18/08/12

Tentata, Angela? Il Memorandum Merkel dell'Economist

L'Economist  ha immaginato un piano B, elaborato dal punto di vista della Germania e sottoposto alla Merkel dal suo staff,  che prevede sia un'uscita della sola Grecia che una possibile rottura allargata dell'eurozona, dove noi però staremmo dentro ... Eppure, è proprio la presenza dell'Italia - che non può stare né dentro né fuori, a quanto pare - che rende il piano troppo incerto ... e alla fine secondo l'Economist Angela preferisce andare avanti così, in perfetto stile Teutonico.


Angela Merkel, Cancelliere Tedesco - e anche, a tutti gli effetti, boss dell'area dell'euro - ha sempre insistito sul fatto che vuole mantenere la zona euro nella sua forma attuale. Ma, mentre la crisi dell'euro si intensifica e aumentano i costi potenziali per la Germania, sarebbe imprudente non prendere in considerazione un piano B.   Redatto nella massima segretezza da un funzionario di fiducia e inviato al cancelliere per suo uso esclusivo, ecco cosa potrebbe dire il memorandum su un piano di emergenza:

A:   Angela Merkel
Da: ??? 
OGGETTO: Piano B

L'IMPASSE

Da quando è iniziata la crisi dell'euro, il Cancelliere ha continuato a sostenere che difenderà la moneta unica, basandosi sulla convinzione, condivisa in Germania dal mondo degli affari e dalla classe politica, che la sua sopravvivenza rappresenti un nostro interesse nazionale. A questo scopo la Germania ha destinato un grande ammontare di denaro pubblico, sia come contributo ai vari salvataggi che come rischio assunto dalla Bundesbank per la sua quota nella BCE. Allo stesso tempo Lei ha cercato di ridurre al minimo il conto per i contribuenti tedeschi insistendo sul fatto che gli stati beneficiari dei salvataggi debbano attuare programmi di severa austerità e, più in generale, resistendo alle richieste di condivisione del debito condizionandole a un maggior controllo centralizzato dei bilanci nazionali.




Ma, senza mezzi termini, il piano non funziona. La Grecia è disastrata. Irlanda e Portogallo stanno facendo qualche progresso (è incoraggiante che nel mese di luglio l'Irlanda sia stata in grado di raccogliere un po' di soldi dai mercati), ma hanno ancora una lunga strada da percorrere e possono facilmente andare fuori rotta. Peggio ancora, sembra che la Spagna potrebbe avere la necessità di un salvataggio vero e proprio, invece del salvataggio parziale delle sue banche che Lei sperava sarebbe stato sufficiente. E la malattia spagnola sta infettando l'Italia, compromettendo tutto il buon lavoro che Mario Monti ha fatto da quando gli italiani hanno messo giudizio sbarazzandosi di Silvio Berlusconi, come lei aveva sollecitato dietro le quinte. Nel frattempo François Hollande non sta facendo abbastanza per la Francia e sta giocando il solito gioco francese di chiedere alla Germania di fare di più, mentre resiste ai suoi tentativi di centralizzare il controllo a livello europeo. Mario Draghi, presidente della BCE, per il momento ha calmato le acque, ma il suo piano potrebbe facilmente andare a monte.

La situazione è pericolosamente instabile. Se la fuga di capitali dalle economie periferiche accelera il passo, potrebbe scatenare una corsa agli sportelli dell'intero sistema bancario. Questo metterebbe in crisi la BCE e quindi, indirettamente, la Bundesbank e la Germania, per un valore di migliaia di miliardi di depositi. Le politiche nazionali sono già impopolari in diversi paesi, in particolare in Grecia, avvelenando la nostra immagine nell'Europa meridionale, dove il nostro aiuto è sempre più visto come una nuova forma di protettorato tedesco. La situazione si sta deteriorando anche in Germania, dove la sua capacità di azione è limitata dalla reazione contro i salvataggi e contro lo stesso euro. La reazione in Finlandia e nei Paesi Bassi è semmai ancora più violenta.

IL PIANO B

Da qui la necessità di prendere in considerazione una strategia alternativa. L'obiettivo di questo piano di emergenza non è la completa disgregazione dei 17 paesi dell'area dell'euro. Questo sarebbe contro l'interesse nazionale tedesco, e distruggerebbe il rispetto che abbiamo faticosamente ottenuto dopo la seconda guerra mondiale promuovendo l'integrazione europea. E danneggerebbe inutilmente la nostra economia riportandoci al rischio di cambio negli scambi con paesi come l'Austria e i Paesi Bassi, che si sono adattati perfettamente all'euro. Il Piano B cerca di salvare l'euro con un intervento chirurgico, asportando Stati che non possono reggere, invece di aggrapparsi alla vana speranza che possano riprendersi all'interno della zona euro.

Vi proponiamo due opzioni. In primo luogo, quella a cui potreste trovarvi costretta in ogni caso: un'uscita dalla Grecia derivante dalla grave inadempienza nei suoi impegni nell'ambito dei vari accordi di salvataggio. Abbiamo considerato come un dato di fatto che i parlamentari del Bundestag non approveranno un solo euro in più di salvataggi di Atene. Se questo costringerà i Greci ad uscire, così sia.
In secondo luogo, consideriamo anche un'uscita allargata ad altri paesi che non hanno superato la prova dell'euro. Pensiamo che dovrebbe includere tutti gli stati che sono già stati salvati, o chiedono salvataggi, perché quei paesi condividono con la Grecia una perdita fondamentale di competitività e di vulnerabilità alla fuga dei capitali stranieri. Ciò significa che restando dentro l'euro non possono avere una ripresa entro un periodo di tempo ragionevole.

Nel valutare le due opzioni che abbiamo fatto riferimento soprattutto ad un'analisi costi-benefici basata su precedenti storici attinenti e sul quadro giuridico (siamo ben consapevoli della Sua preoccupazione che la Germania debba sempre essere vista come rispettosa della legge). Abbiamo anche dato un rapido sguardo ad alcune delle questioni pratiche coinvolte in un'uscita. Naturalmente, abbiamo preso in considerazione i vincoli politici con cui Lei si confronta, sia all'interno che tra gli altri leader europei. La prudenza è la Sua parola d'ordine, quindi abbiamo messo in evidenza i possibili rischi derivanti dall'adottare il piano B.

IN PRIMO LUOGO, E' POSSIBLE UN'USCITA?

Si comincia con la domanda più fondamentale di tutte: è possibile che uno o più paesi lascino l'euro (o siano costretti ad uscire), sia giuridicamente che praticamente? In linea di principio, dal punto di vista giuridico la risposta è no, perché quando i paesi hanno aderito all'euro la conversione delle loro valute precedenti doveva essere "irrevocabile": un Hotel California da cui non si può mai partire. In effetti, un parere legale pubblicato dalla BCE nel corso del 2009 ha sostenuto che, poiché i trattati europei non contemplano la possibilità che un paese lasci l'euro, un'uscita richiederebbe loro di lasciare anche l'Unione europea (UE). Ciò esacerberebbe il danno economico perché lo Stato perderebbe in partenza sia l'accesso al mercato unico che il sostegno dei fondi regionali.
Ma pensiamo che questo argomento dell'impossibilità giuridica sia sopravvalutato. Le leggi europee sono in continua evoluzione a causa della facilità con cui nuovi accordi possono sostituire quelli vecchi. Il trattato di Maastricht del 1992 vietava i salvataggi, ma Lei stessa ha autorizzato due accordi che li consentono: il fondo di salvataggio temporaneo e il meccanismo europeo di stabilità permanente, la cui legalità la nostra Corte costituzionale sta valutando al momento. Allo stesso modo, riteniamo che sia possibile trovare il modo di aggirare la presunta regola che un paese in uscita dall'euro dovrebbe lasciare anche l'UE.

Che dire sugli ostacoli pratici ad un'uscita? Ve ne sono due principali. In primo luogo, ci vorrebbero diversi mesi per progettare, stampare e distribuire una valuta completamente nuova, il che lascerebbe il paese in uscita privo di nuovo contante. In secondo luogo, la notizia di un paese che esce o che viene espulso quasi certamente trapelerebbe, portando a fortissime corse agli sportelli delle banche che travolgerebbero anche la capacità di contrasto della BCE. Questo porterebbe ad un crollo totale (e caotico) invece che ad un'uscita controllata.
Crediamo che sia possibile affrontare entrambe queste difficoltà pratiche. Sì, ci sono voluti sei mesi per lanciare una nuova moneta quando, per esempio, l'unione monetaria ceco-slovacca si sciolse nel 1993. E sì, hanno impresso dei timbri sui biglietti esistenti per distinguerli tra cechi e slovacchi, cosa che però potrebbe non funzionare per un paese come la Grecia, che si basa così pesantemente sugli euro spesi dai turisti. Ma le economie moderne sono molto meno basate sul denaro contante di una volta. Pensiamo che un paese possa andare avanti per qualche mese con un maggiore uso dei pagamenti elettronici (che potrebbero anche scovare meglio l'economia sommersa) e utilizzare le banconote e monete esistenti per le operazioni di piccole dimensioni, come proposto da Roger Bootle, capo della società di consulenza Capital Economics, che ha recentemente vinto un concorso bandito da Lord Wolfson, un uomo d'affari britannico, su come uno o più paesi potrebbero lasciare l'euro.
La preoccupazione in merito alle corse agli sportelli sono più giustificate, ma pensiamo che anche queste possano essere superate. Il modo più ovvio sarebbe quello di mantenere segreta la decisione dell'uscita fino al fine settimana in cui verrà attuata. E' difficile, perché si avrebbe bisogno di convincere gli altri leader europei in una riunione del consiglio, e la notizia sarebbe destinata a trapelare. Ma se la notizia venisse fuori, allora lo stato in procinto di abbandonare l'euro potrebbe imporre immediatamente una lunga chiusura delle banche e mettere in atto dei controlli di capitale (in genere illegali secondo il diritto europeo, ma esiste una scappatoia per un massimo di sei mesi in circostanze eccezionali). Questo dovrebbe risolvere il problema

UN'USCITA SOLO DELLA GRECIA

Supponendo che gli ostacoli giuridici e pratici all'uscita da parte di qualsiasi Stato possano essere superati, allora la prima opzione è un'uscita della Grecia, che a prima vista sembra meno rischiosa di una rottura più grande. Una difficoltà immediata è che i greci non vogliono uscire, così dovrebbero essere espulsi. Ci sono due modi in cui possono essere estromessi: in primo luogo, tagliando il flusso dei fondi di salvataggio, che significa che il governo greco dovrebbe far fronte ai propri deficit mediante l'emissione di cambiali che inizierebbero a circolare come moneta di fatto parallela, scontata rispetto all'euro; in secondo luogo, tagliando fuori le banche greche dal rifinanziamento della BCE e dal suo sistema di pagamenti. Il primo approccio potrebbe richiedere un po' di tempo, ma potrebbe creare un tale caos monetario che un taglio netto alla fine sembrerebbe preferibile. Il secondo costringerebbe le banche al fallimento senza più accesso alla liquidità della BCE.

Cosa accadrebbe allora? Anche se la Grecia scivolasse lentamente verso l'uscita, invece che uscir fuori d'un tratto, a un certo punto il governo dovrebbe completare il processo con l'introduzione della nuova dracma durante un fine settimana, quando i mercati sono chiusi. Tutte le attività, i debiti e i contratti scritti in base al diritto nazionale, compresi depositi e prestiti bancari, sarebbero ridenominati da euro a dracme col cambio di uno a uno. Fondamentalmente, nel momento della riapertura dei mercati, la dracma svaluterebbe, probabilmente di oltre il 50%.

Tale svalutazione, se non provoca uno sbandamento verso l'iperinflazione, potrebbe sollevare la Grecia dalla sua miseria attuale di recessione perpetua, permettendole di recuperare la competitività perduta in un colpo solo, invece di riaggiustare al ribasso i costi interni per diversi anni. Questo dovrebbe dare rapidamente un forte impulso all'economia tramite le esportazioni nette. Ma che cosa significherebbe per la Germania?
In primo luogo, Lei può contare sul consenso popolare - e non solo in Germania – e anche degli altri leader europei, i cui elettori sono altrettanto stufi nei confronti dei Greci “inetti”. Secondo e molto importante, espellere la Grecia metterebbe fine ai costi dei salvataggi e impedirebbe che diventassero un salasso permanente per i contribuenti tedeschi. Terzo e non meno importante, la decisione darebbe forza alla condizionalità, dando al resto dell'Europa la severa lezione che i termini dei salvataggi non possono essere calpestati impunemente.

A fronte di questi vantaggi ci saranno costi. Dal punto di vista strategico, c'è il pericolo di un inasprimento della politica greca ancora maggiore e che il paese possa diventare un problema permanente nel Mediterraneo orientale, anche se fuori dall'euro. Per sventare questa possibilità sarà essenziale dimostrare buona volontà, mantenendo la Grecia nell'Unione europea. Così, di fatto, ci sarà bisogno di un terzo salvataggio (solo che lo chiameremo un pacchetto di aiuti) per pagare ad esempio i farmaci essenziali per i pazienti. Pensiamo che questo possa essere limitato a, per esempio, € 50 miliardi, di cui la Germania sborserà un terzo, pari a circa € 17 miliardi.
Ma questo sarà solo l'inizio. Questo significherà anche metter fine alla finzione che i nostri prestiti alla Grecia possano essere rimborsati per intero. La Germania, insieme agli altri paesi creditori europei, si troverà ad affrontare delle pesanti perdite (vedi tabella 1) derivanti dalla nostra esposizione verso la Grecia. In primo luogo, vi è il denaro già versato: quasi € 130 miliardi. In secondo luogo, la BCE possiede ancora titoli di stato greci per un valore di circa € 40 miliardi. In terzo luogo, la Banca di Grecia deve alla BCE circa € 100 miliardi dei cosiddetti debiti Target2, derivanti dal sistema dei pagamenti Target2 attraverso il quale le banche locali affrontavano la fuga dai depositi dalla Grecia prendendo a prestito dalla banca centrale. Questo ammonta ad una esposizione di oltre € 270 miliardi, pari al 3% del PIL dell'area euro. (Noi non includiamo l'esposizione indiretta che tutti noi abbiamo attraverso le quote del Fondo Monetario Internazionale, che ha prestato alla Grecia circa € 20 miliardi di euro, in quanto il FMI di solito ottiene indietro il suo denaro). 


 
Una parte di questi € 270 miliardi possono essere recuperati, ma sarebbe irresponsabile contarci. La svalutazione aumenterebbe – in termini di dracma - l'indebitamento in euro della Grecia. Questo costringerebbe il governo greco, ove possibile, a ridenominare le sue passività in dracme, infliggendo pesanti perdite ai creditori, e potrebbe seguire a questo anche un'ulteriore svalutazione. La prudenza suggerisce che dovremmo presumere che non ci sarà alcun risarcimento e che la Germania dovrà subire un terzo delle perdite, più di quella che è formalmente la sua parte (circa un quarto), nel presupposto che gli altri Stati oggetto di salvataggi non saranno in grado di pagare nulla. Questo costerebbe alla Germania € 90 miliardi, portando il conto (compreso il pacchetto di aiuti) a quasi € 110 miliardi. Oltre a questo i contribuenti potrebbero dover sborsare € 10 miliardi per sostenere le banche tedesche che dovranno svalutare i loro crediti nei confronti della Grecia. Supponendo che lo stato si assuma la metà delle perdite che ne derivano, questo porterebbe il conto totale tedesco a circa € 120 miliardi, pari al 4,5% del PIL.

IL TUTTO PER TUTTO

Se fosse veramente così, sarebbe pur sempre un affare rispetto al probabile valore attuale dei trasferimenti dalla Germania alla Grecia nel corso dei prossimi anni e forse decenni. Ma vi è il rischio consistente che un Grexit potrebbe trasformarsi in una calamità, in quanto i mercati reagirebbero male all'ammissione che l'adesione all'euro non sia più considerata irreversibile. Nella peggiore delle ipotesi ci potrebbe essere un crollo del mercato paragonabile a quello che ha avuto luogo dopo il fallimento di Lehman Brothers alla fine del 2008, che potrebbe a sua volta innescare una recessione di una scala simile alla disperata recessione del 2008-09. Nella situazione di panico, Lei si troverebbe sottoposta a una forte pressione (Barack Obama si metterebbe immediatamente in contatto) per concedere la mutualizzazione del debito senza ottenere la contropartita del controllo fiscale a livello europeo che è stato richiesto. Dopo aver resistito per così tanto tempo alle richieste di scrivere un assegno in bianco, è proprio questo che potrebbe finire col dover fare.

Dato il rischio che la Germania potrebbe dover pagare un pesante prezzo per una uscita greca, questo vuol dire che il Piano B è in realtà un fiasco? Non necessariamente. Un'altra conclusione potrebbe essere che lo scenario apparentemente più sicuro di una uscita della sola Grecia sia, invece, l'opzione più rischiosa. Se la Germania è costretta a fare grandi concessioni per affrontare l'uscita di uno Stato, potrebbe avere più senso fare queste concessioni in combinato disposto con un intervento più radicale che metta veramente fine alla crisi dell'euro. In totale, cinque dei 17 Stati membri sono stati salvati o hanno chiesto un bail-out – a testimonianza del fatto che non sono stati in grado di far fronte al rigore della moneta unica. Gli altri quattro: prima l'Irlanda, poi il Portogallo, e ora la Spagna e Cipro, sono in bilico in zona retrocessione. Espellere anche questi paesi potrebbe essere la migliore soluzione per loro, per l'euro e per la Germania, in quanto renderebbe la restante area dell'euro più praticabile.

La situazione delle altre quattro economie riflette tanto il debito privato (soprattutto a Cipro, in Irlanda e in Spagna), quanto il debito pubblico (in Grecia e, in misura minore, in Portogallo). Ma la debolezza fondamentale che tutti ora condividono con la Grecia è che essi devono all'estero molto più di quanto possiedono all'estero. In ciascuno dei cinque paesi, le passività estere superano le attività estere detenute all'interno per una misura compresa tra l'80% e il 100% del PIL nel 2011, mettendole in una situazione simile all'interno della zona euro (vedi tabella 2). L'Italia, al contrario, ha un basso valore di passività estere nette, pari solo al 21% del PIL (inferiore al 27% degli Stati Uniti).


I livelli di debito estero sono molto più alti nei cinque paesi dell'eurozona che nelle economie emergenti che in passato sono cadute vittima di "arresti improvvisi (nel flusso dei capitali)", in cui gli investitori esteri e le banche hanno bloccato i prestiti e cercato di tirare fuori i loro soldi. Non c'è da meravigliarsi che i mercati abbiano perso la fiducia in loro. Ma anche se i prestiti dei salvataggi possono proteggere i governi, la perdita di fiducia continua a minare le economie periferiche, man mano che i depositi esteri vengono ritirati e gli investitori stranieri si rifiutano di comprare il loro debito. Il finanziamento della banca centrale sta colmando il gap, ma questo rende le banche dipendenti dalla BCE in modo preoccupante, e le induce a contrarre i prestiti a imprese e famiglie. Questo deprime l'economia ancora più duramente e rende più difficile mantenere le finanze pubbliche in ordine.

Oltre ad essere gravate da livelli insostenibili di debito estero, tutte le cinque economie condividono la miseria di cercar di riguadagnare la competitività perduta attraverso la svalutazione interna, in cui sono i costi interni a scendere, anno dopo anno. Con l'eccezione dell'Irlanda, che ha ottenuto un'interessante riduzione dei suoi costi unitari del lavoro (sebbene dopo un grande aumento), si potrebbe certo selezionare un gruppo di paesi meno in grado di fare con successo una svalutazione interna. I mercati del lavoro in Europa meridionale sono noti per la protezione degli insider (lavoratori a tempo indeterminato) a scapito degli outsider (lavoratori a tempo determinato o disoccupati). Questa rigidità significa che le imprese riducono il costo del lavoro attraverso il blocco delle assunzioni e licenziando i dipendenti temporanei, piuttosto che riducendo i livelli di salario.

Alcuni progressi sono stati compiuti, ma, come in una maratona, è la seconda metà della gara che è la più difficile. La disoccupazione è già salita a livelli pericolosamente alti: circa il 15% della forza lavoro in Irlanda e Portogallo e il 25% della forza lavoro in Spagna. L'Irlanda ha registrato un piccolo avanzo delle partite correnti e i deficit in generale sono scesi (anche se restano molto elevati a Cipro e in Grecia), ma sarebbero molto peggiori se le economie periferiche non fossero così depresse, fatto che ha ridotto la domanda di importazioni.

Da questo se ne può trarre che se la Grecia deve uscire, non dovrebbe uscire da sola. Come la Grecia, gli altri quattro paesi oggetto di salvataggi otterrebbero un rapido miglioramento della competitività dalla svalutazione della moneta, a condizione che siano perseguite delle politiche tali da assicurare che non venga tutto sprecato in un'inflazione galoppante. E se la politica può prevalere sulla legge per la Grecia, allora lo stesso dovrebbe valere per tutti e cinque i paesi, permettendo loro di rimanere nell'UE e mantenere l'accesso al mercato unico.

Una tale mossa sarebbe ovviamente uno shock tremendo, e per proteggere Italia e Francia insieme sarebbe essenziale fare ampie concessioni che spostino la restante area dell'euro verso la mutualizzazione del debito e la creazione di un'unione bancaria. Ma questo rappresenterebbe una battuta d'arresto per la Germania minore della prima, perché in linea di massima in un'unione monetaria più vitale ci dovrebbe essere meno bisogno di ripartire gli oneri. Infatti, il beneficio potenziale più importante di questo più ampio break-up è che potrebbe portare la crisi dell'euro a una soluzione decisiva, ripristinando la fiducia in un'area valutaria più piccola, ma più robusta.

Inoltre, impedendo che i salvataggi diventino un flusso permanente di trasferimenti, si porrebbe un freno a dei costi potenzialmente molto più elevati,. Questo è quello che è successo in Germania dopo la riunificazione e sta ancora accadendo. Una recente ricerca da parte del FMI mostra che il flusso di denaro verso gli stati tedeschi più poveri ha creato una forma di dipendenza dai sussidi. La grande paura dell'opinione pubblica tedesca è che accada lo stesso, in una dimensione più grande, in tutta l'area dell'euro. Ad esempio, un'unione di trasferimento nell'attuale zona della moneta unica su modello canadese renderebbe più omogenee le entrate dei governi. Trasferimenti di denaro tali che i governi più poveri (tra cui Grecia e Spagna) abbiano un livello di entrate simile a quello di un paese di medio livello, potrebbero comportare dei trasferimenti annuali per € 250 miliardi, di cui € 80 miliardi dovrebbero venire dalla Germania, circa il 3% del suo PIL.

Nel breve termine, tuttavia, il costo di cinque paesi uscita sarebbe chiaramente molto più pesante di quello di un Grexit. Anche se gli altri quattro stati in partenza si trovano in una condizione meno disperata della Grecia, anche loro avrebbero bisogno di qualche aiuto per spianarsi la strada, diciamo altri € 100 miliardi, di cui la quota della Germania sarebbe di € 33 miliardi. L'ulteriore esposizione dei prestiti ufficiali sarebbe sopportabile, perché gli altri quattro salvataggi sono stati di entità molto inferiore a quello della Grecia. Nel complesso i governi dell'area dell'euro hanno assunto impegni che si avvicinano a € 200 miliardi, lo stesso che per la Grecia, ma gli esborsi effettivi sono stati meno della metà. L'esposizione più grande risiede nel sistema euro. La BCE è stimata in possesso di altri € 80 miliardi di bonds irlandesi, portoghesi e spagnoli, acquistati nel corso degli ultimi due anni per calmare i mercati. Inoltre, ha crediti nei confronti degli altri quattro paesi attraverso il sistema Target2 di circa € 600 miliardi.

Questo porterebbe il costo di un'uscita di tutti e cinque i paesi a 1.150 miliardi di €, di cui la quota della Germania sarebbe di 385 miliardi, ovvero il 15% del suo PIL. La spesa aggiuntiva dei salvataggi bancari porterebbe il costo a € 496 miliardi, al 19% del PIL, portando il debito del governo tedesco dall'81% del PIL nel 2011 al 100% e mettendo a repentaglio il rating a tripla A della Germania. Le imprese Tedesche non finanziarie e gli individui subirebbero inoltre un duro colpo sui loro crediti verso le cinque economie di oltre € 200 miliardi.

Il più grande rischio associato a questo scenario è che il movimento verso la mutualizzazione del debito e l'unione bancaria potrebbe ancora, dopo tutto, non essere sufficiente a stabilizzare la restante zona euro, portando a una totale rottura e innescando una recessione selvaggia, con conseguenze economiche enormi. I mercati si chiedono sempre "chi è il prossimo?" E la risposta è ovvia. Sulla base delle sue passività nette sull'estero, l'Italia potrebbe non dover lasciare l'euro, e il suo saldo primario (cioè, il saldo del bilancio pubblico al netto del pagamento degli interessi) è sotto controllo. Ma il peso del suo debito pubblico è al 120% del PIL, il secondo più alto (dopo la Grecia) nell'area dell'euro. Ed il paese è ancora impantanato nella recessione. Come la Grecia, l'Italia ha fatto fatica a vivere entro la moneta unica. La crescita è stata lenta negli ultimi dieci anni e i costi unitari del lavoro sono aumentati notevolmente. Il compito di ripristinare la competitività italiana sarebbe molto più difficile una volta che le cinque economie in uscita adottassero nuove valute, molto più economiche.

Più i mercati si innervosirebbero sull'Italia, più si preoccuperebbero anche per la Francia, dati i suoi forti legami commerciali e finanziari con l'Italia. Considerato tutto questo, sarebbe molto difficile per la Germania ottenere il sostegno del Consiglio europeo per il piano più drastico. Gli ostacoli politici per coordinare una soluzione che mantenga intatta la zona euro possono sembrare insuperabili, ma raggiungere un accordo per un progetto di espulsione di cinque paesi potrebbe essere ancora più preoccupante.

CONCLUSIONI

Tra le due opzioni, il nostro giudizio è che il break-up più ampio ha un maggior senso economico rispetto a un'uscita della sola Grecia. Ma dobbiamo sottolineare che i rischi economici e finanziari connessi sono molto più grandi, e la sua attuazione comporterebbe un coordinamento di un ordine di difficoltà maggiore di un'uscita della sola Grecia. Alla fine, uno svantaggio associato con entrambe le opzioni, anche se dovessero funzionare, è che molti dei benefici si avrebbero nel futuro (non dover effettuare trasferimenti ai paesi europei periferici), mentre i costi sarebbero percepiti qui e ora - e la colpa ricadrebbe su di Lei e sul Suo governo.

Una nota allegata al presente memorandum da un membro del suo staff indica che dopo averlo letto, la signora Merkel ha riflettuto a lungo su come rispondere. Lei ha una formazione scientifica, una vocazione politica e, più importante di tutto, è una persona prudente per temperamento. Dopo molte discussioni, la Merkel ha concluso che, nonostante i vantaggi del piano B rispetto alla sua strategia attuale, lei non è disposta a tollerare i rischi associati al piano - almeno per il momento. Ha ordinato di stracciare il memo, decidendo che, se l'area dell'euro dovrà rompersi, questo non avverrà per un suo ordine. Ma il membro dello staff incaricato di distruggere la nota ha pensato che potrebbe essere utile mantenere il piano B come riserva, per ogni evenienza. Salvandolo dalla distruzione, l'ha invece archiviato. Nessuno dovrà mai sapere che il governo tedesco è stato disposto a pensare l'impensabile. A meno che, naturalmente, il memorandum non trapeli ...

8 commenti:

  1. Cito :
    "La Germania, insieme agli altri paesi creditori europei, si troverà ad affrontare delle pesanti perdite (vedi tabella 1) derivanti dalla nostra esposizione verso la Grecia. In primo luogo, vi è il denaro già versato: quasi € 130 miliardi."

    Se non ci fossero già solidi motivi per considerare assurda (salvo per una ben remunerata minoranza) tutta la vicenda euro, questo dovrebbe essere convincente.
    Tenendo conto che nel 2010 il PIL greco era poco meno di € 250 miliardi.
    (Parafrasando Bagnai : I salvataggi che non devono salvare alcunchè)


    RispondiElimina
  2. Insomma, da una rottura dell'eurozona il paese che ha più da preoccuparsi sembra essere proprio la Germania.
    E guarda caso, a noi non ci pensano neanche ad estrometterci. Sarà che gli fa comodo non rivalutare troppo l'euro, e che devono bloccare la nostra concorrenza?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sarà invece che un ipotetico asse economico-militare Berlino-Roma-Mosca sarebbe un concorrente imbattittibile da chiunque, Cina compresa?

      Elimina
    2. E' sempre stato così da che mondo è mondo,chi deve essere più preoccupato,tra debitori e creditori sono e saranno sempre i creditori

      Elimina
  3. Secondo me e' in atto una guerra tra dollaro ed euro per il commercio momdiale, la crisi dell'euro va vista in un contesto geopolitico.

    La crisi economica e' partita dagli USA, gli speculatori hanno trovato terreno fertile contro le economie deboli dell'euro perche lo statuto della BCE vieta di proteggere la moneta come la FED.
    La rigidita' tedesca, mancanza di strategie e mancanza di leadership hanno contribuito al deterioramento delle economie PIIGS in maniera considerevole. La Germania era in crescita economica, e nella loro miopia pensando di essere immuni, hanno lasciato carta bianca ai mercati.

    Adesso che la situazione e' peggiorata, sarebbe ingenuo pensare che i mercati lascino la preda, sarebbe pure ingenuo che gli USA accettino di buon grado l'euro come divisa concorrenziale al dollaro, l'Inghilterra pur essendo nell'EU non fa mistero di preferire un rapporto piu' con gli USA che con l'Europa, poi la BoE come azionista della BCE potrebbe creare problemi.

    In un futuro non molto lontano si potrebbe arrivare alla resa dei conti, Germania inclusa. Enemy at the Gates?!

    RispondiElimina
  4. Il luogocomune dell'euro moneta mondiale di riferimento (o va scritto tutt'attaccato anche questo) non è così frequentato ultimamente. Ma l'ho scoperto piuttosto interessante qualche sera addietro.

    RispondiElimina
  5. Ma se proprio debbono fare una guerra gli Stati Uniti la fanno con il remimbi(che vorrebbero rivalutato),mica con l'€.....

    RispondiElimina
  6. Mi pare che gli USA finora abbiano spinto perché la BCE faccia quantitative easing come loro, non dimentichiamoci che un'esplosione dell'euro mette in crisi il sistema bancario e finanziario globalizzato, quindi anche USA, e che la crisi dell'euro non è una macchinazione ammericana, ma un'altra tappa del "questa volta è diverso" dell'instabilità finanziaria che ha caratterizzato gli ultimi decenni ...

    RispondiElimina