29/04/19

La Chiesa ortodossa russa si oppone ufficialmente all'obbligo vaccinale nei bambini

Riprendiamo dal sito russian-faith.com la dichiarazione ufficiale della Commissione patriarcale per la Famiglia, la Maternità e l'Infanzia della Chiesa ortodossa russa, che prende posizione contro l'obbligo vaccinale, di cui si occupano alcune recenti proposte di legge in Russia. Al di là dell'equilibrio e del buon senso espressi nel documento, è sorprendente oggi che debba essere la dichiarazione di una Chiesa a ricordare che è importante rispettare la libertà di scelta dei pazienti, e che nessuna teoria scientifica deve essere assolutizzata, visto che la scienza è sempre aperta a critiche fondate, che possono portare a correzioni e a volte revisioni di idee accettate. Così come che non è limitando le informazioni contrarie ai vaccini, ma diffondendo in modo onesto e aperto informazioni complete, verificate ed affidabili che si rafforza la fiducia dell'opinione pubblica.

 

 

 

  25 aprile 2019

 

"Prima di tutto, la cura del benessere dei bambini, inclusa la loro salute, è affidata da Dio ai loro genitori. Lo Stato e la società devono rispettare la priorità dei diritti dei genitori"

 

"È noto che, parallelamente al rischio comportato dalle malattie infettive, esiste anche il rischio di gravi complicazioni - fino alla morte - a seguito di una vaccinazione preventiva. In una tale situazione, è il paziente stesso che deve fare la scelta. Nel caso di un bambino, sono i genitori che devono fare la loro scelta... Nessuno ha il diritto di fare questa scelta per loro..."

 

Nota dell'editore: Alcuni legislatori in Russia hanno proposto nuove norme che renderebbero obbligatori i vaccini, facendo diventare difficile per i genitori che non sono d'accordo opporsi alla vaccinazione dei figli. In risposta a questo passo esagerato, la Chiesa Ortodossa Russa ha rilasciato una dichiarazione, in cui si oppone pubblicamente alla legislazione proposta e invita i legislatori russi a non implementarla.

 

La seguente dichiarazione è stata rilasciata dalla Commissione Patriarcale sulla Famiglia, un ente ufficiale di consulenza che riporta al Patriarca Kirill, capo della Chiesa ortodossa russa. Tra i membri del consiglio sono inclusi padre Dmitry Smirnov e padre Maxim Obukhov, autorevoli sacerdoti di Mosca, che recentemente sono intervenuti al Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona.

 

Fonte: pk-sema.ru (in Russo)

 

Sui diritti dei genitori nel campo della salute dei bambini e dell'immunoprofilassi

 

Dichiarazione della Commissione patriarcale per la Famiglia e Protezione della Maternità e dell'Infanzia

 

La Commissione Patriarcale per la Famiglia, la Maternità e l'Infanzia ha ricevuto diversi appelli a esprimere una posizione sulla discussione pubblica in corso a proposito di alcune misure proposte da singoli legislatori, rappresentanti di dipartimenti governativi e specialisti, con la finalità di aumentare la copertura nella popolazione - soprattutto dei bambini - delle vaccinazioni preventive.

 

Recentemente, in occasione di eventi di alto livello, sono state proposte alla discussione pubblica le seguenti misure, in particolare:

 

  • - limitazione del diritto dei genitori a dare il consenso volontario informato riguardo alla vaccinazione preventiva dei bambini o a rifiutarla;

  • - limitazione del diritto dei bambini non vaccinati a frequentare le lezioni nelle organizzazioni educative;
    - introduzione di documenti vaccinali obbligatori per i bambini (compresi documenti elettronici) in cui siano registrati i motivi del rifiuto di una o dell'altra vaccinazione;

  • - limitazione della diffusione di informazioni critiche nei confronti della prevenzione ottenuta attraverso i vaccini.



 

 

A questo proposito, la Commissione patriarcale ritiene necessario dichiarare quanto segue:

 

"La Chiesa ortodossa ha un grandissimo rispetto per le attività mediche, che si basano sul ministero dell'amore, volto a prevenire e alleviare la sofferenza umana" [1]. Grazie ai progressi della scienza medica, anche nel campo della prevenzione, sono diventati possibili la prevenzione e la cura di molte malattie, così come un reale sollievo delle sofferenze che queste portano alle persone.

 

La chiesa non valuta l'efficacia né il rischio degli effetti indesiderati conseguenti a specifici interventi medici o a farmaci. Questa valutazione è l'oggetto di ricerche basate su prove raccolte con standard scientifici e sulla libera discussione degli specialisti universitari. Allo stesso tempo, "La Chiesa mette in guardia contro i tentativi di assolutizzare qualsiasi teoria medica" [2], ricordando che le opinioni scientifiche sono in evoluzione e sono sempre aperte a critiche valide, che possono portare a correzioni e, talvolta, a revisioni di idee ormai accettate.

 

Allo stesso tempo, la Chiesa non può astenersi dalla valutazione degli aspetti morali di questa sfera dell'attività umana. La sua posizione, in particolare, si basa sul seguente principio: "La relazione medico-paziente deve essere basata sul rispetto per l'integrità, la libera scelta e la dignità dell'individuo. La manipolazione dell'uomo è inaccettabile anche in nome dei migliori propositi"[3].

 

Prima di tutto, la cura del benessere dei bambini, inclusa la loro salute, è affidata da Dio ai loro genitori. Lo Stato e la società devono rispettare la priorità dei diritti e delle responsabilità dei genitori, basate sulla presunzione della loro buona fede. Sono i genitori a dover prendere le decisioni relative all'educazione dei bambini, alla loro istruzione e alla loro assistenza sanitaria. Si può fare eccezione a questo principio solo in presenza di azioni deliberatamente malvagie o criminali da parte dei genitori.

 

Vale la pena ricordare che il riconoscimento nei sistemi giuridici di diversi Paesi della necessità di ottenere un consenso volontario informato prima di praticare un intervento medico e il diritto di rifiutarlo è stato una conseguenza della condanna dei crimini nazisti nel processo di Norimberga, comprese le manipolazioni mediche imposte e gli esperimenti effettuati su persone. Da allora, il rispetto di questi principi etici e legali è diventato una caratteristica comune in ogni società normale.

 

Questi principi sono riconosciuti dalla legge russa. Diverse leggi federali affermano il diritto dei genitori a dare il loro consenso volontario informato a un intervento medico che riguardi i loro figli, comprese le vaccinazioni preventive, o a rifiutarlo [4].

 

È noto che, parallelamente al rischio comportato dalle malattie infettive, esiste anche il rischio di gravi complicazioni - fino alla morte - in conseguenza di una vaccinazione preventiva. In una tale situazione, è il paziente stesso che deve fare la scelta. Nel caso di un bambino, sono i genitori che devono fare la loro scelta in ciascun caso particolare, tenendo conto dei consigli e delle raccomandazioni degli specialisti, nonché di altre informazioni. Nessuno ha il diritto di fare questa scelta per loro, neanche seguendo la comprensione ben informata da parte del bambino.

 

La Commissione patriarcale ritiene che:

 

  • - I genitori debbano mantenere il diritto di prendere decisioni informate in merito alla salute dei loro figli, comprese le vaccinazioni preventive, senza subire alcuna pressione. La persecuzione dei genitori che esercitano questo diritto è inaccettabile.

  • - I genitori non debbano essere costretti in alcun modo a indicare le ragioni su cui si basano le loro scelte. Un intervento medico o il suo rifiuto deve rimanere un segreto medico protetto dalla legge.

  • - Il diritto dei bambini all'educazione, compresa la possibilità di studiare negli istituti scolastici, non deve essere limitata perché i loro genitori si sono rifiutati di far effettuare su di loro le vaccinazioni preventive, eccetto nei casi in cui si verifichino malattie infettive di massa o la minaccia immediata di epidemie.

  • - I genitori devono essere in grado di prendere le proprie decisioni, ricevendo e valutando in modo indipendente varie informazioni, incluse le informazioni critiche. Limitare la diffusione delle informazioni critiche sui vaccini preventivi non porterà ad un aumento della fiducia dei genitori nei professionisti e nel sistema sanitario. Questa fiducia sarà facilitata solo fornendo ai genitori apertamente e onestamente informazioni complete, verificate e affidabili, comprese le informazioni sui rischi associati alla vaccinazione o a vaccinazioni specifiche.


 

 

A questo riguardo, la Commissione patriarcale per la Famiglia, la protezione della Maternità e dell'Infanzia non può sostenere le misure citate in apertura.

 

Note:

[1] The Foundations of the Social Concept of the Russian Orthodox Church, XI.1.

[2] Ibid., Xi.3.

[3] Ibid., Xi.3.

[4] Art. 20 comma 2 della legge federale "Sui fondamenti della tutela della salute dei cittadini nella Federazione russa", art. 5 p. 1 e art. 11 p. 2 della legge federale "Immunoprofilassi delle malattie infettive", art. 7 p. 2 della legge federale "Prevenzione della diffusione della tubercolosi nella Federazione russa", ecc.

27/04/19

Autostrade in Francia: l'accordo segreto tra lo Stato e le società concessionarie

 

Pubblichiamo la trascrizione di questo breve video in cui la blogger francese Coralie Delaume spiega per sommi ma precisi capi il contenuto dell'accordo del 2015 tra gestori autostradali e governo francese (accordo firmato da Macron, allora Ministro dell'Industria). L'accordo, gravemente squilibrato a favore delle società concessionarie e contro gli interessi degli automobilisti francesi, era ovviamente stato secretato e solo in seguito alla battaglia legale di un attivista ha potuto finalmente essere reso noto al pubblico. Cose che accadono in Francia, ma non solo, come ben sappiamo anche noi in Italia dopo la drammatica vicenda del ponte Morandi. Ovunque le istituzioni pubbliche vengano "catturate" dai sedicenti competenti provenienti dalla élite, esse difendono gli interessi della classe che rappresentano a scapito della gran massa dei cittadini, e grazie anche alla compiacenza dei grandi media cercano di coprire la verità dei fatti. Spetta ai pochi bravi giornalisti d'inchiesta far emergere la verità, e ai cittadini trarne le conseguenze al momento del voto.

 

 

Coralie Delaume, 4 Aprile 2019 

 

Traduzione per Vocidallestero di Carlo Rimassa

 

Il 18 marzo scorso il Consiglio di Stato ha dato ragione a Raymond Avrillier, militante ecologista di Grenoble, sconfessando l'ex Ministro dell'Economia, Emmanuel Macron. Il Consiglio ha  ingiunto allo Stato di rendere pubblico un accordo segreto firmato nel 2015 da Ségolène Royal, all'epoca Ministro dell'Ecologia, Emmanuel Macron, come detto Ministro dell'Economia, e le societa' concessionarie delle autostrade francesi. Il testo dell'accordo è ormai pubblico, e qui ne daremo un breve sommario. Segnalo inoltre che si può avere il resoconto completo di tutta la vicenda delle privatizzazioni dellle autostrade, a partire dall'inizio degli anni 2000 fino a giorni nostri, leggendo la lunga inchiesta di Benoit Collombat, giornalista della cellula investigativa di Radio France. Si tratta di una inchiesta corredata di numerosi documenti, pubblicata lo scorso 30 Marzo e dal Titolo: Autostrade - Storia segreta della privatizzazione

 

Passiamo a dei rapidi cenni su alcuni fatti importanti. È noto che le autostrade sono state date in concessione alle filiali di tre gruppi industriali; per queste aziende, le concessioni rappresentano una vera macchina da soldi. Il primo gruppo, il più' importante, è Vinci, che gestisce 4380 chilometri di autostrade. Da notare che il capitale di Vinci è detenuto per il 58% da investitori stranieri. Il secondo gruppo è Eiffage, che gestisce 2080 chilometri di strade, e il terzo è Abertis, che non è' una azienda francese ma spagnola, con 1075 chilometri.

 

Ancora a proposito del contesto della vicenda; nel 2015, Ségolène Royal, ministro dell'Ecologia, decide a nome dello Stato di congelare unilateralmente le tariffe autostradali; un vero e propio 'ukase'. Il provvedimento e' contrario alla clausole del contratto firmato dalle società concessionarie; quindi, che cosa succede? Le società concessionarie minacciano di ricorrere in giudizio per far rispettare il contratto. Cominciano allora delle aspre trattative, che si concludono nell'Aprile del 2015 con la firma di un protocollo di accordo tra le concessionarie stesse e lo Stato, vale a dire  Emmanuel Macron e Ségolène Royal, il cui capo di gabinetto non era altri che Elisabeth Borne, attuale Ministro dei Trasporti nonché Direttore per le Concessioni presso Eiffage dal 2007 al 2008.

 

A proposito del protocollo, Radio France spiega che il Ministro dei Trasporti dell'epoca, Alan Vidalies, rifiutò di firmarlo in quanto non era stato coinvolto nelle trattative. Cito le sue parole: "A quarantott'ore dalla firma, fui convocato al Ministero dell'Ecologia. Il negoziato sia era svolto tra persone competenti e consapevoli, quindi suppongo la mia firma fosse solo pro-forma. Non essendo stato coinvolto nelle discussioni, rifiutai di firmare un protocollo che non avevo né sottoposto a verifiche né approvato".

 

Allora, cosa c'è dentro questo accordo? Per parecchio tempo non è stato possibile saperlo, in quanto era stato segretato. A partire dall'Aprile 2015, e per due volte, un senatore centrista, Hervé Maurey, membro della Commissione Sviluppo Sostenibile e Infrastrutture, chiede che gli siano trasmessi i documenti, ma il Primo Ministro, all'epoca Manuel Valls, rifiuta. Da parte sua, il famoso militante ecologista Raymond Avrillier si lancia in una battaglia legale per ottenere la pubblicazione dell'accordo. Si rivolge per prima cosa alla CADA (Commissione di Accesso agli Atti Amministrativi), senza risultato, e poi al Tribunale Amministrativo, che gli dà ragione nel 2016. Ma il Ministro dell'Economia, Emmanuel Macron, contesta la decisione e a sua volta si rivolge al Consiglio di Stato per cercare di far annullare la sentenza del Tribunale Amministrativo. Il 18 Marzo di quest'anno la vicenda termina, il Consiglio di Stato sconfessa Bercy (sede del Ministero dell'Economia) e lo obbliga a rendere pubblico il protocollo segreto. Il testo è adesso pubblico. La decisione del Consiglio di Stato è più che altro simbolica, visto che il testo era già arrivato nelle mani della stampa. Nel settembre 2017 France 2 ne aveva già rivelato ampi stralci, e nel gennaio di quest'anno Mediapart lo aveva pubblicato integralmente; le circa venti pagine che lo compongono sono consultabili sul sito di Mediapart.

 

Vediamo adesso in sintesi cosa contiene questo accordo non più segreto; a titolo di obbligo per le societa' concessionarie, queste si impegnano a finanziare interventi sulla rete per 3.2 miliardi di euro in dieci anni. Da notare che le filiali di Abertis, Eiffage e Vinci conferiranno questi interventi alle proprie case madri; in effetti, Vinci ed Eiffage sono imprese di costruzione di livello internazionale.

 

In cambio di questo impegno, le società concessionarie ottengono anzitutto un allungamento della durata delle concessioni, tramite la firma di una modifica al contratto originale; tutto questo senza passare per alcuna gara pubblica. Inoltre, c'è una clausola di neutralità fiscale, che obbliga lo stato a rifondere le concessionarie nel caso di aumento delle tasse sui ricavi. Se per esempio lo Stato dovesse aumentare la tassa per la manutenzione del territorio, o le accise demaniali, o qualsiasi altra imposta, sarebbe obbligato a mettere in atto misure di compensazione tali da rendere gli aumenti completamente indolori per le societa' concessionarie (per esempio concedendo aumenti dei pedaggi, o ulteriori allungamenti nella durata delle concessioni stesse).

 

Terzo punto dell'accordo, le concessionarie ottengono un rimborso sonante dei mancati guadagni causati dal blocco delle tariffe del 2015, spalmato su quattro anni. Il che vuol dire che per i prossimi quattro anni, dal 2019 al 2023, i pedaggi aumenteranno di più di quanto non fosse già previsto. L'accordo dice testualmente che "Le parti concordano che i mancati guadagni dovuti al congelamento dell'adeguamento tariffario del 1 febbraio 2015 saranno rimborsati integralmente a ciascuna societa' tramite un aumento addizionale che avra' luogo il 1 Febbraio di ciascun anno, dal 2019 al 2023, oltre agli aumenti gia' previsti dal contratto".
"Aumenti addizionali" significa che nel contratto originale c'era già una formula per definire gli aumenti annuali, che questi aumenti sono avvenuti regolarmente tra il 2016 e il 2018, e che a partire dal 2019, per quattro anni, ci saranno degli ulteriori aumenti. Secondo l'Arafer (Autorita' di controllo delle attivita' ferroviarie e  stradali), questi aumenti aggiuntivi dovrebbero ammontare a circa 150 milioni; chiaramente, sono 150 milioni a carico degli automobilisti.

 

Infine, l'accordo adesso reso pubblico concede alle società autostradali il rimborso dell'aumento della tassa di occupazione demaniale decisa nel 2013, aumento che già era stato inglobato negli aumenti dei pedaggi per il periodo 2016-2018.

 

Nel complesso, l'accordo si traduce in aumenti considerevoli per gli utenti delle autostrade, aumenti che arricchiscono gli azionisti delle società concessionarie. Nel firmare l'accordo lo Stato ha capitolato completamente, e si capisce come mai volesse mantenerlo segreto il più a lungo possibile.
Purtroppo, potrebbero esserci sviluppi ancora peggiori. In un prossimo video, parleremo del progetto folle di privatizzazione delle Routes Nationales (le statali di maggior importanza)

 

 

25/04/19

Sri Lanka: le misure del governo a seguito degli attentati si rivolgono contro la classe lavoratrice

Purtroppo non stupisce scoprire che gli attentati in Sri Lanka si sono svolti in un contesto di conflitto sociale, dove la classe lavoratrice sottopagata cerca di ribellarsi alla classe dominante, influenzata dal conflitto geopolitico tra Pechino e Washington. Il governo ha subito approfittato dell’occasione per abolire molti diritti fondamentali dei cittadini, in special modo la libertà di manifestazione e di sciopero dei lavoratori.

 

 

Di K. Ratnayake e Peter Symonds, 23 aprile 2019

 

 

Il governo dello Sri Lanka ha approfittato dell’attentato terroristico di domenica, che ha ucciso almeno 290 persone, per imporre uno stato di emergenza nazionale che assegna alla polizia e ai militari poteri draconiani di arresto e detenzione.

 

Anche se non sono stati diffusi molti dettagli, gli attacchi di domenica hanno comportati esplosioni coordinate a pochi minuti una dall’altra, in tre chiese cristiane, stracolme per le funzioni della domenica pasquale, e in tre hotel di lusso. Probabilmente il conto delle vittime salirà, dato che molti dei 500 feriti sono in condizioni critiche.

 

Il World Socialist Web Site condanna questi orrendi attentati, che hanno ucciso indiscriminatamente uomini, donne e bambini innocenti, e hanno già offerto il pretesto per imporre misure antidemocratiche.

 

Anche prima che lo stato di emergenza fosse dichiarato, il governo aveva imposto a livello nazionale un blocco senza precedenti dei social media, inclusi Facebook, YouTube e WhatsApp, presumibilmente per impedire il diffondersi di “notizie false”. È già in essere il coprifuoco.

 

Lo stato di emergenza attiverà alcune clausole chiave del noto Atto per la Prevenzione del Terrorismo (PTA), che permette ai militari, così come alla polizia, di arrestare arbitrariamente per sospetto terrorismo e detenere i sospetti per lunghi periodi anche in assenza di incriminazione.

 

Il PTA, che permette anche che confessioni estorte con la tortura vengano utilizzate in tribunale, è stato usato ampiamente durante il brutale trentennio della guerra civile dai successivi governi di Colombo contro i separatisti delle Tigri di Liberazione del Tamil Eelam (LTTE).

 

I poteri di emergenza permettono anche la soppressione forzata di ”ammutinamento, sommosse e rivolte civili” e la garanzia dell'erogazione dei servizi essenziali – una misura che in passato è stata usata per sopprimere gli scioperi. La polizia e i militari avranno anche il potere di entrare ovunque per fare perquisizioni, di prendere il controllo delle proprietà e di acquisire forzatamente proprietà anche diverse dalla terra.

 

Il WSWS avverte che queste misure profondamente antidemocratiche sono, soprattutto, dirette contro la classe lavoratrice, nel mezzo di una ripresa di scioperi e proteste contro le dure misure di austerità del governo. Centinaia di migliaia di lavoratori delle piantagioni hanno scioperato lo scorso dicembre per chiedere il raddoppio dei loro stipendi sulla soglia della povertà, prima di essere venduti dai sindacati.

 

Una delle prime azioni del governo sotto lo stato di emergenza è stata la messa al bando di tutti gli incontri e le manifestazioni per il Primo Maggio – un chiaro segno che il vero obiettivo del giro di vite è la classe lavoratrice. Il Primo Maggio è tradizionalmente osservato da una grande parte della classe lavoratrice dello Sri Lanka come giornata della solidarietà internazionale tra lavoratori.

 

Gli attentati sono avvenuti nel mezzo di un’acuta crisi politica nei circoli di potere di Colombo, alimentata sia dalle crescenti lotte di classe sia dall’intensa rivalità geo-politica tra gli Stati Uniti e la Cina.

 

L’attuale presidente dello Sri Lanka, Maithripala Sirisena, è arrivato al potere alle elezioni del 2015, sostituendo Mahinda Rajapakse in quella che è stata un’operazione di cambio regime orchestrata da Washington, con l’aiuto di Ranil Wickremesinghe, che è stato nominato Primo Ministro. Gli Usa erano ostili alle relazioni ravvicinate di Rajapakse con la Cina.

 

Tuttavia, tre anni dopo Sirisena e Wickremesinghe sono caduti, dopo che la popolarità del governo era rapidamente crollata in conseguenza dei suoi aggressivi attacchi alle condizioni di vita della classe lavoratrice. Lo scorso ottobre Sirisena ha licenziato Wickremesinghe, ha nominato come primo ministro Rajapakse e poi ha sciolto il parlamento. Sotto la pressione di Washington, è stato obbligato a fare un voltafaccia e reinstallare Wickremesinghe, dopo che la Corte Suprema ha definito incostituzionali le sue azioni.

 

Gli attentati di domenica sono avvenuti nel contesto di queste aspre rivalità, intrighi e maneggi. La rivelazione più straordinaria, ad oggi, è che dieci giorni prima degli attentati la polizia dello Sri Lanka aveva ricevuto un’allerta dall’intelligence straniera, che metteva in guardia specificamente rispetto a piani per “portare a termine attacchi suicidi mirati contro chiese importanti” dal gruppo islamico National Thowheeth Jamma’ath (NTJ).

 

Nel disperato tentativo di sviare la rabbia pubblica per il fallimento della polizia nell'agire, le fazioni rivali guidate da Wickremesinghe, Sirisena e Rajapakse stanno tutte accusandosi a vicenda. Tuttavia, nessuna delle domande ovvie ha ricevuto risposta: come è possibile che un piccolo e sconosciuto gruppo islamico, noto in precedenza solo per avere sfigurato statue buddiste, abbia ottenuto le risorse e le capacità necessarie per pianificare un attacco sofisticato e coordinato, che includeva attentatori suicidi e che avrebbe richiesto mesi di preparazione?

 

Inoltre, come è possibile che la polizia, l’esercito e i servizi di intelligence, temprati da decenni di guerra civile, non abbiano agito, anche dopo che un allarme di intelligence aveva indicato i probabili attentatori? L’establishment politico di Colombo e l’apparato di sicurezza sono legati allo sciovinismo singalese buddista e hanno forti legami con gruppi estremisti buddisti, che in passato hanno attaccato cristiani e musulmani e i loro luoghi di culto.

 

Mentre i ministri governativi hanno additato una oscura “rete internazionale”, non si può escludere che  i colpevoli si trovino più vicini. Potrebbe forse essere che una fazione dell’apparato militare abbia chiuso un occhio nei confronti dell’attacco in arrivo, o abbia perfino manipolato gli attentatori per favorire i propri obiettivi politici? Questo è certamente possibile, data la lunga storia di sporchi raggiri e crimini di cui si sono macchiate le forze di sicurezza durante la lunga guerra civile nell’isola.

 

In un commento particolarmente significativo alla BBC, il ministro delle telecomunicazioni Harin Fernando ha dichiarato: “Ci sono molti modi di vedere quanto accaduto, ma in questo momento la nostra prima priorità è di trovare quello che ha spinto questi 8 o 10 o 12 uomini a perpetrare l’attacco. Ma non escludiamo neanche un colpo di Stato [corsivo aggiunto]”.

 

Qualunque imbroglio ci sia o non ci sia dietro agli attentati, tutte le fazioni della classe al potere, nonostante la loro aspra rivalità, sono totalmente unite su una questione fondamentale: una paura intensa di, e un’ostilità verso, le crescenti difficoltà della classe lavoratrice.

 

L’imposizione di misure da stato di polizia in Sri Lanka, inclusa, per la prima volta, la chiusura dei social media, è parte integrante dell’agenda anti-democratica che viene imposta in tutto il mondo. Lo scorso mese, all’indomani dell’attacco fascista contro le moschee della Nuova Zelanda, il governo censurò Internet e sta ampliando l’apparato repressivo dello stato. Ora gli attentati in Sri Lanka vengono sfruttati per creare nuovi precedenti, che saranno anch’essi implementatati altrove in Asia e in tutto il mondo.

 

 

24/04/19

De Grauwe e Polan - L’inflazione è sempre e ovunque un fenomeno monetario?

Traduciamo sommario e conclusioni di un importante paper pubblicato su International Macroeconomics nel 2001. De Grauwe e Polan dimostrano che l'assunzione,  così diffusa sulla nostra stampa e nella mentalità comune, per cui la stampa di moneta provoca sempre inflazione  non ha alcun riscontro pratico nelle economie, come quelle dell'eurozona, caratterizzate da bassa inflazione. Era quindi noto fin dal 2001 che le politiche della BCE - che pretendono di calibrare l’inflazione agendo sugli aggregati monetari – sono inutili e destinate a fallire. Questo paper tra l'altro risulta utile a inquadrare un certo dibattito in corso...

 

 

Di Paul De Grauwe e Magdalena Polan, giugno 2001

 

 

Sommario

 

Utilizzando un campione di 160 paesi negli ultimi 30 anni, verifichiamo la relazione tra moneta e inflazione esposta dalla teoria quantitativa. Analizzando l’intero campione di paesi troviamo una relazione positiva forte tra l’inflazione di lungo periodo e il tasso di crescita della moneta. La relazione, tuttavia, non è proporzionale. Il forte collegamento tra l’inflazione e l’espansione monetaria è quasi interamente dovuto alla presenza nel campione di paesi ad alta (o altissima) inflazione. La relazione tra inflazione ed espansione monetaria per i paesi a bassa inflazione ( negli ultimi 30 anni inferiore in media al 10% annuo) è debole. Troviamo che l'inflazione media di lungo periodo e i fattori specifici per paese hanno un’influenza significativa sulla forza della relazione. Confermiamo anche che l’espansione monetaria e la crescita economica nel lungo periodo sono indipendenti; ossia tassi più alti di crescita monetaria non portano a maggiori tassi di crescita del Pil.

 

[…]

 

Conclusioni

 

La teoria quantitativa della moneta è basata su due asserzioni. In primo luogo, nel lungo periodo c’è proporzionalità tra la crescita monetaria e l’inflazione, ossia quando la crescita monetaria aumenta di una data percentuale, l’inflazione aumenta anch’essa della stessa percentuale. Inoltre, nel lungo periodo l’espansione monetaria da una parte e la crescita economica e i cambiamenti nella velocità di circolazione della moneta dall’altra sono indipendenti, ossia produzione e cambiamenti di velocità di circolazione non vengono influenzati dalla crescita della moneta.

 

Abbiamo sottoposto queste asserzioni a verifica empirica utilizzando un campione che comprende la maggior parte dei paesi del mondo negli ultimi trent’anni. I nostri risultati possono essere riassunti come segue. In primo luogo, analizzando l’intero campione di paesi, troviamo una forte relazione positiva tra l’espansione monetaria di lungo periodo e l’inflazione. Tuttavia, questa relazione non è proporzionale.

 

Il nostro secondo risultato è che questo forte legame tra inflazione e crescita della moneta è quasi interamente dovuto alla presenza nel campione di paesi ad alta inflazione (o con iperinflazione).  La relazione tra l’inflazione e la crescita monetaria per i paesi a bassa inflazione (in media inferiore al 10% annuo nei 30 anni) è debole, se non inesistente. Dall' analisi dei dati panel da noi raccolti concludiamo che per i paesi a bassa inflazione (ossia con inflazione annua inferiore al 10%) non ci sono prove di una relazione proporzionale di lungo periodo tra espansione monetaria e inflazione, come invece previsto dalla teoria quantitativa. Troviamo anche, peraltro, che questa mancanza di proporzionalità tra espansione monetaria e inflazione non è dovuta a una relazione sistematica tra espansione monetaria e crescita della produzione. Troviamo che, conformemente alla seconda asserzione della teoria quantitativa della moneta, nel lungo periodo l’espansione monetaria e la crescita economica sono indipendenti, ossia tassi più alti di espansione monetaria non portano a maggiori tassi di crescita economica. Questo risultato è coerente con il gran numero di analisi econometriche che usano serie temporali su singoli paesi. La maggior parte di questi studi ha dimostrato che nel lungo periodo la moneta è neutrale, ossia non ha effetti permanenti sul livello di produzione.

 

Un terzo risultato (ottenuto da un’analisi di dati panel) indica che effetti specifici per paese assumono un'importanza crescente quando il tasso di inflazione aumenta. Interpretiamo questo risultato nel senso che la velocità accelera al crescere dell’inflazione; portando così a tassi di inflazione superiori ai tassi di crescita degli aggregati monetari.  Ciò spiega anche perché nelle regressioni trasversali i tassi di inflazione aumentano più che proporzionalmente alla crescita della moneta nei paesi ad alta inflazione.

 

Infine, troviamo che nei paesi a bassa inflazione la crescita della moneta e i cambiamenti nella sua velocità di circolazione sono inversamente correlati, mentre nei paesi ad alta inflazione è vero il contrario, ossia l’espansione monetaria e la crescita della velocità sono correlate positivamente. Quest’ultimo risultato conferma la nostra interpretazione della correlazione positiva tra espansione monetaria ed effetti fissi nel nostro modello di dati longitudinali.

 

Si può dare a questi risultati la seguente interpretazione. Nel gruppo dei paesi a bassa inflazione, l’inflazione e la crescita del Pil sembrano fenomeni di derivazione esogena, per lo più non correlati al tasso di crescita degli aggregati monetari. Di conseguenza, i cambiamenti della velocità di circolazione della moneta devono necessariamente condurre a cambiamenti di natura opposta negli aggregati monetari (data la definizione p+y=m+v).

 

La situazione è molto diversa nei paesi ad alta inflazione. Nel loro caso, un aumento nella crescita degli aggregati monetari porta  a un incremento sia dell’inflazione che della velocità. Quest’ultima rinforza la dinamica inflazionistica. Questo processo è stato ben documentato negli studi empirici sull'iperinflazione ed è confermato dai nostri risultati (vedere Cagan, 1956).

 

Tutto questo porta alla conclusione che per i paesi a bassa inflazione respingiamo la previsione di proporzionalità della teoria quantitativa. Confermiamo, d'altra parte, che moneta e  produzione nel lungo periodo sono indipendenti.

 

I nostri risultati hanno delle implicazioni sulla questione dell’utilizzo degli aggregati monetari come obiettivi intermedi della politica monetaria. Come ben noto, la Banca centrale europea continua a dare un ruolo di primo piano al tasso di crescita degli aggregati monetari nella sua strategia di politica monetaria. La BCE basa questa strategia sulla considerazione che “l’inflazione è sempre e ovunque un fenomeno monetario”. Ciò può essere vero per i paesi ad alta inflazione. I nostri risultati, tuttavia, indicano che non esiste alcuna prova di questa affermazione in contesti di inflazione relativamente bassa, che è una caratteristica dei paesi dell’eurozona. In questo ambiente la crescita monetaria non è utile a segnalare condizioni inflattive. Ne consegue anche che l’uso degli aggregati monetari come strumento per indirizzare le politiche economiche verso l'obiettivo della stabilità dei prezzi non sarà di alcuna utilità per i paesi a inflazione storicamente bassa.

 

 

Il culto di Greta Thunberg

Come riporta Spiked, le proteste ambientaliste attuali stanno prendendo la pericolosa china della setta religiosa. I manifestanti sembrano invasati del Seicento che invocano punizioni e prevedono disgrazie. La loro rabbia non si rivolge contro i potenti, ma contro le persone normali, colpevoli di vivere una vita agiata. Occorre respingere questo attacco al benessere della gente comune, riconducendo la tematica ambientale nell’alveo della discussione razionale e della conciliazione tra politiche ambientali e sociali.

 

 

 

Di Brendan O’Neill, 22 aprile 2019

 

 

Chiunque dubiti che il movimento ambientalista si stia trasformando in una sorta di culto millenarista dovrebbe osservare bene Greta Thunberg. Questa povera ragazza sembra e parla sempre di più come il membro di una setta. La voce monotona. La luce di terrore apocalittico nei suoi occhi. I riferimenti espliciti al grande “fuoco” imminente che ci punirà per i nostri eco-peccati. C’è qualcosa di agghiacciante e oggettivamente arcaico nella Thunberg. Possiamo immaginarla in una spoglia chiesa di legno della colonia di Playmouth nel 1600, mentre ammonisce i parrocchiani sul fuoco dell’inferno che pioverà su di loro se non consegneranno le streghe.

 

In realtà ha davvero senso che la Thunberg – una sedicenne svedese enormemente celebrata, che ha fondato il movimento di sciopero per il clima tra i ragazzi in età di andare a scuola – ricordi gli appartenenti a una setta. Perché l’allarmismo sui cambiamenti climatici sta diventando sempre più strano, al confine con il religioso, ossessionato da profezie di sventura. Consideriamo la Ribellione all’Estinzione, l’ultima manifestazione di disprezzo della classe medio-alta nei confronti dell’industrializzazione e del progresso. A volte è indistinguibile dai vecchi movimenti fondamentalisti che mettevano in guardia l’umanità sull'arrivo imminente dell’Apocalisse. Ieri ho seguito la Ribellione all’Estinzione dalla piazza del parlamento fino a Marble Arch e quello che ho visto era un’esposizione pubblica di paure millenarie e depressione borghese. La gente faceva danze della morte e sbandierava cartelli di avvertimento sulla morte per riscaldamento del pianeta. Era profondamente snervante.

 

Quello che mi ha colpito è che era una marcia contro le persone. In genere, la maggior parte delle proteste radicali e delle azioni dirette è rivolta contro la burocrazia o il governo o la gente di potere. Questa macabra scarpinata che si aggirava per Londra era diretta contro le persone normali. Gli striscioni e i cartelli non mascheravano in alcun modo il disprezzo dei manifestanti verso lo stile di vita delle masse. Ci veniva detto che “carne = calore” (ossia, se continui a mangiare carne, caro grasso bastardo, il pianeta diventerà ancora più caldo) e che guidare l’auto e volare stanno distruggendo la Madre Terra. Naturalmente, solo se sono loro a volare va bene – Emma Thompson ha volato in prima classe in un jet da Los Angeles a Londra per arringare noi plebaglia riguardo a tutto il nostro gozzovigliare eco-distruttivo. Il problema nasce solo quando lo facciamo noi; non va bene solo quando noi ci avvantaggiamo del miracolo della produzione di massa di cibo e dell’espansione della possibilità di volare per rendere le nostre vite più piene e più piacevoli. Loro lo detestano. Detestano la società di massa e i suoi abitanti: le masse.

 

In armonia con tutti i movimenti millenaristi, il culto verde ossessionato dall’estinzione riserva la sua furia sacerdotale contro la gente comune. Anche quando esercita pressioni sui governi, quello che sta chiedendo davvero è di punire noi. Vuole controlli più stretti sulla guida dell’auto, restrizioni sui voli in aereo, tasse "verdi" sulla carne. Il fatto che queste cose colpirebbero duramente le tasche della gente comune – ma non le profonde tasche di Emma Thompson e degli eco-snob con due cognomi che guidano la Ribellione all’Estinzione – è irrilevante per la borghesia arrabbiata. Sono così convinti della propria bontà, e della nostra malvagità, che pensano sia totalmente accettabile che la burocrazia renda la nostra vita più difficile per imporci di essere più “verdi”. Le persone che si lamentano che la Ribellione all’Estinzione ha complicato la vita della gente a Londra nei giorni scorsi non colgono il punto – il fine ultimo del movimento verde è complicare la vita della gente comune, e perfino impoverirla. Tutto nel nome del “salvare il pianeta”.

 

E ora il culto verde ha spinto la Thunberg nella posizione di suo leader globale, di suo salvatore incarnato in un bambino, di messia del suo deprimente credo politico. Quello che hanno fatto alla Thunberg è imperdonabile. L’hanno gonfiata – e milioni di bambini con lei – con la politica della paura. Hanno convinto la prossima generazione che il pianeta sia sull’orlo della catastrofe. Hanno iniettato terrore nella giovinezza. “Voglio che voi siate terrorizzati”, ha dichiarato la Thunberg a Davos, e i miliardari e le celebrità e i predoni delle ONG che erano presenti si sono bevuti tutto. Perché la società adulta non chiede di meglio che le sue paure e la sua confusione siano obbedientemente ripetute a pappagallo dai suoi adolescenti. Inneggiano alla Thunberg perché lei dice loro quanto sono orribili: è una relazione totalmente sadomasochista, che parla al profondo disgusto di sé delle élite del ventunesimo secolo.

 

Cari ragazzi, la Thunberg non è il vostro leader. È un capro espiatorio per adulti elitari e spaventati. Non fate quello che dice. Al contrario, rifiutate la paura, prendetevi gioco delle stupidaggini sulle fiamme dell’inferno e apprezzate il fatto che la trasformazione del pianeta da parte dell’umanità è stata una cosa gloriosa che ha aumentato l’aspettativa di vita, ha permesso a miliardi di persone di vivere nelle città, e ha reso possibile perfino per i meno abbienti viaggiare in tutto il pianeta. Peccate contro Greta.

19/04/19

Il Parlamento greco approva una risoluzione per richiedere alla Germania le riparazioni della Seconda guerra mondiale

Ed ecco un'altra manifestazione del grande clima di fratellanza e pace donatoci dall'Unione europea: la Grecia - ovvero il Paese che ha pagato più caro il sistema di folli regole previste dal trattato di Maastricht e l'intransigenza nel farle rispettare a dispetto del buon senso e delle evidenze dell'Economia - ha un tardivo guizzo di orgoglio e richiede alla Germania le riparazioni per le sofferenze inflittele durante la Seconda guerra mondiale. Forse, potrebbe fare un conto unico con le sofferenze inflitte alla popolazione in occasione dell'ultima crisi, la peggiore della storia. Da Keep talking Greece.

 

 

di KeepTalkingGreece, 7 aprile 2019

 

Il parlamento greco ha approvato una risoluzione che invita ufficialmente il governo a presentare le sue richieste per ottenere le riparazioni tedesche della Seconda guerra mondiale. L'adozione della risoluzione da parte del parlamento apre la strada ad azioni diplomatiche e legali. La Grecia invierà presto una cosiddetta "nota verbale" alla Germania.

 

Il parlamento greco mercoledì sera ha approvato a larga maggioranza una risoluzione che invita ufficialmente il governo a presentare le sue richieste per le riparazioni tedesche della Seconda guerra mondiale.

 

I partiti hanno votato alzandosi in piedi, compreso Alba Dorata, estrema destra, mentre i deputati del partito comunista (KKE) sono rimasti seduti, affermando di appoggiare la propria risoluzione, che chiedeva di presentare una denuncia sia alla Germania sia a tutte le agenzie internazionali competenti.

 

La risoluzione chiede al governo greco "di intraprendere tutte le azioni diplomatiche e legali appropriate per richiedere e ottenere piena soddisfazione di tutte le richieste dello stato greco riguardo alla Prima e Seconda guerra mondiale".

 

Il primo passo sarebbe una nota verbale inviata dal governo greco a Berlino.

 

La richiesta di riparazione si riferisce al prestito della Grecia alla Germania, ai risarcimenti per le città e i paesi distrutti e per le famiglie delle vittime, alla distruzione e al furto di manufatti culturali e alla carestia.
"La questione riveste una molteplicità di aspetti", ha dichiarato il presidente del Parlamento, Nikos Voutsis, aggiungendo che il parlamento europeo e tutti i parlamenti nazionali degli stati membri dell'Ue saranno informati della risoluzione, una volta votata.

 

Ha detto inoltre che il ritardo nella richiesta, dopo un rapporto parlamentare ufficiale uscito due anni fa, è stato dovuto al fatto che il governo non voleva sollevare la questione fino alla fine del memorandum sul prestito alla Grecia.

 

"La Grecia non ha mai rinunciato a nessuna delle sue richieste nei confronti della Germania", ha dichiarato, riferendosi alle conclusioni del comitato parlamentare interpartitico, che ha anche stabilito che queste richieste non possono essere cancellate né essere considerate scadute. Da amna.gr.

17/04/19

Al servizio della CIA: nazisti tedeschi e fascisti italiani

Da ZeroAnthropology, la recensione del documentario "Nazis in the CIA", che cerca di unire i molti puntini che collegano CIA e nazisti e fascisti in fuga dopo la Seconda Guerra Mondiale: dalla mancata denazificazione della Germania, dove molti ex-nazisti tornarono in posizioni apicali nella Germania Federale, all'uso dell'oro nazista e delle riserve italiane per finanziare il Piano Marshall; dal reclutamento attivo di nazisti e fascisti per spiare il governo tedesco e influenzare le elezioni italiane, al loro uso in diversi paesi europei e in America Latina all'interno della strategia anti-comunista americana durante la Guerra Fredda; ad essere scardinata è la narrazione secondo cui gli USA entrarono in guerra per "sconfiggere i nazisti" e quella, attualmente usata negli USA per indebolire l'amministrazione americana, secondo cui le agenzie di intelligence costituirebbero un contrappeso democratico al potere di un governo regolarmente eletto. Insomma, un verminaio che ha generato, o lasciato generare, mostri come Colonia Dignidad sotto il regime di Pinochet, non ha veramente nulla di cui farsi esempio.

 

 

 

di Maximilian C. Forte, 29 marzo 2019

 

 

Oltre a impiegare gli scienziati della Germania nazista, e adottare i metodi, i principi e la scienza dei nazisti nello sviluppo dell'arte bellica moderna, per quali altri fini i nazisti furono ricercati dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale? Come poterono i fascisti perpetuare la loro ideologia ed espandere le loro reti dopo che gli USA avevano occupato l'Italia, e in particolar modo mentre la CIA era più attiva negli affari italiani? Dopo tutto, gli Stati Uniti non entrarono in guerra per "combattere il fascismo"? Cosa accadde alle ricchezze conservate in segreto dai nazisti? In che modo gli USA interferirono nelle elezioni italiane? Gli Stati Uniti hanno sponsorizzato il terrorismo in Italia? È sbagliato associare i generali, sostenuti dagli USA, che presero il potere in America Latina negli anni '70 del Novecento, e successivamente, con i "nazisti", o c'è qualcosa di fondamentalmente giusto nell'associazione? In quali altri modi gli Stati Uniti hanno beneficiato direttamente sostituendosi ai nazisti? A quali posizioni di alto profilo furono promossi i nazisti dopo la Seconda Guerra Mondiale? Quali ne furono le conseguenze?

 

Nella Seconda Guerra Mondiale i nazisti furono combattuti violentemente, e si può dire che "persero" la guerra solo in termini strettamente militari. I nazisti non furono cancellati: furono semplicemente resi più o meno apolidi. La fine della guerra permise addirittura ai nazisti di espandere le loro reti in nuove giurisdizioni. I nazisti furono ampiamente impiegati, e addirittura imitati, in numerose nazioni nei decenni a venire. È passato molto tempo da quando abbiamo smesso di ripetere il mito secondo cui gli Stati Uniti entrarono nella Seconda Guerra Mondiale per combattere e sconfiggere i nazisti in quanto tali, che si trattava di "fermare il fascismo". Le prove semplicemente non supportano questa visione.

 

Negli Stati Uniti, dove negli anni recenti un parte significativa dell'opinione pubblica ha conferito uno status sacro ad agenzie come la CIA, perché presumibilmente agiscono come un "contrappeso" al potere del governo eletto dagli americani, si spererebbe che il tornare ad incontrarsi con la realtà storica faccia riflettere. Men che mai l'opinione pubblica dovrebbe rivolgersi a qualcosa come la CIA per ottenere "la verità" - diffondere informazioni veritiere è ben lontano dall'agenda della CIA, ed è incredibile che ci sia bisogno di ricordarlo. Desiderare un capovolgimento del governo civile, aspettarsi che un'amministrazione eletta si inginocchi alla CIA e alle altre agenzie della "sicurezza nazionale" e mostri la dovuta deferenza e rispetto, è in effetti un colpo di stato, anche se non lo stesso tipo di colpo di stato che la CIA ha ingegnerizzato in dozzine di nazioni sul pianeta. Quello che la CIA non è e non è mai stata è un "contrappeso" all'espansione di nazisti e fascisti.

 

I nazisti nella CIA

 



Nazis in the CIA (2017) [I nazisti nella CIA, ndt] del regista Dirk Pohlmann è un documentario di 51 minuti, in cui ogni minuto offre indizi e informazioni eccezionali. È stato pubblicato originariamente in Germania nel 2013 col titolo Dienstbereit - Nazis und Faschisten im Auftrag der CIA (che è la versione che può essere vista gratuitamente online su YouTube e Der Spiegel). È infatti uno dei migliori documentari recensiti finora su questo sito. Lungi dall'essere un film "complottista" che viene automaticamente respinto in quanto tale senza neanche pensarci dal buon cittadino medio scettico, il film presenta documentazione rilevante con un approccio professionale, calmo ed esplicativo. Il film si basa in larga misura su documenti declassificati che rivelano le attività della CIA dopo la Seconda Guerra Mondiale, e anche su interviste ad esperti e persino ad alcuni dei protagonisti chiave esaminati nel film.

 

Il tema del film è evidente già nel titolo. Ci porta oltre le risapute nozioni basilari dell'Operazione Paperclip, mostrandoci che i nazisti (e non solo i tedeschi che lavoravano per i nazisti) erano ricercati per molto più della semplice conoscenza della missilistica e della fisica nucleare. Ed è solo l'inizio. Per quelli che non possono ottenerne una copia, il film sarà descritto di seguito in dettaglio, insieme a due filmati.

 

[caption id="attachment_17499" align="alignnone" width="1024"] Paul Dickopf, in un fermo immagine del film[/caption]

 

L'Interpol, la Polizia Federale Tedesca, e la CIA

 

La BKA, la Polizia Federale Tedesca a Wiesbaden, per sei anni fu guidata da Paul Dickopf, un uomo che sosteneva di essersi opposto ai nazisti. Fino al 1971, fu il maggior combattente della Germania contro il crimine. Nel 1968, divenne presidente dell'Interpol. Dopo la sua morte, nel 1973, il personale cercò la sua documentazione per compilare un necrologio di quest'uomo, portato come un esempio per tutta la polizia tedesca da alti funzionari del governo. Quello che trovarono furono le prove che Dickopf era stato un convinto nazista, e un membro delle SS. Oltre che essere stato un membro delle SS e una spia nazista, poco prima della fine della Seconda Guerra Mondiale Dickopf lavorò come agente degli americani, sotto il nome in codice CIA "Caravella". Questa relazione continuò dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, e fu così che il membro di più alto grado della polizia tedesca divenne un informatore della CIA, che passava i segreti del proprio governo alla CIA. Il cancelliere Willy Brandt era "di particolare interesse per gli americani", come ci dice la voce narrante del film, ricordandoci che Brandt perseguì politiche che erano sempre più indipendenti dagli interessi geopolitici americani.

[caption id="attachment_17498" align="alignright" width="350"] Paul Dickopf[/caption]

[caption id="attachment_17497" align="alignleft" width="700"] Un documento della CIA che indica l'accordo dell'agenzia con Paul Dickopf, nome in codice "Caravella".[/caption]

 

Uno degli amici fondamentali di Dickopf era il noto Francois Genoud, un finanziere nazista che viveva in Svizzera. Per un certo periodo, Dickopf ha anche vissuto con Genoud. Genoud era un fan indefesso di Adolf Hitler. Egli salvaguardò anche le fortune naziste e delle SS dopo il 1945. Pubblicò i diari di Goebbels, e ci fece un sacco di denaro, usando il ricavato per finanziare la difesa legale di Adolf Eichmann e Klaus Barbie. Era anche legato ad una parte del terrorismo medio-orientale.

 

[caption id="attachment_17496" align="alignleft" width="700"] Un documento della CIA che mostra che l'agenzia era a conoscenza dei legami tra Dickopf e Genoud.[/caption]

 

 

 

 

 

Alcuni dei contenuti del film sono particolarmente schiaccianti. Genoud era ritenuto il finanziatore di diversi attacchi terroristici, incluso il dirottamento di un volo Lufthansa che terminò con milioni di dollari di riscatto pagati ai palestinesi, e anche il massacro delle Olimpiadi di Monaco nel 1972, che finì coll'assassinio di 11 atleti israeliani. In risposta a questi attacchi terroristici, Dickopf - allora capo dell'Interpol - insistette che non era compito dell'Interpol risolvere i crimini del terrorismo internazionale, facendo proprio un approccio radicale di "non intervento". I documenti mostrati nel film rendono del tutto chiaro che la CIA era a conoscenza dei legami di Dickopf con Genoud, e che Dickopf stesso disse alla CIA di conoscere Genoud dalla Seconda Guerra Mondiale.

 

Piuttosto che danneggiare la carriera di Dickopf, questo fatto sembrò promuovere il suo prestigio presso la CIA e approfondire i suoi legami con i servizi di intelligence statunitensi. Basandosi sullo storico Dieter Schenk, il film sostiene che le connessioni di Dickopf probabilmente spiegano il motivo per cui era impiegato presso il ministero degli Interni tedesco, e successivamente sia salito alla guida del BKA. La sua promozione al vertice del BKA serviva agli obiettivi della CIA, poiché da allora poté passare informazioni sulla politica tedesca, in special modo quelle che riguardavano Willy Brandt e la sua politica di distensione con il blocco sovietico, una politica conosciuta come "Ostpolitik". L'Ostpolitik era osservata con notevole scetticismo dagli Stati Uniti. Dickopf, che prendeva parte alle riunioni di alto livello, era in una posizione ideale per passare informazioni di massima segretezza alla CIA - ma non è ancora chiaro fino a che livello possa aver compromesso la sovranità della Germania Occidentale (o quel poco che ne aveva).

 

[caption id="attachment_17495" align="alignnone" width="250"] La carta d'identità nazista di Dickopf.[/caption]

 

Il reclutamento dei nazisti da parte della CIA

 

Perché i nazisti - più che il solo Dickopf - lavorarono nella CIA dopo la Seconda Guerra Mondiale? Il film avanza la sua prima spiegazione, affermando che le agenzie di intelligence americane usavano il passato dei nazisti per ricattarli al fine di reclutarli. Sembra quasi che il loro servizio non fosse volontario. Christopher Simpson, uno storico alla American University, è citato nel film per il fatto che li chiama "pedine" della Guerra Fredda. In cambio del silenzio sui dettagli del loro passato, gli americani non fecero alcuno sforzo per punirli dei loro crimini, e offrirono ai nazisti di pagare con servizi utili nei campi della guerra psicologica e delle operazioni coperte.

 

Wilhelm Dietl, un ex agente dell'intelligence tedesca intervistato nel film, afferma:

 

"Gli americani non si preoccupavano troppo se la persone di cui avevano bisogno avevano legami stretti con assassini di massa, o estremisti, o terroristi. Il fine giustificava i mezzi." 


 

Il film approfondisce il caso di un noto ufficiale delle SS, Eugen Steimle, responsabile di avere giustiziato prigionieri in Unione Sovietica, oltre ad altre atrocità. Catturato dagli americani verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, e messo di fronte ai dettagli dei suoi crimini, Steimle cooperò con gli Stati Uniti e fornì informazioni che aiutarono a svelare una rete di dozzine di spie naziste che si erano spostate a Madrid. Col collasso del Terzo Reich, i nazisti a Madrid si misero al lavoro per creare il Quarto Reich, o "fascismo mondiale" per come lo traduce il documentario. Gli americani osservarono i nazisti di stanza a Madrid, e quindi li reclutarono per farli lavorare per loro conto.

 

Steimle in effetti era stato condannato a morte per impiccagione, dopo il suo interrogatorio. Ma fu perdonato. Non ci sono prove che gli Stati Uniti fossero intervenuti in sua difesa, ma, come afferma il film, "ci sono importanti documenti mancanti nel centro statunitense per gli interrogatori di Oberursel".

 

Il saccheggio dell'oro nazista: il mito della beneficenza del Piano Marshall

 

Più che alle spie naziste, gli Stati Uniti erano interessati a impadronirsi delle ricchezze dei nazisti. Verso la fine della guerra, le industrie tedesche approntarono dei piani per immagazzinare i propri capitali in caso di sconfitta. L'idea era di ricostituire la Germania dopo Hitler, e - come nota Simpson nel film - alcuni di quei piani esistono ancora. Nel frattempo, i servizi di intelligence alleati tracciarono i movimenti dei capitali nazisti in un'operazione dal nome in codice "Safe Haven" (Porto sicuro, ndt). Gli USA erano a conoscenza di una rete di società straniere create per salvaguardare i fondi, e di una rete di depositi dove erano stati immagazzinati oro e contante. Monaco, in particolare, era la sede di numerose società fantasma che detenevano milioni di dollari di capitali nazisti.

 

Seduto nel consiglio di amministrazione di una di queste società fantasma a Monaco, una che di facciata si presentava come una società di trasmissioni, c'era un certo Kurt Georg Kiesinger, che più tardi sarebbe salito alle più alte cariche politiche in Germania, divenendo Cancelliere della Germania Occidentale. Il suo servizio tra i nazisti è tipicamente minimizzato negli articoli delle enciclopedie occidentali, che sottolineano che fu "scagionato" dalle corti di giustizia alleate. Ciò li esime dal registrare che da lì in poi (invece che all'improvviso dal 2016), abbiamo assistito alla rinascita del nazismo in Europa.

 

[caption id="attachment_17494" align="alignnone" width="350"] Kurt Georg Kiesinger, in parata con la regina Elisabetta II.[/caption]

 

Estremamente ben informato delle transazioni finanziarie dei nazisti era un agente dell'intelligence USA, di stanza in Svizzera: Allen Dulles, che presto sarebbe arrivato al vertice della CIA. Per di più, gli Stati Uniti erano a conoscenza che dopo aver bombardato la sede della Deutsche Reichsbank nel marzo del 1945, erano misteriosamente sparite 360 tonnellate di oro e 300 tonnellate di argento e banconote. Sessanta anni più tardi, Karl Bernd Esser ha ritrovato i documenti bancari mancanti che registravano quanto capitale era detenuto dalla banca al momento del bombardamento. Esser scoprì che tutto l'oro venne spostato a Merkers o in depositi scelti in Baviera, attraverso documenti che elencavano quanto era stato posto in ogni deposito. Grazie all'Operazione Safe Haven, gli americani sapevano esattamente dove era immagazzinato l'oro - e saccheggiarono quasi ogni singolo deposito. Le forze statunitensi entrarono nella zona d'occupazione sovietica, nelle miniere di sale di Merker nello stato orientale della Turingia, prima dei sovietici stessi. Gli Stati Uniti dichiararono che l'oro della Reichsbanck era "bottino nazista", e se ne appropriarono. Trovarono là anche altri tesori, tra cui le riserve d'oro italiane.

 

[caption id="attachment_17493" align="alignleft" width="300"] Allen Dulles[/caption]

 

 

 

 

 

Gli USA non restituirono il bottino alle vittime o ai parenti delle vittime dei nazisti tedeschi e dei fascisti italiani, e nemmeno restituirono i capitali sequestrati alla Germania o all'Italia. Fu un atto di saccheggio, puro e semplice. Fu assoluta rapina. Gli americani saccheggiarono le riserve italiane e tedesche - "le spoglie ai vincitori", in effetti.

 



 

 

 

 

 

 

Karl Bernd Esser conclude che questo fu un atto di rapina, perché significava che i tedeschi ripagarono doppiamente agli Stati Uniti i loro prestiti del Piano Marshall:

 

"Il Piano Marshall fu un'invenzione di successo americana, su come ingannare gli 'amici' senza che loro se ne rendano conto. Se ti prendo mille euro, e non te ne accorgi, e poi ti dico, 'Ti presterò mille euro e li ripagherai con un po' di interessi', tu penseresti 'Che gesto generoso' . Ma in realtà ti ho già preso mille euro, solo che non te ne sei accorto".

 



 

Dalla prospettiva degli USA, reclamare il denaro che era stato rubato agli ebrei d'Europa, senza restituirlo alle vittime sopravvissute o alle famiglie delle vittime, poteva essere razionalizzato come segue: il Fondo di Stabilizzazione del Cambio fu istituito all'inizio della Seconda Guerra Mondiale per impadronirsi dei beni nazisti nel commercio internazionale, come parte di un blocco internazionale della Germania.

 

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Il reclutamento dei fascisti italiani da parte della CIA e le interferenze americane nelle elezioni in Italia

 



 

Nell'Italia del dopoguerra, all'inizio delle Guerra Fredda con l'URSS, gli Stati Uniti erano profondamente preoccupati che il comunismo stesse diventando estremamente popolare tra gli elettori italiani. In effetti, il Partito Comunista Italiano sarebbe cresciuto fino a diventare il secondo partito comunista più grande al mondo in termini numerici, e il più grande in occidente. La CIA interferì ripetutamente nelle elezioni italiane, nel tentativo di contrastare l'ascesa dei comunisti. I servizi di intelligence statunitensi non solo usarono la loro conoscenza e i tesori saccheggiati in Germania per reclutare spie naziste, ma arruolarono attivamente anche i fascisti italiani durante la Guerra Fredda.



 

Quando le truppe americane entrarono per la prima volta in Italia, incontrarono reparti delle forze armate che rifiutarono di arrendersi e continuarono a combattere a fianco dei tedeschi per due anni. Una di queste fu la prima unità commando di sommozzatori al mondo, la Decima Flottiglia MAS, guidata dal cosiddetto "Principe Nero", Valerio Borghese. Gli uomini della Decima continuarono a combattere per due anni, prima che gli Stati Uniti alla fine si impadronissero dell'Italia nel 1945. Borghese era stato quasi ucciso dai comunisti verso la fine della guerra - e questo ci dà una seconda spiegazione al perché "il nemico" si arruolasse nella CIA: un personale impegno anti-comunista.

 

[caption id="attachment_17576" align="alignnone" width="350"] James Jesus Angleton[/caption]

 

L'agente della CIA James Jesus Angleton elaborò piani per un colpo di stato in Italia, nel caso in cui il Partito Comunista avesse vinto le fondamentali elezioni del 1947-1948. Angleton e Borghese divennero buoni amici. Il film afferma che la CIA infatti arruolò Borghese. Come indicato dalla storico Christopher Simpson, Angleton ebbe successo nel convincere il governo USA a impiegare milioni di dollari in Italia, nel tentativo di ostacolare le elezioni. Gli Stati Uniti usarono i fondi dell'Operazione Safe Haven, che abbiamo visto sopra. Il denaro, molto del quale era stato saccheggiato agli ebrei europei da parte dei nazisti, adesso era impiegato dagli USA per sovvertire le elezioni italiane.

 

Angleton organizzò una milizia partigiana - e il documentario mostra filmati visti raramente sul loro addestramento. Quella milizia era formata principalmente dagli ex-uomini rana della Decima Mas di Borghese. L'unità era chiamata Gladio, ed era sotto l'esclusivo comando della CIA (fu anche la prima unità del genere in un programma che successivamente coprì l'intera Europa e fu chiamato Operazione Gladio).

 

Nel caso in cui l'Italia avesse votato per diventare socialista, in una elezione democratica, la CIA elaborò la cosiddetta "rete stay behind", formata da sovversivi clandestini finanziati e addestrati per rovesciare il governo democraticamente eletto. Poiché i comunisti in effetti persero le elezioni, Gladio fu sospesa. La stessa Unione Sovietica rinunciò a far aderire l'Italia al proprio campo, e bloccò effettivamente quell'opzione aderendo all'accordo di Yalta.

 

[caption id="attachment_17575" align="alignnone" width="300"] Stefano Delle Chiaie[/caption]

 

A partire dagli anni '60, ci informa il film, in Italia si verificarono numerosi attacchi terroristici, che costarono centinaia di vite. Sebbene inizialmente ne fossero incolpati gruppi di sinistra, adesso si sa che gli attacchi furono condotti da gruppi terroristi di destra sostenuti dagli Stati Uniti. Stefano Delle Chiaie, a capo del Partito della Nuova Destra, è ripetutamente accusato di attività terroristica, ma non è mai stato condannato. Parlando nel film, Delle Chiaie afferma:

 

"La nostra posizione politica era molto semplice e abbastanza chiara. Era basata su un'esperienza storica di cui avevamo grande rispetto, il fascismo. Abbiamo tentato di applicare i principi di base fascisti alla realtà che ci circondava".


 

Nel 1970 i ribelli fascisti programmarono un colpo di stato in Italia, con l'intenzione di prendere il potere e sradicare i partiti di sinistra. Discussero dei loro piani con la CIA. Lo storico Alessandro Massignani parla nel film confermando l'informazione, rivelata, che la CIA era informata dei piani dei fascisti.

 

[caption id="attachment_17574" align="alignnone" width="350"] Licio Gelli (a sinistra) e Giulio Andreotti (a destra)[/caption]

Il 7 dicembre 1970 i sostenitori di Delle Chiaie, in un gruppo che si definiva Avanguardia Nazionale, assieme a membri dell'esercito italiano, misero in moto il loro piano. I loro primi obiettivi sarebbero stati l'emittente statale, RAI, e gli edifici del governo. Anche se Delle Chiaie ha rivendicato la responsabilità della preparazione del colpo di stato ("Sono moralmente e politicamente responsabile", dichiara nel film), questo documentario afferma che il colpo di stato venne guidato da qualcun altro. Infatti, per sua stessa ammissione, Delle Chiaie non era nemmeno in Italia in quel periodo. Il documentario afferma che figure come Delle Chiaie e Borghese "erano solo marionette". Il film invece nomina Giulio Andreotti, il leader della Democrazia Cristiana, considerato virtualmente una pedina degli Stati Uniti, come il potere dietro coloro che agirono nel previsto golpe. Assieme ad Andreotti c'era Licio Gelli, capo della P2 (Propaganda Due), una loggia massonica, e agente CIA. Poco prima che il colpo di stato iniziasse, la Sesta Flotta USA (di stanza a Napoli, ndt) venne messa in stato di allerta. Il film suggerisce che Gelli e Andreotti fossero desiderosi di impressionare la CIA, mostrando che avevano il potere di realizzare e annullare colpi di stato militari.

 



 

Il film getta anche dubbi sulla narrazione standard ufficiale che circonda il rapimento e l'omicidio dell'ex Presidente del Consiglio italiano Aldo Moro nel 1978. La spiegazione ufficiale è che la responsabilità è di un gruppo terrorista di sinistra, le Brigate Rosse. Ciononostante, si è scoperto che furono coinvolti anche agenti esperti dell'intelligence e ufficiali militari, e che la CIA e Gladio erano riusciti a prendere concretamente il controllo della direzione delle Brigate Rosse. Aldo Moro era stato parte del "compromesso storico" con il Partito Comunista Italiano, che vide la formazione di un "governo di solidarietà nazionale". Moro era a favore della "Terza Via". La ramificazione internazionale e geopolitica di questa Terza Via era il non-allineamento, né con gli USA né con l'URSS. L'allora Segretario di Stato americano Henry Kissinger minacciò l'Italia del tipo di sollevazione orchestrata in Cile nel 1973 contro il governo di Salvador Allende, se avesse scelto il non-allineamento.

 

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Dall'Italia al Sud America: la pista dei fascisti sostenuti dalla CIA

 

Essendo diventati inutili dopo che il golpe previsto nel 1970 venne cancellato, fascisti come Delle Chiaie e Borghese entrarono in clandestinità e fuggirono in Sud America. Anche Gelli finì in Argentina.

 

Stefano Delle Chiaie nel film spiega che volevano diffondere il fascismo, e i loro tentativi incontrarono terreno più fertile in Sud America, sottolineando che molti partiti in Sud America avevano radici fasciste o naziste.

 

Cile

 

I fascisti italiani, assieme alla CIA, sostennero attivamente il generale Augusto Pinochet nel suo golpe contro il presidente Salvador Allende, l'11 settembre 1973. Allende guidava un governo socialista democraticamente eletto che entrò in carica nel 1971, e fin dall'inizio gli USA non poterono tollerare un'alternativa rivoluzionaria pacifica che riduceva il dominio americano. Questo è vero ancora oggi, come possiamo vedere nel caso del Venezuela.

 

Delle Chiaie afferma esplicitamente nel film che lui e Borghese erano coinvolti nel sostegno al colpo di stato, e che nel 1974, mentre erano a Santiago, in Cile, si incontrarono col generale Pinochet che li ospitò personalmente, e gli italiani iniziarono a lavorare più strettamente col suo governo. I fascisti italiani non solo cooperarono formalmente con i servizi di spionaggio cileni, la DINA; posero anche il loro quartier generale in Cile.

 

[caption id="attachment_17580" align="alignnone" width="350"] Colonia Dignidad[/caption]

 

Nonostante il supporto statunitense, in particolar modo della CIA e di Henry Kissinger, Pinochet e gli italiani giunsero alla conclusione che gli Stati Uniti non erano ferventi quanto avrebbero dovuto nel combattere il comunismo in tutto il mondo. Pinochet e i fascisti italiani discussero piani per una guerra globale, che avrebbe richiesto certe armi per essere efficace. Usando i prigionieri politici cileni come cavie, l'esercito cileno sviluppò armi biologiche, in particolare sarin e gas mostarda. Il laboratorio di ricerca usato per le sperimentazioni disumane era Colonia Dignidad, così famigerata che oggi è stato reso popolare come film horror, con protagonista Emma Watson e dal titolo Colonia o The Colony (2015). Camuffato da fattoria, era un luogo veramente strano, con personale simile ad adepti di un culto, addobbati in abiti tradizionali tedeschi come se vivessero in un'utopia tradizionalista iper-ariana, mentre segretamente praticavano torture. Un dottore tedesco, Hartmut Hopp, conduceva esperimenti nella struttura. Stefano Delle Chiaie, che visse personalmente per un certo tempo a Colonia Dignidad, ci dice nel film che rimase impressionato dal complesso - che era qualcosa che avrebbe "sognato" di creare per i suoi camerati.

 

[caption id="attachment_17579" align="alignnone" width="300"] Hartmut Hopp[/caption]

 

Bolivia

 

La CIA dette ai suoi delegati fascisti e nazisti in Sud America mano libera per espandere le loro attività in Sud America, oltre il Cile. Il 17 luglio 1980, un colpo di stato militare in Bolivia, condotto dal generale Luis Garcia Meza, conosciuto come il "golpe della cocaina" (poiché era finanziato da trafficanti di cocaina) fu supportato anche da agenti reclutati da Klaus Barbie, l'ex capo della Gestapo che commise numerose atrocità a Lione, in Francia, durante la Seconda Guerra Mondiale. Il senatore repubblicano di ultra-destra Jesse Helms sostenne Meza, come fece l'amministrazione Reagan. Quando gli Stati Uniti lanciarono la cosiddetta "guerra alla droga", questa si ritorse contro le figure chiave dell'amministrazione Meza.

 

Stefano Delle Chiaie si incontrò con Klaus Barbie in Bolivia. Nel film descrive Barbie come un uomo di "grande carattere, molto intelligente, molto capace, di grande integrità". Barbie, conosciuto anche come "il macellaio di Lione", entrò al servizio dell'intelligence americana dopo la Seconda Guerra Mondiale. Lo stesso Delle Chiaie guidava una truppa di mercenari in Bolivia, come spiega il film. Il commercio della cocaina era fondamentale per finanziare un'operazione come questa, e come afferma il film, la cocaina è un settore intrecciato coi servizi segreti a livello mondiale. Questo è il tipo di traffico di droga che è stato protetto dagli Stati Uniti, a differenza dell'altro traffico di droga. Lo stesso Barbie, evidenzia il film, era fondamentale per lo sviluppo dell'industria delle cocaina in Bolivia, con l'introduzione di un sistematico regime di punizioni - così di successo che guadagnò notorietà, e ciò alla fine portò alla sua estradizione in Francia e alla morte in prigione nel 1991.

 

Il film presenta quindi la sua terza spiegazione di come e perché i nazisti vennero coinvolti dall'intelligence USA. In questo caso, ascoltiamo nuovamente Christopher Simpson, che ci spiega "l'imprenditorialità nello spionaggio": gli ufficiali nazisti ricercati avrebbero messo le mani su qualsiasi notizia rivendibile all'intelligence, e quindi si sarebbero offerti di vendersi all'intelligence americana come una preziosa fonte di informazioni, necessaria per combattere la Guerra Fredda. Barbie fu così in grado di comprarsi concretamente la propria libertà. Questa spiegazione della collaborazione di Barbie con gli americani nel film è anche confermata da Andreas von Bulow, un ex-segretario di stato nel Ministero della Difesa della Germania Federale.

 

Klaus Barbie si rivelò essere "un agente molto compatibile" (per citare Simpson) per una schiera di dittature militari sudamericane durante gli anni '70, che insieme agli Stati Uniti organizzarono l'Operazione Condor (per ulteriori informazioni, vedere l'Archivio della Sicurezza Nazionale). La CIA era coinvolta in questa operazione, che portò alla morte di tra 50 e 60mila persone in America Latina.

 

Conclusioni

 

I dieci minuti finali che chiudono il film iniziano con la conclusione che pochissimi nazisti furono in realtà condannati come responsabili dei loro crimini, arrivando invece a posizioni apicali di privilegio e influenza.

 

Una delle cose che il film non discute sono le tre spiegazioni in competizione tra loro che vengono offerte sul motivo per cui i nazisti iniziarono ad essere coinvolti dall'intelligence americana dopo la Seconda Guerra Mondiale. Rivediamole: la prima spiegazione proposta era che le agenzie di intelligence americane hanno usato il passato dei nazisti per ricattarli e riportarli in servizio, quindi è stata in gran parte un'associazione involontaria e forzata. La seconda spiegazione era che i nazisti e i fascisti vennero reclutati dalla CIA per il loro impegno ideologico anti-comunista. La terza spiegazione ruota intorno all'"imprenditorialità nello spionaggio": ex ufficiali nazisti che si vendevano come fonte di informazioni di valore. I registi volevano intenzionalmente presentare tre spiegazioni, e se è così, quale delle tre ritengono la più importante? Questo non viene discusso.

 

Anche se la struttura del film a volte è problematica (il materiale su Dickopf, ad esempio, è ampiamente diviso, presentato all'inizio e alla fine del film), i punti di forza del film sono notevoli. Lo scopo generale del film, i numerosi argomenti e collegamenti che rivela, la quantità di informazioni condensate in un tempo relativamente breve, su alcuni aspetti chiave della storia spesso trascurata o dimenticata, rendono questo documentario ideale per una serie di corsi universitari. Questo film è fortemente raccomandato per i corsi di Storia, Politica Internazionale e Studi latinoamericani. Dato il grado di ricerca che viene fatta nel film, il modo coinvolgente in cui è presentato, e le molte domande stimolanti che solleva, merita un punteggio di 9/10.

 

 

16/04/19

Italia: come rovinare un paese in trent'anni

Sul sito dell'Institute for New Economic Thinking appare un articolo di un certo rilievo sul lungo declino dell'economia italiana, che perdura da trent'anni ormai, e sulle cause che ci hanno portato a questo punto. Sono cose ben note da chi segue il dibattito sulla lunga notte italiana, e tuttavia l'articolo ci è parso di un certo impatto e di un certo valore didattico riassuntivo per chi si approccia ora a questi temi. Per quel che riguarda la valutazione delle mosse del nuovo governo italiano, stretto tra le richieste impossibili dei vincoli europei e la necessità di rilanciare il Paese, e le varie proposte di via d'uscita formulate dagli economisti, il dibattito è aperto. Ci ha solo sorpreso, senza nulla togliere agli economisti italiani citati, che l'economista olandese  autore dell'articolo ignori completamente quelle che sono state le voci più significative e più seguite che hanno dato vita al dibattito italiano, in primo luogo quella di Alberto Bagnai, autore di due notissimi libri e di varie pubblicazioni su siti accademici, ma anche di altri, ben noti ai nostri lettori.

 

 

 

 

di Servaas Storm, 10 Aprile 2019

 

Traduzione per Voci dall'Estero di Gilberto Trombetta

 

 

La crisi italiana causata dall'austerità è un campanello d'allarme per l'Eurozona

 

La terza recessione italiana in 10 anni

 

Mentre la Brexit e Trump guadagnavano gli onori della cronaca, l'economia italiana è scivolata in una recessione tecnica (un’altra). Sia l'OCSE che la Banca centrale europea (BCE) hanno abbassato le previsioni di crescita per l'Italia a numeri negativi e, con quella che gli analisti considerano una mossa precauzionale, la BCE sta rilanciando il suo programma di acquisto di titoli di Stato, abbandonato solo cinque mesi fa.

 

«Non sottovalutate l'impatto della recessione italiana», ha dichiarato il ministro dell'economia francese Bruno Le Maire a Bloomberg News (Horobin 2019). «Si parla molto della Brexit, ma non della recessione italiana, che avrà un impatto significativo sulla crescita in Europa e può avere un impatto sulla Francia, poiché si tratta di uno dei nostri più importanti partner commerciali». Più importante del fattore commerciale, tuttavia, cosa che Le Maire si guarda bene dal dire, è che le banche francesi detengono nei loro bilanci circa 385 miliardi di euro di debito italiano, derivati, impegni di credito e garanzie, mentre le banche tedesche detengono 126 miliardi di euro di debito italiano (al terzo trimestre del 2018, secondo la Bank for International Settlements).

 

Alla luce di queste esposizioni, non c'è da meravigliarsi che Le Maire, e la Commissione europea con lui, sia preoccupato per la terza recessione italiana in un decennio, per la crescente retorica anti-euro e per l’atteggiamento del governo di coalizione italiano, composto dal Movimento 5 stelle (M5S) e dalla Lega. La consapevolezza che l'Italia sia troppo grande per fallire alimenta l'audacia del governo italiano nel suo tentativo di reclamare un maggiore spazio di manovra in politica fiscale, violando apertamente le regole di bilancio dell'Unione economica e monetaria (UEM) della UE.

 

Il risultato è un circolo vizioso. Più la Commissione europea cerca di far rientrare nei ranghi il governo italiano, più rafforzerà il sentimento anti-establishment e anti-euro presenti in Italia. D'altra parte, più la Commissione europea cederà alle richieste del Governo italiano, più perderà la propria credibilità quale custode del Patto di stabilità e crescita dell'UEM. Questa situazione di stallo non può essere superata finché l'economia italiana resta impantanata.

 

Una crisi del regime economico italiano post-Maastricht

 

È quindi fondamentale comprendere le vere origini della crisi economica dell'Italia al fine di trovare strade di uscita dalla sua stagnazione permanente. In un nuovo studio dimostro empiricamente le cause della crisi italiana, che, a mio avviso, deve essere considerata una conseguenza del nuovo regime economico post-Maastricht, come lo chiama Thomas Fazi (2018). Fino all'inizio degli anni '90 l'Italia ha goduto di decenni di crescita economica relativamente robusta, durante i quali è riuscita a raggiungere il reddito (pro-capite) delle altre nazioni della zona euro (Figura 1). Nel 1960, il PIL pro capite dell'Italia (a prezzi costanti del 2010) era pari all'85% del PIL pro-capite francese e al 74% (come media ponderata) del PIL pro-capite di Belgio, Francia, Germania e Paesi Bassi (da qui in poi indicati con Euro-4).  A metà degli anni '90 l'Italia aveva quasi raggiunto la Francia (il PIL pro capite italiano era il 97% di quello francese) e anche i Paesi Euro-4 (il PIL pro capite italiano era il 94% di quello dell'Euro-4).

 

Figura 1 



 

Poi, però, è iniziato un profondo e costante declino, che ha letteralmente cancellato decenni di convergenza (di reddito). Il divario di reddito tra Italia e Francia è ora (al 2018) di 18 punti percentuali, superiore a quello del 1960; Il PIL pro-capite italiano è pari al 76% del PIL pro-capite nelle economie Euro-4.  Nella prima metà degli anni '90 l'economia italiana ha iniziato ad arrancare e, quindi, a rimanere indietro, poiché tutti i principali indicatori - reddito pro-capite, produttività del lavoro, investimenti, quote di mercato delle esportazioni, ecc. - hanno iniziato un costante declino.

 

Non è un caso che l'improvviso rovesciamento delle fortune economiche dell'Italia si sia verificato dopo l'adozione della "sovrastruttura giuridica e politica" imposta dal Trattato di Maastricht del 1992, che ha spianato la strada all'istituzione dell'UME nel 1999 e all'introduzione del moneta comune nel 2002. L'Italia, come mostro nell'articolo, è stata l’allievo modello dell'Eurozona, l'unico Paese che si è davvero impegnato con forza e coerenza nell'austerità fiscale e nelle riforme strutturali che costituiscono l'essenza stessa delle regole macroeconomiche dell'UME (Costantini 2017, 2018). L'Italia è stata più rigorosa anche di Francia e Germania, pagando un costo molto alto: il consolidamento fiscale permanente, la persistente moderazione salariale e il tasso di cambio sopravvalutato hanno ucciso la domanda interna italiana e questa carenza di domanda ha a sua volta asfissiato la crescita della produzione, della produttività, dell'occupazione e dei redditi. La paralisi italiana è una lezione per tutte le economie dell'Eurozona, ma parafrasando G.B. Shaw: come avvertimento, non come esempio.

 

L’austerità fiscale permanente

 

L'Italia ha fatto più della maggior parte degli altri membri dell'Eurozona in termini di austerità autoimposta e di riforme strutturali per soddisfare le condizioni dell'UEM (Halevi 2019). Questo è chiaro quando si confronta la politica fiscale italiana post ‘92 con quella di Francia e Germania. Diversi governi italiani hanno realizzato continui avanzi primari (quando la differenza tra le entrate e le spese delle amministrazioni pubbliche, escluse le spese per interessi passivi, è positiva), con una media del 3% del PIL all'anno nel periodo 1995-2008. I governi francesi, al contrario, hanno registrato in media disavanzi primari pari allo 0,1% del PIL ogni anno durante lo stesso periodo, mentre i governi tedeschi sono riusciti a generare un avanzo primario dello 0,7% in media all'anno negli stessi 14 anni. Gli avanzi primari permanenti dell'Italia nel periodo 1995-2008 avrebbero potuto ridurre il rapporto debito pubblico/PIL di circa 40 punti percentuali, facendolo passare dal 117% del 1994 al 77% nel 2008 (mantenendo tutti gli altri fattori costanti). Ma la lenta crescita (nominale) rispetto ai tassi di interesse (nominali) elevati ha spinto in alto il rapporto debito/PIL di 23 punti percentuali e ha mandato in fumo oltre la metà della riduzione del debito pubblico/PIL di 40 punti percentuali raggiunta con l'austerità. Non è che l'austerità permanente dell'Italia, intesa a ridurre il rapporto debito/PIL facendo registrare costanti avanzi primari, le si sia ritorta contro perché ha rallentato la crescita economica?

 

I governi italiani (inclusa la coalizione di centro-sinistra di Renzi) hanno continuato a realizzare ingenti avanzi primari (di oltre l'1,3% del PIL in media all'anno) durante il periodo di crisi 2008-2018. La disciplina fiscale permanente era una priorità assoluta, come ammise il primo ministro Mario Monti in un'intervista del 2012 con la CNN, anche se ciò significava «distruggere la domanda interna» e spingere l'economia in recessione. L’abnegazione quasi "teutonica" dell'Italia nei confronti della disciplina fiscale è in contrasto con l'atteggiamento francese ("laissez aller"): il governo francese ha fatto deficit primari in media del 2% del PIL nel 2008-2018, lasciando tranquillamente che il suo rapporto debito/PIL salisse a circa il 100% nel 2018. Lo stimolo fiscale cumulativo fornito dallo Stato francese ammontava a 461 miliardi di euro (a prezzi costanti del 2010), mentre il taglio fiscale complessivo sulla domanda interna italiana era di 227 miliardi di euro. I tagli al bilancio italiano si manifestano in contrazioni tutt'altro che banali della spesa pubblica per il welfare pro-capite, che ora (al 2018) è pari a circa il 70% della spesa sociale pro-capite di Germania e Francia. Pensate a come sarebbe stata la protesta dei "Gilets Jaunes" se, dopo la crisi del 2008, il Governo francese avesse attuato un consolidamento fiscale come quello dell’Italia...

 

Restrizioni salariali permanenti

 

Quando l'Italia firmò il Trattato di Maastricht i suoi alti tassi di inflazione e disoccupazione furono considerati come dei grandi problemi. L'inflazione era attribuita al potere "eccessivo" dei sindacati e a un sistema di contrattazione salariale "eccessivamente" centralizzato. Questo provocava una forte spinta inflazionistica e una contrazione dei profitti, poiché la crescita dei salari tendeva a superare la crescita della produttività del lavoro, riducendo la quota profitti. Vista così, la causa dell'alta disoccupazione italiana potrebbe essere individuata nel suo "rigido" mercato del lavoro e nella ”aristocrazia operaia” troppo protetta. Ridurre l'inflazione e ripristinare la redditività ha richiesto la moderazione salariale, che a sua volta poteva essere raggiunta solo con una deregolamentazione radicale del mercato del lavoro o - come vengono chiamate eufemisticamente – con le "riforme strutturali".

 

L'Italia non ha un salario minimo garantito (a differenza della Francia) e inoltre non ha un generoso sistema di sussidi per la disoccupazione (in termini di tassi di sostituzione e durata delle indennità di disoccupazione e requisiti per accedere ai benefici) rispetto alla media europea. La tutela dell'occupazione dei dipendenti regolari in Italia è all'incirca allo stesso livello di quelle di Francia e Germania. Le riforme strutturali del mercato del lavoro in Italia hanno comportato una drastica riduzione delle tutele per i lavoratori a tempo determinato e, di conseguenza, la quota di lavoratori temporanei nell'occupazione totale in Italia è passata dal 10% del periodo 1991-1993 al 18,5% del 2017. Tra il 1992 e il 2008, l'occupazione totale (netta) in Italia è aumentata di 2,4 milioni di nuovi posti di lavoro, di cui quasi tre quarti (il 73%) erano posti di lavoro a tempo determinato. In Francia, l'occupazione (netta) è aumentata di 3,6 milioni di posti di lavoro nel periodo 1992-2008, di cui l'84% erano posti di lavoro regolari (permanenti) e solo il 16% erano lavori temporanei.

 

Inoltre, il potere contrattuale dei sindacati è stato ridotto dall'abbandono dell'obiettivo della piena occupazione a favore della riduzione del debito pubblico (Costantini 2017), da una politica della Banca centrale molto più restrittiva (anti-inflazionistica) e dal tasso di cambio fisso. Di conseguenza la crescita dei salari reali per dipendente, in media del 3,2% all'anno nel periodo 1960-1992, è stata ridotta a un misero 0,1% all'anno nel periodo 1992-1999 e allo 0,6% annuo nel periodo 1999-2008.  All'interno della UE l'inversione di tendenza dell'Italia a è stata evidente: dal 1992 al 2008 la crescita dei salari reali italiani per lavoratore (0,35% annuo) è stata solo pari alla metà della crescita dei salari reali dei Paesi Euro-4 (0,7% annuo) e ancora inferiore rispetto alla crescita dei salari reali in Francia (0,9% all'anno). È interessante notare che, dal 1992 al 2008, la crescita dei salari reali per dipendente in Italia è stata leggermente inferiore a quella (già bassa) della crescita dei salari reali tedeschi (0,4% all'anno). Per vedere il quadro di lungo periodo la figura 2 mostra il rapporto tra il salario reale di un lavoratore italiano e il salario reale del lavoratore medio francese, tedesco e dei Paesi Euro-4 dal 1960 al 2018. Agli inizi degli anni '60, il salario medio dei lavoratori italiani era pari a circa l'85% della retribuzione francese, rapporto salito al 92% nel biennio 1990-1991. A partire dal 1992, il salario reale italiano ha iniziato un costante declino rispetto ai salari medi francesi e, nel 2018, il lavoratore medio italiano ha guadagnato solo il 75% del salario guadagnato dal suo omologo francese. Il divario salariale tra Italia e Francia è più grande oggi di quanto non fosse negli anni '60. Lo stesso schema vale quando si confrontano gli stipendi italiani con gli stipendi tedeschi ed Euro-4.

 

Figura 2 



 

La moderazione salariale dell'Italia si è dimostrata una strategia efficace per prendere tre piccioni (non solo due) con una fava. In primo luogo ha contribuito a ridurre l'inflazione al 3,4% di media all'anno dal 1992 al 1999 (rispetto al 9,6% di media all'anno nel periodo 1960-1992), ulteriormente al 2,5% all'anno dal 1999 al 2008 e all'1,1% dal 2008 al 2018. L'Italia non è più incline, in senso strutturale, a un'inflazione elevata e accelerata. In secondo luogo, la moderazione salariale ha aumentato l'intensità del lavoro nella crescita del PIL dell'Italia, riducendo così la disoccupazione. Il tasso di disoccupazione dell'Italia ha raggiunto il picco a metà degli anni 90 superando l'11%, ma la deregolamentazione del mercato del lavoro e il contenimento salariale hanno fatto scendere la disoccupazione al 6,1% nel 2007 e al 6,7% nel 2008, inferiore ai tassi di disoccupazione di Francia (pari a 8% nel 2007 e 7,4% nel 2008) e Germania (dove la disoccupazione era dell'8,5% nel 2007 e del 7,4% nel 2008).  Infine, come previsto, la deflazione salariale ha comportato un aumento sostanziale della quota profitti del PIL dell'Italia: la quota profitti è aumentata di oltre 5,5 punti percentuali, dal 36% nel 1991 a circa il 41,5% dal 2000 al 2002, dopo di che si è stabilizzata intorno 40% fino al 2008. Negli anni 90, la ripresa della quota degli utili è stata considerevolmente più forte in Italia che in Francia, e paragonabile a quanto accaduto in Germania, nonostante il fatto che la quota profitti dell'Italia fosse già relativamente elevata.

 

In altre parole, le riforme strutturali italiane degli anni '90 hanno dato buoni frutti in termini di una maggiore quota profitti che è rimasta sostanzialmente superiore a quella di Francia e Germania. Con un'inflazione ridotta, un'efficace compressione dei salari, una diminuzione della disoccupazione, l'indebitamento pubblico in declino e la quota profitti considerevolmente aumentata, l'Italia sembrava essere pronta per un lungo periodo di forte crescita. Non è andata così. L'operazione è stata un successo, ma il paziente è morto. Secondo l'autopsia del coroner, la causa della morte è una mancanza strutturale di domanda interna.

 

Il soffocamento della domanda interna italiana post ‘92

 

Restando fedele alle regole dell’EMU, la politica economica italiana ha creato una cronica carenza di domanda (interna). La crescita della domanda interna pro capite è stata in media dello 0,25% all'anno dal 1992 al 2014 - in forte calo rispetto alla crescita della domanda interna (del 3,3% all'anno) registrata nel trentennio 1960-1992 e molto al di sotto della crescita della domanda interna (dell'1,1% pro capite all'anno) dei Paesi Euro-4. Anche la crescita reale delle esportazioni italiane (pro capite) è diminuita, passando dal 6,6% di media all'anno del periodo 1960-1992 al 3% all'anno del 1992-2018. La crescita media annua delle esportazioni (pro capite) è stata del 4,4% nei Paesi Euro-4 da dal 1992 al 2018. La penuria di domanda cronica dell'Italia ha ridotto l'utilizzo della capacità (soprattutto nel settore manifatturiero) e questo, a sua volta, ha ridotto il tasso di profitti. Secondo le mie stime, l'utilizzo della capacità produttiva italiana è diminuita di ben 30 punti percentuali rispetto all'utilizzo della capacità produttiva francese tra il 1992 e il 2015.

 

Il tasso di utilizzo del manifatturiero italiano rispetto alla manifattura tedesca è passato dal 110% del 1995 al 76% del 2008 ed è ulteriormente diminuito al 63% nel 2015, con un calo di ben 47 punti percentuali. Una minore utilizzazione delle capacità ha ridotto il tasso di profitto della produzione italiana di 3-4 punti percentuali rispetto ai tassi di profitto francesi e tedeschi. Ciò ha notevolmente depresso gli investimenti e la crescita della produzione italiana. Permettetemi di sottolineare il fatto che il tasso di profitto dell'Italia è diminuito anche quando la quota profitti rispetto ai redditi è aumentata. Ciò significa che la strategia italiana di austerità fiscale e di contenimento salariale si è rivelata controproducente, perché non ha migliorato il tasso di profitto: il calo della domanda interna e dell'utilizzo della capacità produttiva hanno avuto un impatto (negativo) maggiore sulla redditività dell'azienda rispetto all'aumento della quota profitti.

 

Come sostengo nello studio, questa condizione di carenza cronica di domanda interna è stata creata, in particolare, da (a) austerità fiscale perpetua, (b) contenimento permanente dei salari reali e (c) mancanza di competitività tecnologica che, in combinazione con un tasso di cambio sfavorevole (euro), riduce la capacità delle imprese italiane di mantenere le loro quote di mercato delle esportazioni a fronte della crescente concorrenza dei Paesi a basso reddito (Cina in particolare). Questi tre fattori stanno deprimendo la domanda, riducendo l'utilizzo della capacità produttiva e la redditività delle aziende e colpendo gli investimenti, l'innovazione e la crescita della produttività. Stanno quindi bloccando il Paese in uno stato di declino permanente, caratterizzato dall'impoverimento della matrice produttiva dell'economia italiana e della composizione qualitativa dei suoi flussi commerciali (Simonazzi et al., 2013).

 

Il settore manifatturiero italiano non è "ad alta intensità tecnologica" e soffre di una stagnazione della produttività. Come mostrano le figure 3 e 4, la competitività di costo dei produttori italiani rispetto ai Paesi Euro-4 dipende dai bassi salari e non dalle prestazioni superiori della produttività. Mentre i lavoratori industriali in Francia e Germania guadagnavano 35 euro all'ora (a prezzi costanti del 2010) nel 2015, e i loro colleghi in Belgio e Olanda guadagnavano ancora di più, i lavoratori italiani nel settore manifatturiero stavano portando a casa solo 23 euro all'ora (in prezzi costanti del 2010) - o un terzo in meno (vedi Figura 3). Ma allo stesso tempo la produttività del lavoro industriale per ora di lavoro è considerevolmente più alta in Francia e Germania (a € 53 all'ora a prezzi costanti 2010) che in Italia, dove è di circa € 33 all'ora (Figura 4). I produttori italiani stanno quindi prendendo una strada sterrata, mentre le imprese dei Paesi Euro-4 viaggiano su un’autostrada. In altre parole, rispetto ai produttori tedeschi e francesi, le aziende italiane soffrono di una mancanza di forza tecnologica, che in Germania si basa su alta produttività, sforzi innovativi e alta qualità del prodotto. È vero che le aziende italiane si distinguono per la loro alta qualità relativa in prodotti di esportazione più tradizionali e a bassa tecnologia come calzature, prodotti tessili e altri prodotti minerali non metallici. Ma hanno costantemente perso terreno nei mercati di esportazione di prodotti più dinamici caratterizzati da livelli più elevati di ReS (ricerca e sviluppo) e intensità tecnologica, come prodotti chimici, farmaceutici e apparecchiature di comunicazione (Bugamelli et al., 2018).

 

Bloccati in una posizione di debolezza strutturale

 

Per due ragioni questa specializzazione nelle attività a bassa e medio-bassa tecnologia mette il Paese in una posizione quasi permanente di debolezza strutturale. Il primo è che l'elasticità del tasso di cambio della domanda di esportazione è maggiore per le esportazioni tradizionali rispetto alle esportazioni di media e alta tecnologia. Di conseguenza l'apprezzamento dell'euro ha danneggiato gli esportatori italiani di prodotti tradizionali più duramente rispetto alle imprese tedesche e francesi che esportano più beni e servizi "dinamici". In poche parole un euro sopravvalutato penalizza le esportazioni italiane più che quelle delle economie dei Paesi Euro-4.

 

Il secondo fattore è che le imprese italiane operano in mercati globali e quindi maggiormente esposti alla crescente concorrenza dei Paesi a basso reddito, in particolare della Cina. Nel 1999, il 67% delle esportazioni italiane era costituito da prodotti (tradizionali) esposti a una concorrenza medio-alta da parte di imprese cinesi - rispetto a un'esposizione simile alla concorrenza cinese del 45% delle esportazioni in Francia e del 50% delle esportazioni in Germania (Bugamelli et al . 2018). La quota delle esportazioni italiane nelle importazioni mondiali è passata dal 4,5% del 1999 al 2,9% del 2016 e la perdita della quota di mercato è stata fortemente concentrata in segmenti di mercato più tradizionali, caratterizzati da un'elevata esposizione alla concorrenza cinese (Bugamelli et al., 2018). Mano a mano che le imprese cinesi e di altre economie emergenti continuano ad espandere le loro capacità produttive e ad aumentare la loro competitività, le pressioni concorrenziali aumenteranno anche in segmenti a media e medio-alta tecnologia. Le imprese italiane hanno difficoltà ad affrontare la concorrenza dei Paesi a basso reddito: sono generalmente troppo piccole per esercitare qualsiasi potere riguardo al prezzo, troppo spesso si tratta di produttori di singoli prodotti incapaci di diversificare i rischi di mercato e troppo dipendenti dai mercati esteri, poiché il loro mercato interno è in depressione.

 

Figura 3 



 

Figura 4 



 

 

La crisi permanente dell’Italia è un segnale d’allarme per l’Eurozona

 

Esistono modi razionali per far uscire l'economia italiana dall'attuale paralisi, nessuno dei quali facile, e tutti fondati su una strategia a lungo termine di "camminare su due gambe": (a) rilanciare la domanda interna (ed estera) e (b) diversificare e migliorare la struttura produttiva e le capacità innovative e rafforzare la competitività tecnologica delle esportazioni italiane (per allontanarsi dalla concorrenza diretta sui costi salariali con la Cina). Ciò significa che sia l'austerità che la soppressione della crescita dei salari reali devono cessare. Il governo italiano dovrebbe attrezzarsi per fornire un orientamento inequivocabile all'economia attraverso maggiori investimenti pubblici (nelle infrastrutture pubbliche e nella conversione ecologica dei sistemi energetici e di trasporto) e nuove politiche industriali per promuovere l'innovazione, l'imprenditorialità e una maggiore competitività tecnologica .

 

Non c'è carenza di proposte da parte degli economisti italiani per portare l’Italia fuori dalla crisi attuale. Tra questi Guarascio e Simonazzi (2016), Lucchese et al. (2016), Pianta et al. (2016), Mazzucato (2013), Dosi (2016) e Celi et al. (2018). Queste proposte sono tutte incentrate sulla creazione di un processo autorinforzante di crescita guidato dagli investimenti e dall'innovazione, orchestrato da uno "stato imprenditoriale" e fondato su rapporti datore di lavoro-dipendenti regolamentati e coordinati, piuttosto che su mercati del lavoro liberalizzati e rapporti di lavoro ultraflessibili. Queste proposte potrebbero funzionare.

 

Lo stesso non si può dire, tuttavia, dello stimolo fiscale "a una gamba" proposto dal governo di coalizione M5S-Lega, il cui scopo è una ripresa a breve termine della domanda interna attraverso una maggiore spesa pubblica (consumo). Nessuna delle spese proposte però aiuterà a risolvere i problemi strutturali dell'Italia. Ciò che manca completamente è un orizzonte a lungo termine, o la seconda gamba di una strategia praticabile - che la neoliberale Lega non fornirebbe volentieri e che il cosiddetto progressista M5S sembra incapace di concepire (Fazio 2018). Tutto cambia perché nulla cambi.

 

Ancora più importante, qualsiasi strategia di sviluppo razionale "a due gambe" è incompatibile con il rispetto dei vincoli macroeconomici della UE e con la stabilità dei mercati finanziari, che dovrebbero fungere da disciplinatori dei sovranismi dell'Eurozona (Costantini 2018, Halevi 2019). Questo è evidente da quanto accaduto quando il Governo gialloverde se ne uscì con un bozza di bilancio per il 2019. L'impatto totale dello stimolo fiscale a una gamba proposto nel DEF del 2019 era pari a circa l'1,2% del PIL nel 2019, l'1,4% nel 2020 e l'1,3% nel 2021, e anche questa minuscola espansione del bilancio ha scatenato la risposta scomposta della Commissione europea e il conseguente aumento del rendimento dei titoli italiani.

 

Blanchard et al. (2018, p.2) formalizzano questo status quo in un modello meccanico di dinamica del debito e concludono che il DEF 2019 rischia di innescare «spread ingestibili e gravi crisi, inclusa l'uscita involontaria dall'Eurozona». Blanchard et al. (2018, pagina 16) sono a favore di un bilancio fiscalmente neutro, che a loro avviso porterebbe a tassi di interesse più bassi e "probabilmente" (secondo loro) a una crescita più elevata e occupazione. Equazioni, grafici e un linguaggio economico-tecnocratico sono usati con destrezza per trasformare ciò che di fatto costituisce una trasgressione estremanente modesta dei vincoli UE in un evento catastrofico a bassa probabilità e che tutti vorrebbero evitare (vedi Costantini 2018). Ciò che è tragico è che il DEF del 2019 non si avvicina nanche lontanamente a ciò che sarebbe necessario per una strategia razionale. Tutto quello strepitare e quella furia sono inutili.

 

Peggio ancora è il fatto che il mantenimento dello status quo dell'Italia, che è quello che significherebbe un bilancio fiscalmente neutro, comporta un rischio reale largamente ignorato, a bassa probabilità e ad alto impatto: una rottura della stabilità politica e sociale nel Paese. La stagnazione continua alimenterà il risentimento e le forze anti-establishment e anti-euro in Italia. Questo destabilizzerà non solo l'Italia, ma l'intera Eurozona. La crisi italiana costituisce quindi un campanello d’allarme per l'Eurozona nel suo insieme: austerità continua e moderazione dei salari reali, in combinazione con la de-democratizzazione delle scelte di politica economica, costituiscono un "gioco pericoloso" (Costantini 2018), un gioco che rischia di rafforzare ulteriormente le forze anti-sistema anche negli altri Paesi dell'Eurozona.

 

È come aprire il vaso di Pandora. Nessuno può dire come finirà. Gli economisti (compresi quelli italiani) hanno un'enorme responsabilità in tutto questo, sia perché sono corresponabili della situazione, sia perché continuano a non riuscire ad unirsi intorno a soluzioni strategiche razionali per risolvere la crisi italiana. "Forse", ha scritto John Maynard Keynes, "è storicamente vero che nessun ordine sociale perisce mai se non per sua stessa mano " (Keynes 1919). Gli economisti razionali devono dimostrare che il verdetto di Keynes è sbagliato, a partire dall'Italia, se non altro perché il pasticcio che è diventata la Brexit sembra ormai essere oltre il recuperabile.

 

 

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 





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