26/07/13

Sbagliato vedere la Germania come il paese che ha vinto

Il prof. Hans-Werner Sinn sul Financial Times riassume ciò che noi conosciamo come "ciclo di Frenkel" (o romanzo di Centro e di Periferia) ma sostiene non si possa dire che la Germania come paese ne sia uscito vincitore (sebbene noi sappiamo che alcuni paesi ne sono usciti sconfitti, e di certo qualcuno ci guadagna). E propone di riformare l'eurozona in un  sistema più simile al vecchio Bretton Woods.




Traduzione di Henry Tougha

Hans-Werner Sinn riassume sul Financial Times il meccanismo che ha portato all'attuale crisi (i lettori di Goofynomics ci vedranno l'arcinoto "ciclo di Frenkel"):

"I paesi ora in crisi sono quelli che ricevevano i capitali mobilizzati dall'unione monetaria. L'euro ha eliminato il rischio di cambio, così chi investiva nei paesi del sud accettava rendimenti più bassi. I flussi di capitali hanno prodotto dei boom che hanno dato origine a delle bolle, provocando massicci deficit delle partite correnti. Le bolle sono scoppiate quando gli investitori hanno smesso di finanziare questi deficit, abbandonando le economie non competitive."

L'autore chiarisce anche che adesso:
"il problema non può essere risolto in modo soddisfacente attraverso la deflazione, poiché ciò porterebbe in bancarotta moltissime famiglie e imprese sovra-indebitate".


Hans-Werner Sinn fa poi dei distinguo e sostiene che, sebbene la situazione sia asimmetrica, non si può parlare di paesi che "si avvantaggiano" contro paesi che "subiscono" i deficit commerciali:

"Niall Ferguson ha scritto recentemente sul Financial Times che l'euro ha aiutato la Germania perché ha creato dei surplus delle partite correnti a spese dei paesi del sud. Questo punto di vista è sbagliato. Gli squilibri delle partite correnti sono flussi di capitali. Quando c'è un flusso di capitali dal paese A al paese B, A ha un rallentamento dell'economia, mentre B ha un boom. I paesi in crescita importano di più, mentre l'aumento dei salari deprime il loro export. Accade l'opposto nei  paesi loro partner. Per questa sola ragione  è assurdo affermare  che un paese 'si avvantaggia' del surplus delle partite correnti o 'soffre' di un deficit.


Non c'è dubbio che la strategia mercantilista della Germania è una strategia dalle gambe corte, e che la Germania, come paese nel suo complesso, ha riportato una vittoria di Pirro. Il motivo è quello che avevamo già letto dallo Spiegel: per conquistare la sua posizione di predominio la Germania ha dovuto comprimere domanda interna e investimenti, in questo modo abbattendo la propria crescita attuale e futura. Hans-Werner Sinn lo spiega così:


"La Germania, sotto l'euro, è stata il più grande esportatore di capitali ed è caduta in una fase di profondo ristagno. Solo un terzo dei suoi risparmi sono stati investiti in patria. Come risultato, durante i primi anni dell'euro, i suoi investimenti netti e la sua crescita sono stati ai minimi in Europa. La disoccupazione che cresceva ha spinto il governo Schröder a mettere in atto nel 2003 delle dolorose riforme sociali (diciamo meglio: la Germania, mentre predicava il rigore fiscale agli altri, metteva in atto delle riforme competitive del lavoro per abbassarne il costo, facendosi carico delle vittime con l'erogazione di sussidi pubblici, ndt). Quando l'euro é stato annunciato nel 1995, il PIL pro-capite della Germania era al secondo posto nell'Eurozona. Attualmente è al settimo posto. Questa non è esattamente una performance da ‘euro-vincitore’.



Le cose hanno iniziato ad andare meglio per la Germania solo dopo che la bolla nei paesi del sud Europa è scoppiata, perché allora la Germania è diventata un 'porto sicuro' dove portare i risparmi."


Nella parte conclusiva l'autore prende le distanze da Niall Ferguson e dalla proposta di introdurre forme di redistribuzione tra i paesi dell'euro, quali ad esempio garanzie sui depositi, un bilancio comune per l'Eurozona o i famigerati "eurobond". Perché? Perché questi espedienti non farebbero altro che prolungare l'agonia: 

"Ciò perpetuerebbe le differenze di competitività che sono nate a causa della bolla del credito verso i paesi del sud Europa,  manterrebbe dei livelli salariali che non riflettono la produttività e trasformerebbe una crisi temporanea in una malattia cronica. Anzi,  così l'euro si rivaluterebbe, peggiorando ulteriormente la competitività dei paesi colpiti dalla crisi."


Quale soluzione dunque per Hans-Werner Sinn? La prima risposta è sconfortante:

"Tirare avanti è l'unica soluzione. La Germania deve accettare più inflazione mentre i paesi del Sud riducono la propria per continuare il necessario riallineamento dei prezzi relativi." Sinn peraltro afferma esplicitamente che questo "richiede dure misure di austerità".


Ma Sinn riconosce anche che i paesi che non ce la fanno dovrebbero uscire dall'euro:

"Ai paesi che non possono farcela dovrebbe essere consentito di uscire dall'euro, ed essere riammessi dopo una svalutazione e l'implementazione delle necessarie riforme. L'eurozona non è uno stato federale; l'euro non può funzionare come il dollaro. Dovrebbe assomigliare di più a un sistema tipo il vecchio Bretton Woods, sistema in cui i paesi potevano uscire e rientrare dopo aver riallineato il cambio. La Grecia riceverebbe dei benefici da un'uscita ordinata seguita da una svalutazione. L'uscita dovrebbe essere accompagnata da degli haircut che riconvertano il debito in valuta nazionale, e la possibilità di un rientro successivo incentiverebbe il paese a fare le riforme."  E purtroppo forse qui Werner Sinn pensa all'Italia, quando minaccia che: "potrà essere necessaria anche  una moratoria del debito per i paesi sovraindebitati che rimangono nell'euro." 

La storia degli Stati Uniti, conclude, insegna i pericoli di una mutualizzazione del debito, ad esempio tramite eurobond:

"Dopo che gli Stati Uniti mutualizzarono i debiti nel 1791 e di nuovo dopo la seconda guerra contro la Gran Bretagna nel 1813, gli Stati si abbuffarono di prestiti. Ne venne fuori una bolla del credito che scoppiò nel 1837 e spinse più di metà degli Stati nell'insolvenza. Come ha mostrato Harold James di Princeton, l'unico risultato della mutualizzazione del debito è stato un conflitto (la guerra di secessione del 1861, ndt)"






L'autore dell'articolo è professore di economia all'Università di Monaco di Baviera ed è presidente dell'Ifo Institute.

4 commenti:

  1. OK, gli eurobond non solo la soluzione (e si sapeva)
    Quali benefici avrebbe una moneta unica a questo punto ?
    Il commercio tra i vari Stati non si è sviluppato come dovrebbe e la situazione dello stesso sistema bancario non è il massimo
    L' eurozona è in crisi perenne,e allora perchè tenersi una moneta unica ?
    Le domande sono ovviamente retoriche, in quanto sappiamo a chi vanno i supposti benefici

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  2. Bene direi che forse tra un pó sarà chiaro anche da noi che l'unica soluzione è uscire dall'euro....anche se pare chiaro che la Germania non voglia... Chissà perché... ¿? ;)

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  3. Quando ci saremo ricomprati tutto il debito ci lasceranno fare un haircut, ma sganciarci no, eh, caro Werner...la vedremo...

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  4. mi sembra evidente che ad averci guadagnato e tanto sono soltanto gli azionisti ed i manager dei grandi gruppi industriali e finanziari, compresi i sindacalisti che hanno trovato posto nei consigli di sorveglianza, mirabile strumento di governo aziendale che rende perfettamente legale la corruzione sistematica dei rappresentanti dei lavoratori.

    per gran parte dei lavoratori tedeschi, invece, sono stati anni di austerità e il peggio arriverà quando, finiti di spremere i poveri Pigs, dovranno farsi carico, con le tasse e la riduzione dei servizi sociali, degli squilibri nascosti nel sistema di compensazione Target e nei bilanci delle loro banche.

    comunque, andrà ancora meglio a loro che a noi, che abbiamo pressoché tutti i nostri rappresentanti politici totalmente stupidi o venduti

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