco Island, in Florida e Key West, in Florida. Le contee più ineguali sono state Teton County, in Wyoming, New York County, nello stato di New York e La Salle County, in Texas.


 

- Complessivamente negli Stati Uniti, l'1 per cento più ricco si è preso il 22,03% di tutti i redditi nel 2015. Quella quota era di 1,9 punti percentuali sotto il picco del 23,9% del 1928, che ha preceduto la Grande Depressione.


 

"Mentre il livello di disuguaglianza nel reddito differisce in tutto il paese, le forze sottostanti sono chiare. La disuguaglianza è il risultato di decisioni politiche intenzionali che allontano il potere contrattuale dai lavoratori, verso l'1% più ricco", ha detto Price. "Per invertire questa tendenza, dovremmo attuare politiche che aumentino la capacità dei lavoratori di contrattare per ottenere salari più alti, frenare gli stipendi degli amministratori delegati e del settore finanziario e realizzare un sistema fiscale progressivo".

 

Mentre i ricchi stanno diventando sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri negli Stati Uniti, il presidente Donald Trump su Twitter il mese scorso si è vantato dello stato dell'economia, chiamandola "la più grande" mai registrata. Ci chiediamo: a quale economia (economia finanziaria o economia reale) si riferiva?

 

"Questa è la più grande economia della STORIA dell'America, in molti modi, e il miglior momento di SEMPRE per cercare un lavoro!", ha twittato a giugno. Ha poi reiterato il suo tweet al White Rose Garden pochi giorni dopo, quando ha detto che questa è "l'economia più forte che abbiamo mai avuto".

 

https://twitter.com/realDonaldTrump/status/1003738744061603843?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1003738744061603843&ref_url=https%3A%2F%2Fwww.zerohedge.com%2Fnews%2F2018-07-24%2Fresearchers-warn-income-inequality-us-getting-worse-it-was-intentional

 

Il pacchetto di riforma fiscale del presidente Trump, alimentato dal debito [il QE nascosto per le aziende], che avrebbe dovuto aumentare gli stipendi e stimolare le assunzioni per il 90% meno ricco, ha invece finanziato un riacquisto di azioni e dividendi, avvantaggiando gli investitori e i dirigenti aziendali rispetto al lavoratore americano. In altre parole, il presidente Trump ha permesso che la disuguaglianza dei redditi negli Stati Uniti aumentasse ulteriormente.

 

La riforma fiscale di Trump non ha portato a salari più alti per i lavoratori americani, ma in realtà ha consentito che il compenso orario medio reale diminuisse dopo che la riforma fiscale è stata approvata:

 

[caption id="attachment_15622" align="alignnone" width="375"] Non molto convincente - il compenso orario reale medio. Fonte: Federal Reserve Bank di St. Luois. Indice 2009 = 100.[/caption]

 

Secondo Bllomberg, l'indice di PayScale dei salari reali indica un deterioramento accentuato nel secondo trimestre 2018:

 

[caption id="attachment_15621" align="alignnone" width="600"] Non è molto carino - variazioni dei salari reali dal 2006.[/caption]

 

Mentre l'EPI avverte che la tendenza generale alla disuguaglianza dei redditi è intatta e sta peggiorando, continuiamo a chiederci perché l'amministrazione Trump continui a promuovere la propaganda economica sulla "più grande economia" di sempre. Ad un certo punto, il popolo americano si sveglierà dallo stordimento del "Make America Great Again" [Rendi di nuovo grande l'America, ndt] e si renderà conto che a guadagnarci è stato soltanto l'1% più ricco, e allora verrà inaugurata la fase della delusione. Tuttavia, si parla di una fase 2 dei tagli fiscali di Trump, come se un'altra dose della stessa politica potesse funzionare...

26/07/18

Euro-Tragedia: il dramma in nove atti di Ashoka Mody

Da Brave New Europe una recensione dell'ultimo libro di Ashoka Mody sull'eurozona. La forzatura rappresentata dall’imposizione di una moneta unica a paesi tanto diversi (con tassi di inflazione diversi, puntualizziamo) ha sperperato il capitale politico che nel dopoguerra si era costruito attorno all'idea di pace in Europa, anziché esserne il compimento. Ora l'unico scenario in cui l'euro può sopravvivere è raccontato con toni romantici, che suonano ridicoli. Ma questa non è una commedia: è una tragedia, e se un economista del calibro di Mody usa certi termini, anche il più pervicace degli europeisti dovrebbe capire che il tempo dei sogni è finito.

(Recentemente, a una presentazione del proprio libro, lo stesso Ashoka Mody ha rincarato la dose dicendo che "l'idea che l'euro diventi uno strumento di pace è stravagante [...] è diventato, semmai, una fonte di divisione e conflitto".)

 

 

di David Shirreff, 10 luglio 2018

 

Un vecchio proverbio dice che “la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni”.

 

Ashoka Mody, già economista del Fondo Monetario Internazionale e visiting professor a Princeton, racconta la storia tragica di come tutti gli intenti politici nati dopo la Seconda Guerra Mondiale siano stati sprecati, alla fine, per inseguire un progetto che esige “troppa Europa”.

 

Il bersaglio delle sue ire è la moneta unica, l’euro, senza la quale, sostiene, la Comunità Europea avrebbe funzionato molto meglio. Secondo Mody i più grandi successi del progetto europeo sono stati il trattato per la Comunità Europea di Difesa, del 1952, e il Trattato di Roma, siglato nel 1957. Questi vennero firmati prima che una manciata di leader europei portasse avanti l’idea di una moneta unica, senza comprenderne davvero tutte le implicazioni.

 

Questi leader europei avevano ignorato gli avvertimenti degli esperti che loro stessi avevano consultato, come la Commissione Werner, che in un report del 1970 aveva messo in guardia sul fatto che, per consentire il funzionamento di un’unione monetaria, sarebbero stati necessari un ampio bilancio centrale e una forte mobilità trans-frontaliera dei lavoratori. Nel 1989 la Federazione delle Industrie Tedesche (BDI) avvertì che una moneta unica avrebbe tolto alle regioni più deboli la possibilità di operare aggiustamenti sul tasso di cambio. I cancellieri tedeschi Willi Brandt e perfino Helmut Kohl – per un certo periodo – erano diffidenti riguardo le implicazioni della moneta unica. Ma il lavoro congiunto dei leader francesi e tedeschi, Valery Giscard d’Estaing e Helmut Schmidt, Francois Mitterrand e Helmut Kohl (a seguito dell’unificazione tedesca), alla fine spazzò via le ragionevoli obiezioni economiche e portò avanti forzatamente la creazione di una moneta unica per undici o più stati sovrani molto diversi tra loro.

 

Ogni volta che venivano sollevate obiezioni, si offrivano delle correzioni, come i parametri di Maastricht, che stabilivano i limiti del debito e del deficit pubblico, o il Patto di Stabilità e Crescita, che fu astutamente progettato dagli eurocrati affinché significasse cose diverse per i francesi e i tedeschi.

 

Perfino il voto “no” del popolo francese nel 1992 non servì a fermare questo treno in corsa.

 

Il lancio dell’euro il 4 gennaio 1999 fu un successo, già solo per il fatto che il valore della moneta non precipitasse. Nonostante abbia avuto un percorso piuttosto accidentato, tre anni dopo manteneva il suo valore rispetto al dollaro, a dispetto di un mondo turbolento e degli eventi sui mercati.

 

Ma l’apparente stabilità serviva solo a coprire una molteplicità di difetti. La Banca Centrale Europea (BCE), teoricamente indipendente, era stata fatta più o meno sul modello della Bundesbank, la banca centrale tedesca, e tarata su politiche monetarie restrittive che si adattavano solo alle maggiori economie all’interno dell’eurozona. Sotto i suoi primi due presidenti, Wim Duisenberg e Jean-Claude Trichet, la BCE mantenne questa politica a dispetto della recessione dell’economia tedesca nei primi anni 2000 e poi della crisi finanziaria del 2007-2010. Fu solo quando salì in carica il più pragmatico Mario Draghi, nel 2011, che la politica monetaria iniziò finalmente ad allentarsi per poter affrontare le criticità dell’eurozona. La famosa promessa fatta da Draghi nel luglio 2012 di fare “whatever it takes” [“qualunque cosa sia necessaria”, NdT] per salvare l’euro – incluso il “bazooka” delle Outright Monetary Transactions (OMT) – mise fine, almeno temporaneamente, ad anni di speculazioni sul dubbio che non ci fosse una sufficiente volontà politica per salvare l’euro nel bene e nel male, ad ogni costo. Fino ad oggi questa volontà c’è stata.

 

Ma siamo ormai ben lontani dai giorni in cui l’euro veniva visto come una storia di successo. Ashoka Mody vede la crisi dell’euro come una scusa per imporre l’egemonia tedesca in Europa:

 

La crisi dell’euro è entrata nella sua fase più oscura nella prima metà del 2011, quando l’intera eurozona aderì alle regole dell’austerità fiscale e della stabilità dei prezzi. Queste regole tedesche divennero, per così dire, le caratteristiche fondanti dell’identità europea. Al posto di una Germania europea… ci si trovò con un’Europa tedesca”.

 

L’astuto gioco di Draghi alla BCE alleviò in parte l’effetto “germanico”, ma la tensione continuò a ripresentarsi ad ogni riunione del consiglio della BCE, con Draghi da una parte e il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, dall’altra. Il prossimo anno Draghi potrebbe essere sostituito da qualcuno meno accomodante e meno pragmatico, forse lo stesso Weidmann.

 

Ashoka Mody prevede un futuro fosco per l’eurozona e l’euro così come lo conosciamo oggi. Dipinge due possibili scenari. Il primo è definito “Più o meno lo stesso” e culminerebbe nella necessità di un salvataggio finanziario dell’Italia, che sta sprofondando in una montagna di debito e nell’incapacità di aumentare la produttività. Perfino le Outright Monetary Transactions di Draghi, nel tentativo di acquistare all’infinito i titoli di debito pubblico italiano, in questo caso non funzionerebbero più. Per l’Italia uscire dall’euro dopo essere arrivata a quel punto sarebbe disastroso, perché dovrebbe ripagare debiti in euro con una lira svalutata. Ma paradossalmente, suggerisce Mody, il risultato sarebbe diverso se fosse la Germania ad uscire. Il nuovo marco tedesco probabilmente si rivaluterebbe rispetto all’euro, limitando la sua prestazione nelle esportazioni, cosa che però la Germania è abituata a gestire. Altri paesi del Nord dell’euro-zona potrebbero unirsi alla Germania, mentre le esportazioni dei paesi ora più deboli dell’eurozona beneficerebbero di un euro più debole.

 

Questa sarebbe una bella idea, ma temo che sarebbe irta di sfide legali che limiterebbero qualsiasi miglioramento nelle prestazioni economiche.

 

Il secondo scenario viene chiamato da Mody “La repubblica delle lettere per l’Europa: una moderna Agorà”. A innescarlo, immagina Mody fantasticando, sarebbe un discorso della cancelliera tedesca Angela Merkel – “Il monologo di uscita della Merkel”, nel quale definisce come e perché l’eurozona deve cambiare. Per prima cosa, il debito greco dovrà essere condonato. Seconda cosa, le regole fiscali che frenano la capacità di reflazione dei paesi membri dovranno essere allentate. Dopo cinque anni da quel momento, ogni ulteriore titolo di debito emesso da paesi dell’eurozona non avrà più la garanzia sovrana – in altre parole, il capitale e gli interessi degli investitori saranno a rischio in modo visibile. Questo allentamento della camicia di forza attorno all’euro sarà accompagnato da una nuova aspirazione – quella di fare dell’Europa un centro di istruzione e di invenzioni senza più barriere interne – un moderno mercato delle idee.

 

Nonostante questa ultima idea giunga alla fine del libro come una fioritura romantica, non toglie nulla alla durezza dell’analisi dei capitoli precedenti. Mody ha seguito la tragedia dell’euro dal suo iniziale sogno romantico al suo quotidiano stravolgimento. Bisogna concedergli di offrire un po’ di luce in fondo al tunnel, come scrisse l’autore di questo musical, sei anni fa, sullo stesso tema:

 

Tra altri 50 anni

Avremo dimenticato le nostre lacrime

E ricorderemo tutte queste buffonate

Come un’invenzione dei romantici.

È stata una degna causa

Con dei fondamentali difetti

Uno sforzo comune

Che non poteva durare per sempre.

 

[Eurocrash, il musical, 2012]

23/07/18

Il mondo senza contanti è una truffa - e dietro c’è la grande finanza

Una acuta analisi di Brett Scott su The Guardian smaschera l’apparente neutralità del passaggio ai sistemi di pagamento esclusivamente digitali, che sarebbe ingenuo vedere semplicemente come un'alternativa "più comoda" al contante. In realtà una società priva di contante presenta seri pericoli sul fronte del controllo sociale e impedisce qualsiasi forma di pagamento "fuori dalla rete". Mentre l’abolizione del contante gioca a favore delle istituzioni finanziarie e delle aziende che gestiscono sistemi di pagamento, per questo intente a una pervasiva opera di persuasione volta a convincerci che l'eliminazione del contante non solo vada a nostro vantaggio, ma risponda a una richiesta che viene da noi.

 

 

 

Di Brett Scott, 19 luglio 2018

 

In tutto il mondo occidentale le banche stanno chiudendo sportelli bancomat e filiali. In questo modo stanno cercando di spingerci a utilizzare i loro sistemi di pagamento digitali e i loro servizi di digital banking. Proprio come Google vuole che tutti accedano e navighino nel più ampio mondo di Internet attraverso il suo portale di ricerca, che è controllato privatamente, così le istituzioni finanziarie vogliono che tutti possano accedere e navigare nel più ampio mondo dell’economia attraverso i loro sistemi.

 

Un altro obiettivo è ridurre i costi per aumentare i profitti. Le filiali richiedono personale. Sostituirle con app standardizzate gestite dal cliente consente ai senior manager delle istituzioni finanziarie di controllare e monitorare direttamente le interazioni con la clientela.

 

Le banche, ovviamente, ci raccontano una storia diversa sul perché lo fanno. Recentemente ho ricevuto una lettera dalla mia banca, che spiegava come stiano chiudendo le filiali locali perché "i clienti si stanno spostando verso il digitale" e loro stiano quindi "rispondendo alle mutate preferenze dei clienti". Sono uno dei clienti a cui si riferiscono, ma non ho mai chiesto loro di chiudere filiali.

 

È un processo che si autoalimenta: chiudendo le loro filiali, o smantellando i loro sportelli bancomat, ci rendono più difficile utilizzare questi servizi. Abbiamo molta più probabilità di "scegliere" l'opzione digitale se le banche deliberatamente rendono più difficile per noi scegliere l'opzione non digitale.

 

Nell'economia comportamentale questo è indicato come "nudging " (“indirizzare”, ndt). Se una istituzione potente vuole fare in modo che le persone scelgano una determinata cosa, la strategia migliore è rendere difficile la scelta dell'alternativa.

 

Possiamo illustrare questo sistema con l'esempio delle casse per il pagamento automatico dei supermercati. La finalità sotto traccia è quella di sostituire il personale di cassa con apparecchi self-service per ridurre i costi. Ma i supermercati devono convincere i loro clienti. Così all’inizio presentano il self-checkout come una comoda alternativa. Quando alcune persone iniziano a usare questa alternativa, il supermercato può citare il fenomeno come prova di un cambiamento nel comportamento dei clienti, che poi viene usato per giustificare una riduzione dei dipendenti addetti alle casse. Questo a sua volta rende più scomodo utilizzare le casse dotate di personale, il che a sua volta rende i clienti più propensi a utilizzare le macchine. E così, lentamente, ti svezzano dal personale e ti "indirizzano" verso il self-service.

 

Allo stesso modo, le istituzioni finanziarie stanno cercando di indirizzarci verso una società senza contanti e verso il digital banking. Il vero scopo è il profitto aziendale. Le società di pagamento come Visa e Mastercard vogliono aumentare il volume di vendita dei loro servizi di pagamento digitali, mentre le banche vogliono ridurre i costi. Il “nudging” richiede due mosse. In primo luogo, devono aumentare la scomodità di contanti, bancomat e filiali. In secondo luogo, devono promuovere energicamente l'alternativa. Cercano di "insegnare" alle persone prima di volere il digitale, e poi a "sceglierlo".

 

Su questo, ci è utile la lezione del filosofo marxista Antonio Gramsci. Il suo concetto di egemonia si riferiva al modo in cui i potenti condizionano l'ambiente culturale ed economico in modo tale che i loro interessi inizino a essere percepiti come naturali e inevitabili dall'opinione pubblica. Nessuno è sceso in strada a manifestare a favore dei sistemi di pagamento digitali venti anni fa, mentre oggi sembra sempre più ovvio e   "naturale" che questi sistemi debbano prendere il sopravvento. È una convinzione che non è scaturita dal nulla. È il risultato diretto di un progetto egemonico portato avanti dalle istituzioni finanziarie.

 

Possiamo anche riprendere il concetto di interpellanza di Louis Althusser. L'idea di base è che puoi convincere le persone a interiorizzare determinate convinzioni comportandoti come se le avessero già. Vent'anni fa nessuno credeva che il denaro fosse "scomodo", ma ogni volta che vado nella metropolitana di Londra vedo pubblicità che mi si rivolgono come se fossi una persona che trova scomodo usare il denaro contante. L'obiettivo è di costruire dall'esterno una mia convinzione che il denaro contante sia scomodo e che passare a sistemi senza contante vada a mio vantaggio. Ma una società senza contante non è nel nostro interesse. Va a vantaggio delle banche e delle società di sistemi di pagamento. Il loro compito è farci credere che sia anche nel nostro interesse, e ci stanno riuscendo.

 

Il recente caos della Visa, durante il quale milioni di persone diventate dipendenti dai sistemi di  pagamento digitale si sono improvvisamente trovate bloccate, quando la rete di pagamento monopolistica è andata in crash, ha rappresentato una temporanea battuta d'arresto. I sistemi digitali possono essere "comodi", ma spesso presentano punti nodali di fragilità. I contanti invece non vanno in crash. Non si basano su archivi di dati esterni e non sono soggetti a controllo o monitoraggio remoto. Il sistema del contante consente uno spazio "fuori dalla rete" non monitorato. Questo è anche il motivo per cui le istituzioni finanziarie e le società di tecnologia finanziaria vogliono liberarsene. Le transazioni in contanti sono al di fuori della rete gettata da queste istituzioni per raccogliere commissioni e dati.

 

Una società senza contanti porta con sé dei pericoli. Le persone priva di un conto in banca si troverebbero ulteriormente emarginate, private delle infrastrutture per i contanti che in precedenza le sostenevano. Ci sono anche implicazioni psicologiche poco note sul fatto che il denaro contante incoraggia l'autocontrollo, mentre il pagamento tramite carta o telefono cellulare può incoraggiare la spesa. E istituire una società senza contanti comporta importanti implicazioni sulla sorveglianza.

 

Nonostante questo, vediamo che c’è un allineamento tra governo e istituzioni finanziarie. Il ministero del Tesoro ha recentemente organizzato una consultazione pubblica su contanti e pagamenti digitali nella nuova economia. Si è presentato come teso a trovare un equilibrio tra i due, rilevando che il denaro contante era ancora importante. Ma gli anni di sottile pressione da parte dell'industria finanziaria hanno chiaramente dato i loro frutti. Gli elementi portati come prove sottolineano ripetutamente gli aspetti negativi dell’uso di contante - associandolo alla criminalità e all'evasione fiscale - ma citano a mala pena le implicazioni negative dei pagamenti digitali.

 

Il governo britannico ha scelto di sostenere l'industria dei servizi finanziari digitali. Un atteggiamento irresponsabile e in malafede. Dobbiamo smetterla di accettare le storie che dipingono come un “progresso naturale” la società senza contante e l'iper-digital banking. Dobbiamo riconoscere in ogni bancomat che viene smantellato un altro passo della campagna delle istituzioni finanziarie per indirizzarti nei loro recinti digitali.

 

 

 

Brett Scott è un attivista, ex broker e autore di The Heretic's Guide to Global Finance: Hacking the Future of Money

 

22/07/18

ZH - Bank of America: il populismo metterà fine all'indipendenza delle banche centrali

L'analista della Bank of America Michael Hartnett sostiene che le politiche delle banche centrali hanno aumentato il divario tra ricchi e poveri: i politici populisti, per far ripartire l'economia globale, affondata (dal modello economico liberista, aggiungiamo noi) nella deflazione secolare di bassi rendimenti e tassi di interesse sotto zero, dovranno forzatamente farla finita col dogma dell'indipendenza delle banche centrali per monetizzare il debito, redistribuire i redditi e abbattere tramite politiche inflazionistiche l'enorme montante di debito privato accumulato. Un'altra recessione globale accelererebbe drammaticamente questa tendenza. Da Zero Hedge.

 

 

di Tyler Durden, 20 febbraio 2018

 

Nel suo ultimo Flow Show settimanale, Michael Hartnett della Bank of America (BofA) tocca un tema familiare: l'ascesa del populismo globale e la sua destinazione finale: "la fine dell'indipendenza della banca centrale", che definisce la politica populista definitiva.

 

Confermando qualcosa che abbiamo detto sin dall'inizio e che spiega - ancora una volta - l'avvento di fenomeni come la Brexit, la reazione europea contro gli immigrati e, naturalmente, Donald Trump, lo stratega di BofA scrive che "le politiche della banca centrale di QE, NIRP [Negative Interest Rate Policy, politica dei tassi d'interesse negativi, ndt], ZIRP [Zero Interest Rate Policy, politica del tasso d'interesse nullo, ndt] hanno senza dubbio aggravato il divario tra Wall Street [la finanza, ndt] e Main Street [l'economia reale, ndt] nell'ultimo decennio".

 

Nel frattempo, la differenza di ricchezza persiste e nell'ultimo trimestre le attività finanziarie del settore privato USA sono diventate 5,5 volte il PIL statunitense, un massimo storico, con la maggior parte delle attività finanziarie detenute da una piccola parte della popolazione.

 

[caption id="attachment_15574" align="aligncenter" width="634"] I patrimoni finanziari detenuti da privati negli USA, come % del PIL - in blu le famiglie e in giallo le attività non finanziarie.[/caption]

 

Mentre il grande divario tra chi ha e chi non ha continua a crescere - nonostante l'elezione di numerosi leader populisti nelle nazioni di tutto il mondo, più recentemente in Malesia, Austria e Messico - BofA avverte che poiché la politica monetaria e fiscale, la ripresa globale sincronizzata e i profitti aziendali record sono incapaci di creare una crescita salariale sostenuta, gli investitori dovranno scontare più protezionismo, ridistribuzione dei redditi e, in definitiva, la monetizzazione del debito attraverso le banche centrali nei prossimi anni. Tutte tendenze che una recessione accelererebbe drammaticamente.

 

Hartnett illustra quindi l'unica classe di attività che a suo avviso sarà la vincitrice finale nelle prossime guerre tra le classi di attività:

 

l'oro è il beneficiario secolare della Guerra alla Disuguaglianza; gli investitori notano che l'oro è sceso al livello più basso dal 2002 rispetto all'indice S&P 500.


 

[caption id="attachment_15575" align="alignnone" width="699"] Quotazione dell'oro rispetto all'indice S&P 500[/caption]

 

Posto dunque che l'oro sarà il "vincitore secolare", il populismo dovrà vincere la guerra contro la disuguaglianza, il che significa anche sconfiggere le banche centrali, e non sarà facile.

 

Quindi cosa fare fino ad allora? Qui Hartnett ha due parole: "Giapponesizzazione" e FAANG [acronimo dei cinque titoli tecnologici più popolari e più performanti del mercato, ovvero Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google Alphabet, ndt], e osserva che nonostante le lodi per il mercato in rialzo, le cose non sono come sembrano, ad esempio:

 

profitti, riduzioni delle imposte, riacquisti azionari in quantità nel 2018 ... eppure solo 9 dei 45 indici azionari nazionali MSCI hanno superato in rendimento i T-bills a 3 mesi (+ 0,8%) da inizio anno; i rendimenti incrociati rimangono scarsi ... Dollaro USA e materie prime 3%, azioni 2%, contanti 1%, titoli di stato e a rendimento elevato -1%, obbligazioni investment grade -3%;


 

C'è un'eccezione alla performance negativa del mercato da inizio anno: "gli invincibili titoli tecnologici statunitensi, che operano come se i tassi di interesse non salissero mai". E forse non lo faranno: usando una tabella mostrata precedentemente, Hartnett nota che i tassi zero della Bank of Japan (BoJ) guideranno una impotente BCE - allo 0% fino al 2036 - mentre ancorano i tassi della Fed attraverso più di 10 trilioni di dollari di debito con rendimento negativo assieme al terrore di una curva di rendimento invertita.

 

[caption id="attachment_15576" align="alignnone" width="656"] La "Giapponesizzazione" dell'Europa. In blu i tassi sui depositi overnight della BoJ (partono da Luglio '85) e in giallo il tasso sui depositi della BCE (RHS, partono da Dicembre '01).[/caption]

 

 

Hartnett conclude quindi con qualcosa di cui abbiamo già discusso: l'apparente infallibilità delle tech e in particolare dei FAANG:

 

finché gli investitori non temono la Fed, c'è poca paura delle azioni FAANG.


 

Il che spiega l'inesorabile ascesa dei FAANG: come ha detto la settimana scorsa lo stratega della tecnologia, "Market Mocks and Loves the Fed" [il mercato prende in giro e ama la Fed, ndt]. Se e quando ciò cambierà, sarà il momento di incassare e infine rendere di nuovo brillante il lucido metallo giallo.

20/07/18

The Spectator – La UE è terrorizzata all’idea che la Brexit sia un successo per la Gran Bretagna

Un articolo di David Green su The Spectator descrive quello che una Gran Bretagna davvero indipendente dalla UE potrebbe fare per la propria economia. Le trattative attualmente in corso sulla Brexit vertono, più di quanto il dibattito pubblico lasci trapelare, sulla libertà di gestire investimenti pubblici e aiuti di Stato (questi ultimi formalmente vietati dalla UE). La storia economica recente mostra come un utilizzo adeguato di questi strumenti sia la base della prosperità economica dei paesi, anche di quelli più apparentemente "liberisti". Chi vuole impedire che gli Stati abbiano il pieno controllo dei propri mezzi economici attraverso la politica nazionale vuole, di fatto, mantenere lo status quo e i monopoli esistenti.

 

 

di David Green, 13 luglio 2018

 

Ora che gli intenti della UE sono usciti allo scoperto, possiamo vedere che espressioni come “paese vassallo”, “colonia” e “ossequio” erano ben scelte, e che i dubbi di Donald Trump sono legittimi. L’impegno per un nuovo insieme di regole comuni che includono il vincolo di rispettare norme che regolamentino gli aiuti di Stato implica, a farla breve, l’impegno a non darsi troppo da fare per avere successo economico. E tuttavia agli aiuti di Stato è stato a malapena accennato nel dibattito.

 

La libertà dalla camicia di forza della UE ci dà l’occasione per mostrare come un popolo indipendente possa creare prosperità, ma anziché cogliere questa opportunità, il Governo sta a preoccuparsi della eventuale distruzione delle catene di fornitura integrate nella UE. Queste possono includere, ad esempio, componenti automobilistici fabbricati in Italia, poi trasportati in Germania per essere rifiniti, e infine portati in una fabbrica in Gran Bretagna per l’assemblaggio. Questa prassi dispendiosa è anche dannosa per l’ambiente, a causa dei costi dei trasporti che sarebbero evitabili, e si sta già iniziando a sostituirla con catene di fornitura più ravvicinate.

 

Dal punto di vista economico ha senso che le componenti siano prodotte vicine alla fabbrica automobilistica, ma può dover esserci un investimento iniziale, che può coinvolgere il governo. Secondo le intenzioni dichiarate, il governo britannico dovrebbe chiedere il permesso a Bruxelles prima di poter investire in catene di fornitura britanniche e di creare, di conseguenza, posti di lavoro ben pagati legati ad esse. Cosa succederà quando chiederemo a Bruxelles il permesso di poter spendere i nostri stessi soldi? Le case automobilistiche tedesche, alcune delle quali hanno già dimostrato quanti pochi scrupoli hanno riguardo ai test sulle emissioni, faranno pressioni sulla UE per evitare gli investimenti britannici. Impedire l’innovazione va a tutto vantaggio degli interessi delle industrie già esistenti, ma impedisce a nuove iniziative imprenditoriali di sviluppare tecnologie e impianti per il futuro.

 

Qualsiasi paese che abbia mai prosperato economicamente ha dovuto il suo successo alle avvedute politiche di investimento e sostegno del suo governo. È stato così che la Germania e gli Stati Uniti hanno superato la Gran Bretagna nell’ultima parte del diciannovesimo secolo, ed è stato così che sono potuti avvenire i miracoli post-bellici in paesi come la Germania e il Giappone. È così, inoltre, che Taiwan, la Corea del Sud e Singapore sono diventate le tigri asiatiche, e il Brasile e l’India hanno avuto tanto successo a partire dagli anni ’80. Più di tutto, è stato così che la Cina è cresciuta fino al suo attuale status di potenza economica, ed è così che l’America porta avanti il proprio successo. Gli Stati Uniti come paese hanno sempre sostenuto la ricerca e lo sviluppo con i fondi pubblici, hanno finanziato le imprese tramite i piani della Small Business Administration, hanno finanziato l’industria soprattutto grazie a una generosa voce di bilancio per la difesa, e hanno permesso agli stati federali di portare avanti piani economici in favore delle industrie locali usando fondi pubblici.

 

La UE è terrorizzata all’idea del successo che potremmo avere grazie alla nostra indipendenza. Sa perfettamente che le sue politiche principali si sono rivelate disastrose. L’eurozona è fatalmente difettosa e l’accordo di Schengen sull’immigrazione è ormai ridotto a brandelli. Se avremo successo economicamente, questo manderà un messaggio a paesi come l’Italia e la Spagna, nei quali la disoccupazione è elevata, un messaggio che dirà che un’altra strada è possibile. La strategia negoziale della UE è quella di rendere quanto più difficile possibile il successo della Gran Bretagna. Sono spaventati dall’idea che potremmo andare bene, e che potremmo dimostrare al mondo quanto errato sia, nel suo insieme, il progetto UE. Gli oligarchi europei sono spaventati e sulla difensiva, ma anziché giocare queste carte a nostro vantaggio, i piani di Theresa May sono solo di aiuto per loro. È come se la May volesse farci entrare nella competizione dopo aver fatto agli altri contendenti la solenne promessa che noi non correremo al massimo della nostra velocità. Uscire senza alcun accordo sarebbe comunque meglio che accettare i piani proposti dalla UE.

 

19/07/18

Il presidente Trump è un traditore perché vuole la pace con la Russia? - I democratici sembrano pensarla così

Un commento di Paul Craig Roberts sulle reazioni scomposte, al limite dell'isterismo, dell'establishment americano e di tutti i media allineati di fronte agli sforzi di distensione dei rapporti USA-Russia, che dopo decenni di politiche egemoniche e provocazioni da parte degli Stati Uniti erano arrivati a livelli da allarme rosso. Queste reazioni dimostrano quanto Trump rappresenti un elemento di rottura rispetto ai suoi predecessori. Ma evidenziano anche la sua vulnerabilità agli attacchi del Deepstate americano e di tutto l'apparato politico/mediatico/economico che su di esso si sostiene, e che adesso, come una bestia ferita, reagisce in maniera disperata per non perdere il terreno guadagnato con l'acquiescenza degli ultimi decenni.

 

 

Di Paul Craig Roberts, 16 luglio 2018

 

 

 

Il Partito Democratico degli Stati Uniti preferirebbe scatenare una guerra mondiale termo-nucleare piuttosto che ammettere che Hillary Clinton ha perso le elezioni presidenziali in modo chiaro e trasparente. Il Partito Democratico è stato del tutto corrotto dal regime dei Clinton, e ora è totalmente impazzito. Leader del Partito Democratico come Nancy Pelosi e Chuck Schumer, mio ex co-autore al New York Times, hanno avuto reazioni davvero poco democratiche al primo passo che il Presidente Trump ha intrapreso per allentare le pericolosissime tensioni con la Russia, che i regimi di Clinton, George W. Bush e Obama avevano creato tra le due superpotenze.

 

 

È vero, la Russia è una superpotenza. Le armi russe sono talmente superiori alla spazzatura prodotta dal complesso industriale militare degli Stati Uniti, che se la spassa a spese degli indifferenti contribuenti americani, che ormai non si può neanche dire con sicurezza che gli Stati Uniti siano quanto meno una potenza militare di seconda classe. Se dementi neoconservatori come Max Boot, William Kristol e il resto della loro feccia riescono ad ottenere quello che cercano, gli Stati Uniti, il Regno Unito e l'Europa saranno ridotti a un cumulo di rovine radioattive per migliaia di anni.

 

 

La leader democratica Nancy Pelosi (CA), a capo dell'opposizione nella Camera dei rappresentanti, ha dichiarato che a causa di una qualche improbabile vendetta di Putin, magari un dossier su Trump, il Presidente degli Stati Uniti ha venduto il popolo americano alla Russia, e tutto questo solo perché vuole fare la pace: "La domanda nasce spontanea, che cosa ha Vladimir Putin, che cosa hanno i russi su Donald Trump, personalmente, politicamente e finanziariamente, per costringerlo a un comportamento del genere?" Il "comportamento" di cui parla la Pelosi consiste nel voler fare la pace anziché la guerra.

 

 

In altre parole, il leader della minoranza democratica della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha accusato Donald Trump di alto tradimento contro gli Stati Uniti. Ma nessuno protesta contro questa accusa palesemente falsa, totalmente priva di fondamento. I “presstitute media”, invece di protestare contro questo tentativo di colpo di stato contro il Presidente degli Stati Uniti, strombazzano l'accusa come se fosse una verità evidente. Trump è un traditore perché vuole la pace con la Russia.

 

 

Da una parte il senatore democratico Chuck Schumer (NY) ripete la falsa accusa della Pelosi: "Milioni di americani continueranno a chiedersi se l'unica spiegazione possibile per questo comportamento pericoloso sia la possibilità che il Presidente Putin detenga informazioni compromettenti sul Presidente Trump". Chi non riesce a vedere che si tratta di accuse inventate di sana pianta da Pelosi e Schumer è stupido oltre ogni immaginazione.

 

 

Dall'altra parte l’ex-direttore della CIA nominato da Obama e ormai screditato John Brennan, uno dei leader della finta campagna Russiagate contro il presidente Trump per impedirgli di fare pace con la Russia e rendere così il mondo più sicuro, intaccando l’enorme, ingiustificato budget del complesso industriale militare: "La performance della conferenza stampa di Donald Trump a Helsinki va oltre la definizione di Alto Tradimento. È stata a dir poco paradossale. Non solo Trump ha fatto delle battute ridicole, ma si è mostrato completamente succube di Putin. Patrioti repubblicani: dove siete???"

 

 

Qui ancora altri. E qui da quei tirapiedi della CIA della BBC.

 

 

SI NOTI CHE NON UNA SINGOLA FONTE GIORNALISTICA OCCIDENTALE STA FESTEGGIANDO E RINGRAZIANDO TRUMP E PUTIN PER AVERE ALLENTATO LE TENSIONI ARTIFICIALMENTE CREATE CHE STAVANO PORTANDO A UNA GUERRA NUCLEARE. COME PUÒ ESSERE? COM’È POSSIBILE CHE I MEDIA OCCIDENTALI SIANO COSÌ CONTRARI ALLA PACE? QUAL È IL MOTIVO?

 

 

I russi, i cinesi, gli iraniani e i nordcoreani, così come il resto del mondo, devono assolutamente prestare attenzione alle reazioni palesemente ostili alla pace da parte del Partito Democratico degli Stati Uniti, di molti membri del Partito Repubblicano, tra cui i deprecabili senatori repubblicani John McCain e Lindsey Graham, e i media “presstitute” occidentali, un manipolo di individui a libro paga della CIA, secondo quanto sostenuto dal redattore di un giornale tedesco Udo Ulfkotte e dalla stessa CIA.

 

 

Nancy Pelosi, Chuck Schumer, John McCain, Lindsey Graham e il resto della feccia corrotta che ci governa sono tutti al soldo del complesso industriale militare. Basta indagare sulle donazioni alle loro campagne elettorali. Il budget di 1.000 miliardi di dollari del complesso industriale militare, senza contare le società di facciata della CIA e gli affari del narcotraffico, garantisce somme enormi, con le quali è facile acquistare i senatori e i rappresentanti che gli elettori inconsapevoli sono convinti di eleggere.

 

 

Avete presente quanti sono 1.000 miliardi? Bisognerebbe vivere per migliaia di anni con nient’altro da fare se non contare, 24 ore su 24, per arrivare a maneggiare quella cifra. Questo flusso di denaro foraggia i destinatari, che ovviamente non hanno nessuna intenzione di fermarlo.

 

 

Pertanto, il pubblico americano non ottiene rappresentanza, ma menzogne ​​che giustificano guerre e disordini. Il complesso industriale militare, riguardo al quale il presidente Eisenhower aveva messo in guardia il popolo americano, ha un disperato bisogno di un nemico. Per ubbidire ai suoi ordini, i regimi di Clinton, George W. Bush e Obama hanno trasformato la Russia in un nemico. Trump e Putin devono tenerlo sempre a mente, o diventeranno presto irrilevanti.

 

 

Entrambi possono essere assassinati da un momento all’altro, e le dichiarazioni di Pelosi, Schumer, McCain, Lindsey Graham ed altri, ripetute all'infinito dal MinCulPop della stampa occidentale, incoraggiano proprio un gesto del genere. Trump può essere assassinato o esautorato da un colpo di stato con la scusa di avere venduto l'America alla Russia, come affermano i membri di entrambi i partiti politici e come i media strombazzano all'infinito. Putin può essere facilmente assassinato dagli agenti della CIA, che il governo russo stupidamente autorizza ad operare in tutta la Russia, nelle ONG e nei media di proprietà occidentali e statunitensi e tra gli integrazionisti atlantisti, la quinta colonna di Washington dentro la Russia direttamente al servizio di Washington. Alcuni di questi traditori russi siedono persino nel governo di Putin!

 

 

Gli americani sono troppo incoscenti per rendersi conto del rischio che corre il presidente Trump sfidando il complesso della sicurezza militare statunitense. Per fare un esempio, alla fine degli anni '70 facevo parte dello staff del Senato americano. Lavoravo insieme ad un collaboratore di un senatore repubblicano della California, S. I. Hayakawa, per promuovere una ricetta di politica economica dal lato dell'offerta contro la stagflazione, che all'epoca minacciava la sostenibilità delle politiche di bilancio degli Stati Uniti. I senatori repubblicani Hatch, Roth e Hayakawa stavano cercando di introdurre alcune misure di politica economica dal lato dell'offerta come soluzione per la stagflazione che stava minacciando di far crollare l'economia statunitense. I democratici, che successivamente al Senato hanno sempre sostenuto politiche dal lato dell'offerta, in quel momento erano invece contrari (si veda Paul Craig Roberts, The Supply-Side Revolution, Harvard University Press, 1984). I democratici sostenevano che una politica di questo genere avrebbe aggravato il deficit di bilancio, mostrando così per la prima volta, per quanto li riguardava, un inusuale interesse per il deficit di bilancio. I democratici proposero che non si sarebbero opposti a riduzioni delle aliquote fiscali se i repubblicani li avessero accompagnati a tagli di spesa per mantenere il bilancio in pareggio. Era uno stratagemma, per potere poi accusare i repubblicani di avere tagliato i servizi per alcune fasce allo scopo di "tagliare le aliquote fiscali ai ricchi".

 

 

Quelle politiche dal lato dell'offerta non necessitavano di tagli al bilancio, ma per dimostrare la mancanza di sincerità dei democratici, insieme al collaboratore di Hayakawa istruimmo i nostri senatori perché introducessero una serie di tagli di bilancio insieme a riduzioni fiscali che, a base imponibile invariata (senza contare il maggior gettito dato dagli incentivi delle aliquote fiscali più basse), manteneva il budget invariato: e ogni volta i democratici votarono contro.

 

 

Quando la combinazione di tagli fiscali e tagli alle spese per la difesa fu messa ai voti, il leggendario senatore Strom Thurmond, da 48 anni rappresentante al Senato per la Carolina del Sud, mi diede un colpetto sulla spalla e mi disse: "Ragazzo, non mettere mai il tuo senatore contro il complesso industriale militare. Lui non sarà rieletto, e tu resterai senza lavoro." Gli risposi che stavamo solo dimostrando che in nessuna circostanza i democratici, che volevano maggiore partecipazione statale, avrebbero votato a favore di una riduzione del tasso d'imposta, anche nel caso in cui ciò fosse servito a curare la stagflazione. Mi rispose: "Ragazzo, a loro non importa."

 

 

Quella pacca sulla spalla di Thurmond mi ha fatto capire tante cose. Ne ho poi capite ancora di più lavorando al Wall Street Journal, dove ho imparato che alcune verità semplicemente non potevano essere dette. Al Tesoro ho visto con i miei stessi occhi come gli interessi esterni contrari alle politiche di un presidente possono mobilitare il loro potere ed i media da essi posseduti per ostacolarlo. Più tardi, come membro di un comitato segreto presidenziale, sono stato testimone di come la CIA cercava di impedire al presidente Reagan di porre fine alla Guerra Fredda.

 

 

 

Al giorno d’oggi ci troviamo di fronte a un massiccio sforzo del complesso industriale militare, dei neoconservatori, del Partito Democratico e dei media presstitutes per screditare il Presidente eletto degli Stati Uniti e spodestarlo, affinché le élite completamente corrotte che governano l'America possano mantenere il loro potere e mantenere intatto l’enorme budget del complesso industriale militare che, insieme alla lobby israeliana, finanzia tutte le elezioni. Trump, così come Reagan, è un'eccezione, e sono le eccezioni che attirano le ire di una sinistra corrotta e venduta, e le ire dei media, la cui proprietà è concentrata in piccoli gruppi ristretti, sotto il ricatto di coloro che hanno permesso la concentrazione illegale di quelli che un tempo erano dei media indipendenti e diversificati, all’occorrenza capaci di comportarsi come organo di vigilanza per il governo. La destra, con la sua retorica patriottistica, respinge ogni verità come "anti-americana".

 

 

 

Se Putin, Lavrov, il governo russo, i traditori della quinta colonna russa - gli integrazionisti atlantisti - i cinesi, gli iraniani, i nordcoreani, sperano che dall'America possa venire qualsiasi iniziativa di pace o di considerazione, si sbagliano. Farebbero meglio a ricredersi. Non esiste in America una singola istituzione, pubblica o privata, di cui ci si possa fidare. Qualsiasi governo o persona che si fidi dell'America o di qualsiasi altro paese occidentale si dimostra incredibilmente ingenuo.

 

 

 

L'intera bufala del Russiagate è stata orchestrata dal complesso industriale militare, per mezzo di John Brennen, Comey e Rosenstein. Lo scopo è screditare il presidente Trump per due motivi. Il primo è prevenire qualsiasi normalizzazione delle relazioni con la Russia. Il secondo è rimuovere il programma di Trump come alternativa al programma del Partito Democratico.

 

 

 

Il presidente Trump può fare poco contro di loro. Putin, i cinesi, gli iraniani e i nordcoreani dovrebbero rendersene conto prima che sia troppo tardi. Trump non può licenziare né arrestare per alto tradimento Mueller e Rosenstein. Né può incriminare Hillary per i suoi numerosi incontestabili crimini ormai evidenti a tutti, o Comey o Brennan, che accusano Trump di "essere completamente controllato da Putin", per tentata sovversione contro il Presidente eletto degli Stati Uniti. Trump non può costringere i servizi segreti a mettere in stato d’accusa gente come Pelosi e Schumer, McCain e Lindsey Graham per le false accuse che incoraggiano l'assassinio del Presidente degli Stati Uniti.

 

 

 

Trump non può nemmeno fidarsi dei servizi segreti, che una serie di elementi suggeriscono essere stati coinvolti nell'assassinio del presidente John F. Kennedy e di Robert Kennedy.

 

 

Se Putin e Lavrov, nella loro ansia di avvicinarsi a Washington, abbassano la guardia, sono finiti.

 

 

Ripeto, il Russiagate è uno stratagemma per prevenire la pace tra Stati Uniti e Russia. Due tra i principali esperti del settore militare e di sicurezza, uno dei quali per molti anni è stato incaricato di fare il briefing quotidiano della CIA al Presidente degli Stati Uniti, e l'altro ha ideato il programma di spionaggio per l'Agenzia di sicurezza nazionale, hanno dimostrato in modo conclusivo che il Russiagate è una bufala ideata allo scopo di impedire al presidente Trump di normalizzare le relazioni tra gli Stati Uniti e la Russia, nonostante quest’ultima abbia la capacità militare per radere al suolo l’intero mondo occidentale in qualsiasi momento.

 

 

Qui il rapporto di un funzionario della sicurezza in pensione che, a differenza di quelli ancora in carica, non possono essere licenziati e privati ​​di una carriera per avere detto la verità. Qui le parole del noto Ministro della Difesa russo Shoigu sulle aggressioni dell'Occidente contro la madrepatria russa. Se Putin non lo ascolta, la Russia è rovinata.

 

 

La TV e i media occidentali sono ormai irrimediabilmente preposti al lavaggio del cervello. Anche se gli americani, e persino gli stessi russi, non se ne rendono conto, esiste la possibilità che Trump venga deposto e che venga sferrato un attacco occidentale contro quella manciata di paesi che ancora insistono ad essere sovrani.

 

 

Dubito che molti degli elettori di Trump possano essere influenzati dalla propaganda anti-Trump, tuttavia è anche vero che non sono organizzati né armati. La polizia, militarizzata da George W. Bush e Obama, sarà impiegata contro di loro. Le rivolte saranno locali e soppresse in aperta violazione delle libertà costituzionali dalle forze private che esercitano il potere a Washington, come sempre è avvenuto con tutte le rivolte in America.

 

 

Nell’Occidente a cui i russi sono così ansiosi di aderire tutte le libertà sono ormai soppresse: libertà di riunione, libertà di parola, libertà di associazione, libertà di inchiesta, libertà della privacy, libertà dalle perquisizioni arbitrarie, libertà dall'arresto arbitrario, oltre alle protezioni costituzionali dell’equo processo e dell'habeas corpus. Non esiste oggigiorno un paese meno libero degli Stati Uniti d'America.

 

 

Perché gli integrazionisti atlantisti russi vogliono unirsi a un mondo occidentale non libero? Hanno subito il lavaggio del cervello dalla propaganda occidentale fino a un tal punto?

 

 

Se Putin dà ascolto a questi sciocchi illusi, metterà la Russia in pericolo.

 

 

Qualcosa non torna nella percezione che i russi hanno di Washington. Apparentemente le élite russe, con l'eccezione di Shoigu e pochi altri, non sono in grado di vedere la spinta neoconservatrice dell'egemonia mondiale statunitense e l’ostinazione neoconservatrice di distruggere la Russia in quanto ostacolo all'unilateralismo statunitense. Il governo russo, nonostante tutte le prove contrarie, sembra invece ritenere che l'egemonia di Washington sia negoziabile.

17/07/18

La legge del più ricco - Come i ricchi pensano di abbandonarci al nostro destino

Douglas Rushkoff, uno dei massimi esperti di media e tecnologie digitali, affronta qui il tema molto sentito e attuale della relazione tra umanità e tecnologia, e in senso lato tra uomo e  scienza, nell'era digitale. L'avvento della rivoluzione digitale, solo un paio di decenni fa, sembrava promettere nuovi orizzonti di libertà e di dignità diffusa, poiché aumentando la produttività individuale a livelli prima sconosciuti si pensava che avrebbe lasciato spazio e tempo alla creatività e alle aspirazioni personali. Ma ben presto ci si è resi conto che il suo effetto principale è stata l'intensificazione delle stesse logiche capitalistiche predatorie e di sfruttamento che si volevano superare. Ogni innovazione tecnologica è divenuta rilevante solo finché la si poteva considerare qualcosa di facilmente monetizzabile secondo i criteri speculativi dei mercati azionari. Il risultato è una visione nichilistica, pessimista ed apocalittica del futuro dell'umanità, che pervade tutta la società ma è caratteristica soprattutto delle élite. Una logica che però non è per nulla inevitabile, e può essere superata con un ritorno ai valori dell'umanità.

 

 

Di Douglas Rushkoff, 5 luglio 2018

 

 

L'anno scorso fui invitato in un resort privato di extra-lusso a tenere una presentazione per un pubblico che presumevo essere composto da un centinaio di banchieri d'investimento. Si trattava del compenso di gran lunga più generoso che mi fosse mai stato offerto per un evento del genere - circa la metà del mio stipendio annuale di professore universitario - il tutto per contribuire con alcune mie riflessioni sul tema "Il futuro della tecnologia".

 

 

Non mi è mai piaciuto parlare del futuro. Le sessioni di domande e risposte finiscono sempre per assomigliare a giochi da salotto, dove tutti si aspettano che io esprima giudizi sugli ultimi neologismi tecnologici come se fossero i codici alfa di potenziali investimenti azionari: blockchain, stampanti 3D, CRISPR. Raramente il pubblico è interessato a conoscere davvero queste tecnologie o il loro impatto potenziale, al di là della scelta binaria se investirci o no. Ma erano tanti soldi, quindi ho accettato l’invito.

 

 

Al mio arrivo, fui accompagnato in quello che pensavo fosse il mio camerino. Ma invece di essere microfonato o accompagnato su un palco, fui fatto accomodare lì ad un semplice tavolo rotondo mentre il mio pubblico mi veniva presentato: cinque signori estremamente facoltosi - sì, tutti uomini - provenienti dai massimi vertici del mondo dell'hedge fund. Dopo alcuni convenevoli, capì che non avevano alcun interesse per le note che avevo preparato sul futuro della tecnologia. Erano venuti già preparati con le loro domande.

 

 

All’inizio tutto sembrava abbastanza innocente. Ethereum o bitcoin? L’informatica quantistica è una cosa di cui vale la pena occuparsi? Man mano però che andavamo avanti, le domande si addentravano negli argomenti per loro di reale interesse.

 

 

Quale regione sarà meno colpita dalla prossima crisi climatica: la Nuova Zelanda o l’Alaska? È vero che Google sta progettando un modo per salvare su hard disk il cervello di Ray Kurzweil, e, in questo caso, rimarrà cosciente durante la fase di transizione, oppure morirà e rinascerà nuovamente? Alla fine, l'amministratore delegato di una brokerage house mi spiegò come avesse quasi completato la costruzione del proprio sistema di bunker sotterranei e mi chiese: "Qual è il modo migliore per mantenere sotto controllo le mie guardie del corpo dopo l'evento?"

 

 

L'evento. Era questo il loro eufemismo per un collasso ambientale, un'ondata di disordini sociali, un'esplosione nucleare, un virus inarrestabile, o un fantomatico crash informatico che elimini tutti i dati elettronici.

 

 

Questo era anche l'unico argomento che ci tenne occupati tutto il resto del tempo. Erano tutti già convinti di avere bisogno di guardie armate per proteggere le loro residenze recintate dalle folle inferocite. Ma come avrebbero potuto pagarle una volta che il denaro avesse perso tutto il suo valore? Cosa avrebbe impedito alle guardie di scegliersi un proprio leader? I miliardari avevano preso in considerazione l'utilizzo di speciali lucchetti con una combinazione nota soltanto a loro per le scorte alimentari. O, in alternativa, c'era l'ipotesi di fare indossare alle guardie una sorta di collare disciplinare in cambio della loro sopravvivenza. O, meglio ancora, costruire dei robot capaci di agire da guardie e servitori - sempre che la tecnologia potesse essere sviluppata in tempo.

 

 

E lì, finalmente, ho capito: nelle intenzioni di quei signori, questo era veramente un incontro sul futuro della tecnologia. Così come Elon Musk pensa di colonizzare Marte, Peter Thiel prova a invertire il processo di invecchiamento, o Sam Altman e Ray Kurzweil progettano di caricare i loro cervelli su un supercomputer, i cinque signori pensavano di prepararsi per il futuro digitale, un futuro che ha molto meno a che fare con l'aspirazione a rendere il mondo un posto migliore di quanto ne abbia con il desiderio di trascendere completamente la condizione umana e isolarsi da quello che percepivano come una catastrofe reale e imminente, che avrebbe potuto manifestarsi sotto forma di cambiamenti climatici, innalzamento del livello del mare, migrazioni di massa, pandemie globali, disordini sociali ed esaurimento delle risorse. Per loro, il futuro della tecnologia ha un solo scopo: la fuga.

 

 

Un'esagerata fiducia nei possibili vantaggi della tecnologia per l’umanità non è, di per sé, qualcosa di intrinsecamente negativo. Ma le attuali tendenze verso un'utopia post-umanista si situano su tutto un altro piano. Non si tratta tanto di una visione di totale trasferimento dell'umanità verso un nuovo stato dell'essere, quanto di un tentativo di trascendere tutto ciò che è umano: il corpo, l'interdipendenza, la compassione, la vulnerabilità e la complessità. Come da anni sottolineano i filosofi della tecnologia, la visione transumanista riduce troppo facilmente tutta la realtà a semplici dati, fino a concludere che "gli esseri umani non sono altro che oggetti di elaborazione delle informazioni".

 

 

È la riduzione dell'evoluzione umana a un videogioco in cui si vince se si trova una via di fuga attraverso la quale sfuggire, magari insieme a un paio di amici stretti. Chi sarà il vincitore: Musk, Bezos, Thiel... Zuckerberg? Sono questi miliardari i vincitori apparenti dell'economia digitale - almeno se li si pone nello stesso habitat da legge della giungla che alimenta la maggior parte di queste speculazioni.

 

 

Eppure, non è sempre stato così. C'è stato un breve periodo, all'inizio degli anni '90, in cui il futuro digitale sembrava un orizzonte libero e aperto all’innovazione personale. La tecnologia stava diventando il terreno di gioco per la controcultura, che vedeva in essa l'opportunità di creare un futuro più inclusivo, diffusamente a favore dell’umanità. Ma gli interessi corporativi consolidati vedevano in essa solo nuovi ambiti potenziali per le stesse vecchie logiche estrattive, e troppi scienziati si sono lasciati sedurre da improbabili OPA. Gli scenari di “futuro digitale” sono stati interpretati più come futures azionari o futures sul cotone: qualcosa da prevedere e su cui scommettere. Quindi qualsiasi discorso, articolo, studio, documentario o white paper era considerato rilevante solo nella misura in cui contribuiva a identificare un codice azionario alfa. Più che essere qualcosa da creare quotidianamente attraverso le nostre scelte e speranze per il genere umano, il futuro è diventato uno scenario predestinato, su cui si può scommettere se si dispone di sufficiente capitale di rischio, ma da subire comunque passivamente.

 

 

Ciò ha liberato tutti dalle implicazioni morali delle proprie azioni. Lo sviluppo della tecnologia è diventato non più una questione di prosperità collettiva, ma di sopravvivenza individuale. Ma ciò che è ancor peggio è che, come ho dovuto imparare a mie spese, il solo fatto di richiamare l'attenzione su tutto ciò comportava essere additati come nemici del mercato o ciarlatani antiscientifici.

 

 

Per questo motivo, anziché affrontare le questioni etiche pratiche dell'impoverimento e dello sfruttamento dei molti in nome di pochi, la maggior parte degli accademici, dei giornalisti e degli scrittori di fantascienza hanno invece preferito trastullarsi con le domande più astratte e fantasiose: È giusto che un operatore di borsa usi droghe intelligenti? E se impiantassimo sui bambini dei dispositivi per l’apprendimento delle lingue straniere? Se si tratta di salvare la vita, i veicoli autonomi devono dare la priorità ai pedoni o ai passeggeri? Le prime colonie su Marte dovrebbero essere organizzate come democrazie? Modificare il DNA ha degli effetti sulla personalità? I robot dovrebbero avere diritti?

 

 

Porsi questo genere di domande, per quanto filosoficamente dilettevole, è solo il triste surrogato di un'autentica lotta con i veri dilemmi morali associati ad uno sviluppo tecnologico sfrenato in nome del capitalismo corporativo. Le piattaforme digitali hanno trasformato un mercato già basato su logiche di sfruttamento ed estrazione di valore (si pensi a Walmart) in una realtà ancora più disumanizzante (si pensi ad Amazon). Per la maggior parte di noi questi svantaggi si sono materializzati sotto forma di lavori automatizzati, di “gig economy”, e nella chiusura dei piccoli negozi locali.

 

 

Ma gli impatti più devastanti di questo capitalismo digitale al testosterone ricadono sull'ambiente e sui più poveri del pianeta. La fabbricazione di alcuni dei nostri computer e smartphone utilizza ancora reti di lavoro schiavistiche. Queste pratiche sono così profondamente radicate che una società chiamata Fairphone, fondata appositamente allo scopo di creare e commercializzare telefoni etici, ha dovuto arrendersi al fatto che era impossibile. Il fondatore della società oggi tristemente definisce i suoi prodotti come telefoni "fairer"(“più etici”, ndt).

 

 

Allo stesso tempo, l'estrazione di metalli rari e lo smaltimento delle tecnologie altamente digitali distrugge habitat umani, sostituendoli con discariche di rifiuti tossici, che vengono poi raccolti da bambini poveri e dalle loro famiglie per rivendere i materiali riutilizzabili ai produttori.
Per far scomparire questa esternalizzazione "lontano dagli occhi, lontano dal cuore" della povertà e dei rifiuti velenosi non basta coprirsi gli occhi con gli occhiali da realtà virtuale e immergersi in una dimensione alternativa. Anzi, più le ripercussioni sociali, economiche ed ambientali vengono volutamente ignorate, più diventano problematiche. A sua volta, tutto questo giustifica ancora di più la rinuncia, l'isolamento e le fantasie apocalittiche - con le relative tecnologie e strategie di business più disperate. E il ciclo si autoalimenta.

 

 

Più ci si immedesima in questa visione del mondo, più si arriva a vedere gli esseri umani come il problema e la scienza come la soluzione. L'essenza stessa di tutto ciò che significa “essere umani” viene trattata più come come un bug che come una qualità. A prescindere dalle ideologie sottostanti, le tecnologie sono sempre dichiarate neutrali. Qualsiasi comportamento abusivo da esse indotto è solo un riflesso del nostro stesso nucleo corrotto. È come se tutti i problemi del mondo fossero da addebitare ad un’innata ferocia umana. Proprio come l'inefficienza di un servizio locale di taxi può essere "risolta" con un'app che in cambio getta sul lastrico i tassisti umani, le irritanti incoerenze della psiche umana possono essere corrette con un aggiornamento digitale o genetico.

 

 

In definitiva, secondo l'ortodossia tecnosoluzionista, il futuro umano culmina con il caricamento della coscienza su un computer o, forse meglio, accettando il fatto che la tecnologia stessa è il nostro erede evolutivo. Come membri di una setta gnostica, desideriamo ardentemente entrare nella prossima fase trascendente del nostro sviluppo, liberandoci dei nostri corpi e lasciandoli indietro, insieme ai nostri peccati e problemi.

 

 

I film e i programmi televisivi reiterano e rafforzano queste fantasie. Le storie di zombi offrono la rappresentazione di una post-apocalisse in cui gli umani non sono migliori dei morti viventi - e sembrano perfettamente consci di esserlo. Per di più, queste serie portano gli spettatori a immaginare il futuro come una battaglia a somma zero tra gli umani superstiti, in cui la sopravvivenza di un gruppo dipende dalla morte di un altro. Anche in Westworld: dove tutto è concesso - basato su un romanzo di fantascienza in cui i robot prendono il sopravvento - la seconda stagione si conclude con una rivelazione finale: gli esseri umani sono più semplici e più prevedibili delle intelligenze artificiali create dall’uomo. I robot apprendono che ognuno di noi può essere ridotto a poche stringhe di codice, e che in ultima analisi non siamo in grado di fare alcuna scelta volontaria. Persino i robot in quella serie vorrebbero sfuggire ai confini dei loro corpi e passare il resto della loro vita in una simulazione al computer!

 

 

 

Le acrobazie mentali necessarie per un così profondo rovesciamento dei ruoli tra uomo e macchina discendono tutte dal presupposto di base che gli esseri umani sono ributtanti. O li si cambia, oppure è meglio separarsene, per sempre.

 

 

E così ci ritroviamo miliardari di industrie hi-tech che lanciano auto elettriche nello spazio - come se questo simboleggiasse qualcosa di più della capacità di un miliardario di promuovere la sua azienda. E se alcune persone riuscissero davvero a raggiungere la velocità di fuga e in qualche modo a sopravvivere in una bolla su Marte - nonostante nessuno degli esperimenti multimiliardari di biosfera finora condotti anche qui sulla Terra sia mai riuscito a mantenere in funzione una bolla del genere - il risultato sarebbe più assimilabile a una zattera di naufraghi per le élite, che non alla continuazione della diaspora umana.

 

 

Quando i cinque banchieri mi hanno chiesto quale fosse il modo migliore per mantenere l'autorità sulle loro forze di sicurezza dopo "l'evento", ho suggerito loro che sarebbe stato meglio per loro se avessero iniziato fin da subito a trattare meglio queste persone. Che sarebbe stato opportuno relazionarsi con il loro staff di sicurezza considerandoli come membri della loro stessa famiglia. E che se fossero riusciti ad espandere questo ethos di inclusività al resto delle loro pratiche commerciali, nella gestione della supply chain, nell'impegno per la sostenibilità e nella distribuzione della ricchezza, con molta probabilità un simile "evento" non si sarebbe mai verificato. Tutta la strabiliante tecnologia esistente avrebbe potuto essere applicata a interessi forse meno romantici, ma sicuramente più universali, a partire da quello stesso momento.

 

 

Mi sembravano divertiti dal mio ottimismo, ma non mi hanno preso sul serio. Nessuno di loro era davvero interessato ad evitare l’insorgenza di una calamità; erano convinti che ormai fosse stato superato il limite. Nonostante tutta la loro ricchezza e il loro potere, le élite non credono di poter influenzare il futuro. Hanno semplicemente accettato il più oscuro di tutti gli scenari e pensano solo a come impiegare tutto il denaro e la tecnologia di cui dispongono per isolarsi - specialmente nel caso in cui non riescano a trovare un posto su quel famoso razzo per Marte.

 

 

Fortunatamente, noi che non disponiamo dei mezzi per prendere in considerazione l'ipotesi di rinnegare la nostra umanità abbiamo davanti opzioni decisamente migliori. Nessuno ci obbliga ad usare la tecnologia in modo antisociale e atomizzante. Possiamo scegliere se diventare gli individui consumatori standardizzati e profilati che i nostri dispositivi e le nostre piattaforme desidererebbero, oppure possiamo ricordare a noi stessi che l'uomo veramente evoluto non agisce mai da solo.

 

 

Essere umani non riguarda la sopravvivenza o la fuga individuale. È uno sport di squadra. Qualunque sia il futuro degli umani, sarà di tutti insieme.

16/07/18

Migranti ed emicrania

Lo storico ed etnologo Panagiotis Grigoriou sul suo blog Greekcrisis.fr continua la testimonianza desolata delle condizioni in cui versa oggi la Grecia, completamente abbandonata dall'attenzione dei media se non per rari richiami al presunto "risanamento" economico o al vacuo folklore di Tsipras che indossa una cravatta per celebrare la fine del programma di "salvataggio". Insieme all'annichilimento economico, continua lo smantellamento della democrazia, con il Parlamento e i cittadini sempre meno coinvolti nelle scelte di un governo oggetto dell'ostilità crescente della popolazione.   

 

 

di Panagiotis Grigoriou, 6 luglio 2018

 

 

 

Luglio e le sue temperature già piene. Navigando, a volte, si può incrociare incautamente la rotta di uno di quei  giganti del mare aperto che trasportano le ultime paccottiglie del nostro basso mondo, mentre sulla terra, decisamente, è una cloaca. Sotto l'Acropoli, a parte i nostri animali randagi pienamente titolati a occupare il loro posto, se ne sono andati soltanto i temporali, mentre gli utili idioti che "governano" sono rimasti.

 

Alexis Tsipras mercoledì 4 luglio è andato a Salonicco per un incontro con i suoi omologhi, bulgaro, serbo e rumeno: tranne che per la prima volta in un'occasione di questo tipo l'incontro non si è tenuto in città, ma nell'albergo vicino all'aeroporto, per paura di affrontare l'ira dei manifestanti di Salonicco... molto agitati, bisogna dirlo. Tutti gli accessi all'hotel dall'aeroporto sono stati bloccati dalle forze dell'ordine... per proteggere il primo ministro più odiato in Grecia dal 1945. Tsipras, in Grecia giustamente considerato da tutti un traditore, in primo luogo nelle regioni settentrionali, l'Epiro, la Macedonia e la Tracia, non è mai uscito dall'albergo, tranne che per tornare ad Atene la sera stessa.

 

In questa Grecia settentrionale dopo l'accordo siglato tra la "Grecia"  di Tsipras e la Repubblica Macedone del primo ministro Zoran Zaev  gli eletti di SYRIZA vengono contestati e talvolta sono vicini ad essere aggrediti dai cittadini, non appena osano mostrarsi in pubblico, come è successo questa settimana a Kavala al deputato di SYRIZA Yórgos Papaphilippou ... salvato per un soffio grazie alla sua valida scorta di polizia.

 

Quindi, l'ultima barzelletta del fantoccio Tsipras è che accoglierà in Grecia un buon numero di migranti che la Germania respingerà - dopo avere fatto la sua selezione e i suoi interessi, a scapito come sempre degli altri paesi della pseudounione europea. È stata Angela Merkel ad annunciare il suo accordo con il maggiordomo Tsipras, quest'ultimo non avrebbe neppure informato preliminarmente il "Parlamento" (quotidiano "Kathimeriní", 4 luglio 2018). Di nuovo, dopo la vicenda macedone, Alexis Tsipras "decide" da solo, contro la stragrande maggioranza del popolo greco e contro l'interesse del paese.

 

Fino a quando?

 

Sulla questione macedone, il ministro Yórgos Katroúgalos (SYRIZA), intervistato al telefono da un giornalista della radio 90,1 FM, ha appena dichiarato che anche se la maggioranza dei cittadini è contraria alla politica dell'esecutivo sul dossier macedone "il governo non organizzerà un referendum, così come non ritiene neanche che la decisione debba essere convalidata dall'Assemblea a maggioranza ampia, vale a dire, approvata dai due terzi dei deputati. Perché è scontato che su questo genere di problematiche fortemente emotive non si devono porre le domande attraverso un referendum, non in questo momento e non su questo dossier, quando la gente non ragiona con una logica, come dire, fredda, ma è mossa soltanto dalla forza e dall'influenza della spinta emotiva "(trasmissione di Dimítris Takis, 3 luglio 2018, al minuto 40' della registrazione disponibile sul sito della radio).

 

Si noti che Katroúgalos, stalinista in gioventù, poi del Pasok, soprattutto per un certo tempo consulente del governo di Yorgos Papandreou, influenzato come sappiamo dai ... "taumaturghi"  di Soros, è esattamente il ministro che ha proposto e perfino... dato il suo nome all'ultima legge che assassina le pensioni, e lo fa in modo automatico e permanente.

 

Come scrive altrove a modo suo Nicolas Bonnal, Katroúgalos appartiene a quella "destra neocon e libertaria guidata dai radical-chic (un lettore di Blondet parla di cloni: Tsipras, Macron, Sanchez o Casado, Trudeau, ecc), dalle femministe umanitarie - e senza figli - del tipo May o Merkel (sono di destra, no?) - destra che continuerà a rendere conto ai ragionieri della globalizzazione e a sacrificare un popolo distratto dallo smartphone o dalle partite di calcio. "

 

Lo schema, del tutto evidente, ormai è diventato un classico. Katroúgalos, Tsipras e compagnia, agitatori dal linguaggio storicamente di sinistra, che hanno sempre sostenuto di parlare a nome del popolo senza mai crederci davvero, sebbene fossero figure politiche di minoranza nella società reale (il partito SYRIZA prima della cosiddetta crisi greca aveva il 3% dei voti), arrivano al potere sostenuti dai globalizzatori e a forza di bugie, senza alcuna preoccupazione morale per l'interesse pubblico, né del Paese, né della nazione, per uccidere insieme, in fin dei conti, la loro sinistra, il popolo e il Paese. Vasto impegno...

 

Avvicinati e alla fine integrati dal sistema, tra gli altri da quello del finanziere Soros, applicano da brave marionette tutte le istruzioni del suo onnipresente programma che mira a smantellare i Paesi (già) appartenenti all'Europa, la loro cultura e la loro identità, per esempio esacerbando (o persino creando) le differenze etniche, come nel caso dell'ex Jugoslavia o della Siria, per esempio. E ora è il turno della Spagna, con l'istituzione del governo Sanchez, figlio spirituale di Soros, e della Grecia con Tsipras figlio... adottivo di Soros.

 

I mezzi scelti per questo scopo sono vari: austerità, ipertassazione, predazione degli immobili, distruzione del lavoro e del suo quadro giuridico conquistato in quasi due secoli di lotte sociali, infine il recupero di migranti da ogni dove, Germania inclusa, attraverso ONG che fanno  affari molto succosi senza la minima legalità nel campo del (non) controllo delle frontiere, e inoltre senza mai sollevare la questione della scelta democratica da parte dei popoli interessati, sull'accogliere o meno un numero sempre crescente di migranti.

 

Così, come per altre realtà simili e implacabili, le argomentazioni (opposte al giornalista di 90.1 FM) del ministrattore Katroúgalos provengono dalla stessa imposizione elitaria e dalla stessa fede nel potere e nei privilegi delle élite, imposizione volutamente rinforzata con la disumanizzazione e la degradazione del... nemico, cioè del popolo. Poveri paesi dell'estremo, vecchio e nuovo mondo, e nel nostro caso della Grecia, povero paese di Epicuro, peraltro molto turistico!

 

Tuttavia, tutti in Grecia concordano sul fatto che sulla questione macedone, i... senza patria di SYRIZA hanno ampiamente sottovalutato la portata delle loro azioni, tanto quanto il carattere tettonico della reazione popolare che hanno provocato. I loro padroni, così come il gotha degli specialisti in meccanica sociale, avranno probabilmente suggerito loro che il crimine sarebbe passato quasi inosservato, dal momento che i greci, per la maggior parte, sono impegnati quotidianamente e, per dirla tutta, sopraffatti dai propri affari, che riguardano ormai la sopravvivenza.

 

Tuttavia, la stampa sta ancora facendo in parte il suo lavoro, quindi i greci, per esempio, oggi sono consapevoli che l'accordo Tsipras-Zaev già così non è in linea con la Convenzione di Vienna per quanto riguarda le condizioni preliminari e necessarie per la stesura e la realizzazione di un trattato internazionale tra due paesi. Questo perché, ad esempio, non è prevista alcuna possibilità di disimpegno in caso di mancata convalida dell'accordo da parte dei due parlamenti.

 

Inoltre, non sono rispettati neanche l'equilibrio e la simmetria nel processo di convalida dell'accordo nei due paesi. Da un lato, c'è la realtà del referendum sull'accordo che il governo di Skopje ha giustamente annunciato per il prossimo autunno, mentre allo stesso tempo da parte greca c'è il rifiuto del referendum in Grecia da parte dei criminali syrizisti.

 

Ancora, l'accordo, contrariamente alla prassi internazionale, non specifica i termini utilizzati: soprattutto quando si parla di "irredentismo da vietare in pubblico e in privato", quest'ultimo termine (il suo contenuto) non è spiegato in alcun modo, se si tiene conto che l'irredentismo ufficiale (annessione di tutti i territori della Macedonia geografica) è formalmente nominato nella Costituzione della Repubblica macedone, nonché nei libri di testo scolastici del  Paese. Infine, notiamo che il Comitato per la Difesa della Macedonia greca è ufficialmente chiamato anche "Comitato per la difesa della non modifica delle frontiere nei Balcani", quindi è chiaro che non c'è nessuna rivendicazione territoriale da parte greca.

 

Allo stesso modo, questo accordo non prevede il ricorso automatico alla Corte internazionale di giustizia (ICJ) dell'Aia, nel caso in cui ci siano cambiamenti in futuro. Il che significa tra l'altro che, poiché il diritto alla libera espressione dell'opinione è protetto dalla Costituzione greca, il divieto di ciò che potrebbe essere definito irredentismo è un modo indiretto di cedere elementi di sovranità del Paese.

 

Per Alexis Tsipras alcune decisioni e riforme non sono popolari in Grecia, però ritiene che il governo debba... spingere verso il progressismo, questo è il significato della sua affermazione quando è stato intervistato dai giornalisti del Point. E nello stesso, nuovo ordine di idee, Dimítris Vitsas, ministro della (non) politica migratoria, ha appena dichiarato che 151 deputati (su un totale di 300) sono sufficienti per convalidare l'accordo macedone (quotidiano "Kathimeriní" , 5 luglio 2018).

 

In tutta evidenza, come il giornalista Lámbros Kalarrytis (insieme ai suoi ospiti) ha giustamente sottolineato alla radio 90,1 FM, "Tsipras sta regalando tutta la Grecia, che non è mai stata sua. I diritti dei greci, la sovranità, i confini, la patria. E quanto al programma elettorale presentato a Salonicco da Tsipras nel settembre 2014, non era stata fatta alcuna menzione della politica migratoria, e ancora meno della questione macedone ".

 

"Così Tsipras presenta il piccolo favore, per quanto squallido, concesso da Angela Merkel, che gli consente di ritardare solo di pochi mesi l'aumento dell'aliquota IVA applicata alle isole dell'Egeo orientale, legittimando l'accordo del suo "governo" con Berlino sul tema dell'accoglienza forzata - e indesiderata dalla grande maggioranza dei greci - dei migranti che la Germania respingerà" (trasmissione del 2 luglio 2018). In altre parole, il debito fortemente contestato ha imposto alla Grecia la politica imperiale di Berlino e degli avvoltoi internazionali, da cui è venuta la politica dell'austerità e l'aumento della tassazione. La politica economica della Grecia viene stabilita tra Berlino e Bruxelles.

 

"Quelli del governo evocano la presenza in Grecia di 58.000 migranti, una cifra completamente falsa, evidentemente. Ma il fatto è che in Grecia (dove, tra l'altro, migranti e rifugiati sono stati inizialmente accolti con grande umanità tra il 2014 e il 2015), abbiamo superato la soglia accettabile di fattibilità, sia dal punto di vista demografico, economico e culturale, sia dal punto di vista dell'accoglienza e sistemazione di popolazioni di questo tipo sul nostro territorio. La Germania, ancora una volta, esporta i suoi problemi contro la volontà, contro gli interessi e contro l'identità culturale in parte comune dei popoli europei ".

 

"La presenza massiccia di popolazioni a maggioranza musulmana non assimilabili, e l'abolizione delle frontiere significa di fatto l'eliminazione dei paesi interessati e allo stesso tempo della loro sovranità nazionale, tra le altre cose sotto la pressione delle ONG illegali, che praticano di fatto la tratta di esseri umani e il commercio umanitario. Ed è anche la fine dell'UE, perché molti paesi reagiscono - molto giustamente - a questa situazione, per difendere finalmente i loro interessi nazionali".

 

"E questo quando centinaia di migliaia di musulmani si stabiliscono e si stabiliranno in Grecia, un Paese di dieci milioni di abitanti, dove 700.000 giovani greci hanno lasciato il paese, costretti a farlo dalla crisi e - per dire tutto apertamente - incitati dai globalizzatori. E ci sono più di un milione e mezzo di disoccupati nel Paese, ma l'intero sistema politico rimane indifferente al loro destino: noi viviamo ogni giorno il costante abbattimento dei genitori, perché praticamente tutte le famiglie greche sono interessate a questa forma di lutto ".

 

"E si osserva che in un momento in cui non ci sono più investimenti produttivi in ​​Grecia, e per buone ragioni, si trovano sempre capitali per gonfiare il numero di effettivi delle ONG di Soros. Recentemente ho appreso che una sola ONG in Grecia impiega diverse centinaia di persone e che i Syrizisti piazzano i loro figli disoccupati in ONG di questo tipo. L'obiettivo, malamente dissimulato da SYRIZA, è quello di arrivare a concedere la nazionalità greca alle migliaia di migranti, per crearsi un consenso elettorale, dato che, avendo tradito il popolo greco, è definitivamente odiato dall'immensa maggioranza dei cittadini ", Lámbros Kalarrytis (e i suoi ospiti) alla radio 90,1 FM, 2 luglio 2018.

 

Nella terra dei fichi e dei gatti non succede nulla, tranne che il ciclo dell'esegesi ormai a quanto pare si è chiuso. Chiuso come la cravatta che si è messo Tsipras, chiuso come una corda stretta al collo del Paese. Il sistema politico, in gran parte eteronomo e mafioso, ha poi simulato un'ondata di attivismo. Panos Kammenos, ministrattore della Difesa, alleato di Tsipras e leader del partito dei Greci Indipendenti, attualmente in via di decomposizione, lunedì mattina ha dichiarato in una conferenza stampa che farà cadere il governo se l'accordo macedone non sarà approvato da 180 deputati oppure da un referendum. La sera stessa ha dichiarato in televisione che non lascerà il governo e che sosterrà Tsipras fino in fondo (stampa greca del 4 luglio 2018). Il potere rende ciechi... fino all'idiozia.

 

Allo stesso tempo, il partito terminale To Potami  ("Il fiume", ndT) di Stavros Theodorakis, un puro prodotto dei... creazionisti di Bruxelles e Berlino, munito del marchio di conformità alla linea Soros, ha lasciato la coalizione con i vecchi nepotisti storici delle macerie del PASOK. Ufficialmente, è per "servire il Paese e sostenere un futuro governo allo scopo di fare adottare l'accordo macedone".  Stávros Theodorakis ha anche commentato il suo incontro di questa settimana con il... proconsole Pierre Moscovici, riferendosi in particolare "alla possibilità di vedere in Grecia la formazione di un futuro governo più dinamico" .

 

Le marionette si agitano e i folli padroni del gioco preparano il nuovo spettacolo nel teatro delle operazioni. Ancora una volta, e come per caso, il leader di Nuova Democrazia, il tedesco-compatibile Kyriakos Mitsotakis, il favorito nei sondaggi... naturalmente, ha già utilizzato la sua mozione di censura contro il governo, come previsto inutilmente, ben consapevole che non potrà rifarlo nei prossimi sei mesi.

 

Allo stesso tempo, e dato che i neonazisti di Alba Dorata non svolgono più abbastanza il loro ruolo sia di spaventapasseri sia di ostacolo a qualsiasi resistenza patriottica organizzata nel paese reale, il sistema si appresta a creare nuovamente un falso partito della dignità e della resistenza, questa volta a destra, dopo avere adottato, come sappiamo... l'animale da compagnia politico SYRIZA. L'obiettivo è incanalare le scelte politiche dei greci, specialmente nel caso che gli attuali partiti pseudo-politici non bastino, come peraltro è già ampiamente dimostrato.

 

Ricapitoliamo, almeno per il momento. Il debito, la cosiddetta austerità, la Troika, l'indebolimento del Paese, la distruzione dei diritti dei lavoratori e dell'economia reale, la perdita della sovranità e il rischio demografico e di identità posto dalla questione migratoria: tutto questo forma un mix esplosivo.

 

Alexis Tsipras spingerà fino in fondo questa politica totalitaria plasmata nei laboratori del globalismo e dell'europeismo, dove d'altra parte beccano già da un po' lui e i suoi amici dell'ultima mafia politica. In perfetto accordo con l'impresa Soros, "questo ragazzaccio che ha impoverito le persone in tutto il mondo con le sue macchinazioni finanziarie e che ha lavorato sodo per sconvolgere e distruggere culture e società locali, attraverso le iniziative della 'Open Society', la sua società di attivisti dai molti tentacoli".

 

Così, come ha notato il giornalista Andreas Mazarakis nel suo programma radiofonico, Tsipras ha immediatamente concesso il nome di "Macedonia del Nord" ai vicini slavomacedoni della Repubblica di Macedonia, e come per caso gli Antifa di Atene (collegati come è noto a Soros), fanno appello, attraverso i loro manifesti, al cambiamento del nome della regione greca della Macedonia, in "Macedonia del Sud", in aperta promozione dell'irredentismo di Skopje (allo stesso modo finanziato da Soros), che ha tra l'altro lo scopo di spezzare la Grecia (trasmissione del 4 luglio 2018, radio 90,1 FM). Contrariamente a quanto racconta Tsipras da due settimane, il suo accordo macedone non riappacifica le passioni balcaniche, esattamente al contrario mette in pericolo la già precaria situazione geopolitica nella regione.

 

Alexis Tsipras ha avviato una politica rinunciataria di impronta pericolosamente strategica in tutti i dossier di politica estera greca, in cambio di vantaggi penosi e peraltro effimeri in politica interna. Anche solo per questa ragione e per il tradimento del referendum con il suo  putsch parlamentare del 2015, Alexis Tsipras dovrebbe prima o poi essere processato per alto tradimento.

 

Allo stesso tempo Tsipras impone tutta una serie di misure che facilitano l'installazione dei migranti, che il paese non desidera, in quanto non è in grado di integrarli, per di più  trasformando alla fine molti territori greci in terre musulmane, che consentiranno, se il processo non viene fermato, di realizzare il sogno geopolitico della riconquista della Grecia cristiana (ad esempio quella delle isole greche del Mar Egeo) da parte di una Turchia islamizzata e neo-ottomana.

 

Già senza che se ne parli molto nei media, SYRIZA, questo "governo" dell'eutanasia nazionale e storica, insieme alle ONG, che sempre più spesso lo sostituiscono senza la minima legittimità democratica, sistema qua e là in tutta la Grecia continentale strutture di accoglienza per i migranti, con - lo si deve notare - la gentile partecipazione dei funzionari locali eletti, questi ultimi come sempre a caccia di affari succosi, e in queste faccende di soldi ne girano.

 

E quando i Greci, sopraffatti, chiedono con una certa razionalità perché questo Paese che lascia emigrare i suoi figli e che sta affondando dovrebbe essere costretto ad accogliere i migranti dalla Turchia e dalla Germania, in condizioni pietose, incentrate su una sostituzione parziale, ma consistente, della sua popolazione, la risposta dell'internazionale globalista (Europeisti, Syrizisti, Antifa e altri) rimastica la vecchia cannabis guasta del dirittiuniversalismo, dell'umanitarismo e del multiculturalismo in tutte le salse.

 

Il tutto contro l'opinione e la volontà dei cittadini, che sono gli unici che possono decidere legalmente e legittimamente del grado e del momento di apertura e chiusura del loro paese. Ma ormai in Grecia, dopo otto anni di "gestione" e mutazione, così come mutilazione troikana, tra umiliazioni e attacchi alla dignità del popolo greco e prima di tutto alla Costituzione del Paese, l'immigrazione di massa imposta dagli stessi centri di potere imperiale e dalla Turchia può solo provocare una ferita di più e di troppo al sentimento popolare della sovranità nazionale.

 

Ricordiamo anche ciò che sottolineava Cornelius Castoriadis (nel 1984) a proposito degli imperi coloniali, prendendo l'esempio della Nuova Caledonia: le "popolazioni immigrate minoritarie, che come sempre in questi casi sono più dalla parte del potere dominante (un po' come gli indiani in Sud Africa); questi ultimi, in particolare, non hanno alcun desiderio che i Kanak stabiliscano un loro stato indipendente " (Cornelius Castoriádis,"Thucydide, la force e le droit").

 

Attualmente, i globalizzatori imperiali (la potenza dominante) che distruggono gli Stati e le nazioni in Europa e altrove stanno organizzando questa massificazione della presenza dei migranti sul suolo europeo, sapendo che i migranti (molto selettivamente musulmani) sono e saranno dalla loro parte. D'altra parte questi migranti, già sradicati (di solito da quegli stessi globalizzatori) condividono con gli europeisti (tra cui la classe politica del genere di SYRIZA, che ci instilla in testa le stupidaggini postmoderne) e con gli  amministratori coloniali, lo stesso uso delle parole e... delle terre. Per gli uni e per gli altri i paesi europei non devono essere che dei semplici territori di sfruttamento e di conquista, dal basso come dall'alto, senza ovviamente condividere (quando non la osteggiano apertamente) né la storia, né la cultura e ancor meno le abitudini dei popoli europei, per il momento ancora in maggioranza a casa loro.

 

Da un altro punto di vista, questo è esattamente ciò che sostengono i leader politici della Turchia, apertamente e da molto tempo. "Il problema greco-turco sarà risolto dalla demografia", così ha sostenuto Turgut Özal ai suoi tempi, prefigurando la corrente neo-ottomana di Ahmet Davutoglu, ripresa da Recep Tayyip Erdogan. Non è un caso che è proprio nelle isole greche, la cui popolazione è cristiana al 100% e che la Turchia rivendica apertamente, che i leader della Turchia e i loro contrabbandieri, comprese le ONG, facciano... pazientare tante migliaia di giovani musulmani, del resto sradicati e infelici.

 

E quando Tsipras e più in generale i Syrizisti... senza patria stimano che accordando massicciamente la concessione di nazionalità greca ai migranti rimpiazzeranno così gli elettori di cui sono e sempre più saranno privi, ebbene, si sbagliano. È uno degli assi centrali dell'attuale politica turca, esplicitamente descritto nel libro di punta di Ahmet Davutoglu , "Profondità strategica".

 

Si tratta del rafforzamento del ruolo politico delle popolazioni musulmane in tutti i Balcani sotto il controllo della Turchia, tra le altre cose attraverso la creazione di partiti politici musulmani o turco-musulmani, ed è quello che si realizzerà in Grecia, come già in Bulgaria. Devo anche far notare ciò che pochi media ricordano, e non per caso. Il "governo" SYRIZA/ANEL conta una maggioranza di soli 152 deputati su 300 in totale nel Parlamento (145 Syriza e 7 ANEL ), ma due deputati di SYRIZA provengono dalla minoranza musulmana in Tracia, e quindi sono sufficientemente "confermati e supervisionati"da Ankara. È anche questa una... griglia di lettura possibile e parallela degli eventi in corso!

 

Si noti, inoltre, che ogni volta che il presidente Erdogan intavola trattative con gli europei, il flusso di migranti che entrano in Europa dalla Turchia si ferma per qualche ora, giusto per mostrare chi è in realtà il maestro del gioco geopolitico in corso.

 

Nella terra di Alexis Zorbas e del suo autore Nikos Kazantzakis , siamo nella cosiddetta stagione turistica e fiera di esserlo... ora che Airbnb finisce di distruggere ciò che restava delle realtà urbane equilibrate di Atene, dopo otto anni dalla cosiddetta crisi greca.

 

In questo mese di luglio le temperature sono già piene, il ciclo è chiuso e noi lo sappiamo. Tra la questione macedone, le bugie di Tsipras - Moscovici sulla situazione in Grecia, e, infine, il problema migratorio, che è principalmente geopolitico e solo in secondo luogo umanitario, nonostante la propaganda... la vera crisi greca è solo all'inizio. Il paese, la sua gente, il suo territorio sono in pericolo di morte.

 

Decisamente, sulla terra è una cloaca. Magra consolazione, sotto l'Acropoli, i nostri animali randagi sono sempre a pieno titolo al loro posto.