12/10/14

Stanco di questo mondo guidato dal mercato? Sarebbe sano.

Sul The Guardian il commento a un bel libro di psicologia sociale sulla lotta per l'identità in una società basata sul mercato:  la truffa del neoliberismo è che ha eroso proprio quegli stessi valori che avrebbe dovuto premiare.


Dal blog di George Monbiot, The Guardian

Essere in pace con un mondo inquieto: questo non è un obiettivo ragionevole. Può essere raggiunto solo attraverso un disconoscimento di ciò che ti circonda. Essere in pace con se stessi all'interno di un mondo inquieto: questa, al contrario, è un'aspirazione onorevole. Questo spazio è per chi si sente in contrasto con la vita.  Invita a non vergognarsi. 

Sono stato spinto a scrivere da un libro notevole, appena pubblicato in inglese, di un professore belga di psicoanalisi, Paul Verhaeghe. "What About Me? The Struggle for Identity in a Market-Based Society" è uno di quei libri che, collegando fenomeni apparentemente distinti, permette improvvise nuove intuizioni su ciò che ci sta accadendo e perché. 

Verhaeghe sostiene che siamo animali sociali e le nostre identità sono formate da norme e valori che assorbiamo da altre persone. Ogni società definisce e plasma la propria normalità - e la propria anormalità - secondo le narrazioni dominanti, e cerca di fare in modo o che le persone la rispettino o di escluderle se non lo fanno.

Oggi la narrazione dominante è quella del fondamentalismo del mercato, ampiamente conosciuto in Europa come neoliberismo. La storia che racconta è che il mercato possa risolvere quasi tutti i problemi sociali, economici e politici. Meno lo stato regola e ci tassa, meglio staremo. I servizi pubblici devono essere privatizzati, la spesa pubblica deve essere tagliata, e le imprese devono essere liberate dal controllo sociale. In paesi come il Regno Unito e gli Stati Uniti, questa storia ha plasmato le nostre norme e valori per circa 35 anni: da quando Thatcher e Reagan sono saliti al potere. Sta rapidamente colonizzando il resto del mondo. 

Verhaeghe sottolinea che il neoliberismo attinge all'antica idea greca che la nostra etica sia innata (e governata da uno stato di natura, che chiama il mercato) e sull'idea Cristiana che il genere umano sia intrinsecamente egoista e avido. Piuttosto che cercare di sopprimere queste caratteristiche, il neoliberismo le celebra: esso sostiene che la concorrenza illimitata, guidata dall'interesse personale, porta a innovazione e crescita economica, migliorando il benessere di tutti. 

Al centro di questa idea c'è la nozione del merito. La concorrenza senza ostacoli premia le persone che hanno talento, lavorano duro, e innovano. Questo rompe le gerarchie e crea un mondo di opportunità e mobilità. 

La realtà è piuttosto diversa. Anche all'inizio del processo, quando i mercati vengono deregolamentati per la prima volta, noi non cominciamo con pari opportunità. Alcune persone sono un bel pezzo avanti lungo la pista prima che la pistola della partenza spari il colpo. Ecco come gli oligarchi russi riuscirono ad acquisire quelle ricchezze, quando l'Unione Sovietica si sciolse. Non erano, nel complesso, le persone più dotate, laboriose o innovative, ma quelle con meno scrupoli, la maggior parte criminali, e con i migliori contatti - spesso nel KGB.

Anche quando i risultati si basano sul talento e sul duro lavoro, non perdurano così a lungo. Una volta che la prima generazione di imprenditori liberati dai lacciuoli ha fatto i soldi, la meritocrazia iniziale viene sostituita da una nuova élite, che isola i suoi figli dalla concorrenza per via ereditaria e con la migliore educazione che il denaro può comprare. Dove il fondamentalismo del mercato è stato più ferocemente applicato - in paesi come Stati Uniti e Regno Unito - la mobilità sociale è notevolmente diminuita.

Se il neoliberismo fosse qualcos'altro rispetto ad una truffa arrivista, i cui guru e think tank sono stati finanziati fin dall'inizio da alcune delle persone più ricche del mondo (i multimilionari USA Coors, Olin, Scaife, Pew e altri), i suoi apostoli avrebbero richiesto, come condizione essenziale per una società basata sul merito, che nessuno dovesse iniziare la vita con il vantaggio ingiusto della ricchezza ereditata o dell'istruzione determinata dal censo. Ma non hanno mai creduto nella loro dottrina. L'impresa, di conseguenza, ha rapidamente ceduto il passo alla rendita. 

Tutto questo viene ignorato, e il successo o il fallimento dell'economia di mercato sono attribuiti esclusivamente agli sforzi dei singoli. I ricchi sono i nuovi giusti; i poveri sono i nuovi devianti, che hanno fallito sia economicamente che moralmente e sono ora classificati come parassiti sociali. 

Il mercato doveva emanciparci, offrendo autonomia e libertà. Invece ha partorito atomizzazione e solitudine. 

Il luogo di lavoro è stato travolto da una folle infrastruttura kafkiana di valutazione, monitoraggio, misurazione, sorveglianza e controllo, diretto centralmente e rigidamente pianificato, il cui scopo è quello di premiare i vincitori e punire i perdenti. Distrugge l'autonomia, l'intraprendenza, l'innovazione e la lealtà, e genera frustrazione, invidia e paura. Attraverso un magnifico paradosso, ha portato alla rinascita di una grande tradizione sovietica, conosciuta in Russia come tufta. Significa falsificazione delle statistiche per soddisfare i diktat di un potere incomprensibile.

Le stesse forze affliggono coloro che non riescono a trovare lavoro. Essi devono ora lottare, oltre che con le altre umiliazioni della disoccupazione, con un nuovo livello di spionaggio e monitoraggio. Verhaeghe sottolinea che tutto questo è fondamentale per il modello neoliberista, che insiste ovunque sul confronto, la valutazione e la quantificazione. Ci sentiamo tecnicamente liberi, ma impotenti. Che si abbia un lavoro o meno, dobbiamo vivere secondo le stesse regole o perire. Tutti i principali partiti politici le promuovono, quindi non abbiamo nemmeno alcun potere politico. In nome di autonomia e libertà siamo finiti controllati da una digrignante burocrazia senza volto. 

Tra i disturbi della personalità, i più comuni sono ansia da prestazione e fobia sociale: entrambei riflettono la paura delle altre persone, che sono percepite sia come esaminatori che come concorrenti - gli unici ruoli che il fondamentalismo di mercato ammette per la società. La depressione e la solitudine ci affliggono. 

I diktat infantilizzanti del posto di lavoro distruggono il nostro amor proprio. Quelli che finiscono in fondo alla scala sono assaliti da sensi di colpa e di vergogna. La fallacia dell'auto-valutazione è a doppio taglio: proprio come ci congratuliamo con noi stessi per il nostro successo, ci biasimiamo per il nostro fallimento, anche se abbiamo poco a che fare con esso. 

Quindi, se non sei adatto, se ti senti in contrasto con il mondo, se la tua identità è turbata e sfilacciata, se ti senti perso e provi vergogna - potrebbe essere perché hai conservato dei valori umani che si supponeva avresti dovuto scartare. Sei un deviante. Siine orgoglioso.

12 commenti:

  1. Un grande!!!! Nuovo libro da cercare !!

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  2. Peccato che x arrivare al benessere assoluto degli abitanti del pianeta ne servano altri 1,6 oltre al nostro. L'imbecillita' umana ha guidato tutti i disastri nei millenni passati. Difficilmente ne vedremo un altro. Anzi non vedremo l'ora di andare da S. Pietro a raccomandarci l'anima e magari ricevere in cambio un calcio nel cu.....

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  3. Il Friedrich von Hayek che è in noi!Ottimo saint simon e carmen!Questo è un processo evolutivo bello e buono.Anche chi crede di starne fuori ne è immerso,forse ha ragione Mazzalai:è una crisi antropologica ciao. Claudio.

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  4. Bellissimo articolo, davvero. Si potrebbe anche aggiungere, tra le fonti di angoscia, che il progredire velocissimo delle tecnologie dà alle persone la sensazione di diventare rapidamente obsolete, e quindi ancora più inutili, creando nei casi peggiori forme di ignoranza comparabili all'analfabetismo (per esempio gli anziani che non sono riusciti ad adeguarsi a internet oggi si trovano nella vera e propria impossibilità di gestire alcune faccende un tempo semplici).

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  5. Bell'articolo.
    "...Anche quando i risultati si basano sul talento e sul duro lavoro, non perdurano così a lungo".

    Che poi, a pensarci bene, anche se così non fosse: quale sarebbe il maggior merito di una persona di talento rispetto - poniamo - a una persona ricca di famiglia? In entrambi i casi si tratta di due tizi fortunati, visto che entrambi sono venuti al mondo già provvisti di congrui doni.
    Questo per dire che un sistema meritocratico, comunque, ha un senso solo se inteso come ottimizzatore delle funzioni di ciascuno nella collettività al fine del benessere comune, non certo come giustificazione ideologica delle differenze sociali. O no?

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  6. Sì, un bell'articolo, che tocca aspetti che non trattiamo spesso, ma sono di importanza vitale.

    La meritocrazia come "ottimizzazione delle funzioni di ciascuno al fine del benessere collettivo" è un concetto importantissimo, ed è proprio quello che oggi manca. Come ai tempi della rivoluzione francese, abbiamo una élite che gode di privilegi enormi ma che non sono più giustificati da una qualche valida e impegnativa funzione sociale. Quand'è così, i privilegi non possono essere riconosciuti ancora a lungo.

    Ho letto una volta questo esempio: i soldati sono orgogliosi di servire un generale che li guida valorosamente nel campo di battaglia, ma se questo se ne sta nelle retrovie a mangiare e bere al sicuro dalle pallottole nemiche mentre gli altri combattono, è tutta un'altra storia.

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  7. Si, decisamente un bell'articolo. Grazie a tutti per i complimenti per questo testo decisamente inusuale per noi, evidentemente non sono l'unico ad averlo trovato in risonanza con quella persistente e profonda nota stonata che avvertiamo ogni giorno dentro, e soprattutto fuori, di noi.
    Quello che mi ha colpito del testo è che fa intuire che dietro alla disoccupazione strutturale a due cifre, che è la caratteristica più evidente tra le promesse del brave new world neoliberista, c'è un mutamento più sottile delle dinamiche sul luogo di lavoro; mutamento che, presi come siamo dalla crescente preoccupazione, quando non angoscia, per il futuro, passa sottotraccia: l'imbarbarimento dei rapporti lavorativi tra colleghi; la sovrastruttura kafkiana di misurazione e controllo che come dice Monbiot premia i vincenti e punisce i perdenti (come mediaticamente ci "insegnano" anche i reality show in quello che è ormai il messaggio pop del neoliberismo, come lo definirebbe Barra Caracciolo); la tufta con cui si cerca di centrare l'obiettivo irragionevole dato da un potere spesso incomprensibile, in un ironico parallelo con la fase terminale della società sovietica; ancora - aggiungo io - la retorica aziendalista che quanto più si dice politically correct, motivazionale e orizzontalmente "fondata sul Sogno (di auto-realizzazione)" e la meritocrazia, tanto più nasconde il tentativo di colpevolizzazione del lavoratore e la crescente tirannia dei rapporti di potere in azienda, dove il punto di vista alternativo è sempre meno ben accetto e la tentazione sempre più forte è quella di costruire schiere di yes-man incolori che avanzano compatti, eventualmente anche verso il baratro.
    Si, quella indotta dal neoliberismo è decisamente una crisi antropologica, in cui la visione homo homini lupus alla base dell'ideologia si fa realtà con il suo portato di solitudine, auto-colpevolizzazione e paura del prossimo.

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  8. E se posso aggiungere qualcosa, dopo essermi unito al giudizio entusiastico sul testo proposto, questa onda ha sommerso anche l'università, dove questo conformismo dettato dai parametri idioti dettati dall'ANVUR ha praticamente distrutto la sua caratteristica specifica, essere sede dell'innovazione, della violazione dei paradigmi dominanti.
    L'università, questa istituzione che tanto ha contribuito allo sviluppo delle conoscenze in Europa, della cui tradizione ancora godiamo (forse ancora per poco) è finita, non esiste più come tale, è stata sostituita da una struttura aziendalista come tante altre.

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  9. Meritocrazia è il nome politicamente corretto del darwinismo sociale, mercato di campo di battaglia e concorrenza di guerra.

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