25/07/20

Italia, la vera risparmiatrice d'Europa




In un articolo apparso sulla piattaforma di divulgazione scientifica svizzera De Facto, ripreso da Le Grand Continent, il professor Alexandre Afonso commenta i pregiudizi che hanno condizionato il dibattito di questi mesi sulla creazione degli Eurobond per combattere la crisi epocale legata alla pandemia da coronavirus. I dati smentiscono la tesi secondo cui i paesi così detti frugali del Nord avrebbero gestito le casse statali in modo più oculato rispetto ai paesi dell’Europa del Sud.

Di Alexander Afonso, 16 Luglio 2020
Traduzione di Oscar Amalfitano


I negoziati per una soluzione europea alla crisi economica legata al coronavirus hanno nuovamente diviso i paesi della Eurozona (l’articolo qui tradotto è precedente all’accordo sul Recovery Fund, ndr).
Da un lato, i paesi del Nord guidati dall'Olanda sono a favore di un sostegno finanziario solo sotto forma di prestiti una tantum. D'altra parte, i paesi del Sud particolarmente colpiti dall'epidemia, come l'Italia o la Spagna, aspirano a riforme fondamentali, in particolare una mutualizzazione del debito pubblico, che includerebbe l'emissione di obbligazioni europee, i così detti Eurobond.


La Germania o i Paesi Bassi possono attualmente contrarre prestiti a tassi di interesse negativi - il che significa che gli investitori sono disposti a pagare per il privilegio di prestare loro denaro - mentre l'Italia o la Grecia devono pagare rispettivamente l'1,6 e l'1,7% di interessi.
Gli Eurobond consentirebbero, da un lato, ai paesi meridionali di beneficiare di tassi di interesse più bassi, mentre dall'altro aumenterebbero il costo degli interessi per i paesi nordici.

Negoziati Amari tra gli Stati Membri

Nonostante l'imminente minaccia di un collasso economico senza precedenti, che richiederebbe una rapida reazione, i negoziati sono stati contrassegnati da aspri conflitti tra gli Stati membri dell’Eurozona. In una videoconferenza dei Ministri delle finanze europei pare che l'olandese Wopke Hoekstra abbia chiesto un'indagine sul perché alcuni Stati del Sud non abbiano accumulato riserve finanziarie negli ultimi anni, mentre altri nel Nord ci sono riusciti. Il primo ministro portoghese Antonio Costa ha descritto questa richiesta, nel contesto dell’attuale emergenza sanitaria, come "ripugnante", mettendo allo stessi tempo in dubbio la serietà dell'impegno politico europeo dei Paesi Bassi.

L'argomento principale dei paesi del Nord è che nazioni come i Paesi Bassi abbiano gestito le casse statali in modo oculato, mentre l’Europa del Sud viveva al di sopra delle proprie possibilità. In questo contesto, una mutualizzazione del debito consentirebbe ai paesi meridionali di approfittare della sobrietà dei nordici, senza aver realmente intrapreso sforzi sufficienti per il risanamento dei loro bilanci.

L'Italia, con un debito pubblico pari al 134% del prodotto interno lordo e un deficit di bilancio permanente, sarebbe l'obiettivo principale della critica olandese. Questo genere di affermazioni seguono le orme di quelle dell'ex ministro delle finanze olandese Jeroen Dijsselbloem, che nel 2017 accusava gli Stati dell’Europa del Sud di spendere troppo in "donne e alcool".

A un esame più attento l’Italia è stata più parsimoniosa dei paesi del Nord

Osservando più da vicino i dati, il problema di questa interpretazione delle politiche di bilancio italiane e olandesi degli ultimi 30 anni è che non è confermata dai numeri. Al contrario, se mettiamo da parte gli enormi interessi che l'Italia deve pagare sui suoi debiti ogni anno e ne osserviamo il saldo primario, ovvero sotanto la differenza tra entrate e spese (per la salute, l'istruzione, le infrastrutture, ecc.) al netto degli interessi sul debito, dagli inizi degli anni ’90 l'Italia sembra aver gestito le proprie finanze con perfino maggiore parsimonia rispetto ai Paesi Bassi (Figura 1).

Figura 1: Saldo Primario ciclico (1990-2019)


Fonte: Fiscal Monitor 2020 del FMI

Con l'eccezione della crisi finanziaria del 2008, l'Italia ha generato costantemente avanzi primari negli ultimi trent’anni; al contrario i Paesi Bassi hanno registrato regolarmente disavanzi, ma sono stati comunque in grado di contrarre prestiti a tassi di interesse molto bassi. Effettivamente l'Italia soffre tuttora il peso di una montagna di debiti quarantennale. Il debito è stato accumulato sotto l'egida della Democrazia Cristiana, partito storico italiano disintegratosi nel corso della campagna anticorruzione “mani pulite” dei primi anni '90. Da allora, la politica di bilancio italiana è stata eccessivamente frugale, incapace di contrastare la crescita anemica e la disgregazione delle infrastrutture.

Le origini del debito italiano

L'Italia è uno dei paesi industrializzati con il debito pubblico più elevato, superato solo da Grecia e Giappone. Il debito pubblico italiano nel 2015 è pari a una volta e mezza il suo prodotto interno lordo.

Il debito italiano è letteralmente esploso negli anni '80, passando dal 60% del PIL nel 1980 al 120% nei primi anni '90. Questa esplosione di debito è stata il risultato di varie decisioni politiche che, nel loro insieme, hanno avuto effetti catastrofici che arrivano fino ad oggi.

Nel 1981 la banca centrale italiana è stata separata dal Ministero delle finanze, una misura che ha posto fine all’accordo implicito in base al quale la Banca d'Italia garantiva l'acquisto dei buoni del Tesoro italiani. La banca centrale agiva quindi come acquirente di ultima istanza, consentendo al governo italiano di indebitarsi a tassi di interesse moderati monetizzando il debito pubblico, con  deficit primari vertiginosi e una considerevole inflazione. 

Cambio di strategia nella politica monetaria

Alla fine degli anni '70 la politica monetaria in Europa e negli Stati Uniti è cambiata radicalmente: l'obiettivo non era più principalmente la piena occupazione, ma la lotta contro l'inflazione.

Con la creazione del sistema monetario europeo fu introdotto anche un sistema di tassi di cambio fissi. Per difendere il valore della lira nei confronti del marco tedesco l'Italia fu quindi costretta sempre più spesso ad alzare i tassi di interesse per compemnsare l'elevata inflazione. Successivamente l'inflazione diminuì, ma poiché la banca centrale italiana non garantiva più l'acquisto di buoni del Tesoro, anche i tassi di interesse sui titoli di stato aumentarono e il debito pubblico si raddoppiò.

Tra i primi anni '90 e la crisi dell'euro il debito rimase stabile grazie a notevoli sforzi di bilancio e ai costanti avanzi primari. Tuttavia, l'onere degli interessi rimase troppo elevato e la crescita troppo bassa per ridurre l'alto livello del debito. Negli anni '90 lo stato italiano doveva ancora pagare annualmente il  9,5% del PIL in interessi.

L’Italia ha sulle spalle elevati interessi da debito

In sostanza, dal 2000 questa dinamica non si è alterata, sebbene i costi degli interessi in Italia siano da allora scesi a una media del 4,4% del PIL, ma siano ancora significativamente più alti che in Germania (1,84%) o nei Paesi Bassi (1,33%).

Da allora anche l'economia italiana ha subito una spirale discendente: i tagli alla spesa per la riduzione del debito stanno schiacciando l'economia, riducendo ulteriormente le entrate fiscali, che non sono sufficienti a coprire gli interessi sul debito e le spese correnti.

Inoltre, a causa dell'invecchiamento della popolazione vi sono anche costi pensionistici e sanitari in aumento, che a loro volta comportano deficit più elevati e maggiori debiti. Nonostante un saldo primario quasi sempre positivo dal 1992 il debito pubblico è addirittura aumentato e l'Italia deve tuttora indebitarsi a tassi di interesse più elevati rispetto alla maggior parte dei paesi europei.

La crescita anemica e il servizio del debito hanno portato inoltre a massicci tagli agli investimenti pubblici, che avrebbero potuto stimolare la crescita. Dagli anni '90 gli investimenti pubblici in Italia (ad esempio in materia di istruzione e infrastrutture) sono cresciuto meno che nella maggior parte dei paesi dell'UE e non sono nemmeno sufficienti a impedire il degrado delle infrastrutture. Il crollo di un ponte a Genova, che ha ucciso 43 persone nel 2018, può quindi essere visto come un simbolo della condizione desolata delle infrastrutture della penisola.

Negli ultimi decenni i Paesi Bassi hanno registrato una posizione di bilancio più favorevole rispetto a quella dell’Italia, il paese ha persino incrementato recentemente il suo surplus. Tuttavia, se consideriamo gli interessi sul debito pubblico, ma soltanto il saldo primario, i Paesi Bassi sono stati molto meno disciplinati dell'Italia negli ultimi decenni. Il fatto che i Paesi Bassi, nonostante i disavanzi primari ricorrenti, presentino una situazione di bilancio complessivamente migliore è dovuto alla capacità di contrarre prestiti a condizioni significativamente migliori. La differenza sta quindi nei tassi di interesse molto più bassi rispetto a quelli che deve remunerare l'Italia.

A prima vista, si potrebbe pensare che la situazione olandese e quella italiana non abbiano molto a che fare l'una con l'altra: l'Italia è considerata meno affidabile sul mercato, pertanto deve offrire agli investitori tassi di interesse più elevati per convincerli ad acquistare le sue obbligazioni. Questo è probabilmente solo una parte della spiegazione.

L'economista Paul de Grauwe ha anche dimostrato che i tassi di interesse dei paesi dell'euro dipendono l'uno dall'altro, poiché le loro obbligazioni sono emesse tutte nella stessa valuta. In una situazione di crisi, gli investitori possono scegliere di ritirarsi da un paese che potrebbe non essere in grado di pagare i propri debiti (come l'Italia) e investire invece in paesi sicuri (come i Paesi Bassi o la Germania), abbassando i tassi di interesse.

Questo è esattamente ciò che è accaduto nella crisi dell'euro prima che Mario Draghi chiarisse con l'affermazione "Whatever it takes" che la BCE era pronta a fare qualsiasi cosa per salvare l'euro. La stessa cosa è accaduta quando il coronavirus ha colpito l'Italia e gli investitori hanno venduto debito italiano per acquistare debito tedesco o francese. Questo è uno degli argomenti principali a favore della mutualizzazione del debito europeo: la sventura dei meridionali sta attualmente avvantaggiando i paesi del nord.


3 commenti:

  1. Sono argomentazioni che conoscono bene tutti oramai, anche i non addetti ai lavori. La spoliazione ai danni dei poveri fessi del Sud non è finita! Stiamo spettatori inermi della storia che sarà scritta nei libri nei prossimi 50 anni. L’Europa sta creando il nucleo massiccio, si sta unendo a spese degli Stati periferici. Si sta ripetendo pari pari quanto accaduto con l’unificazione dell’Italia: unificazione per interessi economici, depauperamento dei territori “conquistati” e trasformazione in bacino elettorale previo assistenzialismo e finta industrializzazione degli Stati del Sud. La storia si ripete ma l’uomo ha la mente corta, non impara dai propri errori. Tra qualche decennio leggeremo nei libri di storia come grandi statisti Teutonici e Francofoni abbiano costruito la Casa Comune Europea, etc. etc.

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  2. La spiegazione dell'aumento del debito pubblico negli anni 80 è la solita spiegazione riduttiva che vuole lasciare a intendere che è tutta colpa del divorzio del 81 tra Bankit e Tesoro. Sarebbe importante scrivere quanto mostruosi fossero i deficit che il governo generava per finanziare la spesa corrente (e non gli investimenti), quanto fosse divenuto prioritario ai tempi contrastare l'inflazione (che erodeva il reddito e permetteva allo Stato di pagare tassi reali bassissimi a spese dei risparmiatori, e che era alimentata anche dalla spesa in deficit monetizzata dalla Banca d'Italia). Sarebbe opportuno anche ricordare che la consuetine della banca d'Italia di sottoscrivere i titoli statali risaliva a un lustro prima, non era prassi consolidata da decenni. Ed infine sarebbe opportuno ricordare che in tutto il mondo occidentale negli anni 80 i tassi di interesse salivano, ma chissà perchè si vuol sempre attribuire tutta la colpa al fatto che la banca centrale non monetizzava il debito pubblico. Questo modo di fare non è analisi economica, è fermarsi alla superficie e non voler andare oltre.

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    1. Per precisare, le spese correnti in Italia in quegli anni erano sotto la media europea. Vero è che la pressione fiscale era abbastanza bassa, per cui la spesa era regolarmente finanziata in deficit, ma questi deficit hanno cominciato ad aumentare tanto solo dopo il divorzio, a causa dell'alta spesa per interessi, che venivano decisi ormai dal mercato e non dal Ministro dell'economia, e spesso superavano l'inflazione. L'inflazione in quegli anni era alta ovunque, a causa delle ripetute crisi petrolifere e anche a causa della alta occupazione, che come si sa fa aumentare i salari e quindi i prezzi. Ma difendersi dall'inflazione in un contesto di crescita del reddito non è un problema per i lavoratori...molto peggio la deflazione conseguente alle politiche restrittive sulla spesa pubblica.

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