Piers Morgan, noto giornalista e anchorman televisivo, spiega che gli “inglesi pentiti di aver votato Brexit” sono un’invenzione giornalistica. Lui al contrario, pur ritenendo la Brexit un errore, è disgustato dal tentativo delle élite inglesi di ribaltare con ogni mezzo l’esito di un referendum popolare. Se la scelta è tra una decisione che non si condivide e il calpestare la democrazia, non ci possono essere dubbi.
Di Piers Morgan, 6 aprile 2019
Ho votato “Remain” e penso ancora che la Brexit non sia una buona idea. Tuttavia, se ci fosse un secondo referendum sull’UE, voterei “Leave”. Non perché sia stato convertito sulla via di Damasco alla causa della Brexit – non ho incontrato nessuno che abbia cambiato idea sull’argomento, e sospetto che queste persone non esistano al di fuori della mente isterica di quel piagnone (nell’originale "Remoaner" : gioco di parole tra Remainer, ossia colui che vuole rimanere nella UE e moaner, ossia piagnucolone, NdVdE) di Alastair Campell – ma perché sarei furioso alla sola idea che si tenga un secondo referendum. Quello che oggi sta succedendo è una disgrazia: la Casa dei Comuni (un’ala del Parlamento Britannico, NdVdE), zeppa di parlamentari contrari alla Brexit, sta tentando tutto quanto è in suo potere per ribaltare il risultato del 2016 o diluire la Brexit al punto da farla apparire una cosa completamente diversa da quello per cui hanno votato i Leavers. Trovo che questo attacco alla democrazia sia più sinistro di qualsiasi cosa ci possa accadere in caso di un’uscita dall’UE senza accordi, se non altro perché coloro che più sbraitano di quale disastro sarebbe un’uscita senza accordi – come Campbell e Tony Blair – sono gli stessi che a suo tempo mi assicuravano che se l’Inghilterra non avesse aderito all'euro sarebbe stato anche quello un disastro, e invece è stata la scelta migliore che abbiamo mai fatto. Inoltre, non dimentichiamoci che queste sono le stesse persone che ci hanno trascinato nella disastrosa guerra in Iraq – senza minimamente prendere in considerazione la nozione di “voto popolare”. Quanto all’idea paternalistica che nessuno di quelli che hanno votato “Leave” sapesse quello per cui votava, dirò semplicemente questo: che pensavano che votare “Leave” volesse dire “lasciare l’unione europea”, come diceva la scheda elettorale, non "rimanere parzialmente nell'Unione" . Per cui la tanto disprezzata opzione “andare a sbattere senza un accordo” è più in linea con quello che le persone probabilmente pensavano di ottenere.
Twitter mi manda regolarmente e-mail per riportarmi le denunce formali sporte per qualcosa che ho scritto. Questa settimana, riguardava un tweet in cui ho scritto: “Il Primo Ministro Theresa May dice che darà le dimissioni se il suo pessimo accordo sull’uscita dall’Unione Europea verrà approvato. In altre parole, l’accordo è talmente pessimo che deve licenziarsi per farlo passare. La sua umiliazione, l’umiliazione del Paese, è completa. Che fiasco penoso”.
Twitter ha deciso che non ho violato le sue regole, cosa non proprio sorprendente dato che ogni singola parola era vera. Sono più affascinato dall’identità di chi mi ha denunciato. Ho 6,6 milioni di followers, ma riesco a pensare a una sola persona al mondo che avrebbe potuto avere da ridire su quello che ho scritto – e questa è Theresa May.
Una delle miriadi di critiche all’infelice, impotente e ormai senza speranza May è che non sembra avere alcuna contezza del caos che esplode proprio sotto i suoi occhi. Ho personalmente assistito a questa sua strana inclinazione. Alla festa dello Spectator, nel luglio 2016, l’ho presentata a mia moglie, ma stavo gesticolando un po’ troppo e ho urtato un bicchiere di champagne, rovesciandolo sulla testa e sul vestito di Celia. La May ha assistito a tutto questo senza cambiare espressione né commentare. Allora avevo pensato che possedesse un’invidiabile calma nel mezzo di qualunque tempesta. Ora penso che non si sia mai accorta di nulla.
Il Primo Ministro riguardo alla Brexit avrebbe dovuto adottare lo stesso atteggiamento che ha nel cuocere le focacce. L’ultima volta che ha partecipato alla trasmissione Good Morning Britain, le ho chiesto se le faceva con burro morbido o duro. “Se il burro è duro (in inglese "hard" , come "hard Brexit" con cui si intende un’uscita più netta dall’UE, NdVdE) è più facile” ha risposto. “Se è duro è possibile avere una buona presa, se è troppo molle (in inglese "soft" , come "soft Brexit" con cui si intende un’uscita solo parziale dalla UE, NdVdE), può diventare troppo scivoloso”.
In un numero di questa rubrica scritto nel settembre 2015, predissi che Donald Trump avrebbe vinto le elezioni presidenziali – e venni ridicolizzato dagli “esperti” politici per la mia presunta stupidità. Ora, predico che il Presidente Trump verrà rieletto nel 2020. Perché? In primo luogo, perchè i Democratici si stanno facendo trascinare così tanto a sinistra (???, NdVdE) da socialisti nuovi fiammanti come Alexandria Ocasio-Cortez, che non possono proprio battere un tizio che ha messo il turbo all’economia, ha aumentato i posti di lavoro, ha scacciato l’ISIS e ha fatto abbassare il capo alla Cina. In secondo luogo, dal momento che tutti i media mainstream USA che attaccano Trump hanno compromesso la loro credibilità collettiva parlando 24 ore al giorno per sette giorni alla settimana del Consigliere speciale Robert Mueller, che avrebbe riconosciuto che Trump era colluso con la Russia nel pilotare le elezioni del 2016 – per poi vedere lo stesso Mueller scagionarlo. Il mio amico Donald non è un tipo per tutti i gusti. Ma è un oratore brillante che ha vinto tutti i duelli politici in cui si è cimentato, e quando i tuoi avversari tendono a farsi male da soli, vincere diventa molto più facile.
Il Telegraph ha ormai così tanti editorialisti dal nome trendy, da Sophia Money-Coutts e Hamish de Bretton-Gordon fino a Boudicca Fox-Leonard e Harry de Quetteville, che è nato un nuovo gioco sui social media: creare il proprio nome d’arte in stile Telegraph. Bisogna prendere il nome del primo animale da compagnia che si è avuto, la strada dove si è cresciuti, e un oggetto che si ha di fronte. Il mio è quindi diventato Rocky Oxbottom-Megaphone, così dannatamente esaltante che potrei davvero doverlo adottare come mio nuovo nome d’arte di giornalista.
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