17/05/20

VoxEU – Finanziamenti per la crisi pandemica: monetizzate ora!




Un nuovo articolo su VoxEU esorta a una monetizzazione esplicita e schietta (più di quanto già fatto finora) del deficit del bilancio publico in risposta all’emergenza pandemica. Da organo stampa della UE, VoxEU lo fa alla sua maniera: proponendolo in stile “helicopter money” piuttosto che incoraggiando piani di opere pubbliche, e rigorosamente limitato alla emergenza. Ciononostante, questo articolo rivela per l’ennesima volta quali siano le posizioni sempre più insistenti dentro il mainstream internazionale. L’Italia, speriamo noi, dovrebbe e potrebbe resistere alla trappola del MES perché la monetizzazione del deficit non è più un tabù, anzi è propugnata da parti crescenti e autorevoli dello stesso establishment.


di Refet Gürkaynak e Deborah Lucas, 14 maggio 2020

L’attuale scenario di politica macroeconomica nelle economie avanzate è dominato da tre sfide interconnesse: finanziare rapidamente le necessità di spesa senza precedenti per rispondere alla crisi da COVID-19, e contemporaneamente cercare di tenere il debito pubblico entro livelli sostenibili ed evitare la deflazione. Questo articolo sostiene che la monetizzazione di una parte del debito legato alla pandemia sarebbe il modo migliore per risolvere tutti e tre questi problemi contemporaneamente, nonostante qualche rischio di oltrepassare in futuro il livello target di inflazione. L’articolo propone un meccanismo particolare per la monetizzazione del debito, coi proventi impiegati a finanziare per tramite del sistema bancario una parziale compensazione dei salari e redditi perduti. Il meccanismo proposto monetizzerebbe efficacemente i costi del programma, al contrario degli attuali programmi di acquisto del debito da parte delle banche centrali, che per la maggior parte non hanno ancora comportato un’effettiva monetizzazione.



I poderosi sforzi per sostenere i sistemi sanitari, venire incontro alle necessità di sussistenza dei cittadini e preservare il tessuto produttivo di fronte alla pandemia da COVID-19 hanno causato un’impennata della spesa pubblica in molti paesi. Sebbene vi sia un accordo insolitamente ampio sul fatto che siano necessarie politiche fiscali aggressive (Baldwin e Weder di Mauro 2020), ci sono anche crescenti preoccupazioni sulle conseguenze di un precipitoso aumento dei livelli già alti dei debiti pubblici, che potrebbero rallentare l’adozione di ulteriori interventi, utili ma costosi. Nel frattempo, la pandemia ha esacerbato un motivo di preoccupazione macroeconomica già esistente, ovvero il rischio di un’inflazione persistentemente al di sotto del livello target, se non addirittura della deflazione, a seguito di un livello di domanda drasticamente ridotto.
I responsabili della politica economica perciò si trovano di fronte a una triplice sfida: 1) fornire rapidamente un grande ammontare di spese assistenziali finanziate in deficit, in conseguenza della pandemia, mentre 2) si cerca di evitare un aumento insostenibile dei livelli di debito pubblico e 3) si tengono a bada le pressioni deflazionistiche.

Per i paesi a più basso reddito le prime due sfide comportano una straordinaria necessità di sospensione del servizio del debito (Bolton et al. 2020). Per le economie avanzate, crediamo che la monetizzazione di una parte del debito, quello finalizzato a finanziare i sussidi per i lavoratori disoccupati o licenziati, potrebbe risolvere contemporaneamente tutti e tre i problemi, e in definitiva si rivelerebbe la scelta preferibile e meno costosa tra tutte le alternative possibili.

La meccanica della monetizzazione

La tipologia di programma che abbiamo in mente metterebbe rapidamente del denaro nelle tasche delle famiglie che stanno subendo una riduzione dei redditi, e al tempo stesso eviterebbe l’aumento del debito pubblico. In versione statunitense, il Congresso dovrebbe approvare una legislazione che autorizzi il Tesoro a creare dei titoli di debito speciale da vendere alla banche, il cui valore dovrebbe essere poi accreditato sui conti correnti dei beneficiari, secondo regole determinate da programma. Per dirigere il denaro laddove è più necessario, i supplementi da corrispondere sui depositi  potrebbero essere stabiliti in percentuale della riduzione del reddito di ciascun individuo al momento attuale rispetto ai tre mesi precedenti la pandemia, e potrebbero comunque essere soggetti a un limite massimo o ad altri limiti che ne garantiscano la progressività. 

I titoli speciali di debito dovrebbero essere a scadenza perpetua e a tasso di interesse nullo, in modo da non obbligare il Tesoro ad alcun esborso futuro. La legislazione richiederebbe alla Fed di acquistare questi titoli dalle altre banche a valore nominale. I titoli rimarrebbero a quel punto indefinitamente sui bilanci della Fed. Questo costituisce una monetizzazione di questa speciale emissioni di titoli.

La logica sottostante


Questo particolare meccanismo equivale a un’operazione di “helicopter money”, come già raccomandato da Gali (2020). Il meccanismo legislativo e contabile della nostra proposta ha diversi scopi importanti. Il primo è quello di rimettere la decisione di monetizzare una parte della spesa di emergenza nelle mani di politici eletti, anziché nelle mani dell’autorità monetaria. Questo eviterebbe, nella misura in cui è possibile, la percezione che la banca centrale stia oltrepassando la propria autorità intraprendendo azioni fiscali, proteggendone così la futura indipendenza. Il secondo scopo è quello di sottolineare che questo intervento viene attuato in risposta a un insieme eccezionale e particolare di eventi, e che la monetizzazione non entrerà a far parte degli usuali strumenti in mano ai politici. Lo scopo più banale è però quello di assicurare che i bilanci di tutti i partecipanti a questo insieme di transazioni rimangano in effetti equilibrati, e di permettere alla Federal Reserve di monetizzare il debito senza dover riportare una posizione patrimoniale negativa, cosa che non crediamo generi alcun problema effettivo, ma potrebbe risultare controversa.

Un approccio simile potrebbe essere altrettanto utile nell’eurozona, dove le autorità fiscali stanno ancora dibattendo sulle politiche fiscali da adottare nell’intera area e meccanismi di finanziamento comuni. La creazione di titoli perpetui a livello dell’intera eurozona a interesse zero, che vengano acquistati dalla BCE, potrebbe incontrare meno resistenza rispetto alla condivisione del debito, nonostante la recente sentenza della Corte Costituzionale tedesca suggerica che potrebbero essere sollevati dubbi sulla legittimità di tali misure. Cosa importante, gli stessi tre fattori sono ben presenti anche nell’eurozona: la pandemia sta devastando l’attività economica e i mezzi di sussistenza delle persone, il debito pubblico è un problema, e l’inflazione è costantemente sotto il livello target.

La monetizzazione del debito pubblico è stato tabù per molto tempo, e per buone ragioni. Troppo spesso ha portato a episodi di inflazione pericolosamente alta che, una volta avviati, sono stati distruttivi e difficili da fermare. Ciononostante, arrivati al punto attuale tutte le economie avanzate sono costantemente al di sotto del livelli target di inflazione.

Se l’inflazione dovesse salire sopra il livello target di un piccolo margine per un po’ di tempo, come esito della politica proposta sopra, potremmo anche aspettarci che molte banche centrali ne sarebbero tacitamente (o anche esplicitamente) ben contente. E se l’inflazione e le aspettative di inflazione iniziassero a crescere troppo rapidamente, i banchieri centrali avrebbero un intero arsenale di strumenti per contrastarla. Piccoli eccessi di inflazione possono essere anche essere gestiti opportunisticamente, consentendo che la prossima recessione si trascini un po’ più a lungo. E se le politiche proposte dovessero causare un aumento dell’inflazione più serio di quello da noi previsto, un’alternativa più efficace ma più costosa sarebbe quella di creare una recessione per scelta di politica monetaria, come fu la recessione di Volcker.

La domanda è, allora, se sia meglio incorrere negli elevati costi umani ed economici della pandemia non intervenendo con forza ora, per paura di causare un debito eccessivo, o adottare azioni fiscali aggressive adesso, monetizzare parte del costo con un’inflazione che è ora al di sotto del livello target, e rischiare di dover combattere un po’ di inflazione eccessiva in futuro. A noi la risposta sembra chiara.

Comprendere la monetizzazione

Molte economie avanzate sono ricorse ai prestiti delle banche centrali in un modo o nell'altro per finanziare le spese di emergenza, portando al timore della monetizzazione (Blanchard e Pisani-Ferry, 2020). Noi sosteniamo che ciò che è stato fatto finora non è monetizzazione, ma che affrontare l’attuale emergenza con una forma strettamente controllata di monetizzazione  sarebbe preferibile.

In generale la monetizzazione si verifica quando un governo finanzia le proprie spese emettendo titoli privi di valore intrinseco che il settore pubblico è costretto ad accettare, e di fatto stampando moneta. Nella nostra proposta i titoli perpetui a tasso di interesse nullo emessi dal Tesoro e acquistati dalla Federal Reserve farebbero esattamente questo. Per contro, emettere titoli di debito pubblico nel mercato aperto genera l’obbligo di pagamenti futuri dello stesso valore dei titoli emessi, e chiaramente non equivale alla monetizzazione.

La cosa diventa più interessante nel momento in cui il debito pubblico viene acquistato dalla banca centrale. La questione critica è se, e fino a che punto, gli acquisti della banca centrale riducano direttamente il valore delle pretese di rimborso nei confronti del governo. Nel caso delle tradizionali operazioni di mercato aperto non c’è generalmente alcun dubbio sul fatto che l’obbligo di pagamento del debito da parte del governo non venga toccato. Questo si riflette nelle misure standard di “debito detenuto dal settore pubblico”, che comprende il debito pubblico detenuto nel bilancio della banca centrale.

La politica di quantitative easing (QE) adottata durante la Grande Recessione che ha fatto seguito alla crisi finanziaria del 2007-2008 ha aumentato notevolmente le quote di debito pubblico detenute dalla banca centrale. Tuttavia, come nelle operazioni di mercato aperto, questi acquisti non estinguevano di per se stessi le passività del settore pubblico. Con il QE, le banche centrali acquistavano titoli pubblici sui mercati, pagandoli con le riserve gravate da interesse. Le banche continuano volontariamente a detenere le riserve in eccesso come asset. L’effetto netto del QE sul bilancio pubblico appare dunque lungi dall’essere stato uno scambio a pari valore: debito pubblico in cambio di riserve della banca centrale gravate da interesse. L’altra faccia della medaglia è che le passività complessive del settore pubblico consolidato, cioè la somma di quelle della banca centrale e dell’autorità fiscale, sono comunque rimaste inalterate.

In effetti molte banche centrali, tra cui la Federal Reserve e la BCE, stanno acquistando grandi quantità di debito pubblico, ma finora queste azioni sono state simili al QE. A partire dall’inizio di marzo di quest’anno, la quota di titoli del Tesoro detenuti dalla Federal Reserve è aumentata di 1.500 miliardi di dollari, pagati con riserve gravate da interesse. Quegli acquisti stanno fornendo liquidità al mercato dei titoli sovrani e aiutano a mantenerne alto il valore, ma al momento attuale non stanno monetizzando il debito. La Banca d’Inghilterra sta consentendo al Ministero del Tesoro di avere degli scoperti di conto, ma non sta cancellando l’obbligo di ripagare il debito in futuro.

Sebbene ancora non sia così, nel tempo queste politiche potrebbero evolvere verso la monetizzazione. Se il Parlamento approvasse una legge che cancella il debito del Ministero del Tesoro verso la Banca d’Inghilterra, quel debito sarebbe monetizzato. In caso contrario, l’aumento del bilancio della banca centrale rientrerà quando lo scoperto verrà ripagato. Allo stesso modo, se i titoli pubblici detenuti dalle banche centrali di molte economie avanzate venissero rivenduti al pubblico, ci sarebbe una corrispondente diminuzione dei conti di riserva in sospeso e in definitiva il debito sarebbe pagato dal gettito fiscale. Tuttavia, se un governo può fare selettivamente default sul debito detenuto dalla sua banca centrale (assumendo che possa farlo legittimamente), o se la banca centrale venisse obbligata a rinnovare indefinitamente quel debito, questo equivarrebbe di fatto alla monetizzazione. Notate l’uso della parola “obbligata”. In base al mandato di garantire la stabilità dei prezzi, le banche centrali dovrebbero decidere di rivendere il debito al pubblico nel caso in cui l’inflazione superasse il livello target. Per evitare eventuali vendite sarebbe necessaria una modifica legislativa dello statuto della banca centrale, o qualche altro meccanismo per costringerla alla cooperazione con l’autorità fiscale.

Pertanto, gli attuali acquisti di debito da parte della banca centrale, simili a quelli già fatti a seguito della crisi finanziaria globale, non sono monetizzazione del debito. Questo fatto aiuta a spiegare i bassi tassi di inflazione che hanno accompagnato l’enorme espansione dei bilanci delle banche centrali. Solo con un aumento delle riserve, non accompagnato da corrispondenti aumenti del gettito fiscale che in futuro il governo sarebbe costretto a pretendere, un governo è nelle condizioni di ottenere risorse fiscali senza aumentare le proprie passività. Questa è la monetizzazione, ed è ciò che crediamo dovrebbe essere fatto limitatamente a questi tempi straordinari.

Riferimenti bibliografici

Baldwin, R e B Weder di Mauro (2020), Mitigating the COVID Economic Crisis: Act Fast and Do Whatever It Takes, a VoxEU.org eBook, CEPR Press.

Blanchard, O and J Pisani-Ferry (2020), “Monetisation: Do not panic”, VoxEU.org, 10 April.

Bolton, P, L Buchheit , P-O Gourinchas, M Gulati, C-T Hsieh, U Panizza and B Weder di Mauro (2020), “Necessity is the mother of invention: How to implement a comprehensive debt standstill for COVID-19 in low- and middle-income countries”, VoxEU.org, 21 April.

Galí, J (2020), “Helicopter money: The time is now”, VoxEU.org, 17 March.

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