di Alain Constant, 31 gennaio 2018
Traduzione di Luca Fantuzzi
Da un punto di vista che comprende tutto ciò che si estende oltre e intorno al complesso concentrazionario, Emil Weiss ci permette di comprendere il progetto nazista nella sua globalità
Nessuna musica, solamente il rumore del vento. Riprese aeree, catturate da droni, attribuiscono a questo viaggio sopra l’inferno una sorta di soffice leggerezza. Edifici visti dall’alto e cerchiati di giallo, nero, o rosso per aiutare a comprendere la topografia di questi luoghi, per nulla simili agli altri. Il tutto accompagnato da commenti sobri e testimonianze strazianti (di Charlotte Delbo, Simone Veil, Primo Levi). Questa originale scelta stilistica in termini di montaggio di immagini e suoni, scelta da Emile Weiss, regista di questo eccezionale documentario, non solo non nuoce affatto all’importanza della sua inchiesta, ma anzi ne è il principale punto di forza.
Autore di una trilogia tutta consacrata ad Auschwitz (Sonderkommando Auschwitz-Birkenau, del 2007, Auschwitz prime testimonianze, del 2010, e Medici criminali – Auschwitz, del 2013), Weiss si è recato a più riprese in quest’angolo del sud della Polonia, vicino alla cittadina di Oswiecim (Auschwitz in tedesco). “Una volta terminata la trilogia che descrive l’annientamento, ho voluto mostrare il progetto nazista complessivo sviluppato ad Auschwitz e nelle zone intorno. Perché ad ogni viaggio che effettuavo in loco si accompagnavano nuove scoperte, che mi hanno spinto a comprendere meglio il funzionamento di questo enorme e labirintico complesso…”.
Aziende agricole, fabbriche, miniere. Se infatti è ben conosciuta la storia dei tre principali campi (la vecchia caserma polacca divenuta Auschwitz 1, il campo di sterminio di Birkenau e il campo di lavoro di Monowitz) esistenti in quella che i nazisti chiamavano la “zona di interesse” (40 km. quadrati di estensione, più o meno), questa documentazione allarga il proprio campo di indagine ad una zona assai più grande. Il complesso industriale di Auschwitz si estendeva – al di là della “zona di interesse” che, oltre ai tre campi, comprendeva anche aziende agricole, fabbriche, miniere, centri ricerca – per una sessantina di chilometri.
La zona della morte si accompagna ad una zona di lavoro intenso, dove i cantieri si susseguono senza fine. Tra il 1940 ed il 1944 vi si costruiscono laboratori di ricerca, fattorie, fabbriche. Alla periferia della cittadina di Auschwitz sono costruiti dei quartieri ultramoderni destinati ad ospitare una popolazione ariana. Perché si tratta, a partire da questa zona geografica, di portare a termine un ampio progetto di germanizzazione dell'Europa orientale.
Per le SS incaricate della gestione dei campi, la zona di interesse si rivela redditizia. Noleggiando alle grandi imprese tedesche installatesi in loco (Agfa, Bayer, BASF, Hoechst [1], Siemens, per citarne solo alcune) i servizi di una manodopera schiavizzata [oggi parleremmo di "somministrazione di lavoro", N.d.T.], le SS si riempiono le tasche. E lo stesso gli industriali, grazie a queste migliaia di operai o cavie di laboratorio che non costano praticamente nulla. Si stima che la mano d’opera concentrazionaria noleggiata alle imprese ha fruttato alle SS qualche cosa come 20 milioni di marchi nel 1943 ed il doppio nel 1944, cioè a dire l’equivalente di circa 130 milioni di Euro di oggi.
Nelle fabbriche, nelle aziende di allevamento, nelle serre, nei laboratori, migliaia di donne e uomini deportati lavoravano in condizioni diverse da un luogo all'altro. “Noi eravamo lontani da Birkenau. Non ne sentivamo più l’odore. Vedevamo soltanto il fumo salire dai forni crematori”, testimonia Charlotte Delbo, assegnata ai vivai di Rajsko. In questi territori del sud della Polonia, oltre allo sterminio, i nazisti sperimenteranno le loro politiche demografiche, agricole, mediche, scientifiche e industriali.
(Auschwitz Projekt di Emil Weiss – France, 2017, 56 min.).
[1] N.d.T.: Hoechst AG è divenuta Aventis Deutschland dopo la fusione con la francese Rhône-Poulenc SA nel 1999. Con la fusione della nuova società, nel 2004, con Sanofi-Synthélabo, è diventata una filiale del gruppo farmaceutico Sanofi-Aventis.
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