20/10/20

El Paìs - Perché la Spagna non chiederà la sua quota di 70 miliardi del Recovery Fund


Dopo che il Ministro dell'economia Gualtieri e il Presidente del Consiglio Conte hanno finalmente deciso di rigettare il MES, per le stesse ragioni già da molto tempo denunciate dagli economisti dell'opposizione, ora sarebbe il caso di esercitare un ragionamento critico anche nei confronti dei prestiti del Recovery Fund, che recentemente la Spagna ha dichiarato di voler rifiutare. Le 'potenti ragioni per farlo' sono esposte in questo articolo di El Paìs.  


di Claudi Perez,  19 Ottobre 2020

Con tassi di interesse prossimi allo zero e un debito pubblico in forte aumento, il governo spagnolo preferisce limitarsi alle sovvenzioni piuttosto che chiedere alla UE i prestiti a cui avrebbe diritto - e non è l'unico paese a pensarla così.

Nel luglio di quest'anno, la Spagna ha annunciato con orgoglio che avrebbe ricevuto una quota significativa del Recovery Fund da 750 miliardi di euro concordato dai 27 membri dell'Unione europea dopo un lungo vertice a Bruxelles.

"Questo è un grande accordo: ci siamo assicurati 140 miliardi di euro per la Spagna, di cui 72,7 miliardi di euro in sovvenzioni", aveva detto il primo ministro Pedro Sánchez, del Partito socialista (PSOE), dopo la conclusione dello storico accordo volto a tirar fuori l'economia europea dal suo coma da Covid.

La Spagna conta sui fondi dell'UE per alimentare un bilancio ultra-espansivo in uno dei paesi più colpiti dalla pandemia da coronavirus, sia in termini sanitari che economici. Il Fondo monetario internazionale (FMI) ha previsto che nel 2020 l'economia spagnola vedrà una contrazione maggiore della maggior parte degli altri paesi (ma meno di Grecia e Italia, ndt) e che il paese si dirigerà verso livelli record di deficit e debito.

[...] Eppure è molto probabile che la Spagna non riceverà mai tutti i 140 miliardi di euro. Lo stesso esecutivo spagnolo sta rinunciando a metà della somma, almeno per il momento, secondo fonti del ministero dell'Economia e della Moncloa, la sede del governo.

Per ora, la Spagna richiederà per il periodo 2021-2023 solo la parte dei fondi in forma di sovvenzioni, ma non è interessata ai quasi 70 miliardi di euro di prestiti, che alla fine si tradurrebbero in un aumento del debito. “La Commissione Europea consente ai membri di richiedere i prestiti fino a luglio 2023. Che senso avrebbe chiederli adesso? Lo faremo, se necessario, per il periodo 2024-2026", hanno dichiarato fonti governative.

La Spagna non è l'unico paese a trovarsi in questa congiuntura: il Portogallo e l'Italia, e anche la Francia, potrebbero considerare di rinunciare ad alcuni dei prestiti che sono stati loro assegnati dal fondo.

Ci sono alcune potenti ragioni per farlo. 

Per prima cosa il piano d'emergenza di acquisto titoli da parte della Banca centrale europea (BCE) ha ridotto al minimo i tassi di interesse pagati dai paesi per il prestito: proprio questa settimana, le tesorerie di Spagna e Italia hanno emesso obbligazioni con rendimento negativo, il che significa che effettivamente ricevono soldi per indebitarsi. Di conseguenza, ci sono meno incentivi a chiedere prestiti all'UE, indipendentemente da quanto possano essere economici.

In secondo luogo, la condizionalità che potrebbe derivare dai fondi, e che deve ancora essere ben definita, continua a fungere da deterrente. Così come il sospetto che, prima o poi, Bruxelles richiederà aggiustamenti ai paesi con livelli di debito pubblico in aumento - e tutte le nazioni dell'Europa meridionale sono già al di sopra del 100% del PIL. 

In terzo luogo, non è nemmeno chiaro se i governi abbiano la capacità amministrativa di spendere quell’ammontare di denaro.

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Giocando con il fuoco

Le fonti consultate da questo giornale hanno evitato di fornire spiegazioni sui motivi della decisione. Ma sembra ovvio che il programma di finanziamento europeo, noto pomposamente come Next Generation EU, potrebbe finire vittima del suo stesso successo.

 I tassi di interesse in tutta la periferia sono scesi a causa dell'azione combinata del programma di acquisto della BCE e delle prospettive di ripresa fornite dal forte stimolo fiscale concordato dai 27: ci sono meno incentivi a chiedere prestiti se i paesi emettono debito a tassi di interesse stracciati ”, osserva Lorenzo Codogno, ex segretario al Tesoro in Italia. "Il rischio reale è che il macro-stimolo europeo finisca per essere molto più piccolo di quanto concordato a luglio, e che questo peggiori le prospettive economiche".

Questo rischio arriva nel momento peggiore possibile, con focolai di coronavirus che si verificano in tutta Europa - e la Spagna guida ancora queste statistiche - che potrebbero creare ulteriori disastri sotto forma di maggiore disoccupazione, maggiore contrazione del PIL e maggiore debito pubblico.

Nel frattempo, lo stesso piano europeo subisce ritardi. Non c'è ancora un accordo tra la Commissione Ue, il Parlamento Ue e la presidenza tedesca dell'UE sui dettagli del pacchetto, e questo potrebbe ritardare i primi trasferimenti di denaro fino alla seconda metà del 2021.

Vale anche la pena notare che il programma di acquisti di emergenza per la pandemia della BCE non sarà sempre presente, e che i vincoli di bilancio dell'UE che stabiliscono obiettivi di debito e deficit non saranno sospesi per sempre - in effetti, quel dibattito tornerà in cima all'agenda non appena la Germania inizierà a sperimentare una ripresa, ed è un dato di fatto che ciò accadrà molto prima che l'Europa meridionale ne veda i primi segnali.

L'economista francese Jean Pisani-Ferry diceva che "gli errori di politica economica dell'Europa saranno studiati sui libri di storia", alludendo alla gestione disastrosa della recessione del 2008. Bruxelles e i governi nazionali hanno imparato la lezione questa volta, o almeno questa è la narrazione. Ma l'Europa è ancora in tempo a spararsi sui piedi.


 


 

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