18/06/18

Il melting pot dell'Unione Europea sta crollando

Sul Times Niall Ferguson sostiene chiaramente che il problema dell’immigrazione si pone oggi in tutta la sua drammaticità a causa delle disastrose politiche passate, promosse dalla Merkel in Germania e dai governi mainstream in Italia, da Monti a Gentiloni, passando per Letta e Renzi. Le conseguenti tensioni politiche dicono che il futuro dell’Europa non sarà di maggiore integrazione, ma di divisione, talmente esplosiva da far sembrare la Brexit solo un piccolo segnale premonitore.

 

 

Di Niall Ferguson, 17 giugno 2018

 

 

Sull’immigrazione, i populisti italiani sono il futuro. La Merkel rappresenta il passato.

 

Centodieci anni fa l’autore britannico Israel Zangwill completò la sua opera teatrale “Il melting pot”. Rappresentata per la prima volta a Washington nell’ottobre 1908 – dove fu accolta entusiasticamente dal Presidente Theodore Roosvelt – celebrava gli Stati Uniti come un gigantesco crogiolo, che fondeva insieme “Celti e Latini, Slavi e Teutoni, Greci e Siriani – neri e gialli – Ebrei e Gentili” per formare un unico popolo.

 

“Sì”, dichiara l’eroe della commedia (un immigrato ebreo dalla Russia, come il padre di Zangwill), “Est e Ovest, Nord e Sud, la palma e il pino, il polo e l’equatore, i musulmani e i cristiani… qui saranno tutti uniti per costruire la Repubblica degli Uomini e il Regno di Dio”.

 

È piuttosto difficile immaginare di scrivere un’opera simile riguardo all’Unione Europea all’inizio del ventunesimo secolo. O piuttosto, è facile immaginarne una molto diversa. In questa, l’influsso di immigrati da tutto il mondo avrebbe esattamente l’effetto opposto di quello immaginato da Zangwill. Anziché portare alla fusione, la crisi migratoria europea sta portando alla fissione. La commedia potrebbe chiamarsi “Il Meltdown Pot” [quindi non un crogiolo dove si fondono insieme diversi metalli, ma un posto dove una materia solida si liquefa disperdendosi, NdVdE].

 

Sono sempre più convinto che la crisi migratoria sarà vista dai futuri storici come l’ingrediente fatale che ha sciolto l’UE. Nelle loro ricostruzioni, la Brexit sembrerà a mala pena un sintomo premonitore della crisi. Ci diranno che l’immenso “Völkerwanderung” [movimento di massa di persone, NdVdE] ha sopraffatto il progetto di integrazione europea, esponendo la debolezza dell’UE come istituzione e spingendo gli elettori nelle braccia della politica nazionale per trovare soluzioni.

 

Cominciamo dalla dimensione dell’afflusso. Nel solo 2016 sono arrivati nei 28 paesi membri UE circa 2,4 milioni di immigrati da paesi non-UE, portando il totale della popolazione nata all’estero a 36,9 milioni, più del 7% del totale.

 

Questo potrebbe essere solo l’inizio. Secondo gli economisti Gordon Hanson e Craig McIntosh, “il numero di migranti di prima generazione nati in Africa e tra i 15 e i 64 anni, fuori dall’Africa sub-Sahariana aumenterà da 4,6 milioni a 13,4 milioni tra il 2010 e il 2050”. La grande maggioranza di questi si dirigerà sicuramente in Europa.

 

Il problema è insolubile. La popolazione dell’Europa Continentale sta invecchiando e diminuendo, ma il mercato del lavoro europeo ha pessime esperienze nell’integrazione di immigrati non specializzati. Inoltre, un’ampia proporzione degli immigrati in Europa sono musulmani. A sinistra si insiste nel sostenere che sarebbe possibile per cristiani e musulmani convivere pacificamente in un’Europa secolare post-cristiana. In pratica, la combinazione di sospetti storicamente radicati e di divergenze moderne nelle posizioni – in particolare sullo status e il ruolo delle donne – sta rendendo difficile l’assimilazione (paragonate la situazione dei marocchini in Belgio a quella dei messicani in California, se non mi credete).

 

Infine, c’è un problema pratico. È quasi impossibile difendere i confini dell’Europa del sud dalle flottiglie degli immigrati, a meno che i leader dell’Europa non siano pronti a lasciar annegare molte persone.

 

Politicamente, il problema dell’immigrazione sembra poter essere fatale a quelle alleanze allargate tra socialdemocratici moderati e conservatori moderati/cristiani democratici su cui si è basata l’integrazione europea negli ultimi 70 anni.

 

I centristi europei hanno le idee molto confuse sull’immigrazione. Molti, specialmente nel centro-sinistra, vorrebbero avere sia frontiere aperte sia uno stato sociale. Ma le evidenze dicono che è difficile “fare la Danimarca” in una società multiculturale. La mancanza di solidarietà sociale rende insostenibili alti livelli di tassazione e redistribuzione.

 

In Italia possiamo vedere un possibile futuro: i populisti di sinistra (il Movimento Cinque Stelle) e i populisti di destra (la Lega) si sono uniti per formare un governo. La loro coalizione si concentrerà su due cose: difendere le vecchie norme dello stato sociale (il governo prevede di revocare una recente riforma delle pensioni) ed escludere gli immigrati. La scorsa settimana, con un ampio consenso popolare, il ministro degli interni Matteo Salvini ha respinto una nave che portava 629 immigrati recuperati dal mare della Libia. La Aquarius ora si dirige in Spagna, il cui nuovo governo di minoranza socialista si è offerto di accettare il carico umano.

 

In quali altri posti i populisti possono andare al potere? Sono già al governo in qualche modo in sei membri UE: Austria, Repubblica Ceca, Grecia, Ungheria, Italia e Polonia. Ma in tutta l’UE ci sono in totale 11 partiti populisti con un sostegno popolare superiore al 20%, il che implica che il numero di governi populisti potrebbe all’incirca duplicare. Il fatto è che pochi paesi stanno alla pari dell’Italia per flessibilità politica. Immaginate, se ci riuscite, il partito di destra Alternativa per la Germania (AfD) che si siede con i tedeschi di sinistra (Die Linke) a mangiare salsicce e bere birra a Berlino. Impossibile. Di conseguenza, come hanno constatato i tedeschi dopo le scorse elezioni, in effetti non esiste alternativa alla vecchia Grande Coalizione tra centro-destra e centro-sinistra, che procede zoppicando.

 

E intendo proprio “zoppicare”. La scorsa settimana la cancelliera Angela Merkel si è scontrata con Horst Seehofer, il suo ministro dell’interno, che voleva respingere sui confini tedeschi tutti gli immigrati già registrati in altri paesi UE. Secondo il regolamento di Dublino, il paese dove l’immigrato mette piede per primo in UE è in teoria responsabile per la sua richiesta di asilo. Ma in pratica gli immigrati cercano in giro la destinazione più gradita, grazie al sistema delle frontiere aperte di Schengen, a cui la Germania appartiene.

 

Secondo la Merkel, la Germania non può uscire da Schengen senza rischiare il collasso dell’intero sistema di libertà di movimento. La sua speranza è quella di mettere insieme una sorta di pacchetto pan-europeo in materia di immigrazione al vertice UE di Bruxelles a fine mese. Ma non è ancora chiaro se il suo alleato della CSU Bavarese (il partito guidato da Seenhofer) possa accettare questa linea. La CSU ha elezioni locali il prossimo ottobre e teme di perdere consensi a favore di AfD proprio sulla questione dell’immigrazione. In ogni caso, la possibilità di una strategia coerente pan-europea sull’immigrazione sembra remota. I confini nazionali sembrano una soluzione più semplice.

 

Ero scettico riguardo all’opinione che la Brexit significasse semplicemente abbandonare una nave che affonda. Ma adesso devo ricredermi. Anche se l’impossibilità di riconciliare i conservatori nostalgici dell’UE e i sostenitori della Brexit sembra un pericolo esistenziale per Theresa May, gli eventi in Europa si muovono in una direzione che sembrava impensabile pochi anni fa.

 

Nel suo libro in uscita riguardo all’immigrazione USA, il mio brillante amico Reihan Salam – lui stesso figlio di immigrati dal Bangladesh – sostiene una tesi coraggiosa: o l’America mette restrizioni all’immigrazione o rischia la guerra civile a causa della combinazione tra crescente disuguaglianza e tensione razziale.

 

Spero che Salam abbia ragione quando sostiene che il melting pot americano può essere in qualche modo salvato. Ma non nutro la stessa speranza per l’Europa. Nessuno che abbia passato un po’ di tempo in Germania dopo la grande scommessa della Merkel nel 2015-2016 può onestamente credere che sia in atto un melting pot anche lì. Chiunque visiti oggi l’Italia può vedere che le politiche dello scorso decennio – austerità e frontiere aperte – hanno prodotto un tracollo politico.

 

La fusione può ancora essere la soluzione per gli Stati Uniti. Per l’Europa, temo, il futuro è nella divisione – un processo potenzialmente così esplosivo che potrebbe relegare la Brexit a una nota a piè di pagina nella storia futura.

 

 

Niall Ferguson è assistente anziano alla Milbank Family presso la Hoover Institution, Stanford

 

 

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