In questo articolo su The Critic, si ragiona su questo nuovo "Mondo Covid" che si sta manifestando a noi, ponendo una particolare attenzione alla mancanza di spazio per un dibattito pubblico aperto e onesto sul tema della pandemia e di come affrontarla al meglio. Sembra quasi prendere vita un mondo nuovo, dove la rilevanza e proporzionalità delle misure adottate all'interno del contesto più ampio sembrano rispondere a regole nuove e diverse, proprie di un mondo a sé.
di Ian James Kidd e
Matthew Ratcliffe
Cercar di comprendere Covidworld, la nostra nuova realtà alterata in
cui le norme comunemente accettate non si applicano più
L’8 settembre, l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS)
ha lanciato l’allarme su una malattia mortale che rischia di uccidere circa 11
milioni di persone nel mondo ogni anno, tra cui 2,9 milioni di bambini, la maggior
parte dei quali potrebbero essere salvati. Date queste orribili proiezioni, è
sicuramente chiaro che è necessaria un'azione urgente: distanziamento sociale;
mascherine; lockdown; investimenti senza precedenti nello sviluppo di vaccini.
Ma non è così che si affronta il problema, perché stiamo
parlando di sepsi, malattia che colpisce 49 milioni di persone ogni anno e
lascia anche a molti sopravvissuti dei problemi di salute a lungo termine.
Mentre il suo comunicato stampa sulla sepsi ha ricevuto poca
attenzione da parte dei media, l’allarme successivo dell'OMS che il bilancio
globale delle vittime del Covid-19, anche se venisse trovato un vaccino, potrebbe raggiungere i 2 milioni di persone, ha ottenuto una posizione di rilievo sul sito web
della BBC News e anche altrove. Quindi di cosa dovremmo preoccuparci di più e dove
dovrebbero essere investiti i nostri sforzi per ridurre al minimo la
sofferenza, le malattie a lungo termine e le morti?
L'accento è stato posto fermamente sulla prevenzione dei
decessi da Covid-19, la maggior parte dei quali coinvolge persone anziane con
comorbilità significative. Dimenticatevi la sepsi. Dimenticate le numerose
altre malattie gravi e che si potrebbero prevenire.
E già che ci siamo, mettiamo da parte anche gli enormi danni
collaterali e di vasta portata causati dai lockdown e simili misure: morti
dovute ad altre malattie che sono rimaste non diagnosticate o non
trattate; diffusi problemi di salute mentale; i costi per la salute e il
benessere della disoccupazione e della povertà; massiva interruzione
dell'istruzione; innumerevoli preziosi momenti di vita persi che non potranno
mai essere recuperati; esperienze di nascita traumatiche; aumento degli abusi
domestici; e molte persone che vivono gli ultimi mesi della loro vita in isolamento
e miseria, con amici e parenti che alla fine non possono assistere adeguatamente i loro cari
a causa delle misure di allontanamento sociale. E questo senza nemmeno guardare
oltre il Regno Unito.
Forse, se i costi di rispondere al Covid-19 non facendo
nulla, o facendo meno, fossero considerati con attenzione, potrebbe anche risultare che l'enfasi è appropriata e i costi sono giustificati. Tuttavia, c'è
sicuramente spazio per il dissenso e il dibattito pubblico. Qual è il rischio
della malattia rispetto ad altri rischi che vengono abitualmente accettati?
Bloccare intere popolazioni è una risposta proporzionata o moralmente
giustificabile? Queste sono alcune delle domande importanti per un vigoroso
dibattito pubblico.
I filosofi accademici, come noi, amano mettere in
discussione i presupposti, considerare prospettive alternative e trovare lacune
nelle argomentazioni. Tuttavia, nel mettere in discussione la narrazione ortodossa
del Covid-19 (secondo la quale esiste una minaccia senza precedenti, affrontata
al meglio attraverso restrizioni sociali estreme), raramente ci troviamo di
fronte a un'attenta considerazione e a controargomentazioni. Più spesso,
riceviamo sguardi imbarazzati, espressioni di disagio o disapprovazione e un
fermo rifiuto persino di contemplare la possibilità che alcune affermazioni
siano errate o determinate azioni fuorvianti.
A volte, guardando - con distaccata curiosità – lo scrupoloso distanziamento sociale e la fiduciosa segnalazione di virtù di coloro che evidentemente sono immuni dal dubbio, si ha una sensazione di estraneità. Loro sanno cosa sta succedendo; sanno cosa è giusto; sanno cosa bisogna
fare. Quanto sarebbe facile mettere da parte i dubbi, immergersi
completamente in queste performance e - col tempo - recuperare un senso di
solidarietà e di certezza.
Detto questo, deve esserci invece spazio per un dibattito critico
onesto, di alta qualità, soprattutto in un momento come questo, che comporta
una notevole incertezza e una posta in gioco estremamente alta. Quindi,
piuttosto che allinearci, vogliamo invece proporre una diagnosi dell'atteggiamento fiducioso degli altri. Perché così tante persone sembrano riluttanti persino a soltanto considerare la possibilità che i blocchi possano essere risposte inefficaci o
inadeguate alla situazione, che l'imposizione diffusa di mascherine non mediche
sia basata su prove insufficienti e che i costi di determinate misure, in
termini di vite perse o rovinate, possano rivelarsi superiori ai guadagni?
Potremmo segnalare che qui sono all’opera un insieme di
pregiudizi, alcuni dei quali svolgono un ruolo particolarmente importante in
situazioni di incertezza e minaccia. Si pensi per esempio al pregiudizio di
disponibilità: la prospettiva di essere attaccati da uno squalo mentre si nuota
può essere considerevolmente più spaventosa di quella di essere investiti
mentre si attraversa la strada per andare alla spiaggia, sebbene quest'ultimo
evento sia più probabile.
Tuttavia, c'è anche un difetto generale che unisce i vari
pregiudizi, che vediamo ripetersi più e più volte: l'incapacità di considerare
le cose nel loro contesto più ampio. Certo, il virus è un problema serio, ma
come si confronta con altre minacce che dobbiamo affrontare? Forse abbiamo
bisogno di mettere in lockdown le nostre società per rallentare la velocità di
trasmissione, ma passi così radicali sono coerenti con il modo in cui vengono
valutati vari altri tipi di rischi? È chiaro che le mascherine non mediche
riducono la diffusione di goccioline di grandi dimensioni, ma semplici
interventi possono avere effetti complessi nel contesto degli ambienti sociali
reali. È davvero così ovvio che i vari cambiamenti comportamentali che
provocano serviranno collettivamente a ridurre la trasmissione?
È difficile rispondere a queste domande quando i decessi di
Covid vengono segnalati senza alcun riferimento alla mortalità per tutte le altre
cause, quando indossare la mascherina è presentato come ovviamente giusto e
quando le richieste di analisi costi-benefici sono accolte con silenziosa
disapprovazione o miopi accuse di insensibilità, come se si trattasse di
decidere se salvare vite umane o proteggere l'economia.
A volte, può sembrare che i propri interlocutori vivano in
un altro mondo, un luogo in cui si applicano regole e standard diversi, dove cose
diverse sembrano ovvie e dove alcuni fatti non sono affatto in discussione. Essi
operano con diverse serie di certezze, in modi che escludono la possibilità di
una discussione critica. Pensiamo che questo possa effettivamente essere ciò
che sta accadendo: c'è davvero una via per la quale molte persone sono arrivate
ad abitare un mondo diverso. Esploriamo ulteriormente l'idea.
Già nel 1889, il filosofo e psicologo William James suggerì
che, nel corso delle nostre vite, noi scivoliamo tra diversi "mondi"
o "sub-universi", inclusi i mondi di "senso", "scienza",
"soprannaturale" , "opinione individuale" e "pura
follia". Questi mondi sono collegati a vari livelli, benché l'immersione
in uno di essi possa portare a perdere di vista gli altri. Secondo James, tutti
noi collochiamo la bandiera della verità in uno o nell'altro di questi mondi,
considerandolo il nostro "mondo delle realtà ultime". Non è un qualcosa
per cui cerchiamo prove o che sia soggetto a esame critico. Piuttosto, è un
contesto che prendiamo come dato quando riflettiamo sulle cose e valutiamo le
prove.
Consideriamo come, nel corso della vita quotidiana, alcune
cose appaiono più salienti di altre: si illuminano per noi, si distinguono,
attirano la nostra attenzione. Queste cose sono anche importanti per noi in
modi diversi: forse ci eccitano, ci minacciano, ci confortano, ci attirano o ci
respingono. Se e come noi troviamo varie cose salienti o significative dipende
dai nostri progetti, impegni e valori, che si radicano nel corso di molti anni
e operano come una lente attraverso la quale vediamo e pensiamo tutto. Ma avere
un mondo davanti è molto più che avere delle lenti del genere, e riconoscerlo
ci avvicina alla comprensione di certe reazioni alla pandemia.
Per James, a livello basilare vi è una sensazione di fondo e
inarticolata di come stanno le cose. Ciò comprende un senso profondo del
carattere essenziale del mondo, se è fondamentalmente buono o cattivo, cosa può
essere messo in discussione e cosa deve essere senza dubbio accettato. È incluso
anche un senso del tipo di persone che dovremmo prendere sul serio nei nostri
sforzi personali per capire le cose. Ad esempio, scrivendo alcuni anni prima,
James descrive il suo oppositore filosofico, il razionalista, come abitante di
un mondo troppo nitido, pulito, semplificato e astratto - "troppo
abbottonato ... e ben rasato" per cogliere "il vasto Cosmo inconscio che
lentamente respira”.
Sospettiamo che molte persone siano scivolate in una sorta
di "Covidworld" e spostato la bandiera della verità in quel mondo,
attraverso un processo che assomiglia più alla conversione religiosa che
all'adozione di nuove convinzioni che rimangano aperte al controllo critico.
Come disse una volta il filosofo Ludwig Wittgenstein, alcune persone si
convertono a una “immagine del mondo” molto diversa, completa con le proprie
certezze, pratiche e modi di parlare.
Per capire come ciò sia potuto accadere, consideriamo gli
effetti rapidi e profondi che il lockdown di marzo ha avuto sui nostri mondi
praticamente significativi. Intricate reti di progetti e passatempi consolidati
sono stati improvvisamente sospesi o perduti. Il lavoro si è fermato o è
cambiato radicalmente. Nel corso dei mesi successivi, le nostre abitudini di
vita quotidiane sono state sostituite da qualcosa di nuovo e sconosciuto.
Più comunemente, i nostri sforzi per far fronte a profondi
sconvolgimenti della vita e gestire l’instabilità consistono nel rivolgerci ad
altre persone per chiedere consiglio, guida e sostegno. Quando funziona, il
nostro disorientamento su ciò che è convincente o ragionevole trova una nuova
direzione e il nostro senso di stabilità ritorna. Il lockdown ha ridotto questo
tipo di supporto, poiché ne siamo stati tutti influenzati e tagliati fuori da
molte delle nostre solite interazioni sociali. Costantemente sottoposti al
mantra, “resta a casa; proteggi il SSN; salva le vite ", la varietà e la
spontaneità della nostra vita sociale collettiva sono state sostituite dagli
applausi, dagli arcobaleni, dai briefing governativi quotidiani, dai grafici dei
nuovi casi e morti, dalla diffusa segnaletica che ci diceva di mantenere le
distanze, dalle frecce sui marciapiedi e il bombardamento dei social media. Poi
sono arrivate le mascherine, la minaccia del Long Covid, le aule scolastiche socialmente
distanziate, le minacciose previsioni di una "seconda ondata", una serie
sempre più elaborata di nuove restrizioni, un sistema a livelli e richieste di
interruttori automatici.
Insieme a tutto questo, c'è stata un'alterazione più sottile
e più pervasiva del senso che molte persone hanno di come stanno le cose nel
mondo. Non è più familiare come una volta. Tutto è avvolto dal pericolo e dalla
sfiducia. Un mondo che una volta era un teatro di possibilità è ora pervaso da
un'aria di paura. Le persone che una volta avremmo potuto incrociare per strada
con un sorriso o un cenno del capo sono ora vissute come potenziali portatrici
di malattie, da affrontare con sospetto o da evitare.
Nel contesto di questo modo alterato di trovarci nel mondo,
ha preso piede un nuovo sistema di regole, progetti, pratiche e passatempi. La
paura del virus è l'unico fulcro attorno al quale ora tutto ruota, informando
la nostra attenzione, le nostre preoccupazioni, conversazioni e attività. Per
molti, il mondo è percepito in modo completamente diverso, come l'inevitabile
inizio di un inverno che deve essere sopportato con cupa rassegnazione.
Nel tempo, Covidworld stringe la presa, eclissando tutte le
altre preoccupazioni. Ci ricorda l'esempio di Wittgenstein di una cultura
dominata dalla fede in un Giudizio Universale, una convinzione espressa
"non ragionando o facendo appello a motivi ordinari per credere", ma
attraverso il suo ruolo nel "regolare" tutti gli aspetti della vita.
Allo stesso modo, Covidworld offre un sostituto semplice e internamente
coerente per la realtà più disordinata e complicata che una volta abitavamo.
La riluttanza da parte di molte persone a impegnarsi in un
serio dibattito può essere compresa nei termini di una transizione in questo
mondo diverso, un luogo in sé completo con le proprie convinzioni e comportamenti
fondamentali. I lockdown funzionano; le mascherine riducono la trasmissione; la
seconda ondata è una minaccia inaccettabile e deve essere soppressa.
Poiché tutto questo è fuor di dubbio, le domande
sull'adeguatezza delle prove sono spesso reinterpretate in termini morali e
liquidate come atti irresponsabili di "covidiozia". Molti di coloro
che di solito avrebbero insistito nell'esaminare possibilità alternative o
sfidato la linea del partito, ora stranamente tacciono. La mancanza di
riflessione critica è ulteriormente alimentata dalla sfiducia nei confronti di
coloro che non appartengono a Covidworld.
Certo, ci sono cospiratori che non riescono a capire che gli
alberi 5G non possono diffondere virus, ma ci sono anche quelli che fanno
domande che dovrebbero davvero essere viste come sensate, ad esempio se una
serie di restrizioni sociali siano proporzionate, in considerazione dei loro costi
umani, sociali ed economici. Per coloro che sono saldamente radicati in
Covidworld, tuttavia, tali domande possono sembrare non meno inverosimili di quando
qualcuno si chiede seriamente se il mondo sia solo un sogno. La bandiera della
verità ora sventola in Covidworld; non è un luogo da mettere in discussione, ma
il luogo in cui si viene messi in discussione.
Potrebbe davvero star succedendo qualcosa del genere? Noi pensiamo
di sì. Si spiegherebbe certamente lo strano distacco degli standard applicati
al Covid-19 da quelli normalmente applicati altrove, soprattutto riguardo all'atteggiamento
nei confronti del rischio. Il mondo è sempre stato un posto difficile in cui
vivere. Il nostro senso di sicurezza e protezione potrebbe essere infranto in
qualsiasi momento da incidenti, malattie gravi, perdita di capacità, lutti,
maltrattamenti per mano di altri, disoccupazione, fallimento o umiliazione. E,
qualunque altra cosa possa accadere, alla fine la morte ci raggiungerà.
Di solito, la maggior parte di noi non presta molta
attenzione ai rischi che corriamo, invece andiamo avanti come sonnambuli finché
non veniamo colpiti. Eppure sappiamo, in una sorta di modo distaccato, che nel
Regno Unito muoiono tutte le settimane più di 10.000 persone, che molte di
queste morti si sarebbero potute prevenire, che l'influenza uccide migliaia di
persone ogni inverno e che molte vite umane sono costantemente segnate da
malattia, povertà, abbandono e crudeltà. La pandemia di Covid-19 ha messo in
luce la morte e le sofferenze causate dal virus, ma allo stesso tempo ha
eclissato altre preoccupazioni. Sì, è una cosa davvero orribile, ma le cose
sono sempre state orribili. Più fai luce e più ne troverai.
Anche ammettendo che il Covid-19 rappresenti un rischio
significativamente maggiore per molte persone rispetto, ad esempio, all'influenza,
rimane una curiosa discrepanza tra l’atteggiamento nei confronti del rischio nell’uno
e nell’altro caso. Per molti anni i decessi per influenza invernale sono stati
una parte accettata della vita, mentre il Covid-19 sta al centro della scena.
Ciò che sembra diverso ora è che le regole, gli standard, le pratiche, i valori
e gli atteggiamenti interni a Covidworld sono stati tagliati fuori, in diverso
grado, dal contesto più ampio della vita umana.
Si potrebbe rispondere che sempre avremmo dovuto preoccuparci
di più per l'influenza e che già molto tempo fa avremmo dovuto prestare
maggiore attenzione a misure igieniche facilmente attuabili. È vero e ci
sono lezioni da imparare. Allo stesso modo, ci sono buoni motivi per suggerire
che si dovrebbe fare di più per affrontare la sepsi.
Ma cosa accadrebbe se eliminassimo tutte le incongruenze
prendendo gli standard applicati al Covid-19 e applicandoli a ogni altra forma
di rischio? Il mondo sociale si presenterebbe come una minaccia che avvolge
tutto, un mondo ostile in cui la vita sarebbe intollerabile.
La vita umana è piena di rischi, ma li gestiamo formulando
giudizi informati a un senso di rilevanza e proporzionalità, radicato nel
contesto più ampio del nostro mondo sociale. Ecco perché è importante
comprendere e sfidare la diffusa decontestualizzazione che accompagna il
Covid-19. Tuttavia, la portata di questa sfida non deve essere sottovalutata.
Quando l'abisso sembra in qualche modo troppo vasto per far decollare il
dibattito critico, quando si è colpiti dalla strana sensazione di trovarsi di
fronte a una prospettiva del tutto aliena, forse è perché provengono davvero da
un altro mondo.