29/02/20

Coronavirus - Le disuguaglianze del sistema sanitario americano mettono a rischio la possibilità di contrastarlo

Con l'arrivo dell'emergenza legata al Coronavirus, in Usa vengono al pettine i nodi di un sistema sanitario e di un mondo del lavoro finalizzati all'unico scopo di massimizzare il guadagno degli imprenditori, trascurando massicciamente i diritti anche minimi dei lavoratori. Ora che siamo di fronte a un problema di sanità collettiva, questo sistema mostruoso, che ritiene normale stritolare le vite dei lavoratori più deboli, chiede il conto. Sarà ben difficile che i lavoratori possano seguire i consigli delle autorità sanitarie per contenere l'epidemia, quando non possono stare a casa perché non hanno la malattia pagata e non possono andare dal medico se non pagando di tasca loro. In un paese dove il singolo può trovarsi a spendere più di 3.000 euro per il test che permette di distinguere il Coronavirus da un'influenza, saranno insieme tutto il sistema e le fasce più deboli a pagare. È il capitalismo, bellezza. Dal Guardian.

 

 

 

Di Amanda Holpuch, 28 febbraio 2020

 

Le precauzioni consigliate possono essere poco praticabili per i molti che non hanno un'adeguata assicurazione sanitaria, un congedo per malattia retribuito o l'opzione di lavorare da casa

 

 

L'agenzia sanitaria americana incaricata di contrastare il Coronavirus ha comunicato agli americani che per frenare l'inevitabile diffusione di questa malattia che coinvolge il sistema respiratorio bastano alcuni semplici passi: lavarsi spesso le mani, stare a casa dal lavoro quando non ci si sente bene e contattare un medico se si hanno i sintomi della malattia.

 

Ma visto come funziona il sistema sanitario americano, le cose non sono mai semplici come sembrano.

 

Dal costo dell'assistenza sanitaria alla mancanza di giorni di malattia retribuiti garantiti per legge negli Stati Uniti, gli esperti affermano che per contenere il Coronavirus serve un cambiamento di sistema, ben oltre il far sì che più persone si lavino le mani.

 

"Per i molti americani che hanno un'assicurazione sulla salute e hanno un buon lavoro, con un datore di lavoro ragionevole - e io non sono un esperto del mercato del lavoro - queste raccomandazioni sono plausibili", ha commentato David Blumenthal, presidente del think tank sulla salute globale del Commonwealth Fund.

 

"Ma non è detto che siano praticabili da chi non ha un'assicurazione sanitaria o ha un'assicurazione sanitaria scadente - e questo riguarda circa un quinto della popolazione americana".

 

La direttrice del Centro di Immunologia dell' US Centers for Disease Control and Prevention (CDC), Nancy Messonnier, ha dichiarato martedì che contenere il Coronavirus è una priorità, perché non esiste un vaccino né un medicinale per prevenirlo né curarlo.

 

A questo scopo, ha sostenuto, le aziende dovrebbero prendere in considerazione l'idea di sostituire i contatti diretti tra persone con il telelavoro. Ha raccomandato anche alle autorità scolastiche di studiare sistemi per limitare i contatti, ricorrendo alla didattica via Internet o persino alla chiusura delle scuole. Il consiglio per le persone che hanno sintomi respiratori è quello di rivolgersi al più presto a un medico.

 

Ma gli americani, in particolare quelli con piani di assicurazione sanitaria a basso prezzo o che ne sono del tutto privi, notoriamente tendono a evitare le cure mediche a causa del loro costo.

 

Ci sono più americani che hanno paura dei costi dell'assistenza sanitaria in caso di malattia grave (40%) di quelli che hanno paura di una malattia grave (33%), secondo un sondaggio del 2018 dell'Università di Chicago e del West Health Institute.

 

Lo studio ha anche evidenziato che in un anno, più di una volta, circa il 40% degli americani ha saltato un test o un trattamento medico e che il 44% non è andato dal medico neanche in caso di malattia o incidente.

 

"Chi ha malattie acute di qualsiasi tipo rimanda l'assistenza medica quando è privo dell'assicurazione sanitaria o se deve pagare franchigie elevate", ha osservato Blumenthal. "E non c'è motivo di aspettarsi che le persone con sintomi di malattie delle vie respiratorie superiori non si comportino allo stesso modo, nei casi in cui il Coronavirus provochi tosse e febbre non molto alta, ma non una malattia realmente debilitante."

 

Neanche nei paesi con assistenza sanitaria universale le persone vanno dal medico ogni volta che sono ammalate. Ma il deterrente non è mai la minaccia di dover affrontare ingenti spese mediche. "Questo è un problema quasi unicamente americano all'interno dei paesi sviluppati", ha affermato Blumenthal.

 

Un americano che di solito trascurava di andare dal medico, Osmel Martinez Azcue, ha deciso di sottoporsi al test quando ha sviluppato sintomi di tipo influenzale dopo essere tornato dalla Cina, a gennaio. Mentre normalmente sarebbe andato solo in farmacia a comprarsi qualche medicina, questa volta si è recato in ospedale, spinto dalla preoccupazione per la sua comunità.

 

Come ha dichiarato al Miami Herald, Azcue ha una copertura assicurativa limitata, quindi ha cercato di ridurre al minimo i test, temendo il costo della tomografia computerizzata raccomandata dai medici. Dopo aver eseguito test minori e meno costosi, i medici gli hanno detto che non aveva il Coronavirus, ma l'influenza. Il tutto per un costo di 3.270 dollari. L'ospedale, contattato dal Miami Herald, ha precisato che sono rimasti a carico del paziente 1.400 euro. "Come possono aspettarsi che i normali cittadini contribuiscano ad eliminare il potenziale rischio di diffusione da persona a persona, se gli ospedali sono pronti a farci pagare 3.270 euro per un semplice esame del sangue e un tampone nasale?" Ha commentato Azcue.

 


Stare a casa quando il congedo per malattia non è garantito


Per contenere il Coronavirus, il CDC ha sottolineato quanto sia importante evitare gli assembramenti, lavorare da casa e persino ricorrere all'auto-quarantena.

 

Nell'unico paese ricco del mondo che non obbliga i datori di lavoro a concedere ai lavoratori giornate di malattia retribuite, è difficile seguire questa indicazione.

 

Secondo un articolo dell'Institute for Women's Policy Research, almeno tre lavoratori su dieci non si sono presi una pausa dal lavoro benché malati di influenza suina H1N1 nel 2009. Secondo lo studio, questo ha provocato sette milioni di infezioni in più e potrebbe avere contibuito all'estensione dell'epidemia.

 

"Ci sono molte infrastrutture da approntare prima che le raccomandazioni del CDC possano essere prese sul serio", afferma Carol Joyner, direttrice del Labor Project for Working Families, un'organizzazione senza fini di lucro che si batte per ottenere migliori politiche familiari sul posto di lavoro.

 

Per le persone che svolgono lavori a contatto con il pubblico e con salari bassi, restare a casa dal lavoro raramente è un'opzione praticabile.

 

Il salario medio dei lavoratori privi di congedo per malattia retribuito è di 10 dollari all'ora, secondo un rapporto del Center for American Progress del 2012. Il rapporto afferma che mentre il 38% dei lavoratori del settore privato non ha nemmeno un giorno di malattia retribuito, la percentuale è ancora più bassa per i lavoratori a tempo parziale, con il 73% privo di questa possibilità.

 

È probabile che questi lavoratori includano persone che lavorano a contatto con il pubblico, come distributori di cibo e autisti di autobus, o persone che lavorano con popolazioni vulnerabili, come il personale delle residenze assistite e chi lavora nella cura dei bambini. Anche questi sono lavoratori per cui il telelavoro, che secondo l'avvertimento del CDC potrebbe essere necessario al diffondersi dell'epidemia di Coronavirus, non è un'opzione.

 

"Sarà la fascia di popolazione a salario più basso, spesso persone di colore e spesso donne, che sarà la più colpita dal Coronavirus", ha concluso Joyner.

Questi sono anche i gruppi che, come gli studi dimostrano regolarmente, hanno il peggior accesso a una assicurazione sanitaria a prezzi accessibili e al congedo retribuito per malattia e motivi familiari.

 

Uno studio del CDC del 2014 ha rilevato che uno su cinque tra gli addetti alla ristorazione ha affermato di aver lavorato almeno una volta nell'anno precedente mentre soffriva di sintomi come vomito o diarrea. Questi lavoratori hanno citato come fattori significativi nella loro scelta di andare comunque a lavorare la paura di perdere il lavoro e il non voler lasciare i loro colleghi a corto di personale.

 

Karen Scott, dottorando in management presso il Massachusetts Institute of Technology, ha avvertito in un articolo per la rivista Conversation che quando i dipendenti malati si recano al lavoro "una crisi sanitaria gestibile può sfuggire al controllo".

 

Scott ha consigliato ai consumatori di chiedere nei propri ristoranti preferiti se i lavoratori hanno giorni di malattia retribuiti, in modo da influire sulla cultura aziendale.

 

C'è anche una proposta di legge in atto, per creare un'assicurazione nazionale per i congedi familiari e per la malattia pagata, chiamata Family Act e Healthy Families Act, per stabilire un diritto-base a sette giorni di malattia retribuiti ogni anno.

 

Detto questo, la situazione non è molto migliore per i lavoratori che hanno la malattia pagata. La cultura del posto di lavoro negli Stati Uniti non è a favore di prendersi i giorni di malattia, neanche quando sono necessari. Uno studio dell'ottobre 2019 della società di personale Accountemps ha rilevato che il 90% dei professionisti è andato a lavoro con sintomi di raffreddore o influenza .

 

I lavoratori del settore privato che hanno il diritto a giorni di malattia ricevono in media sette giorni di congedo per malattia retribuiti all'anno, indipendentemente dal tempo trascorso nella stessa società (uno, cinque o dieci anni), secondo l'Ufficio delle statistiche del lavoro degli Stati Uniti. Dopo 20 anni di servizio, la media aumenta fino a otto giorni di malattia retribuiti.

 

Si tratta di metà del tempo consigliato per l'eventuale auto-quarantena .

 

Anche la raccomandazione più elementare: lavarsi le mani più frequentemente con acqua e sapone, è stata sfidata dalla scrittrice Talia Jane su Twitter.

 

"'Lavati le mani' è un ottimo consiglio per le persone che non interagiscono con centinaia di persone al giorno", ha detto . “Non posso lasciare il posto per lavarmi le mani dopo ogni cliente di cui ho toccato denaro e cibo mentre gli mettevo la spesa nei sacchetti. Inoltre non possiamo indossare guanti né maschere."

27/02/20

L'UE è nei guai e Ursula Von der Leyen è la persona sbagliata per salvarla

Da un'economista di Princeton che non ha risparmiato critiche al fallimentare progetto europeo di unione monetaria, un quadro crudo dei disastri presenti e prevedibili per l'UE negli anni a venire. Con una presidente della Commissione per nulla adatta a gestire il campo di battaglia in cui si è trasformata la gestione del bilancio comune europeo. Come era stato previsto, le sempre maggiori divisioni, aggravate dai meccanismi disfunzionali dell'eurozona che hanno allargato le differenze tra paesi, stanno dilaniando l'Europa, in conflitto praticamente su tutto. E i fantomatici stati uniti d'Europa vagheggiati dai tanti sognatori nostrani sono sempre più improbabili e lontani. 

 

 

 

Di Ashoka Mody, 23 febbraio 2020

 

L'Europa sta chiaramente perdendo la sua strada. La sfiducia e le divisioni sono aumentate in modo allarmante, aggravate dalla conflittuale scelta di Ursula von der Leyen come presidente della Commissione e in previsione di un dibattito controverso sul bilancio dell'UE. Oggi è ben difficile identificare un obiettivo strategico su cui i leader europei siano uniti per migliorare la vita dei cittadini europei.

 

Ursula von der Leyen è stata una scelta poco condivisa per la successione a Jean-Claude Juncker come presidente della Commissione europea. Emersa dopo trattative ferocemente conflittuali come compromesso dell'ultimo minuto, è incappata immediatamente in una tempesta di critiche. Perfino i membri del suo stesso partito, l'Unione Democratica Cristiana (CDU), l'hanno presa di mira. Nel ruolo ingrato di ministro della Difesa tedesco, non è stata in grado di superare gli ostacoli posti dal pacifismo tedesco del dopoguerra e dall'insensata austerità nella spesa pubblica, tanto che un ex ministro della Difesa le ha addossato la colpa dello stato "catastrofico" dell'esercito tedesco. Un membro del Bundestag ha dichiarato sarcasticamente: "È utile per l'esercito... che se ne vada." Il ministero della Von der Leyen è stato colpito da accuse di clientelismo e scorrettezze nell'assegnazione di contratti di consulenza. La cancelliera Angela Merkel, benché già suo premier, decise addirittura di non votarla per la Presidenza della Commissione, pur di non scontentare gli alleati di coalizione socialdemocratici della SDP, furenti per la bocciatura del loro candidato.

 

La Von der Leyen ha ricevuto il voto di conferma del parlamento europeo con un margine strettissimo. Dopo il voto segreto, i parlamentari più europeisti di tutti, i Verdi, hanno comunicato di avere votato contro di lei. Per superare l'ultimo ostacolo, ha quindi avuto bisogno dei voti dei partiti di governo xenofobi e scettici in Polonia e, soprattutto, in Ungheria.

 

L'aspro e opportunistico mercato delle vacche scatenato in occasione della nomina della Von der Leyen è stata la dimostrazione su scala ridotta del profondo malessere europeo: l'incapacità di agire con una voce comune nell'interesse comune. Von der Leyen è un prodotto di questo sistema. È abile nella retorica e nelle  tattiche di combattimento da guerra intestina. Ma per riuscire, ora, deve miracolosamente trovare un terreno comune, se vuole agire meglio di quanto non abbia fatto al ministero della Difesa tedesco.

 

Un aspro dibattito sta imperversando sulla dimensione e sulla destinazione del prossimo bilancio dell'UE. E con gli Stati membri che mettono al primo posto i loro interessi nazionali, l'agenda strategica dell'UE è nel caos.

 

Il budget europeo: scorrerà il sangue


La Von der Leyen ha lanciato un "Nuovo corso verde europeo" (New Green Deal) da trilioni di euro, da pagare con i fondi del prossimo ciclo di bilancio dell'UE, che andrà dal 2021 al 2027. "Scorrerà il sangue", ha pronosticato oscuramente un alto funzionario dell'UE, dopo che la Von der Leyen aveva lasciato il ricevimento per festeggiare l'anno nuovo della Commissione europea. Il precedente bilancio dell'UE, che va dal 2014 al 2020, ha registrato un trilione di euro, circa l'uno per cento del PIL dell'UE nello stesso  periodo. Il prossimo bilancio inizia con un buco di 94 miliardi di euro dovuto all'uscita della Gran Bretagna dall'UE. Eppure i "contribuenti netti" - gli stati del Nord (ma lo è anche l'Italia - NdVdE) - hanno escluso di aprire ulteriormente i loro portafogli; i "destinatari netti" - gli Stati membri meridionali (esclusa l'Italia, che in assoluto versa più contributi di quanti ne riceva - NdVdE) e orientali - stanno lottando per mantenere i loro benefici fiscali. I coltelli sono già stati sfoderati, mentre lo sforzo porterà ad aumentare il bilancio comune, nella migliore delle ipotesi, di un misero decimo dell'uno per cento del PIL.

 

L'UE spende il suo fossilizzato bilancio con molti sprechi, anche notevoli. Oltre il 40% delle spese è destinato a sussidi agricoli. In una denuncia scioccante, il New York Times ha riferito che i sussidi agricoli "sostengono oligarchi, mafiosi e populisti di estrema destra". La corruzione parte dal vertice: "I leader nazionali usano i sussidi per arricchire amici, alleati politici e familiari", riporta il documento. Il parlamento europeo è complice. Ha respinto sommariamente l'ultimo tentativo di cancellare alcune delle elargizioni previste. In poche parole, troppi mediatori influenti hanno le loro mani privilegiate nella cassa. Il New York Times ha anche rivelato una preoccupante sovrapposizione geografica tra il versamento dei sussidi e l'inquinamento ambientale, una sovrapposizione di cui i funzionari dell'UE sembrano essere consapevoli.

 

I "Fondi strutturali e di coesione", costituiscono un altro terzo del bilancio. Questi fondi hanno contribuito a risollevare le regioni più arretrate dell'UE. Ma, come riconosce la stessa Commissione europea, questi fondi sono stati a lungo associati alla corruzione attraverso, ad esempio, tangenti e falsificazione di documenti. D'altra parte, sembra che nessuno voglia disturbare questo pacifico status quo. I cosiddetti "amici della coesione" tra i "contribuenti netti" condizionano la continuazione dei contributi al fatto che le loro imprese nazionali traggano vantaggio dai contratti che nascono grazie ai fondi di coesione nell'Europa orientale. Altrimenti, avvertono cupamente, i piani per il bilancio dell'UE sono "destinati a fallire".

 

Quindi tre quarti del bilancio sono intoccabili. In questo caos, Von der Leyen vuole un quarto del budget per dare il via a un trilione di euro di spesa verde. Inoltre vuole più soldi per l'immigrazione e la gestione delle frontiere, la sicurezza e la difesa e un programma per una "Europa digitale".

 

Per quanto riguarda la protezione ambientale, l'UE sta cercando di stabilire standard molto sfidanti di riduzione delle emissioni, soprattutto perché gli americani stanno arretrando. Ma gli ambiziosi progetti non coincidono con la scoraggiante realtà. Gregory Claeys e Simone Tagliapietra, del Bruegel (un think tank con sede a Bruxelles), prevedono che le autorità europee, in assenza di maggiori fondi, etichetteranno come "verde" la spesa già esistente. In una discussione su Twitter, Claeys ha concluso tristemente: “L'UE è davvero [il] campione del mondo nel rimescolare I (piccoli) fondi che girano per fingere di avere delle politiche. E questo è un problema, perché porta a grandi aspettative ma a scarsi risultati."

 

La fantasia" geopolitica"


La Von der Leyen ha promesso di guidare una Commissione europea "geopolitica". I leader europei adorano coniare nuove espressioni, alzando continuamente la posta: da una "Unione sempre più vicina" a una "Unione politica", fino alla "sovranità europea", l'espressione preferita da Emmanuel Macron. Ora è la volta dell'Europa come forza "geopolitica". La baldanza del "Progetto europeo" è confortante perché la sostanza è esasperante.

 

Nella sua crociata geopolitica, Von der Leyen tiene d'occhio la Cina. "Dobbiamo definire e far rispettare i nostri interessi nei rapporti con la Cina insieme, come europei", ha dichiarato in un'intervista a Die Zeit. "La Cina ci intrappola subdolamente", ha dichiarato. "Ed è per questo che spesso non ci rendiamo conto della coerenza con cui persegue i suoi obiettivi e con quanta intelligenza." Ha messo in guardia soprattutto contro il coinvolgimento nel progetto cinese Belt and Road Initiative (BRI), un programma di infrastrutture transcontinentali, noto per avere incastrato i paesi che l'hanno accolto in debiti insostenibili nei confronti dei cinesi.

 

Ma nessuno le ha prestato attenzione. L'elenco di chi ha aderito al BRI comprende Austria, Bulgaria, Repubblica ceca, Grecia, Portogallo, Ungheria, Polonia e Slovacchia. L'unità su questo fronte è crollata completamente quando anche gli italiani hanno aderito alla BRI, nella speranza che ciò aiutasse la loro economia in difficoltà a migliorare le infrastrutture e ad espandere le esportazioni verso la Cina.

 

Le differenze di posizione tra gli stati membri europei su questioni strategiche e politiche sono innumerevoli. Charles Grant del Centre for European Reform avverte che Francia e Germania operano sempre più unilateralmente, perseguendo ognuna il proprio interesse nazionale. "La Germania", sottolinea, "non ha consultato i suoi partner dell'UE in merito al sostegno da lei dato al gasdotto russo Nord Stream 2, anche se questo aumenterà la dipendenza dell'UE dall'energia russa e causerà tensioni con gli Stati Uniti". Sul coinvolgimento controverso di Huawei nelle reti europee, Grant osserva che “a marzo 2019, la Merkel ha tenuto il francese all'oscuro del fatto che avrebbe permesso a Huawei di concorrere alle gare per alcune parti della rete tedesca 5G; e ha ignorato l'opinione francese secondo cui Huawei rappresentava una potenziale minaccia alla sicurezza e che avrebbe dovuto esserci una risposta comune dell'UE alla società cinese ".

 

Macron ritiene che ciò che è buono per la Francia debba essere buono anche per l'Europa. Ha posto il veto all'inizio dei colloqui sull'adesione della Macedonia del Nord all'UE, sebbene il paese aspirante avesse compiuto un enorme sforzo preparatorio, compreso l'accettare un controverso cambio di nome, per raggiungere i requisiti stabiliti per poter avviare i colloqui. Il veto di Macron è stato uno shock, soprattutto per la Germania, a causa del suo interesse strategico nei Balcani. Macron ha anche allarmato gli altri Stati membri con la sua apertura a sorpresa alla Russia, suggerendo nuove relazioni tra questa e l'UE.

 

Insieme, la fine posta da parte di Macron al processo di adesione della Macedonia del Nord e la sua mano tesa verso la Russia hanno contribuito alle tensioni tra Francia e Paesi di Visegrad: Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia. Macron ha preso l'abitudine di opporsi a questi paesi. Subito dopo essere diventato presidente, nel maggio 2017, ha spinto la Commissione europea a limitare lo spostamento di lavoratori dell'Europa orientale in Francia. Questi lavoratori - come il leggendario idraulico polacco - rappresentavano una forma di "dumping sociale", accusò Macron. Per cercare di guadagnare punti nella sua battaglia politica, Macron ha fatto una mossa meschina, poiché il numero di lavoratori che si sono spostati in Francia è piccolo rispetto alla forza lavoro francese.

 

Un continente a pezzi e in declino


Alla base di questi drammi ricorrenti su questioni di alta politica e strategie c'è una realtà irremovibile: l'UE è una confederazione di stati, proprio come gli Stati Uniti lo erano dopo la guerra di indipendenza del 1776. Nel 1786, diversi stati membri minacciarono di paralizzare gli Stati Uniti appena nati. Madison, un orgoglioso Virginiano, scrisse una storia delle confederazioni, in cui catalogava senza pietà tutte le aspre divisioni che le fecero più volte esplodere. Madison si unì quindi a George Washington e, con probabilità zero di farcela,  nel marzo del 1789 riuscirono a installare un governo federale con autorità fiscale coercitiva e responsabilità di difesa nazionale assoluta secondo la costituzione degli Stati Uniti.

 

La Von der Leyen parla apertamente di Stati Uniti d'Europa. "Tutti gli stati membri dovranno essere pronti a contribuire a una più profonda integrazione", dichiara, senza spiegare perché gli stati membri, bloccati dalle politiche fiscali, estere, di difesa e migratorie, dovrebbero abbandonare i loro confliggenti  interessi nazionali per avanzare sul cammino verso una maggiore integrazione.

 

Gli europei si allontanarono con forza dagli Stati Uniti d'Europa, anche all'ombra della seconda guerra mondiale, quando la spinta a unirsi per cancellare i sanguinosi ricordi del passato era al suo massimo. Oggi le circostanze sono particolarmente avverse a questo obiettivo e probabilmente non faranno che peggiorare.

 

L'Europa è un continente in rapido declino in termini di influenza economica e politica, come sottolineato da Jean-Claude Juncker. Famoso per avere bevuto in qualche occasione un drink di troppo, Juncker, che dice la verità, ha brutalmente notato che la quota europea di valore aggiunto globale scenderà dal 25% di oggi a circa il 15% nella prossima generazione; per allora, nessun paese europeo probabilmente sarà più membro del gruppo elitario del G7. E mano a mano che anche le popolazioni in calo dell'Europa invecchieranno, sarà sempre più difficile arginare la tendenza al declino.

 

Una conseguenza del declino economico e politico è la crescente ansia sociale e alienazione politica all'interno degli stati membri, che porta alla frammentazione politica interna. L'Italia è il classico caso di coma economico, diffusione del lavoro precario e politica disfunzionale. La Germania, pericolosamente in bilico verso un punto di non ritorno economico, si sta sbriciolando politicamente. Inevitabilmente, la frammentazione a livello nazionale si riflette nel parlamento europeo, dove i partiti euro-scettici hanno guadagnato terreno e così anche i Verdi, a spese dei tradizionali partiti conservatori e socialdemocratici.

 

La frammentazione politica diventa una trappola. Gli stati-nazione fanno fatica ad articolare le loro priorità. A livello europeo, i compromessi per realizzare politiche lungimiranti diventano più difficili. Le azioni unilaterali e il blocco della griglia diventano la norma su questioni delicate che incidono sulla sovranità nazionale fondamentale. Il declino economico persiste. L'evoluzione europea si ferma. L'ossessione per le forme e la cerimonia diventa la regola.

 

Nel gennaio 2018, quando ho completato il manoscritto per la prima edizione del mio libro "EuroTragedy: A Drama in Nine Acts" (Eurotragedia: un dramma in nove atti, NdVdE), la mia critica era rivolta all'euro. Ho sostenuto che il più ampio progetto europeo era in gran parte uno sforzo positivo per risolvere le differenze nazionali e raggiungere obiettivi comuni, in particolare su questioni relative al commercio e alla politica di concorrenza. Anche allora era chiaro che le differenze inconciliabili su come trattare i migranti avrebbero afflitto l'UE per anni. Ma a luglio 2019, quando ho redatto la postfazione dell'edizione tascabile, l'Europa stava chiaramente perdendo la sua strada.

 

Come a conferma di questa visione più pessimistica, la sfiducia e le divisioni sono cresciute in modo allarmante. Ciò è stato solo aggravato dalla conflittuale scelta di Ursula von der Leyen come presidente della Commissione europea e in previsione di un dibattito controverso sul bilancio dell'UE. Oggi è difficile identificare anche un solo obiettivo strategico su cui i leader europei siano uniti per migliorare la vita dei cittadini europei.

 

Gli Stati membri riconoscono che, anche collettivamente, possono a malapena influenzare i risultati internazionali. Il grande mercato comune europeo consente ai leader politici e ai burocrati di esercitare una certa influenza in materia di scambi commerciali. Ma questa leva diminuirà con la posizione economica globale dell'Europa. Gli stati-nazione saranno ulteriormente spinti ad azioni unilaterali nei loro interessi nazionali percepiti. Nel frattempo, le strutture europee, che gestiscono compulsivamente i loro processi e le loro cerimonie, rimarranno in piedi per molto tempo, dopo aver perso il loro scopo e la loro capacità di tenere uniti gli europei.

 

 

Ashoka Mody insegna alla Princeton University. L'edizione tascabile della sua EuroTragedy: A Drama in Nine Acts è disponibile negli Stati Uniti e presto nel Regno Unito. 

Pubblicato per gentile concessione di The Spectator Coffee House

23/02/20

Politico – La libertà di circolazione aggrava la crisi dei senzatetto in UE

La libertà di circolazione, come tutte le “conquiste” della Ue, è un bene solo per chi se la può permettere. Molti, illusi dalla prospettiva di cambiare vita, emigrano per trovare qualche lavoro precario e sottopagato, e magari poi finire per strada, senza più i mezzi e i contatti per tornare indietro. Questo articolo di Politico raccoglie le denunce delle associazioni per l’assistenza sociale, che hanno visto in una manciata di anni un incremento vertiginoso dei senzatetto, soprattutto di provenienza Ue. E proprio la Ue viene additata come corresponsabile di questa situazione.

 

 

di Hanne Cokelaere, 19 febbraio 2020

 

Secondo i suoi paladini, la libertà di movimento sarebbe uno dei maggiori successi della Ue. Tuttavia, sta lasciando per strada molti dei suoi cittadini più indigenti.

 

Oggi c'è un numero record di cittadini che vivono e lavorano in un altro paese UE, ma anche il numero di quelli che si spostano altrove per poi finire a vivere per strada è in crescita. Operatori sociali e parlamentari sostengono che è il momento che Bruxelles faccia qualcosa.

 

I lavoratori Ue possono muoversi liberamente all’interno del blocco dei paesi, ma non tutti trovano una vita facile e confortevole una volta arrivati alla loro destinazione. Le procedure per l’ottenimento di un alloggio favoriscono le persone che possono dimostrare di non essere un peso per i sistemi assistenziali locali, e questo significa che le persone più povere, spesso quelle in posizioni precarie e con impieghi sottopagati, rischiano di cadere nel baratro.

 

Il problema della gente che dorme per strada è difficile da ignorare nella capitale belga, dove numerosi senzatetto vivono per le strade e nelle stazioni della metropolitana attorno al “quartiere Ue” della città – sede della Commissione Europea, del Consiglio, del Parlamento e di altre istituzioni. Qui i senzatetto chiedono l’elemosina ai funzionari e diplomatici meglio pagati della Ue.

 

Non sono venuto dalla Romania [in Belgio] solo per ricevere assistenza sociale”, ha detto Nicolae, 59 anni, parlandoci in un affollato caffè del centro, davanti a un tè alla menta. “Voglio lavorare.

 

Sei anni fa Nicolae ha perso il suo monolocale in Molenbeek, un variegato quartiere del centro di Bruxelles, perché non poteva più permettersi di pagare l’affitto. Oggi passa le notti in un rifugio per senzatetto, e le sue giornate nell’area attorno alla stazione Midi di Bruxelles – stazione di destinazione degli Eurostar e di altri treni che attraversano l’Europa. Qui beneficia delle mense per i poveri e degli hotspot Wi-Fi gratuiti.

 

L’aumento dei senzatetto è ben visibile nel blocco dei paesi UE. Secondo un report del 2019 della FEANTSA, organizzazione che lavora per i senzatetto in Ue, almeno 700.000 persone vivono per strada o negli appositi dormitori. Si tratta di un aumento del 70 per cento rispetto a un decennio fa. In Finlandia, paese che ha messo a punto una strategia di lungo termine per offrire casa ai senzatetto, il numero è diminuito.

 

Dormire per strada

 

Non ci sono statistiche ufficiali dei senzatetto in Belgio, ma le organizzazioni che si occupano del problema hanno segnalato un aumento del numero di cittadini provenienti da altri paesi UE che hanno bisogno di aiuto.

 

I dati di Samusocial, organizzazione per gli alloggi di emergenza a Bruxelles, indicano che il 15,3 per cento delle persone che ha cercato un rifugio presso di loro nel 2018 erano cittadini Ue non provenienti dal Belgio. I belgi rappresentano il 16,4 per cento del totale. Il restante 61,6 percento è rappresentato da persone provenienti da altri paesi al di fuori del blocco Ue (le cui origini non sono documentate). Tra gli europei, il 33 per cento viene dai paesi dell’Est.

 

L’organizzazione sociale Diogènes di Bruxelles afferma che il 42 per cento delle persone che chiede aiuto erano belgi, il 43 per cento erano altri cittadini Ue, e il 15 per cento provenienti da paesi terzi. I polacchi da soli rappresentano il 15 per cento delle persone che si sono rivolte all’associazione nel 2019.

 

Altre grandi città europee riportano tendenze simili. Barcellona ha registrato un rapido aumento di uomini senzatetto di provenienza Ue, con una proporzione sul totale che è balzata da un terzo nel 2014 (rispetto a spagnoli ed extra-Ue) al 44 per cento nel 2018. Anche tra le donne, il numero di senzatetto di provenienza Ue (non-spagnola) ha superato il numero delle spagnole e delle donne non-Ue.

 

E se il 49 per cento di quelli che dormivano per strada a Londra tra il 2018 e il 2019 erano britannici, il 31 per cento proveniva dall’Europa dell’Est, e un altro 7 per cento dal resto del blocco dei paesi, secondo la Greater London Authority.

 

Moralmente, la UE ha parte della responsabilità”, ha dichiarato Freek Spinnewijn, direttore della FEANTSA, sottolineando il collegamento tra la libertà di circolazione e i senzatetto. “È un male che chiudano gli occhi di fronte alle conseguenze negative della libertà di circolazione”.

 

Questo problema è grave già da 10 anni, ma è stato fatto ben poco per contrastarlo”, ha aggiunto.

 

L’estensione dell’assistenza sociale a persone provenienti da altri paesi Ue è un argomento scivoloso, perché i parlamentari temono le possibili ripercussioni sul sistema dei servizi sociali.

 

La libertà di circolazione dei lavoratori è una buona cosa per i cittadini europei che stanno cercano opportunità, per l’economia e per la domanda di lavoro nei paesi Ue, ma non deve trasformarsi in libera circolazione del sostegno sociale”, ha detto Gilles Verstraeten, parlamentare di Bruxelles per il partito fiammingo nazionalista N-VA. Questo potrebbe portare a uno “shopping dell’assistenza sociale”, dove i sistemi dei paesi più generosi vengono presi di mira, ha aggiunto.

 

Ma Spinnewijn ha affermato che la UE dovrebbe assicurarsi che le persone vengano guidate nella ricerca di un nuovo lavoro, o altrimenti garantire che possano fare ritorno a un paese dove hanno accesso all’assistenza sociale in modo sostenibile – in questo ha sottolineato la necessità che alcuni paesi UE mettano in piedi un sistema di servizi di questo tipo. Ciò richiederebbe una collaborazione al livello della UE, ha concluso.

 

A Bruxelles, quantomeno, si stanno facendo degli sforzi per venire a capo di questo crescente problema. Alain Maron, ministro dei Verdi per la regione di Bruxelles, ha annunciato una nuova strategia per il problema dei senzatetto a dicembre, con un aumento di 14,8 milioni di euro in finanziamenti per rifugi e progetti preventivi e di riassegnazione di una casa a chi l’ha persa, seguendo l’approccio della Finlandia.

 

Il cambio di paradigma dovrebbe aiutare la città a passare dalle misure di emergenza – come quelle di incrementare i soccorsi durante il periodo invernale – allo sviluppo di strategie più sostenibili nel lungo termine, ha detto Maron alla radio locale. “La gente muore per strada anche d’estate. Vogliamo che gli operatori gestiscano il problema su base annuale.

 

La nuova Commissione ha affermato di ascoltare le chiamate all’azione. “Quello della casa è il fulcro di tutti i problemi sociali”, ha detto il commissario per il lavoro, Nicolas Schmit, al Parlamento Europeo durante un dibattito a gennaio, promettendo uno sforzo comune di governi nazionali e regioni per contrastare il problema dei senzatetto.

 

La trappola di chi si ritrova senzatetto

 

Un grosso ostacolo per gli immigrati a bassa qualificazione provenienti da altri paesi Ue è quella di orientarsi nella burocrazia del paese in cui sono arrivati.

 

Nicolae ha lasciato la regione romena della Transilvania nel 2007, anno in cui il suo paese ha aderito alla UE, per cercare lavoro nella “capitale d’Europa”. A quel tempo aveva poco meno di cinquant’anni, e trovò un lavoro come frutticoltore a Londerzeel, piccolo comune a 20 chilometri a nord di Bruxelles. La sua paga era bassa, ma migliore di quella che avrebbe potuto guadagnare in Romania, e includeva l’alloggio, ci racconta. Il suo datore di lavoro però due anni dopo è morto, e lui si è ritrovato di nuovo per strada.

 

Nel 2011 si è ammalato gravemente. La sua sventura però si è rivelata finanziariamente vantaggiosa, almeno all’inizio. È infatti riuscito a compiere un primo passo nel processo di registrazione in Belgio nel momento in cui il governo federale ha deciso che sarebbe potuto rimanere per ottenere le cure mediche di cui aveva bisogno. E in quanto persona in procinto di acquisire i diritti di soggiorno, ha ricevuto anche un assegno mensile e una somma una tantum per una sistemazione, che ha usato per trasferirsi nel suo appartamento a Molenbeek.

 

Ma la sua sistemazione sarebbe durata poco. Il governo ha in seguito revocato la decisione di lasciarlo restare nel Paese per motivazioni mediche, e gli ha tolto l’assegno. “Tutto quello che avevo: la TV, il letto, il frigorifero...tutto perso”, racconta.

 

Ora, nel mezzo di un procedimento di appello avviato nel 2014, nutre ancora la speranza che la decisione del governo venga rivista. “Se mi avessero detto fin dall’inizio che dovevo tornare in Romania, sarebbe stato meglio”, dice Nicolae. Ora non ha più i mezzi per ritornare, ci dice. I suoi genitori sono morti da quando lui è arrivato in Belgio.

 

Un problema ricorrente è l’inaffidabilità dell’accesso ai servizi sociali per i cittadini UE, dato che i servizi sono spesso riservati ai residenti legali di un dato paese. Questo è esacerbato dall’approccio di neutralità assunto dalla Ue rispetto al modo in cui i diversi governi valutano lo stato di occupazione delle persone nelle loro domande di richiesta di residenza. I paesi propendono spesso per un’interpretazione restrittiva di cosa sia un “vero” lavoro, e i cittadini che si spostano all’estero per occupare posti di lavoro precari e sottopagati sono particolarmente vulnerabili, e rischiano di essere lasciati fuori, secondo la FEANTSA.

 

Questo significa che i senzatetto che provengono da altri paesi Ue rischiano di trovarsi in un circolo vizioso che rende il loro status pressoché permanente: no residenza senza soldi, ma no soldi senza lavoro, e no lavoro senza residenza.

 

Senza un indirizzo non esisti, dunque non hai diritti”, ha spiegato Bran Van de Putte, assitente sociale per Diogènes.

 

Molti paesi Ue sono ben lontani dal rompere questo circolo vizioso.

22/02/20

Varoufakis - Euroleaks: perché pubblicarle? E perché ora?

Sul suo sito Yanis Varoufakis, ministro delle Finanze greco ai tempi  della troika, spiega come e perché decise di registrare le riunioni  dell'Eurogruppo, organo "informale" non previsto nei trattati e di cui non esistevano verbali, ma in cui i paesi creditori decidevano a porte chiuse le sorti del suo paese, ben sapendo i danni che ne sarebbero derivati per il popolo. Spiega anche perché ora ha deciso di pubblicarle, non appena le trascrizioni saranno completate.  Sulle registrazioni è basato anche il libro di memorie di Varoufakis  "Adulti nella stanza", da cui il regista greco Costas-Gavras  ha tratto un film che è stato presentato al Festival del cinema di Venezia, ma non ci risulta  poi essere stato distribuito nelle sale cinematografiche italiane.  I burocrati europei hanno tentato invano di evitare che il film venisse girato, ma la vera natura del processo decisionale europeo, opaco e privo di regole e in quanto tale facile da piegare a qualsiasi convenienza politica, è già emersa in maniera chiara e ormai è anche oggetto di satira

 

 

di Yanis Varoufakis, 16 febbraio 2020

 

Durante la prima metà del 2015, come ministro delle Finanze della Grecia, ho partecipato a tredici incontri cruciali dell'Eurogruppo - prima che il governo SYRIZA (ignorando il risultato referendario del 5 luglio) capitolasse. Il risultato di quella capitolazione furono le mie immediate dimissioni e un programma di austerità permanente (fino al... 2060).

 

Fin dall'inizio, dal primo Eurogruppo, fu chiaro che i leader della troika che dominavano quegli incontri erano determinati a evitare qualsiasi serio dibattito sul "programma" della Grecia. Ero arrivato lì con l’idea di trovare un onorevole compromesso sulla base di opportune proposte tecniche il cui scopo era di aiutare il popolo greco a respirare di nuovo, minimizzando i costi per i nostri creditori (che dominavano l'Eurogruppo).

 

In netto contrasto, i leader della troika, e i ministri delle Finanze loro complici, si opposero con fermezza, rifiutandosi di discutere le mie proposte o di fare qualsiasi controproposta che potesse  avere un senso finanziario, politico o morale. Ripetutamente chiesero la resa del nostro governo a un programma neocoloniale di austerità che loro stessi, a porte chiuse, confessavano che sarebbe fallito!

 

Dopo i primi tre incontri all'Eurogruppo mi sono reso conto, con orrore, che non si teneva nessun verbale. Inoltre, l'assenza di qualsiasi traccia di ciò che veniva detto permetteva ai burocrati della troika di indulgere in un'orgia di fughe di notizie e insinuazioni che si diffondevano rapidamente in tutto il mondo.

 

È stata una grande Operazione di Capovolgimento della Verità: la troika stava diffondendo la notizia che sarei arrivato agli incontri impreparato, privo di preparazione tecnica, e che annoiavo a morte i miei colleghi con discorsi ideologici o teorici che non coglievano il punto.

 

È stata la mia prima, vera e dolorosa esposizione al vero significato del termine fake news.

 

Per riuscire a informare accuratamente il mio Primo ministro e il Parlamento su ciò che accadeva in quelle interminabili riunioni, e anche per difendermi dalle distorsioni e dalle vere e proprie menzogne ​​riguardanti i miei interventi (come anche dalle bugie su ciò che quelli della troika mi stavano dicendo), ho iniziato a registrare i lavori sul mio smartphone.

 

Non volendo mantenere il segreto su questo, ne parlai in un'intervista al New York Times - come mezzo per avvertire i propalatori di notizie false che avrei potuto dimostrare che stavano diffondendo bugie. La reazione della Commissione europea fu una falsa indignazione, ma, cosa interessante, smisero di far trapelare le notizie!

 

Successivamente, ho pubblicato il mio libro di memorie (Adulti nella stanza), che è basato, in larga misura, su quelle registrazioni, pensando che sarebbe stata la fine della storia.

 

Perché vi sto annoiando ora con questa storia di cinque anni fa?

 

Perché, per i motivi che esporrò di seguito, MeRA25-DiEM25 e io abbiamo deciso che ora è il momento giusto per rendere disponibili al pubblico queste registrazioni.

 

Perché ora?

 

Dopo aver pubblicato Adults in the room [Adulti nella stanza, NdT], non avevo l’intenzione di rendere pubbliche le registrazioni inedite anche se, ancora tre anni dopo la pubblicazione del libro, e specialmente qui in Grecia, le fake news sugli eventi del 2015 vengono ancora spacciate come fatti reali. Avendo già estratto dalle registrazioni la maggior parte delle cose importanti in Adulti nella stanza, ero intenzionato a voltare pagina.

 

Tuttavia, la scorsa settimana due eventi qui in Grecia mi hanno fatto cambiare idea:

 

1. Il nuovo governo di destra di Nuova Democrazia ha recentemente approvato una legge sulla vendita dei mutui ipotecari in sofferenza a fondi, che scateneranno sfratti di massa per le famiglie che, a causa della crisi infinita, non possono pagare i loro mutui. Dal 1° maggio, una nuova ondata di miseria sommergerà la nostra popolazione già sconfitta. In Parlamento, dove dirigo MeRA25 (il nuovo partito progressista di DiEM25 in Grecia), il Primo ministro e i suoi Ministri si sono alternati per "spiegare" ciò che stanno facendo, incolpando del loro nuovo impulso liquidatore... me e il modo in cui "avrei sconvolto" i miei colleghi ministri delle Finanze in quegli incontri dell'Eurogruppo del 2015!

 

2. I miei ex colleghi di governo (SYRIZA) hanno appena fatto trapelare una revisione interna sugli errori compiuti dal 2014 e sul perché sono stati sconfitti alle elezioni generali del luglio 2019. La loro principale conclusione sembra essere che il loro ministro delle Finanze nel 2015 (io!) si è inimicato i suoi colleghi dell'Eurogruppo, mancando di presentare proposte ragionevoli, avendo un comportamento recalcitrante ecc. (Ovvero SYRIZA ha adottato pienamente la narrativa della troika).

 

Alla luce di quanto sopra, mi è ora ampiamente chiaro che le fake news relative alle riunioni dell'Eurogruppo del 2015 stanno fungendo da copertura per una nuova ondata di assalti contro i cittadini più deboli. Per questo motivo, in un dibattito parlamentare su questioni attinenti al diritto del lavoro che coinvolgono i leader del partito (venerdì scorso 14 febbraio), mi sono rivolto direttamente ai miei detrattori:

 

"Siete andati avanti cinque anni", ho detto loro "a mentire su ciò che era accaduto in queste riunioni dell'Eurogruppo. Ora, su queste distorsioni della verità, state programmando nuovi provvedimenti di legge sulla austerità e sui procedimenti di liquidazione. Per questo motivo, prima che i membri del Parlamento possano esprimere un voto informato su tali progetti di legge, hanno il diritto e il dovere di sapere esattamente cosa è stato veramente detto in quelle riunioni dell'Eurogruppo".

 

A quel punto, ho dato lettura di una decisione dell'Alta Corte greca secondo la quale queste registrazioni sono pienamente legali (dato che non riguardano la vita privata dei partecipanti e sono state registrate nel corso dell’esercizio delle loro pubbliche funzioni). Quindi, ho tirato fuori una busta contenente una chiavetta USB con tutte le registrazioni in mio possesso e l'ho sottoposta alla segreteria della Camera dichiarando che la consegnavo al Presidente della Camera perché decidesse su come rendere il materiale disponibile ai parlamentari e al pubblico in generale.

 

Poco dopo, un agente ha riportato la chiavetta USB nel mio ufficio, su ordine del Presidente, che ha ritenuto il mio gesto "inaccettabile". Alcune ore dopo, ho rilasciato una dichiarazione secondo cui DiEM25-MeRA25, in conseguenza della posizione del Presidente, pubblicherà il materiale rendendolo disponibile al pubblico.

 

"Vi sono state raccontate delle storie su ciò che è accaduto in questi incontri, vi siete comportati come se sapeste esattamente cosa è stato detto, ma ora siete nel panico al solo pensiero di scoprire cosa è stato veramente detto", abbiamo quindi aggiunto.

 

Qual è il significato di queste registrazioni, che va oltre la Grecia?

 

Queste registrazioni / trascrizioni rendono interessante l'ascolto / lettura per tutti coloro che desiderano formarsi un punto di vista indipendente su quello che è il processo decisionale all'interno dell'UE.

 






  • Gli europeisti hanno molto da imparare su come l'euroscetticismo, di cui la Brexit rappresenta un esempio, è stato aiutato e favorito dall'inaccettabile processo decisionale al cuore dell'UE. Imparare queste lezioni è un prerequisito per riformare, o ancora meglio trasformare, l'UE.


 

 

 

  • Sfortunatamente, in queste registrazioni gli euroscettici troveranno delle prove che giustificano i loro atteggiamenti.


 

 





  • Coloro che studiano le relazioni internazionali, che conducono studi europei, di finanza e di economia, acquisiranno preziose informazioni su come vengono prese decisioni delicate e cruciali per l'economia mondiale.


 

 

 

  • E, infine, poiché la democrazia senza trasparenza è assolutamente impossibile, la pubblicazione di questi file è un servizio piccolo, ma non insignificante, ai democratici di tutto il mondo.


 

 

 

Le  registrazioni inedite saranno pubblicate intorno al 10 marzo 2020 (una volta che saranno fatte le trascrizioni e saranno state rese adeguatamente accessibili a tutti). 

 

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20/02/20

Regno Unito - L'occupazione vola ai livelli massimi

E niente, a quanto pare l'apocalisse continua a essere rimandata. Secondo i più recenti dati riportati da Bloomberg, nel Regno Unito - che stando ai nostri media era devastato e sconvolto dai tormenti per la Brexit - negli ultimi tre mesi del 2019 l'occupazione è esplosa, portando i disoccupati al livello minimo da quattro anni. E i salari sono cresciuti, superando l'inflazione. Quanto al numero di cittadini dell'UE che lavorano in Gran Bretagna, nell'ultimo trimestre prima della dipartita di quest'ultima è aumentato di 36.000 unità. 

 

 

 

Di Lucy Meakin and Andrew Atkinson, 18 febbraio 2020

 

Il numero di lavoratori aumenta più del previsto nel quarto trimestre. 

Il tasso di disoccupazione si mantiene sul livello più basso degli ultimi quattro anni, anche se la crescita si ferma. 

 

L'economia britannica ha creato posti di lavoro a un ritmo impressionante nel quarto trimestre, sfidando le turbolenze politiche per la Brexit.

 

Il numero di persone che lavorano è cresciuto di oltre 180.000 unità rispetto alle previsioni, portando il tasso di disoccupazione al suo minimo da quattro anni: 3,8%, secondo quanto riferito dall'Office for National Statistics. I numeri probabilmente rafforzeranno le previsioni che dicono che quest'anno la Banca d'Inghilterra si asterrà dall'abbassare i tassi di interesse.

 

 



 

 

Il balzo dell'occupazione è avvenuto in un trimestre in cui è stata mancata la seconda scadenza per la Brexit e in cui il primo ministro Boris Johnson ha imposto le elezioni generali per interrompere lo stallo parlamentare. La sua schiacciante vittoria ha attenuato l'incertezza, aiutando l'economia a evitare la contrazione dopo una crescita migliore del previsto a dicembre.

 

Oltre alla ripresa dell'attività dopo la vittoria di Johnson, il governo si sta preparando ad annunciare un grande stimolo fiscale il prossimo mese, volto a sostenere la crescita. La sterlina non si è mossa molto dopo i dati sull'occupazione di martedì.

 

I rischi rimangono, tuttavia. Johnson ha escluso di prolungare il periodo di transizione della Brexit oltre il 31 dicembre, anche se non è stato concluso alcun accordo commerciale.

 

La più recente fotografia del mercato del lavoro suggerisce che le condizioni resteranno ben salde.

 

I posti vacanti, che erano in calo, sono aumentati di 7.000 unità nei tre mesi fino a gennaio mentre l'occupazione nel quarto trimestre ha raggiunto un livello record, trainata dai lavoratori dipendenti assunti a tempo pieno. Le donne hanno rappresentato oltre l'80% della crescita dell'occupazione e ora costituiscono quasi la metà del totale dei lavoratori.

 

Tenendo conto dell'inflazione, la retribuzione regolare è salita al di sopra del picco pre-crisi che era stato toccato nel 2008. Le retribuzioni totali nel quarto trimestre hanno subito un rallentamento, con le retribuzioni regolari in aumento del 3,2% sull'anno e i salari, inclusi i bonus, che hanno guadagnato il 2,9%, la crescita più bassa dal 2018. Tuttavia, stanno ancora superando l'inflazione, inferiore al 2%.

 

La produttività, che dalla crisi finanziaria ha subito un rallentamento, è cresciuta dello 0,3% rispetto all'anno precedente su base oraria: il secondo guadagno trimestrale consecutivo.

 

Nel trimestre precedente all'uscita dal blocco della Gran Bretagna il numero di cittadini dell'Unione Europea che lavorano nel Regno Unito è aumentato di 36.000 unità rispetto all'anno precedente, pari all'1,6%.

19/02/20

Le élite progressiste stanno distruggendo le nostre istituzioni

Su Epoch Times Paul Adams denuncia l’attacco costante alle istituzioni da parte di una parte politica. Si tratta del populista Trump? No, al contrario, sono i progressisti che stanno distruggendo le fondamenta della nostra società: dall’attacco costante all’istituzione più vicina all’individuo (la famiglia) al sovvertimento costante delle istituzioni democratiche per perseguire l’agenda politica di coloro che si credono superiori. La denuncia di quanto sta avvenendo nella tormentata società americana avrebbe potuto essere riferita altrettanto bene a quanto succede nella nostra Italia.

 

 

Di Paul Adams, 17 febbraio 2020

 

 

In un nuovo, importante libro, lo scienziato politico Yuval Levin sostiene che abbiamo perso la fiducia nelle nostre istituzioni – pubbliche, private, civiche e politiche.

 

Noi abbiamo bisogno delle istituzioni, incluse le famiglie, le associazioni, le chiese, le corporazioni, i sindacati, i partiti politici, gli ordini professionali come quelli degli avvocati e dei medici, così come le istituzioni formali del governo come il Congresso, la presidenza e i tribunali.

 

Esse rappresentano, come dice Levin, “le forme durevoli della nostra vita comune”. Svolgono compiti o missioni come l’istruzione dei giovani, la soluzione delle controversie o la difesa del Paese. Danno senso alla vita assegnando ruoli, insegnando l’autocontrollo, e applicando le norme. Nel frattempo, formano il carattere di coloro che ne fanno parte.

 

Tuttavia, non ci fidiamo più di loro. Che cosa è andato storto?

 

Da fucine a piattaforme

 

C’è stato un grande cambiamento nella maniera in cui le élite, coloro che occupano i ruoli di leader delle nostre istituzioni, le trattano. Anziché vedere le loro istituzioni come fucine che formano e modellano i loro caratteri e comportamenti, le trattano come piattaforme per propagandare se stesse.

 

Pensate a un nuovo membro del Parlamento, che è meno interessato a imparare e conformarsi alle tradizioni e alle aspettative della Camera piuttosto che a utilizzarla come una piattaforma per ottenere fama e celebrità. Il Parlamento – per sua stessa volontà, secondo Levin – è diventato sempre più debole e inefficace. I suoi membri cercano pubblicità e fama attraverso i social media e altre vie ancor prima di avere imparato o di avere realizzato qualcosa di significativo nel Parlamento stesso.

 

In realtà, fa notare Levin, i leader politici spesso si vantano del loro status di outsider – sostenendo di non far parte della cupola di Washington o della “palude” – in modo da aumentare il loro potere. Anche da leader, criticano le loro stesse istituzioni come se non ne fossero essi stessi i responsabili o alla loro guida.

 

L’unica eccezione al crollo di fiducia nelle istituzioni è l’apparato militare. In quel caso, la formazione del carattere – che si addice a colore che servono con senso del dovere, della propria missione e con l’auto-affondamento del proprio interesse personale – viene riconosciuto e valorizzato. È raro che un soldato in uniforme usi l’apparato militare come piattaforma per promuovere se stesso, non, perlomeno, fino a quando si è congedato o ritirato dal servizio. Ci fidiamo del fatto che i militari, rispetto alle altre istituzioni, facciano il loro lavoro di formare coloro che servono.

 

Levin mostra la necessità di ricostruire le istituzioni e formare élite che possano guidarle meglio. Utilizza molto spazio per criticare il populismo anti- élite.

 

Ma le élite sono il problema

 

Il problema di questo ragionamento è che sottovaluta il grado in cui le nostre istituzioni più importanti sono state sistematicamente sabotate dalle stesse élite che avrebbero dovuto guidarle e rappresentarle.

 

Il presidente Donald Trump, un intrattenitore, piuttosto che un costruttore di istituzioni disposto a mettere in secondo piano se stesso, ha sfruttato la perdita di fiducia nelle nostre istituzioni e ha promesso di cambiare la politica in modo da rafforzarle. Ha parlato di “bonificare le paludi” della burocrazia federale, che era diventata una “amministrazione statale” che persegue i propri interessi e le proprie politiche.

 

Nel caso della presidenza Trump, una profonda ostilità è stata evidente non solo nelle violente dimostrazioni degli Antifa, ma anche in tutte le istituzioni principali della società. L’amministrazione statale stessa è stata un centro di resistenza al presidente eletto – gestendo il proprio governo non eletto, anche mentre professava la propria professionalità e l’impegno per la Costituzione.

 

L’abbiamo visto fin dall'inizio, all’interno stesso della Casa Bianca di Trump. Un editoriale di un funzionario esperto dell’amministrazione Trump rende chiara questa posizione. Si intitola “Sono parte della Resistenza all’interno dell’Amministrazione Trump”.

 

L’autore, che si firma come Anonimo, si vanta di lavorare diligentemente per ostacolare le politiche del presidente, nonostante lavori per lui. Trump, secondo l’autore, è ignaro della misura in cui “molti dei funzionari più anziani della sua amministrazione stanno lavorando diligentemente dall’interno per vanificare la sua agenda politica”.

 

Il punto è che Trump è stato eletto ed è sostenuto da decine di milioni di americani perché metta in atto la sua agenda, non quella dell’establishment Repubblicano o dei “Mai con Trump” o delle vedove di Obama ancora all’interno della sua amministrazione.

 

Il Wall Street Journal ha recentemente riportato un parere di una di quelle rare figure, un (ex) funzionario all’interno dell’amministrazione Trump, direttore della pianificazione strategica del Consiglio di Sicurezza Nazionale (NSC), che sosteneva le politiche di Trump.

 

L’autore, Rich Higgins, conferma: ma deplora l’opposizione al presidente che domina tra gli impiegati del ramo esecutivo. Da come dipinge la situazione all’interno dello staff dell’NSC, coloro che cercano lealmente di attuare le politiche del presidente in carica, tra cui lo stesso Higgins, venivano isolati o licenziati proprio a causa della loro lealtà.

 

I media liberal hanno denunciato quello che hanno definito il "licenziamento" del Tenente Colonnello Alexander Vindman, l’ufficiale dell’esercito dedicato a servire il NSC, dipingendo come una ritorsione per la sua testimonianza alla Camera sulle telefonate ucraine di Trump. Higgins dà una versione differente. Sostiene non che Vindman non sia stato in effetti licenziato o posto sotto inchiesta, ma che era lui a essere sleale.

 

Il compito di Vindman, sostiene, “era di servire lealmente fino a quando non avesse sentito di non poterlo più fare, e a quel punto dare le dimissioni. La resistenza attuata mentre si è in uniforme mina il buon ordine e la disciplina ed è particolarmente disonorevole”. Non è stato Higgins, ma Vindman, che è stato applaudito dai media liberal, a danneggiare le istituzioni che aveva giurato di servire.

 

Le élite distruggono le istituzioni

 

Ma il problema è ben più ampio e profondo di questa specie di “resistenza” interna descritta da una parte da Anonimo e dall’altra da Higgins, la cui stessa esistenza viene bollata dai progressisti come “teoria complottista dello Stato profondo”.

 

Levin inizia la sua analisi con le istituzioni del nostro governo nazionale e termina con l’istituzione fondativa che ci riguarda tutti, la famiglia. Ma immaginiamo di guardare al problema dalla parte opposta.

 

Nessuna istituzione è più fondamentale o importante della famiglia nel formarci, da quando nasciamo. C’è ampia letteratura da parte di studiosi di tutto lo spettro politico che ha stabilito l’importanza della struttura della famiglia, del crescere in una famiglia di due genitori sposati, come fattore protettivo per ogni indicatore sociale – la nostra salute e longevità, l’aspettativa di vita, il rapporto con la criminalità, l’istruzione, il reddito, e il successo coniugale.

 

Recenti ricerche indicano che la famiglia e la fede (frequentare la chiesa  o qualche altro luogo di culto e autodefinirsi una persona molto religiosa) svolgono un ruolo più ampio nel successo scolastico rispetto agli sforzi scolastici per colmare le lacune tra i gruppi razziali ed etnici.

 

Una meta-analisi (uno studio di studi) ha esaminato 30 ricerche sui tentativi di colmare il divario di prestazioni tra gli studenti bianchi da una parte e neri o latinoamericani dall’altra. Esso “ha rivelato che, se uno studente afroamericano o latinoamericano è una persona di fede e viene da una famiglia che comprende i due genitori biologici, il divario di prestazioni scompare completamente, anche quando si rifanno i conti tenendo conto dello status socioeconomico” [il corsivo è mio]. Tuttavia, le élite progressiste all’interno dell’amministrazione statale – nelle università, nei tribunali, nei media, nello sport, nelle grandi aziende e nell’intrattenimento – hanno messo nel mirino, senza sosta, proprio le istituzioni che sono più importanti nella vita delle persone comuni.

 

Sono i sostenitori delle politiche identitarie che hanno attaccato l’istituzione del matrimonio e della famiglia, non i populisti. Questi ideologi hanno usato le loro stesse istituzioni come piattaforme per formare altri, nella psicologia, nel lavoro sociale e in altri campi. L’obiettivo non è di sostenere quelli che servono, aiutandoli a fortificare le famiglie e i matrimoni, ma di liberare gli individui dalla presa di queste istituzioni.

 

La rivoluzione sessuale è andata ben oltre la ricerca di un riconoscimento giuridico per le forme e le definizioni alternative di matrimonio e famiglia. I suoi aderenti cercano di stigmatizzare ed espellere dalla vita pubblica coloro – individui, genitori, aziende, e comunità religiose – che difendono queste istituzioni fondamentali.

 

Attaccano, dando loro dei bigotti ed odiatori, coloro le cui idee erano considerate il buon senso per quasi tutte le comunità in ogni parte del mondo appena qualche decennio fa. Queste persone, secondo la nuova ortodossia, non sono degne del diritto alla libera espressione, al libero esercizio della religione, o al diritto di perseguire in pace la loro vocazione professionale o di condurre la loro impresa commerciale.

 

Guardiamola in questo modo: sono le élite progressiste che stanno distruggendo le nostre istituzioni, opponendosi ai loro obiettivi e alle loro missioni, e di conseguenza distruggono anche il significato e la struttura delle nostre vite. È Trump, un performer che non si fa modellare o intimidire dagli usi e costumi delle istituzioni e uffici politici, che sta guidando la difesa delle nostre istituzioni fondamentali.

 

Le sue politiche tendono a difendere le famiglie e i loro diritti, a sostenere la scelta scolastica, la libertà di religione e la protezione della coscienza, e il diritto dei bambini nel grembo materno, i più innocenti e vulnerabili componenti di tutte le famiglie umane, a non venire uccisi.

 

Trump e le sue politiche forniscono perlomeno un momento di tregua e di controffensiva nei confronti degli impulsi totalitaristi dei progressisti che tentano di politicizzare e controllare ogni aspetto della vita.

 

  

Paul Adams è un professore emerito di Lavoro sociale presso l’Università delle Hawaii ed è stato professore e preside associato per gli affari accademici presso la Case Western Reserve University. È coautore di “La giustizia sociale non è quello che pensi” e ha scritto molto sulle politiche di assistenza sociale e sull’etica professionale e personale.

 

 

 

 

17/02/20

Bloomberg - La moneta unica europea sta crollando

Da Bloomberg, una analisi dettagliata del nuovo crollo sui mercati della moneta unica. Un insieme di circostanze che unite insieme formano un quadro di un'Europa politicamente nel caos ed economicamente votata al fallimentare modello mercantilistico, con le maggiori economie preda di un inarrestabile rallentamento e incapaci di affrontare le conseguenze della nuova crisi che giunge dalla Cina. Ironia della sorte, la dura legge del mercato tanto osannata dall'ultraliberismo eurista si sta abbattendo sulla moneta unica, che "se due decenni fa era considerata una sfida all’esorbitante privilegio americano, ora si sta rivelando un modello politico profondamente difettoso con un'economia strutturalmente disfunzionale".  A quasi dieci anni di distanza, il "tramonto dell'euro" diventa anche il sottotitolo di Bloomberg. 

 

di John Authers, 11 febbraio 2020

 

Dalle turbolenze politiche in Germania al rallentamento della produzione, tutto sta andando storto.

 

Il tramonto dell’euro

 

Il 2020 doveva essere l'anno in cui l'Europa avrebbe iniziato a ripartire. Dopo avere subito la decisione del Regno Unito di uscire, l'Unione europea aveva la possibilità di procedere con maggiore sicurezza. L'allentamento della guerra commerciale Usa-Cina avrebbe potuto aiutare la ripresa, dopo un crollo della produzione che sembrava giunto al termine. E l'euro avrebbe potuto iniziare a rafforzarsi nei confronti del dollaro, una conclusione attesa a mani giunte nelle capitali dell'Europa e degli Stati Uniti.

 



 

Non è andata così. Dopo una brutta giornata in borsa, lunedì, l'euro ha toccato il minimo da quattro mesi, è andato vicino al minimo di 30 mesi, al di sotto del livello raggiunto nel giorno delle elezioni statunitensi, a novembre 2016. Ancora una volta l'euro sta crollando.

 

Cosa sta accadendo, esattamente? Dietro a questo declino non c'è un solo fattore, ma piuttosto una travolgente combinazione di circostanze che sta spingendo la valuta a deprezzarsi.

 

Prima di tutto, ovviamente, c'è la politica. In tutta Europa, il centro non riesce più a reggere. In Germania, la disputa sull'opportunità di consentire al partito di destra Alternative für Deutschland di prendere parte al governo dello stato della Turingia ha portato nel fine settimana alle dimissioni di Annegret Kramp-Karrenbauer, leader dell'Unione Democratica Cristiana di centrodestra e designata alla successione di Angela Merkel come cancelliera. La politica tedesca quindi naviga nel caos.

 

Similmente, in Irlanda, l'emergere del partito radicale di sinistra Sinn Fein alle elezioni politiche del paese come il partito di maggioranza nella camera bassa ha portato i partiti di centro sinistra e centro destra in uno stato di confusione. Anche la politica irlandese ha subito un riallineamento e non è chiaro quale tipo di politiche o di coalizione di governo ne emergerà.

 

Poi c'è il settore manifatturiero. Lunedì l'Italia, dopo la Germania e la Francia, ha riportato dati orribili sulla produzione industriale alla fine dell'anno scorso. Il coronavirus non aveva ancora avuto alcun effetto; la manifattura si sarebbe dovuta riprendere ed era in attesa di una spinta dalla rinnovata domanda cinese, dopo la guerra commerciale.  Stiamo assistendo ora, alla chiusura dell’anno, a un brusco rallentamento di tutte e tre le maggiori economie della zona euro.

 



 

In terzo luogo, la situazione è negativa perché  l'eurozona in questi giorni non appare un luogo in cui trovare riparo dai problemi dell'economia cinese. Un rallentamento di una certa importanza per la Cina può ormai essere considerato un dato di fatto, come risultato delle tardive misure per contenere l'epidemia. Purtroppo per l'Europa, questo avverrà nel momento in cui la Germania si è messa in balia dell'economia cinese. I dati del Fondo monetario internazionale mostrano che le esportazioni dalla Germania verso la Cina oggi superano, anche se di poco, quelle dagli Stati Uniti, un'economia molto più grande.

 



 

Se si cerca un rifugio dalla Cina, questo non è certamente l'euro. Ed è probabilmente il dollaro. Questo grafico di John Velis della Bank of New York Mellon Corporation mostra che, se anche gli Stati Uniti sono il paese che a livello internazionale ha condotto  politiche aggressive nei confronti del potere commerciale cinese, ora sono quelli che soffriranno meno di tutti per le attuali difficoltà dell'economia. È il paese rifugio più ovvio:

 



 

Al di là di questi motivi fondamentali, vi è anche il problema tecnico che l'euro è diventato una valuta molto interessante per i finanziamenti carry trade: ovvero la pratica di prendere in prestito in una valuta con bassi tassi di interesse, parcheggiare il denaro in una con tassi più elevati e intascare la differenza, il cosiddetto "carry”. Tradizionalmente, i carry trade sono stati quasi sinonimo dello yen giapponese, che è stato utilizzato come valuta di finanziamento per molte operazioni speculative andate disastrosamente male durante la crisi finanziaria globale. Ma ora l'euro, con i suoi tassi negativi, funziona ancora meglio. Negli ultimi cinque anni è stata una valuta di finanziamento molto più redditizia per coloro che vogliono parcheggiare in pesos messicani, ad esempio, rispetto allo yen:

 



 

Quando una valuta diventa popolare per il carry trade, subisce naturalmente una pressione al ribasso. Ciò sta contribuendo ai problemi dell'euro.

 

Anche tenendo conto di tutto ciò, tuttavia, è chiaro che il dollaro sembra attualmente molto attraente per i traders di valuta estera. Lo dimostra il grafico seguente, che rappresenta il divario tra i rendimenti obbligazionari a 10 anni negli Stati Uniti e in Germania. Questo dovrebbe essere un fattore determinante per un tasso di cambio, con i fondi che vengono attratti dal tasso più elevato. Se il differenziale si riduce, ci aspetteremmo che la valuta con i tassi più alti si indebolisca. Ma, come mostra il grafico, il differenziale si è costantemente ridotto a favore dell'euro dalla fine del 2018. E questo non ha aiutato. Secondo i futures sui fed funds, la Federal Reserve dovrebbe ora tagliare i tassi target almeno una volta quest'anno, con una probabilità del 50 per cento di una seconda riduzione, mentre la Banca centrale europea è ferma. E anche questo non fa nessuna differenza. La forza del dollaro è in diretto contrasto con le pressioni provenienti dai mercati obbligazionari:

 



 

Quindi perché i soldi corrono verso gli Stati Uniti, nonostante tutto? Senza voler lasciare spazio ad alcun trionfalismo politico, i mercati sono ovviamente prevenuti rispetto alla situazione attuale, in cui il senatore Bernie Sanders è considerato il probabile candidato dei democratici ed è dato probabilmente perdente nei confronti di Donald Trump. C'è anche un po' di trionfalismo attorno alle società statunitensi. Le più grandi aziende del mondo, al momento, sono tutte americane e stanno conquistando il resto del pianeta. Il dominio dei gruppi Internet statunitensi ha contribuito a garantire che il mercato azionario statunitense continui ad avere prestazioni migliori rispetto al resto del mondo, e in particolare all'Europa, in misura notevole. Il grafico mostra la performance relativa dei titoli statunitensi dall'inizio del 1999, quando è nato l'euro.

 



 

Quando vi è un tale flusso di capitali verso le società americane, chiaramente il dollaro si rafforza. Il dollaro, ponderato in base agli scambi commerciali, ha appena vissuto la sua settimana più forte in quasi un anno.

 

Traspare un certo trionfalismo. Come afferma Marc Chandler di Bannockburn Global Forex, con sede a New York, il coronavirus è ora ampiamente interpretato come la circostanza che ha rivelato che la Cina non è, nei fatti, pronta a sfidare l'egemonia economica americana, e c'è anche una certa eccitazione all'idea che il pasticcio nella gestione della situazione a Wuhan potrebbe anche sottolineare i gravi problemi del modello politico cinese.

 

Combinando tutto questo con la sensazione che l'Europa, la cui moneta comune due decenni fa era considerata anch’essa una sfida all’esorbitante privilegio americano, si sta ora rivelando un modello politico profondamente difettoso con un'economia strutturalmente disfunzionale, potenzialmente ne deriva un momento di classica repulsione dei mercati per l'Europa, unito al trionfo americano e a un dollaro molto forte.

 

Il trionfalismo potrebbe essere prematuro? Certo. Il sistema politico americano è sottoposto a diversi tipi di pressioni, e dobbiamo attenderci altri nove mesi di classica soap opera politica americana fino alle elezioni. È molto probabile che alla fine qualcun altro diventi presidente, non Donald Trump; presumibilmente qualcuno che si definisca socialista. Ma per ora questo è un momento di trionfo americano e di sconfitta europea, e si manifesta chiaramente nel gioco a somma zero del mercato dei cambi.

 

16/02/20

Londra: una vittoria della libertà di parola

"In questo paese non abbiamo mai avuto una Ceka, una Gestapo né una Stasi." Così recita la sentenza dell'Alta Corte di Giustizia del Regno Unito nel condannare il comportamento della polizia nei confronti dell'autore di alcuni tweet non allineati alla dittatura del politically correct. Che ha denunciato a sua volta le azioni della polizia nei suoi confronti - addirittura un'ispezione sul suo posto di lavoro - e ha ottenuto ragione. Una vittoria della libertà di parola di cui c'era un estremo bisogno. Da Rt.com.








 

Di Jonathan Arnott, 14 febbraio 2020

 





Dopo che pesanti iniziative della polizia hanno colpito un ex ufficiale per alcuni tweet che si limitavano a esprimere la sua opinione nel dibattito transgender, l'Alta Corte britannica ha dato torto alla polizia - una rara vittoria per la libertà di parola nel Regno Unito.




Harry Miller non è un criminale. È stato un ufficiale di polizia lui stesso. Così, quando la polizia di Humberside, nel Nord dell'Inghilterra, ha contattato i dirigenti della sua compagnia e ha segnalato un "episodio di odio" in riferimento ai suoi presunti " tweet transfobici ", ha reagito. 

 

Harry Miller, 54 anni, è stato minacciato di essere perseguito dalla polizia di Humberside nel Nord dell'Inghilterra se avesse continuato a twittare, e gli agenti di polizia hanno effettuato un'ispezione sul suo luogo di lavoro nel gennaio dello scorso anno. Ci si aspetterebbe che un'azione della polizia di questo genere - una cosa che potrebbe avere un'influenza sul lavoro e sulle possibilità di sostentamento di una persona - avvenga solo quando sono in gioco gravi reati penali. E invece, tra le molte, molte persone che avevano letto i suoi tweet, le reazioni della polizia si sono basate su una singola lamentela.

 

Ha ricevuto un "rapporto di reato" che paradossalmente definisce la categoria dei suoi tweet come non criminale. Secondo le Linee guida operative della polizia sull'odio, un episodio di odio dovrebbe infatti essere registrato "indipendentemente dal fatto che ci siano prove per identificare l'elemento di odio ". L'idea stessa di un "episodio di odio" senza alcun reale odio e di un "reato non criminale" sembrerebbe ridicola, se tutto ciò non facesse parte del modo in cui le attività di polizia nel Regno Unito sono andate così fuori strada. Se il tutto sembra assurdamente orwelliano, è un sollievo che anche l'Alta Corte abbia ritenuto grottesco il trattamento subito da Harry Miller.

 

Nella sua sentenza odierna, il giudice Julian Knowles ha dichiarato: " L'effetto della polizia che si presenta sul luogo di lavoro di [Harry Miller] a causa delle sue opinioni politiche non deve essere sottovalutato. Farlo significherebbe sottovalutare una libertà democratica fondamentale. In questo paese non abbiamo mai avuto una Ceka, una Gestapo né una Stasi. Non abbiamo mai vissuto in una società orwelliana.

 

Quante volte, mi chiedo, le persone nella situazione di Harry Miller si sono semplicemente adeguate e hanno accettato un trattamento di polizia pesante a causa di commenti simili, che erano semplicemente libere opinioni? Come possiamo fidarci delle statistiche ufficiali sul reato di odio quando non sappiamo quanti "episodi di odio" non contengano alcun odio, che penseresti dovrebbe esserne una componente chiave?

 

Harry Miller ha avuto la lungimiranza e la determinazione sufficienti a portare la polizia di Humberside in tribunale. La sua opinione - che il sesso biologico non può essere cambiato, ma che non vuole interferire con i diritti di altri a fare quello che desiderano - non è certo una delle cose più controverse che si siano mai sentite su Internet.

 

Ha espresso le sue opinioni con un misto di arguzia, sarcasmo e ironia, senza mai prendere di mira nessuno. La pesante azione di polizia, che includeva minacce che avrebbe potuto essere perseguito se avesse continuato a esprimersi allo stesso modo, ha stravolto ciò che si suppone debba essere la polizia. Abbiamo molti veri crimini nel Regno Unito, che la polizia non riesce a risolvere, eppure si distolgono risorse verso qualcosa che non lo è: il Giudice ha anche commentato che non vi era il "minimo rischio" che Miller avrebbe commesso un reato continuando a twittare.

 

Non c'era alcun reato. Non c'è mai stata alcuna prospettiva di reato, in questo caso. La Corte ha avuto assolutamente ragione nel descrivere il potenziale "effetto raggelante" delle azioni della polizia. Oggi c'è stata una rara vittoria della libertà di parola contro il politicamente corretto, ma una vittoria quanto mai necessaria. Dobbiamo celebrare questo piccolo passo nella giusta direzione, anche se senza dubbio l'assalto alla libertà di parola non è finito.

13/02/20

Germania: uscita anticipata della Merkel ed elezioni dopo che la delfina si è fatta da parte?

Dalla Reuters un aggiornamento sulla Germania in crisi: aumentano le possibilità di elezioni anticipate dopo che il piano per la successione di Angela Merkel è fallito, una Cdu in calo di consensi non riesce a controllare i suoi stessi membri (che in Turingia votano con AfD) e si apre la gara alla successione per la guida del partito e il ruolo di Cancelliere. Tutto questo potrebbe spingere la SPD a staccare la spina al governo e andare ad elezioni anticipate. Intanto, la forte frenata dell'industria (produzione a -3,5% in dicembre) certifica la fragilità intrinseca del modello mercantilista, che "impoverendo i vicini" devasta i suoi stessi mercati. Dall'economia, alla politica, al governo: in Germania e di riflesso nell'Unione europea le linee di frattura sono sempre più ampie e profonde.

 

 

 

Di Madeline Chambers, 11 febbraio 2020

 

BERLINO (Reuters) - Il piano della cancelliera Angela Merkel per una successione ordinata sta crollando e aumentano le possibilità di elezioni anticipate in Germania dopo che la sua delfina conservatrice, Annegret Kramp-Karrenbauer, ha rinunciato alle sue ambizioni al ruolo di leader.

 

Nei prossimi mesi i Democratici Cristiani (CDU) della Merkel dovranno scegliere chi vogliono alla guida del partito e come candidato alla cancelleria alle prossime elezioni federali, previste per l'ottobre del 2021. La stessa persona probabilmente, ma non necessariamente, ricoprirà entrambe le cariche. È presto per prevedere come si evolverà la situazione, ma di seguito sono riportati tre possibili scenari.

 

1) Via la Merkel, nuove elezioni entro sei mesi


 

La Merkel, che è stata un'ancora di stabilità nella più grande economia europea durante i suoi quasi 15 anni di mandato, ha affermato che non si candiderà per la rielezione e si è dimessa da presidente del partito nel 2018, consegnandolo nelle mani di Annegret Kramp-Karrenbauer.

 

Ma dato che in seguito al ritiro della Kramp-Karrenbauer potrebbe diventare leader del partito un candidato suo rivale, la Merkel potrebbe essere costretta a farsi da parte prima del previsto, spingendo così i suoi partner della coalizione socialdemocratica (SPD) a lasciare il governo e provocare elezioni anticipate.

 

La pressione perché si  risolva rapidamente il problema, con la stessa persona che occupi entrambi i ruoli, potrebbe giocare a sfavore della Merkel.

 

I principali contendenti al ruolo di presidente della CDU e candidato cancelliere dell'alleanza conservatrice "Union" stanno già iniziando le manovre di avvicinamento, compromettendo la CDU e il suo partito gemello bavarese, Christian Social Union (CSU).

 

Numerosi conservatori di alto livello, tra cui il capo della CSU Markus Soeder, hanno esortato la CDU a decidere presto in merito alla sua leadership, sostenendo che trascinare la questione fino alla conferenza del partito, a dicembre, farebbe calare i voti dell'Unione nei sondaggi.

 

Il sostegno alla CDU nello stato orientale della Turingia è precipitato di quasi 9 punti percentuali, da quando i consiglieri regionali la scorsa settimana hanno rotto un tabù in vigore dal dopoguerra, votando con l'estrema destra a sostegno del presidente della Regione. Anche a livello nazionale il consenso sta diminuendo.

 

La preoccupazione per questo declino potrebbe spingere la CDU ad agire entro l'estate o l'inizio dell'autunno per scegliere un nuovo leader e candidato cancelliere come Friedrich Merz, un rivale di vecchia data della Merkel, con il quale per la cancelliera potrebbe risultare impossibile collaborare.

 

Da parte sua, l'SPD potrebbe rifiutarsi di collaborare con personaggi di destra come Merz o Jens Spahn - specialmente se uno di loro dovesse sostituire la Merkel come cancelliere prima delle elezioni - e potrebbe staccare la spina al governo, mandando la Germania alle urne.

 

2) La Merkel rimane in carica per tutta la presidenza Ue, elezioni all'inizio del 2021


 

I tedeschi, amanti della stabilità, preferiscono un cambiamento graduale e vogliono evitare di votare nel bel mezzo della presidenza tedesca dell'Unione europea nella seconda metà del 2020.

 

Molti parlamentari conservatori e socialdemocratici vorrebbero che la Merkel svolgesse un ruolo di primo piano nei negoziati con la Gran Bretagna post-Brexit e nella definizione delle relazioni dell'Ue con la Cina, questione che sarà in cima all'agenda dell'Ue durante il semestre di presidenza.

 

La Merkel ha dichiarato di attendere con impazienza la presidenza dell'Ue, dove potrà avvalersi delle sue capacità negoziali e della sua profonda esperienza dei problemi dell'Ue, dalla crisi del debito della zona euro all'afflusso di migranti nel 2015. La presidenza potrebbe aiutare i conservatori a sfruttare al meglio le loro credenziali in vista delle elezioni.

 

Un altro fattore è la popolarità in gran parte immutata della Merkel. I sondaggisti sostengono che molti elettori la vedono quasi come una figura presidenziale e che preferirebbero che rimanesse in carica fino al termine del suo mandato.

 

Tutto ciò aumenta le possibilità che la Merkel rimanga in carica almeno fino alla fine dell'anno, ma potrebbe anche consentire a un nuovo leader di beneficiare di un rimbalzo nei sondaggi.

 

3) La Merkel rimane in carica fino a termine, elezioni nell'autunno del 2021


 

Anche se la CDU decidesse rapidamente sulla sua leadership, alcuni candidati potrebbero collaborare con la Merkel fino alla fine del suo mandato, anche se si ritroverebbe a essere una specie di anatra zoppa.

 

Il candidato di continuità Armin Laschet, premier dello stato del Nord Reno-Westfalia, è uno di questi candidati e come centrista sarebbe probabilmente anche accettabile per la SPD.

 

Questo potrebbe accadere anche se i conservatori scegliessero Soeder, della Baviera, come candidato cancelliere.

 

Sebbene molti considerino Soeder un candidato forte, sinora nessun leader della CSU è mai stato cancelliere.

11/02/20

Turingia – Il paziente zero della rivoluzione tedesca?

Un attento osservatore come Tom Luongo sottolinea un’altra crisi per il governo Merkel: in Turingia i dirigenti locali del suo partito si accordano con AfD e fanno saltare l’alleanza tacita con i Verdi. Gli equilibri della politica tedesca stanno cambiando, le alleanze della Merkel sono sempre più fragili e complesse, mentre il fallimento della politica mercantilista tedesca è alle porte. Il gigante tedesco ha i piedi di argilla e rischia di cadere da un momento all’altro.

 

Di Tom Luongo, 6 febbraio 2020

 

 

La politica tedesca è in subbuglio. Le elezioni dello scorso autunno hanno indebolito la cancelliera Angela Merkel, costringendo la sua Unione dei Cristiani Democratici (CDU) a una coalizione indesiderata in Brandeburgo con i Social Democratici (SPD) e i Verdi.

 

L’ascesa nelle regioni dell’ex Germania est di quella che è la nemesi politica della Merkel, Alternativa per la Germania (AfD), ha complicato una rete di deboli alleanze già di per sé complessa, volta a consentire alla CDU della Merkel di rimanere al potere.

 

L’aumento del sostegno ad AfD ha recentemente raggiunto proporzioni preoccupanti in Turingia. Lo scorso autunno la Linke (31,0%) e AfD (23,4%) sono stati i partiti di maggioranza in Turingia. Anche se entrambi sono euroscettici dichiarati, sono anche come l’acqua e l’olio.

 

La Linke è un partito decisamente di sinistra, mentre AfD è più un partito populista di centrodestra, dipinto dagli istrionici media tedeschi ed europei come lo spauracchio di estrema destra del passato nazista tedesco.

 

La CDU della Merkel è arrivata solo terza (21%).

 

Per mesi da quando ci sono state le elezioni, senza poter intravedere una via che conducesse a un governo di maggioranza perché i partiti dell’establishment si rifiutano di lavorare con AfD, i partiti hanno provato con il massimo sforzo a mettere insieme una coalizione.

 

Dopo due votazioni indicative, lo stallo è stato superato da AfD, che ha appoggiato il candidato dei Liberali Democratici (FDP) Thomas Kemmerlich. Ne è seguito il caos.

 

Mercoledì i loro piani sono stati interrotti a sorpresa quando AfD si è schierata con la CDU e con il partito pro-imprese dei Liberali Democratici (FDP) per battere di poco ai voti la candidatura di Ramelow ed eleggere invece Thomas Kemmerich di FDP.

La mossa ha istantaneamente provocato un'onda d’urto in tutta la Germania, creando una spaccatura tra il ramo CDU della Turingia e il suo centro a Berlino. Il capo della CDU e ministro federale della Difesa Annegret Kramp-Karrenbauer ha accusato i suoi colleghi di avere rotto i ranghi, infrangendo la pratica usuale del partito di evitare qualsiasi collaborazione con Afd, partito anti-establishment e anti-migranti.

 

AfD ha tolto il sostegno al suo stesso candidato e ha sostenuto Kemmerlich, relegando  i Verdi, che si sono a malapena aggiudicati un seggio,  fuori dal governo.

 

La situazione insostenibile in Turingia è infine scoppiata in faccia alla Merkel. Negare l’esistenza di quasi un quarto dell’elettorato nei colloqui di coalizione è in definitiva un suicidio politico a fuoco lento.

 

Si tratta di un altro esempio dei tentativi disperati delle élite politiche tedesche per rimanere al potere.

 

Sono riuscite a farlo con successo in Brandeburgo, ma solo facendo quello che la Merkel non poteva fare a livello nazionale nel 2017, arrivare a un accordo con la SPD e con i Verdi.

 

AfD non sparirà nel nulla, in particolare nell’ex Germania est. I partiti di sinistra sono fluidi e la Mekel continua a usare lo status nominale di centrodestra della CDU come bastone per forzare i suoi provvedimenti preferiti.

 

Più questo accade, più l’opposizione diventa dura. E in Turingia il risultato è stato che i membri locali della CDU, in rivolta contro la proibizione della Merkel di lavorare con AfD, le hanno disubbidito per ostacolare la coalizione di minoranza Linke/SPD/Verdi che avrebbe dovuto vincere.

 

Alla fin fine, perché la Merkel è così arrabbiata per quanto successo, a parte le ovvie beghe interne al suo partito? Perché ha costretto Kemmerlich a sciogliere il governo e ad andare a elezioni anticipate in Turingia?

 

Il motivo sta nella camera alta del Parlamento tedesco, il Bundesrat. Me ne sono occupato in novembre dopo il voto. La Merkel ha un’alleanza ufficiosa con i Verdi per mantenere il controllo del Bundesrat e, di conseguenza, del Bundestag.

 

Come mi hanno fatto notare gli osservatori politici tedeschi, il gioco che sta giocando la Merkel nel lavorare con la SPD nel Bundestag funziona soltanto se riesce a soddisfare i Verdi nel Bundesrat.

 

Ma a causa della natura del Bundesrat (eletto su base regionale - NdVdE), dove le delegazioni dei singoli stati devono votare in blocco, fino al voto in Turingia i Verdi avevano potere di veto con 37 dei 69 seggi e potevano stoppare qualsiasi legge.

 

Ma ora questi quattro seggi andranno probabilmente a qualcun altro e questa defezione dei membri del partito CDU in Turingia rischia di innescare una crisi costituzionale in Germania, se AfD riesce a entrare nel Bundesrat.

 

Aggiungere i Verdi alla coalizione del Brandeburgo era un modo per bilanciare le potenziali perdite in Turingia. In questo modo l’attuale Bundesrat ha l’aspetto qui sotto con i Verdi che hanno 41 seggi più quattro altri potenziali dalla Turingia.

 



 

Questo rende palese la verità: la Merkel ha usato i Verdi per spingere la propria agenda UE senza darlo a vedere al pubblico. Il gioco le ha dato una copertura politica interna.

 

 

Se i Verdi perdono in Turingia, scendono a 41 seggi.

 

Ma ecco il vero problema, di cui nessuno dei media tedeschi si occuperà ma che sta per presentarsi. AfD ha formalmente contestato la ripartizione dei seggi in Assia, dove la CDU e i Verdi hanno un’alleanza fragile e una maggioranza di un solo seggio.

 

Questa contestazione potrebbe far cadere il governo in Assia, e probabilmente lo farà. Infatti, l’istituzione che deve decidere a riguardo non è politica. È amministrativa. Le leggi sono chiare e una volta che il caso verrà giudicato i cinque seggi dell’Assia saranno rimessi in gioco.

 

Infine, se/quando questo accadrà, mi aspetto che la SPD verrà aggiunta alla coalizione e l’ordine verrà ripristinato, dal punto di vista della Merkel. Ma siccome ci saranno nuove elezioni in Turingia, esiste la possibilità che la situazione per la Merkel si deteriori ancora più velocemente.

 

Già il fatto che l’unica opzione fossero le elezioni anticipate è stato profondamente imbarazzante per l’establishment. Questo favorirà i partiti minori, mentre la SPD continua a ripensare alla sua coalizione con una CDU che sta perdendo il controllo dei suoi membri.

 

La politica tedesca si gioca sul trasmettere un senso di coerenza, secondo il mio punto di vista. I cambiamenti devono essere misurati e graduali. Ma questo si basa sulla stabilità economica e sulla prosperità. Il rapido cambiamento del panorama politico tedesco che ha dato il via a questi eventi mette in dubbio questa tesi.

 

Le cattive condizioni economiche degli stati dell’Est spostano i conservatori tedeschi verso AfD. Il fatto che la Germania venga messa in difficoltà dalla Brexit e dall’ostilità di Trump nei confronti della Merkel non aiuta. Un’Europa incapace di una crescita economica che consenta alle aziende tedesche di esportare è un altro fattore. E le continue sanzioni alla Russia hanno ostacolato il relativo mercato per quasi sei anni.

 

Dopo quasi dieci anni di politiche rovinose della BCE e di insistenza della Merkel nell’obbedire a tutte le sfide e ai cambiamenti sta velocemente montando l'erompere di rivoluzione politica contro di lei.

 

Che succede se AfD vince la maggioranza nelle nuove elezioni? Che succede se i Verdi non riescono ad arrivare al 5% e non guadagnano alcun seggio? Che succede se i membri della sua CDU in Turingia scendono ancora a patti Con AfD?

 

Queste sono domande che Angela Merkel non vuole affrontare, ma la Germania ha bisogno di farlo.