29/09/19
Riflessioni di A.E. Pritchard su Greta e i "talebani verdi"
Mentre la reazione di molti di fronte alla costruzione mediatica del personaggio di Greta è quella di una critica radicale al “gretinismo” e alla realtà delle sue denunce, ritirarsi nel ‘negazionismo’ - dice Pritchard - è un errore, non serve a nulla.
L’emergenza è evidente: “Come risulta dalle pubblicazioni delle Nazioni Unite, la biochimica degli oceani sta cambiando a una velocità allarmante. L'acidità dell'acqua è aumentata del 26%. Il ritmo dello scioglimento del ghiaccio è aumentato di cinque volte in un decennio. Le calotte glaciali della Groenlandia e dell'Antartico si stanno sciogliendo a un "ritmo accelerato".
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“Ma, indipendentemente dall'emergenza climatica, abbiamo raggiunto il punto in cui i combustibili fossili non sono più competitivi. Saranno fuori dal mercato tra il 2020 e il 2030, vittime della distruzione creativa di Schumpeter.”
E il cambiamento rischia di non essere abbastanza veloce. Rischiamo una reazione a catena inarrestabile e Greta Thunberg, sostiene Pritchard, ha ragione su questo. Greta e la sua generazione missionaria non possono essere criticati per avere dichiarato guerra alle istituzioni politiche, ma è proprio qui che inizia il problema.
“C'è una spinta globale per un ‘New Deal verde coercitivo’ guidato da organizzazioni statali e globali che esercitino il potere secondo il modello dello stato leviatano. La narrazione che sta prendendo piede è che l'ordine democratico liberale non è in grado di affrontare la sfida e che sia necessario un pugno autoritario.”
Esemplificative in questo senso sono le dichiarazioni della sinistra liberal americana.
“[Il New Deal Verde coercitivo] anima discorsi come quello del candidato presidenziale americano Bernie Sanders, che ha dichiarato di voler perseguire penalmente i dirigenti dei settori del carbone, petrolio e gas per avere causato danni climatici. Elizabeth Warren promette che se salirà alla Casa Bianca chiuderà immediatamente l'industria americana del fracking con un decreto esecutivo - e con esso l'8,4% della fornitura mondiale di petrolio.”
Versioni soft dell'eco-militanza stanno arrivando al potere politico reale in una serie di paesi. I Verdi tedeschi si attestano al 38% nei sondaggi del Baden-Württemberg. Più dei cristianodemocratici e socialdemocratici messi insieme.”
Ma forme più dure di eco-militanza stanno crescendo. La tedesca Ende Gelände - come Extinction Rebellion - conduce una campagna di disobbedienza civile. A giugno, oltre 5.000 truppe d'assalto hanno conquistato la miniera di carbone aperta del Garzweiler. Questo mese hanno tentato di bloccare il Motor Show di Francoforte, con una barricata di biciclette. "Abbiamo chiuso la merda", è il loro motto.
All'estremo, i militanti si trasformano in Khmer Verdi. Alla fine degli anni '90 il Fronte di Liberazione della Terra ha effettuato centinaia di attacchi in 25 paesi - molti nei laboratori di biotecnologia - attraverso una struttura di cellule segrete. L'FBI l'ha considerata la principale minaccia di terrorismo interno in America.
La militanza estremista verde sull’onda dell’emergenza appoggia soluzioni autoritarie, e non è difficile immaginare “azioni di giustizieri del clima contro i 'criminali climatici' designati”. In questo modo, dice Pritchard, c’è anche il rischio di asfissiare l’economia liberale producendo una paralisi. Ed è anche molto presente il rischio che i costi delle innovazioni e degli investimenti vengano fatti ricadere sulle fasce più deboli della popolazione.
“I gilet gialli francesi che si ribellano alle tasse sul carburante sono un avvertimento su ciò che accade se si impongono dall'alto misure inique, senza riguardo per i perdenti. Dobbiamo stare attenti alle soluzioni semplicistiche, come ad esempio razionare i voli aerei. Michael Liebriech, fondatore di Bloomberg New Energy Finance , avverte che non si può uscire dal caos addossando alla gente dei costi elevati".
In questa situazione le innovazioni tecnologiche e la crescita economica sono la nostra unica salvezza. E in realtà stanno avvenendo. Pritchard elenca tutta una serie di grandi innovazioni in corso, che sono a portata di mano, ma hanno bisogno di una spinta forte.
“La Elon Musk di Tesla ha messo in ginocchio l'industria automobilistica storica e ha forzato la svolta verso l'auto elettrica. L’impianto per la produzione dell’ 'Impossible Burger' dello scienziato di Stanford, Pat Brown, è finanziato da capitale di rischio privato.
Abbiamo risolto la sfida dell'elettricità rinnovabile. Il solare è più economico del carbone nella maggior parte delle latitudini meridionali. Le distorsioni della via della seta cinese - il modo in cui Pechino riversa la sua capacità industriale in eccesso all'estero - è la ragione principale per cui nuove centrali a carbone sono ancora in costruzione nel Sud-est asiatico. Ma a partire dalla fine del 2019, al costo di 2 cent dell’energia solare, non saranno più competitivi.
Le ultime aste per l'eolico offshore nel Regno Unito sono arrivate a prezzi di aggiudicazione record mai registrati. Pochi l’avrebbero ritenuto possibile anche a metà del secolo. E anche la Germania, ora, si sta ponendo l’obiettivo di incrementare l’eolico offshore entro il 2030.”
Pritchard fa riferimento ad altri progetti per lo stoccaggio dell’energia rinnovabile prodotta in eccesso, caratterizzata da intermittenza ed aleatorietà come eolico e fotovoltaico, che la rendono disponibile nei momenti di picco della domanda. Questa tecnologia sarà pronta a costi molto bassi entro un decennio.
La prossima frontiera poi è la produzione illimitata di idrogeno verde prodotto dal solare o dal vento per elettrolisi, utilizzabile per la navigazione, il trasporto merci a lungo raggio e le ferrovie, più difficile da realizzare, ma le migliori università statunitensi sono tutte impegnate in questo.
Pritchard sottolinea che il rinnovamento verso l’impatto zero deve essere inteso come un acceleratore economico, e che non vi è alcun "costo" macroeconomico necessario per questa grande trasformazione. L’UNCTAD stima il moltiplicatore fiscale di un New Deal Verde globale da 1,3 a 1,8, e ritiene di poter aumentare la crescita annuale nei paesi ricchi e ancor più in quelli in via di sviluppo.
Per Pritchard, questo è ciò di cui il mondo ha bisogno per sfuggire al male della bassa crescita post-Lehman, spostando lo stimolo dalle bolle speculative della finanza all'economia reale, e invertendo così l’aumento delle disuguaglianze. Ed è su come fare tutto ciò, che bisogna discutere.
“Questa è la discussione che dovremmo portare avanti. Quello che non dobbiamo fare è continuare come al solito. Come dice Greta, il nostro budget per le emissioni di carbonio finirà in meno di nove anni. Qui si nasconde la tentazione della tirannia politica verde.”
27/09/19
In Italia più di 7 miliardi di gettito tributario persi via paradisi fiscali
Missingprofits.world
I ricercatori dell'Università della California, di Berkeley e dell'Università di Copenaghen stimano che ogni anno quasi il 40% dei profitti delle multinazionali (nel 2016 oltre $ 650 miliardi) vengano trasferiti in paradisi fiscali. Questo spostamento riduce il gettito delle imposte sul reddito delle società di quasi $ 200 miliardi, ovvero il 10% della tassazione globale sulle società.
La mappa interattiva (quella originale a cui rimanda il link, ndt) mostra quanti sono i profitti e le entrate fiscali che ogni paese perde (o attira), in questa gara per ottenere profitti. I paesi paradisi fiscali possono essere difficili da trovare nella mappa, ma basta ingrandire a schermo intero.
https://missingprofits.world/
Qui sotto la scheda che si apre cliccando sull'Italia
La ricerca
I ricercatori dell'Università della California, di Berkeley e dell'Università di Copenaghen hanno prodotto un database che mostra dove le aziende registrano i loro profitti a livello globale. Sfruttando questi dati, gli autori hanno sviluppato una metodologia per stimare l’ammontare di profitti trasferiti in paradisi fiscali da società multinazionali e quanto ogni paese perda in profitti e entrate fiscali da tale spostamento. A livello globale, nel 2016 le società multinazionali hanno spostato nei paradisi fiscali oltre 650 miliardi di dollari di profitti, e questo spostamento ha ridotto il gettito fiscale globale derivante dalla tassazione sulle società di quasi il 10%.
Le società multinazionali spostano i profitti nei paradisi fiscali per ridurre il peso globale delle imposte. Si prenda l'esempio di Google: nel 2017, Google Alphabet ha registrato ricavi per $ 23 miliardi nelle Bermuda, una piccola isola nell'Atlantico dove l'aliquota dell'imposta sul reddito delle società è pari a zero. A livello globale, circa 650 miliardi di dollari di profitti vengono trasferiti verso paradisi fiscali di questo tipo dalle multinazionali di tutti i paesi.
Si può esplorare la mappa per vedere quali paesi attraggono e perdono profitti in questo gioco delle tre carte. Cliccando su ciascun paese si può vedere la quantità di profitti spostati in paradisi fiscali e verso quali paradisi i profitti sono stati spostati. È inoltre possibile vedere la perdita implicita del gettito d’imposta sul reddito delle società. Alcuni paesi sono contrassegnati in verde; questi sono i paradisi fiscali. Per i paradisi fiscali segnaliamo quanti profitti attirano dai paesi ad alta tassazione e qual è l'aliquota d'imposta effettiva sul reddito delle società.
La perdita di profitto massima si ha per i paesi dell'Unione Europea (che non sono paesi rifugio). Le multinazionali statunitensi spostano relativamente più profitti (circa il 60% dei loro profitti esteri) rispetto alle multinazionali di altri paesi (40% in media). Gli azionisti delle multinazionali statunitensi sembrano quindi essere i principali vincitori del trasferimento globale dei profitti. Inoltre, i governi dei paradisi fiscali traggono notevoli benefici da questo fenomeno: tassando con aliquote basse (meno del 5%) la grande quantità di profitti potenziali che attraggono, sono in grado di generare più entrate fiscali, in proporzione al loro reddito nazionale, rispetto agli Stati Uniti e ai paesi europei (non paradisi fiscali) che hanno aliquote fiscali molto più elevate.
Fino a poco tempo fa questa ricerca non sarebbe stata possibile, poiché le imprese di solito non rivelano pubblicamente i paesi in cui sono registrati i loro profitti e i dati dei conti economici nazionali non permettevano di studiare le società multinazionali separatamente dalle altre imprese. Ma negli ultimi anni gli istituti statistici della maggior parte dei paesi sviluppati del mondo (compresi i principali paradisi fiscali) hanno iniziato a pubblicare nuovi dati macroeconomici, noti come statistiche delle consociate estere. Questi dati consentono di ottenere una visione completa di dove le società multinazionali registrano i loro profitti e in particolare di stimare l'ammontare degli utili registrati nei paradisi fiscali a livello globale. Per approfondire la nostra comprensione di questo problema avremmo bisogno di altri dati ancora più precisi. In particolare sarebbe auspicabile che tutti i paesi pubblicassero statistiche sulle consociate estere e che tali statistiche fossero più ampie e includessero sempre informazioni sulle imposte versate.
24/09/19
Focus - È il momento di dismettere l'euro
Di Mark Friederich e Matthias Weik, 19 settembre 2019
Traduzione di Oscar Amalfitano
Gli economisti Weik e Friederich: è giunto il momento di smantellare l’euro.
Una citazione molto bella recita: "La follia è fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi". Eppure, sembra essere proprio questo il motto della Banca centrale europea (BCE) dallo scoppio della crisi finanziaria del 2008. Non c’è altro modo per spiegare una cura della crisi sempre uguale a se stessa e mai realmente efficace. L'ultima crisi è stata causata da tassi di interesse e costo del denaro troppo bassi, ma la BCE non cambia di una virgola: tassi ancora più bassi e denaro a prezzo discount. Una politica folle, destinata a fallire senza pietà. Si può usare la macchina stampasoldi per spostare i problemi in un futuro non precisato, ma non è questo il modo per risolverli.
A differenza delle controparti statunitensi della Fed, la BCE non ha aumentato i tassi dopo la crisi. Al contrario, Draghi passerà alla storia come il primo capo della BCE che non ha mai alzato i tassi di interesse, ma li ha solo abbassati. Pertanto, dal 2016, non solo abbiamo tassi di interesse pari a zero, ma le banche pagano persino sanzioni sui loro depositi presso la BCE.
La BCE comprerà ancora più titoli di Stato
I sintomi si avvertono da anni. Molte banche hanno introdotto commissioni per la manutenzione del conto, le filiali vengono chiuse, gli sportelli automatici dismessi, i servizi ridotti all’osso e le fusioni diventano necessarie - perfino tra una cassa di risparmio e una banca popolare! E ora il presidente uscente Draghi lascia a noi un amaro regalo di addio e al suo successore, Christine Lagarde, un pericoloso dono di benvenuto. Draghi ha nuovamente abbassato il tasso di deposito a meno 0,5% e, a partire da novembre, inizierà un nuovo programma di acquisti che prevede volumi di 20 miliardi di euro al mese. L'ultimo programma è stato pari a 2,59 bilioni di euro ed è terminato solo alla fine del 2018. Neanche nove mesi dopo, Draghi si è sentito obbligato a dare il via a un nuovo piano di acquisto. Di quante prove hanno bisogno i nostri politici per capire che l'euro sta morendo?
Dal 1° novembre la BCE, sotto la guida della sua nuova sovrana Christine Lagarde, utilizzerà denaro generato al computer per acquistare ancora più obbligazioni da Stati praticamente in bancarotta, come l'Italia o la Grecia, oltre a titoli delle cosiddette società zombi che sono state a lungo insolventi. In breve, la BCE farà tutto ciò che è in suo potere per mantenere in vita questo disastroso esperimento valutario chiamato euro, condannato al fallimento fin dalla sua nascita.
L’euro distrugge l’Europa, il nostro benessere e le nostre banche
I fatti: l'euro separa l'Europa invece che unificarla. La moneta unica è troppo debole per la Germania e troppo forte per i paesi dell'Europa meridionale. Affinché gli Stati del Sud possano riguadagnare la propria competitività dovrebbero svalutare le proprie valute. Tuttavia, ciò è impossibile nella gabbia valutaria dell'Eurozona. Di conseguenza, i paesi dell'Europa meridionale non saranno mai in grado di compiere progressi economici all’interno della moneta unica. Pertanto, non ha alcuna rilevanza quanto denaro possa essere trasferito dal Nord al Sud Europa.
L'euro è tutt'altro che una valuta stabile. Dalla sua introduzione ha già perso il 30% del suo potere d'acquisto. A causa dei bassi tassi di interesse sono in sofferenza i soggetti più disparati, dai proprietari di libretti di risparmio in banca, alle società che stipulano polizze sulla vita, passando per tutti i fondi sanitari e pensionistici.
Il risparmiatore è lo stupido, la povertà in vecchiaia pre-programmata
Le conseguenze della politica della BCE sono serie. I risparmiatori saranno puniti, i debitori premiati. Se i cittadini tedeschi dovessero iniziare effettivamente a consumare non solo i loro risparmi, ma anche a fare debiti e di conseguenza a non essere più in grado di rendere economicamente sicura la loro vecchiaia, dovremo prepararci a un'ondata di povertà in grado di superare ogni immaginazione. Chiunque scelga di accettare questa deriva per mantenere in vita un euro condannato in partenza non solo è incredibilmente irresponsabile, ma anche profondamente antisociale.
I prezzi delle azioni e degli immobili continuano a salire
Come prima e più di prima, le banche si vedranno costrette ad essere ancora più generose nei prestiti. Di conseguenza, un numero sempre più grande di cittadini acquisterà immobili incredibilmente costosi, che non possono permettersi affatto, con denaro che in realtà non hanno e non dovrebbero mai ottenere in prestito. Dal 2009 i prezzi dei condomini sono quasi raddoppiati nelle sette maggiori città. Questa tendenza è destinata a continuare fino allo scoppio di una nuova bolla.
In passato, le gravi conseguenze di una bolla immobiliare che scoppia sono state vissute direttamente sulla pelle da molte persone, specialmente negli Stati Uniti, in Irlanda e in Spagna. I partiti che si lamentano dell'aumento degli affitti, che invocano un tetto ai prezzi delle locazioni, ma che parallelamente sostengono l'euro, hanno perso ogni credibilità. Chi se ne infischia del politically correct userebbe l’aggettivo “ipocrita” per descrivere questo atteggiamento.
Anche sui mercati azionari il denaro a buon mercato finirà per creare una gigantesca bolla. I fondi ETF sono aumentati di cinque volte dalla crisi finanziaria (da 716 miliardi di dollari a oltre 4,68 bilioni di dollari). La bolla destinata a scoppiare sui mercati azionari sarà di gran lunga peggiore di quella del 2009.
Tassi di interesse negativi, acquisti di titoli e unioni bancarie sono alle porte
Invece di porre fine all'esperimento valutario dell’Euro dobbiamo prepararci ad ulteriori misure draconiane. La BCE e l'UE faranno tutto il possibile per mantenere in vita l'euro il più a lungo possibile e rimandare il proprio fallimento a un futuro più lontano possibile. È solo una questione di tempo prima che i tassi di interesse subiscano un ulteriore ribasso e i programmi di acquisto continuino a salire. È probabile si giunga a un tasso di interesse negativo fino a - 5%. Tuttavia, ciò sarà possibile solo se il denaro verrà fortemente limitato, seguiranno pertanto inevitabili restrizioni al prelievo di contanti. Il programma di acquisto è di certo destinato a crescere. In futuro, la BCE non acquisterà solo obbligazioni, ma anche azioni, come la Banca nazionale svizzera (BNS).
La Banca nazionale svizzera possiede ora azioni di 6.600 società. Il valore dei soli titoli statunitensi è di poco inferiore ai 90 miliardi di dollari. Fra non molto le porte della scelleratezza saranno spalancate e vivremo definitivamente nell'era dell'economia pianificata delle banche centrali. Inoltre, l’attuale politica tedesca non riuscirà a frenare per sempre un’unione bancaria comunitaria. Ciò significa che in futuro noi risparmiatori saremo anche responsabili per le fatiscenti banche dell'Europa meridionale. Tra non molto sarà inevitabile e necessario ritirare i propri risparmi dalle banche. Sempre che ciò sia ancora possibile.
Le nostre previsioni:
- - non appena la recessione nella zona euro avrà pieno effetto, i tassi di interesse verranno ulteriormente ridotti;
- - i programmi di acquisto di titoli di Stato aumenteranno drasticamente;
- - le passività Target2 della Germania supereranno il bilione;
- - sempre più banche in Europa scompariranno dalla scena e le grandi banche europee perderanno completamente il collegamento con la cima del mondo;
- - le bolle del mercato finanziario si gonfieranno sempre di più: azioni, obbligazioni, ETF e proprietà immobiliari.
La Dexit è meno costosa sul lungo termine
È evidente che si rimarrà ancorati all’euro fino alla sua amara capitolazione. Quanto tempo impiegheranno i politici a rendersi conto che l'esperimento valutario dell’euro è destinato al fallimento? L'euro non sopravvivrà a una seconda recessione e la BCE non sarà in grado di assorbirla. Quando realizzeranno i nostri politici che l'euro sta separando l'Europa anziché unificarla sotto una bandiera comune? Quanto durerà la massimizzazione del danno economico? Quando prevarrà la consapevolezza che una Dexit dall'Eurozona è sicuramente la soluzione a lungo termine meno costosa?
Questo è il momento di gestire la fine dell’euro in modo controllato, perché se la moneta unica dovesse collassare con violenza, i costi, sia sociali che monetari, sarebbero molto più alti. Indubbiamente, una Dexit porterebbe con sé anni scuri e pesanti come macigni. Un crollo incontrollato dell'Eurozona, tuttavia, sarebbe il caos e avrebbe conseguenze ben più drammatiche di un decennio perduto. È tempo di affrontare la realtà ed evitare danni ancora maggiori per la Germania e per l'Europa. Per quanto tempo i cittadini di questo paese sosterranno ancora l'esperimento dell’euro? O meglio, per quanto tempo saranno ancora disposti a pagarne la follia?
Consigli agli investitori
Ora il motto deve essere: coperture, costruzione di contrappesi e diversificazione. È necessairo lasciare perdere i titoli a reddito fisso e concentrarsi sui beni materiali. Finché è ancora possibile acquistate metalli preziosi, perché la BCE può stampare una quantità infinita di euro, ma non un grammo di oro o di argento. Finché viene stampato denaro i mercati azionari continueranno a salire, ma lo scoppio della bolla non sarà rimandato per sempre. Lo stesso vale per gli immobili. Chiunque acquisti ora, deve valutare attentamente se in futuro troverà ancora uno stupido acquirente disposto a pagare ancora di più.
22/09/19
L' "uscita dal carbone" della Germania: lenta e costosa
Contrariamente a quanto prevede l'immaginario collettivo italiano, che tende - nonostante i recenti scandali - a vederla come un paese dotato di particolari virtù ecologiche, la Germania produce ancora una notevole quantità di energia bruciando carbone, il sistema peggiore dal punto di vista di inquinamento ed emissioni di gas serra. Ora si accinge a cambiare. Un articolo dell'Economist mostra l'altro lato della medaglia del passaggio a fonti di energia più sostenibili: il prezzo pagato dalle regioni più povere e dai lavoratori più deboli.
19 settembre 2019
Problema del clima: il carbone bruno è il peggio
Sono arrivati, in giubbotti catarifrangenti e giacche a vento, battendo su tamburi e soffiando dentro fischietti sotto la pioggia scrosciante, lanciando una sfida in difesa della loro industria morente. Il 9 Settembre circa un migliaio di minatori e altri lavoratori sono arrivati alla centrale a carbone di Schwarze Pumpe nella Germania orientale ad accogliere con un rumoroso benvenuto i partecipanti a una conferenza sul futuro della regione locale del Lausitz. Con una trovata intelligente hanno costretto chi voleva entrare a passare attraverso uno di due archi improvvisati, uno con l'indicazione "2030" e uno "2038", in riferimento a due possibili date per la fine dell'uso del carbone in Germania. Chiunque passava sotto al primo veniva fischiato.
L'anno prossimo la Germania mancherà i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni. Uno dei motivi principali è la sua perdurante dipendenza dal carbone. Nel mix di produzione dell'elettricità la quota legata al carbone bruno (lignite), il tipo più economico e inquinante, è rimasta la stessa per due decenni. Nessun paese ne brucia più della Germania. L'anno scorso il governo ha riunito una commissione che comprende politici, industriali, scienziati, attivisti e sindacati per tirarsi fuori dal problema.
Questo approccio è stato stabilito per garantire la condivisione di qualunque proposta fosse emersa. Il rapporto di 275 pagine della commissione, pubblicato a gennaio, impegna la Germania a porre fine all'uso del carbone entro il 2038 e promette sussidi per un valore fino a 40 miliardi di euro in 20 anni per le restanti aree di estrazione del carbone sul territorio nazionale. Revisioni periodiche determineranno quando le singole miniere dovranno chiudere, e i proprietari essere risarciti.
Questo compromesso, non ancora diventato legge, ha lasciato tutti un po' insoddisfatti. Le aziende di servizi si lamentano per l'incertezza dei rifornimenti; le lobby commerciali temono l'aumento del prezzo dell'energia. Le peggiori rampogne provengono dagli ambientalisti, che vogliono anticipare la chiusura, per aiutare la Germania a raggiungere l'obiettivo di ridurre le emissioni del 55%, rispetto ai livelli del 1990, entro il 2030.
Un viaggio attraverso il Lausitz, dove viene estratto un terzo della lignite tedesca, aiuta a spiegare perché i lavoratori del carbone trovano la decisione difficile da ingoiare. Questa remota regione rurale, a cavallo tra gli stati orientali della Sassonia e del Brandeburgo, un tempo forniva alla Germania orientale il 90% della sua elettricità (oggi fornisce circa il 7% della potenza della Germania). Il paesaggio, altrimenti privo di caratteristiche particolari, è punteggiato dalle vaste miniere a cielo aperto da cui viene estratta la lignite e dai laghi che si formano quando vengono inondate quelle in disuso. I sostenitori della squadra di calcio Energie, che ha sede a Cottbus, sostengono i giocatori con inni al carbone. Ma questo attaccamento sentimentale al carbone, osserva Johannes Staemmler dell'Institute for Advanced Sustainability Studies di Potsdam, è compagno della paura dei cambiamenti nata dalle devastazioni legate alla deindustrializzazione che ha seguito la riunificazione tedesca nel 1990, quando la maggior parte delle miniere di Lausitz furono chiuse e decine di migliaia di persone hanno perso il lavoro (a questo proposito si può rivedere questo video ispirato al saggio Anschluss di Vladimiro Giacché, ndVdE).
Oggi nel Lausitz non ci sono grandi datori di lavoro oltre alla Leag, il gestore di proprietà ceca delle miniere e delle centrali a carbone della regione. I tre impianti Leag di Lausitz, tra cui Schwarze Pumpe, sono tutti tra i primi dieci produttori di emissioni di carbonio nell'Ue, ma forniscono anche 8.000 posti di lavoro ben pagati in una regione che di certo non se ne lamenta, e indirettamente migliaia di altri. Questi argomenti hanno aiutato i politici locali a garantirsi 17 dei 40 miliardi di euro promessi. I progetti su come spendere i soldi sono proliferati, comprendendo trasporti e infrastrutture mobili, investimenti in ricerca e sviluppo nonché la creazione di posti di lavoro governativi. Christine Herntier, sindaco di Spremberg e membro della commissione del carbone, ha molto a cuore la realizzazione di un impianto di idrogeno all'avanguardia a Schwarze Pumpe. Eppure anche lei sta perdendo la fiducia, preoccupata che i fondi federali vengano distribuiti in modo troppo scarso, irritata dal fatto che comunità povere come la sua debbano fornire cofinanziamenti e infuriata con gli ecologisti voltagabbana.
Quando alcuni anni fa la concorrenza straniera ha devastato l'industria solare tedesca, osserva Felix Ekardt, capo dell'Unità di ricerca sulla sostenibilità e la politica climatica di Lipsia, i politici hanno semplicemente scrollato le spalle e puntato il dito verso le forze del mercato. Ma le decisioni delle aziende private provocano meno risentimento di quelle politiche. "La gente non perdona lo stato se sottrae posti di lavoro", afferma Jörg Steinbach, ministro dell'Energia del Brandeburgo. Due delle tre rimanenti regioni dove si estrae lignite si trovano nell'ex Germania orientale, dove le vecchie lamentele hanno trovato una nuova espressione politica. Nelle recenti elezioni statali, il partito populista Alternativa per la Germania (AfD) ha sgominato tutti nel Lausitz, dopo avere fatto una campagna elettorale contro le chiusure previste.
Steinbach rimane ottimista. "Ci sarà chi ci rimette", dice, "ma non molti". Due terzi dei lavoratori della lignite hanno già più di 45 anni, il che limiterà i licenziamenti forzati, mentre le competenze acquisite dai più giovani sono spesso trasferibili. Tuttavia, previsioni indipendenti hanno dimostrato quanto l'economia locale sia messa a rischio dalle chiusure. Nel Lausitz ci sono poche altre opportunità di lavoro, come nella zona di lignite della Renania. "Chi ha una buona formazione vedrà il suo futuro altrove", sospira Wolfgang Rupieper, capo del Pro Lausitzer Braunkohle, un'associazione pro-carbone di Cottbus. Come altri, si lamenta degli sforzi previsti per mettere fine al carbone, quando le emissioni di altri settori, come i trasporti, si sono spostate pochissimo dal 1990.
Simili preoccupazioni hanno portato a un ampio pacchetto di misure di protezione del clima che il governo avrebbe dovuto svelare il 20 settembre. In primis ci si aspetta una qualche forma di tassa sulle emissioni, necessaria per garantire che lo stop al carbone riduca effettivamente le emissioni complessive. L'approccio della commissione, costoso e complesso, si adatta malamente a strategie di riduzione delle emissioni più efficienti. Tuttavia gli altri paesi che tentano di camminare in equilibrio tra la protezione del clima e la difesa delle economie che arrancano seguiranno da vicino l'esperimento tedesco.
Questo articolo è apparso nella sezione Europa dell'edizione cartacea sotto il titolo "La costosa uscita dal carbone della Germania".
20/09/19
Apple mi ha chiuso fuori dal suo "giardino protetto". È stato un incubo
Da Quartz, 13 agosto 2019
La tecnologia ha sempre rappresentato una parte importante della mia vita, tuttavia di recente ho dovuto sperimentare sulla mia pelle cosa succede quando la tecnologia su cui hai costruito la tua vita ti viene improvvisamente tolta.
Alcuni mesi fa, ho acquistato una carta regalo iTunes da un popolare sito web, una cosa che faccio da anni per gestire la mia spesa sulla piattaforma, e che usa anche la mia compagna per fare acquisti da un account iTunes condiviso. Ho acquistato carte regalo abbastanza spesso, in particolare durante i periodi di saldi, quando i rivenditori vendono carte regalo di iTunes e App Store a prezzo scontato.
Quando ho ricevuto la carta e l'ho caricata nel mio account iTunes, nei giorni successivi ho acquistato qualche brano musicale, come faccio spesso sin dal mio primo acquisto su iTunes nel 2005. Ho comprato alcune canzoni, guardato in streaming un nuovo film e mi sono meravigliato della magia della perfetta integrazione tra hardware e servizi della Apple. O almeno così pensavo.
Circa una settimana dopo aver caricato la carta regalo, ho notato che il mio account iTunes non funzionava. Quando provavo ad accedere, mi diceva che il mio account era bloccato. Ho cercato aiuto online, ma non sono riuscito a trovare una soluzione. Allora ho chiamato l'assistenza Apple. Appena sono riuscito a parlare con un operatore al telefono, sono stato immediatamente reindirizzato ad una sua responsabile, cosa un po' insolita. Ho avuto a che fare con l'assistenza Apple innumerevoli volte, sia per lavoro che per questioni relative ai miei dispositivi personali, e normalmente sei riassegnato a un responsabile solo quando la "prima linea" non è in grado di risolvere il problema. La responsabile mi ha informato che il mio account era stato bloccato perché avevo usato una carta regalo fraudolenta.
Sorpreso, ho spiegato come avevo ottenuto la carta, pensando di aver fatto un acquisto legittimo, e ho proposto di fornire la prova del mio acquisto. L'operatrice mi ha detto però che non era necessario. "Sto guardando il suo account e posso chiaramente vedere che lei è un cliente abituale e che è stato vittima di una truffa," ha concluso, aggiungendo che aveva parlato con almeno altri due clienti con lo stesso problema. A quanto pare tutto quello che doveva fare era inoltrare la segnalazione al team di sicurezza interno di Apple che, in seguito al suo controllo sul mio account, avrebbe riabilitato tutto entro 24 ore. Ha sottolineato che se questo non fosse accaduto avrei dovuto rimettermi in contatto con lei, e lei si sarebbe attivata con me per compiere i passi necessari a risolvere tutto. Ottimo.
Solo che, dopo 24 ore, non era successo nulla. Ancora dopo alcuni giorni, la responsabile era introvabile, anche dopo averla contattata direttamente via email. Ho finito per richiamare l’assistenza telefonica per ricominciare la trafila con un nuovo operatore, che, ancora una volta, mi ha inoltrato subito ad un responsabile. Questo responsabile numero 2 non si è mostrato così collaborativo come il primo, e mi ha dato informazioni contraddittorie con le precedenti: ""Il suo account è stato permanentemente disabilitato. Non c'è nient'altro da fare, non c'è modo di risolvere il problema."
Quando ho chiesto una spiegazione, tutto quello che mi ha detto è stato: "Controlli i termini e le condizioni del contratto".
L'intera faccenda sembrava molto ingiusta, come se Apple mi stesse trattando come un criminale.
A questo punto ho iniziato a rendermi conto di quanto vasti potessero essere gli effetti della disabilitazione del mio account Apple. Una delle cose che amo dell'ecosistema Apple è che ho potuto creare la mia raccolta multimediale su iTunes e posso accedervi da uno qualsiasi dei miei dispositivi Apple. Io e la mia compagna nel corso degli anni abbiamo posseduto numerosi iPod, iPhone, iPad, MacBook, iMac, Apple Watch, Apple TV e persino un HomePod. Apple gioca un ruolo importante anche nella mia vita professionale: sono il responsabile IT di Quartz, usiamo hardware Apple e pubblichiamo sulle piattaforme Apple.
Ma quando Apple ha bloccato il mio account, tutti i miei dispositivi sono diventati praticamente inutilizzabili. In un primo momento sembrava un lieve inconveniente, ma ho presto scoperto quante applicazioni sui miei dispositivi iOS e Mac non potevano più essere aggiornate, per non parlare del fatto che non potevo scaricare nulla di nuovo. Quando ho dovuto fare un viaggio per un'emergenza familiare, l'app JetBlue non mi permetteva di accedere alla mia carta d'imbarco, dicendomi che dovevo aggiornare l'app per usarla. Era la prima volta che volavo con una carta d'imbarco cartacea da anni. Non ho potuto nemmeno ingannare il tempo durante il volo giocando a Animal Crossing sul mio telefono, perché quando ho lanciato il gioco mi dava un analogo messaggio di errore.
Non potevo usare il mio HomePod per ascoltare in streaming qualcosa della mia vasta collezione musicale, costruita passo dopo passo in 15 anni; non riuscivo a guardare film o programmi acquistati sulla mia Apple TV; e nemmeno a scaricare le app necessarie per il mio lavoro in Quartz. Durante una riunione di lavoro, mentre parlavamo della festa del 4 luglio, uno dei manager della società ci ha consigliato di disinstallare Slack per le vacanze, così da disconnetterci davvero e goderci un po’ di tempo lontano dal lavoro. Avrei voluto farlo, ma sapevo che, se lo avessi fatto, non sarei stato in grado di reinstallare l’app.
Per aggiungere al danno la beffa, Apple mi ha persino inviato una e-mail notificandomi che l’album Madame X di Madonna, che avevo prenotato, era disponibile per il download.
Non ero disposto a rinunciare a 15 anni di acquisti così facilmente. Ho continuato a contattare l'assistenza Apple e ho riproposto il mio caso al responsabile numero 3, che, come il responsabile numero 1, si è reso conto che ero un cliente fedele e che ero stato sfortunato. Ha presentato una richiesta di revisione del mio caso, ma con esito negativo. Alla fine, sono arrivato al responsabile numero 4, che è andato oltre, questa volta chiedendomi di fornire la documentazione in mio possesso. Ho mandato tutto quello che avevo. L'agente si è battuto per me, presentando il caso alla squadra di sicurezza Apple, ma, alla fine, la richiesta è stata respinta di nuovo e, a quanto pare, gli hanno intimato di smettere di seguire il mio caso. Anche dopo tutto questo, l'unica spiegazione che mi è stato data è stata: "Controlli i termini e le condizioni del contratto".
Nel frattempo, avevo richiesto una copia dei miei dati personali ad Apple. Volevo quantificare esattamente quanti soldi avevo speso nei suoi servizi, e il totale è risultato circa 15.000 dollari. Sommando la spesa per l'hardware Apple nel corso degli anni, quel numero diventava molto più grande. Quantificare la mia perdita in questo modo mi ha fatto capire quanta fiducia avevo avuto in Apple.
Avendo esaurito tutte le alternative, ho deciso di inviare un'e-mail direttamente al CEO di Apple, Tim Cook, sapendo che occasionalmente risponde alle e-mail dei clienti. Ho anche inoltrato la mail al mio rappresentante di vendita Apple per Quartz, che avevo tenuto informato durante tutto questo processo, per vedere se c'era un modo per instradare internamente la mia richiesta. Non avrei mai pensato di dover utilizzare una relazione professionale in questo modo.
Non ho mai ricevuto una risposta personale da Cook, ma sembra che la mia lettera abbia avuto effetto: posso dire che il mio account è stato felicemente riabilitato poco dopo. La società mi ha spiegato che un certo numero di carte regalo erano state intercettate e rubate durante la consegna ai rivenditori legittimi, e tra queste la carta che avevo acquistato. Come risarcimento, mi sono stati offerti un paio di mesi gratuiti di Apple Music, la stessa promozione che si ottiene quando si acquista un nuovo Apple Watch. Ho ringraziato Apple per aver riattivato il mio account, ma ho espresso le mie preoccupazioni su come il problema fosse potuto accadere. Anche MassGenie, la società che mi ha venduto il buono regalo rubato, alla fine si è scusata e mi ha rimborsato per l'acquisto.
Un’assistenza clienti eccellente non dovrebbe essere un optional: è stata per anni una delle caratteristiche distintive di Apple, ma sembra che quel tempo sia passato. Apple mi ha assicurato, tuttavia, che la mia documentazione dettagliata permetterà loro di rivedere e migliorare i processi di assistenza clienti.
Considerato tutto, il mio account è rimasto bloccato per circa due mesi. Se non avessi approfittato dei miei contatti Apple interni, avrei potuto non recuperare più il mio account. Ho trascorso gran parte di questi due mesi in una sorta di lutto, piangendo non solo la perdita di una raccolta di media costruita in oltre un decennio e mezzo, ma anche di tutti gli altri prodotti che possedevo e che non funzionavano più come avrebbero dovuto. La società a cui avevo dato così tanti soldi nel corso degli anni poteva revocare il mio accesso a tutto questo con un semplice click.
Tutto questo pasticcio mi ha fatto interrogare sul fatto se sia il caso di continuare a utilizzare i prodotti Apple. Ma più ci penso, più mi rendo conto che non è solo una questione di scegliere un prodotto rispetto a un altro. La verità è che Google o Microsoft (o Nintendo, o Samsung, o Sony, e l'elenco può continuare) potrebbero altrettanto facilmente escludere un cliente dal loro sistema senza motivazione dichiarata e senza possibilità di fare ricorso.
Riflettiamo abbastanza sui diritti che abbiamo come consumatori quando scorriamo quei lunghi e ingombranti termini e condizioni dei contratti che firmiamo per accedere ai gadget e ai prodotti che acquistiamo ogni giorno? Quanto stiamo davvero acquistando qualcosa, o quanto stiamo soltanto affittandola per un po'?
Una volta si poteva acquistare una componente hardware, installare il software, e aggiornarlo (o anche non farlo), come e quanto si voleva. Ma ora, il software vive sempre più nel cloud e i produttori di hardware esercitano uno stretto controllo su quali accessori o sistemi sono compatibili con i dispositivi di cui si è proprietari.
Il valore dell'hardware non è più solo derivato dall'hardware stesso, ma anche dai servizi da cui dipende l'hardware, che possono essere disattivati in qualsiasi momento, sia perché una società fallisce, sia, come nel caso in cui mi sono trovato con Apple, perché ti blocca senza spiegazioni. Anche la stessa Apple sta riorientando il suo modello di business, imponendo ai propri clienti il suo hardware, attraverso l'offerta di servizi pensati esclusivamente per quei dispositivi.
Sfortunatamente, gran parte dei miei contenuti è ancora bloccata nell'ecosistema Apple. Molti dei miei film sono accessibili tramite “Movies Anywhere” - un servizio di proprietà Disney che consente agli utenti che hanno acquistato film da molti importanti studi cinematografici su un app store di visualizzarli su altri servizi di streaming - ma non tutti i film sono disponibili. Vorrei che esistesse una versione di Movies Anywhere per altri contenuti digitali come spettacoli televisivi, musica e libri, in quanto questi sono fondamentalmente bloccati sui miei dispositivi Apple.
Non sorprende che le società preferiscano avere entrate prevedibili e ricorrenti, derivanti da servizi in abbonamento, piuttosto che vendere singoli contenuti, e i consumatori sono generalmente d'accordo con l'idea: Spotify ha 100 milioni di utenti a pagamento e AppleMusic ne ha circa 60 milioni, per esempio. Anche se oggi è ancora possibile acquistare singoli prodotti, sembra che non lo sarà ancora per molto. La stessa morte dell'app iTunes sembra progettata per scoraggiare l'acquisto di contenuti, a favore dei servizi in abbonamento. Man mano che si comincia a sentire la stanchezza verso gli abbonamenti, ci sarà qualcuno che inizierà a desiderare la semplicità di possedere una libreria di contenuti acquistati, che comprenda solo i prodotti desiderati? Inoltre, la pirateria digitale è in aumento, quindi forse la gente sta già muovendosi in questa direzione.
Non voglio prendere decisioni affrettate, ma quando arriverà il momento di cambiare cellulare, probabilmente proverò un Android. Dopo quello che è successo con Apple, voglio impegnarmi per ottenere un po' di indipendenza digitale e non legarmi all'ecosistema di una singola azienda. E forse, dopo 11 anni di utilizzo di un iPhone, non è una cattiva idea.
19/09/19
Per la democrazia – contro l’Unione Europea
Di Mike Hume, 15 luglio 2019
Non possiamo rendere democratica la politica britannica senza la Brexit.
Qualsiasi programma di riforma democratica in Gran Bretagna deve comprendere – ma non limitarsi a – la Brexit. Lasciare l'Ue è la precondizione per rendere il Regno Unito una società veramente democratica, per due motivi.
In primo luogo, perché l'Unione europea non è solo antidemocratica– è intrinsecamente antidemocratica, perché priva i popoli d'Europa della libertà di decidere i propri destini.
E in secondo luogo, perché 17,4 milioni di persone hanno votato “leave”, il più grande mandato democratico nella storia britannica. Se l’establishment può sentirsi libero di ignorare o rovesciare il voto popolare, allora come possiamo dire di vivere in una società democratica?
Dalla sua fondazione come Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio nel 1953, poi diventata Comunità Economica Europea dal 1956, e infine Unione Europea dal 1993, un valore coerente sostenuto dall'élite dell'Ue è stata l’anti-democrazia – la creazione in Europa di un sistema che separa il potere e il controllo da qualsiasi espressione della volontà popolare.
L'obiettivo dell'UE non è mai stato quello di "rappresentare" i popoli d'Europa, ma di limitare la sovranità popolare e la democrazia. L'Unione Europea non è l'Europa. È l'unione antidemocratica delle élite politiche europee. Come ha scritto il principale giurista spagnolo Miguel Herrero de Minon sull'Ue vent'anni fa, "La mancanza di "demos" [il popolo] è la ragione principale della mancanza di democrazia. E il sistema democratico senza "demos" è solo "cratos" – potere." Da allora, l'UE 0si è ulteriormente adoperata nell’aumentare il potere della burocrazia e della tecnocrazia sulla sovranità nazionale e sulla democrazia popolare.
I Remainers membri dei partiti laburisti e liberaldemocratici affermano che dovremmo "restare e riformare". L'idea è apparentemente quella di colmare il "deficit democratico" di Bruxelles. Tuttavia, come ha osservato lo storico britannico di sinistra Eric Hobsbawm, è "ingannevole parlare di ‘deficit democratico’ dell'Unione Europea. L'Ue è stata esplicitamente costruita su basi non democratiche (cioè non elettorali) e pochi sostengono seriamente che altrimenti sarebbe arrivata dove è". Se ci rendiamo conto del carattere intrinsecamente antidemocratico dell'Unione Europea e delle sue istituzioni, perché preoccuparsi di cercare di riformarla?
Gli apologeti dell'UE sostengono che la sua formazione dopo la Seconda guerra mondiale sia stata un tentativo di salvare l'Europa da ulteriori conflitti. La verità è che le élite europee vedevano la sovranità nazionale come la causa principale della guerra – a causa dell'"egemonia" della politica nazionalista sui popoli d'Europa. In questa miope visione del mondo, la politica delle masse aveva portato alla guerra. Quindi, per coloro che cercano di costruire una nuova pace in Europa dall'alto verso il basso, la democrazia popolare era parte del vecchio problema, non della soluzione. I fondatori dell'Ue volevano gestire le questioni europee isolandosi dalla pressione delle masse e degli Stati nazionali (“al riparo del processo elettorale”, come ebbe a dire Mario Monti, NdVdE).
Mettere la camicia di forza alla democrazia nell’Europa occidentale del dopoguerra significava creare sistemi dotati di elezioni formali e rappresentanti eletti, ma che allo stesso tempo avrebbero portato la politica democratica lontana dalle decisioni importanti.
I segnali furono chiari nel 1951, quando i leader delle sei nazioni fondatrici – Germania Occidentale, Francia, Italia, Olanda, Belgio e Lussemburgo –firmarono la famosa Dichiarazione Europea, che mise in atto la creazione della Comunità Europea e poi dell'Ue. Essa affermava che i firmatari "danno prova della loro determinazione a creare la prima istituzione 'sovranazionale' e che così gettano le vere fondamenta di un'Europa organizzata". Il prefisso 'sovra', dal latino supra, significa sopra, oltre o fuori portata. Le istituzioni "sovranazionali" dell'Ue appena nata, avrebbero operato oltre e al di sopra della politica nazionale e al di fuori della portata dei cittadini di ogni Stato nazionale.
Dagli anni '50 ad oggi, la chiara intenzione delle élite politiche europee è stata quella di creare una struttura sovranazionale unitaria al di sopra e al di là della portata dei parlamenti nazionali. Guardate alle principali istituzioni che operano nell'Ue, in un clima di segretezza e di silenzio pubblico, le cui camere sono tanto svuotate dall'aria della democrazia quanto dal fumo del tabacco.
Il nucleo dell'attività dell'Ue si svolge attraverso il COREPER – il Comitato dei Rappresentanti Permanenti – una riunione di alti funzionari nazionali che gestisce il 90 per cento della legislazione dell'Ue. I suoi procedimenti sono trattati come segreti di stato, i suoi documenti sono di solito classificati come "non cartacei", il che significa che non sono accessibili da parte della stampa o del pubblico nonostante le presunte norme di trasparenza dell'Ue.
Il COREPER, in genere a porte chiuse, fa il grosso del lavoro di preparazione per le riunioni del Consiglio dell'Ue, che riunisce i governi per concordare le leggi europee. Gran parte di queste è già stata decisa nelle centinaia di comitati e gruppi di lavoro del Consiglio, che operano tutti in segreto. La grande vetrina dell'Ue è la riunione regolare del Consiglio Europeo, solitamente descritta come un "vertice" dei leader europei. Non c'è traccia pubblica di ciò che vi viene detto, esistono solo foto per i media e un comunicato del vertice preparato dal COREPER. Questo documento, noto come Conclusioni del Consiglio, impegna i governi a quanto è stato concordato, indipendentemente da ciò che accade nei loro parlamenti nazionali o nelle elezioni che abbiano luogo tra successive riunioni.
Come ha detto Bruno Waterfield, corrispondente da Bruxelles che esamina come la segretezza dell'Ue bypassa la democrazia, "le conclusioni del Consiglio sono un patto tra i leader che cancella e sostituisce il rapporto tra gli elettori e i loro governi". Questo è un punto chiave. Alcuni potrebbero obiettare, dopo tutto, che il Consiglio Europeo sia un simbolo di democrazia rappresentativa, poiché riunisce capi di governo eletti. Ma quando questi sono a porte chiuse nel Consiglio europeo, cessano di essere rappresentanti di Stati nazionali responsabili nei confronti dei loro elettori e si trasformano in una nuova entità politica: gli Stati membri dell'Ue. Questi capi degli Stati membri traggono la loro autorità dall'appartenenza all’Unione e dal loro sedersi al tavolo di vertice. Sono membri di un club esclusivo da cui il pubblico votante è escluso.
Poi c'è la Commissione Europea (Ce), l'unico organismo che può proporre una legge. La Ce è un organismo non eletto, che ritiene di praticare quello che uno dei suoi ex presidenti ha chiamato "dispotismo benigno". Questo organo burocratico propone e gestisce migliaia di norme e regolamenti dell'Ue, consultandosi con un esercito di funzionari esperti che non riconoscerebbero un elettore neanche se ne urtassero uno a pranzo in un ristorante di Bruxelles.
Per lo storico Perry Anderson, "la trinità di Consiglio, COREPER e Commissione" crea "non solo un'assenza di democrazia", ma anche "un'attenuazione della politica di qualsiasi tipo, come normalmente intesa. L'effetto di questo asse è quello di cortocircuitare – soprattutto al livello critico del COREPER – le legislature nazionali che si confrontano continuamente con una massa di decisioni sulle quali mancano di qualsiasi supervisione". Le questioni principali che riguardano la politica interna, anziché essere considerate questioni politiche da discutere e decidere nei parlamenti nazionali, vengono trattate come questioni tecniche da risolvere e archiviare nei comitati dell'Ue e nei vertici diplomatici segreti.
Ma cosa c’è di non democratico nel Parlamento Europeo eletto? Beh, è un parlamento, Jacques, ma non del tipo classico. Non ha il potere legislativo – non ha alcun potere di proporre e approvare leggi. Non elegge un governo, come i parlamenti delle nazioni europee. Non ha nemmeno il potere di scegliere dove ritrovarsi, dato che fa il pendolo tra Bruxelles e Strasburgo per capriccio della Commissione. È uno specchietto democratico per le allodole piuttosto grigio, costoso e poco convincente per un sistema in cui il vero potere proviene da consigli, commissioni e comitati attraverso diktat burocratici e accordi diplomatici segreti.
Le tendenze antidemocratiche che sono sempre state intrinseche, sono diventate più esplicite dalla formazione dell'Unione europea, un quarto di secolo fa. Le élite dell'Ue dichiarano ora la loro contrarietà alle frontiere - "la peggiore invenzione mai fatta dai politici" secondo Jean-Claude Juncker. Naturalmente, non sono contrari ai confini intorno alla "Fortezza Europa", che hanno costruito e che difendono, spendendo grosse somme. I confini che odiano sono i confini nazionali all'interno dell'Europa, perché questi segnano gli Stati nazionali con governi sovrani e democratici. Juncker e i suoi amici non amano le frontiere non perché amano i migranti, ma perché disprezzano le democrazie nazionali.
Eppure, lo Stato nazionale – popolato da cittadini che chiedono conto ai governi delle loro azioni – rimane l'unica base per una democrazia funzionante che l'umanità abbia mai inventato. Qualsiasi idea di democrazia "europea" o addirittura di "democrazia globale" significa il suo contrario – sottrarre poteri ai cittadini per attribuirli a organismi sovranazionali come il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Commissione europea e le miriadi di organismi non governativi – che non rendono conto a nessuno - che appoggiano.
La regola dell'Ue che esige che gli Stati membri permettano la libertà di circolazione attraverso i loro confini, esemplifica il modo in cui gli eurocrati negano la democrazia, in nome della "libertà". Essa ha rimosso il diritto dei parlamenti nazionali di controllare democraticamente i loro confini. Il popolo di una nazione come la Gran Bretagna ha avuto un'immigrazione di massa imposta loro dall'alto, senza che mai essa fosse decisa nelle urne. Questo è stato uno dei motivi per cui molti di noi che non sono contrari all’immigrazione, e che magari hanno protestato a favore dei diritti dei migranti, hanno votato in favore della Brexit – per riprendere il controllo e consentire un dibattito democratico su questioni come l'immigrazione. Non è possibile un dibattito di questo tipo finché rimaniamo intrappolati nelle norme dell'Ue.
Il voto del 2016 rimane, ovviamente, la principale ragione democratica della Brexit. Anche se l'Unione europea fosse l'istituzione più responsabile al mondo, la democrazia richiederebbe ugualmente la nostra uscita dall’UE. Ma come hanno dimostrato gli ultimi tre anni, non c’è niente che faccia emergere gli istinti antidemocratici delle élite dell'Ue come le masse in rivolta che esprimono la loro volontà attraverso un referendum.
Non ci può essere una vera riforma democratica senza la Brexit. E non ci sarà una vera Brexit senza una rivolta democratica sostenuta contro l'establishment dei remainer del Regno Unito.
Mick Hume è un editorialista di spiked. Il suo ultimo libro, Ribelliamoci! Come l'establishment sta minando la democrazia – e ciò di cui ha paura, è pubblicato da William Collins.
14/09/19
La Commissione di Ursula von der Leyen è piena di indagati
di David M. Herszenhorn e Maia De La Baume, 12 settembre 2019
Jean-Claude Juncker definì il suo team la Commissione "Last Chance". Il suo successore, Ursula von der Leyen, potrebbe finire per guidare la Commissione “Presunzione di Innocenza".
Oltre al duro interrogatorio da parte dei membri del Parlamento europeo durante le audizioni di conferma, la Von der Leyen e alcuni dei suoi candidati saranno probabilmente messi sulla graticola nelle prossime settimane e mesi dagli investigatori e dalle commissioni parlamentari nell'ambito delle indagini – a Bruxelles o nei loro paesi d'origine – che in alcuni casi minacciano di far deragliare le loro candidature.
Martedì, mentre la Von der Leyen si stava preparando a presentare la sua lista di commissari in una conferenza stampa a Bruxelles, uno dei nomi più importanti della sua lista, Sylvie Goulard, ex ministro della difesa francese ed ex-parlamentare europeo, è stata convocata in una stazione di polizia a Nanterre, un sobborgo Ovest di Parigi, ed è stata interrogata riguardo all’accusa secondo cui lei e altri parlamentari europei francesi avrebbero impiegato assistenti pagati dall'UE che invece lavoravano per i loro partiti in Francia.
Goulard, un'alleata di lunga data del presidente Emmanuel Macron, si è dimessa da Ministro della difesa nel giugno 2017 per difendersi da un’accusa per la quale, secondo quanto riportato, avrebbe rimborsato al Parlamento 45.000 euro. La richiesta di sottoporla a interrogatorio in presenza del suo avvocato, proprio lo stesso giorno in cui il suo nome è stato proposto come commissario responsabile del mercato interno, a supervisionare quello che i leader considerano uno dei principali vantaggi dell'adesione all'Unione europea, rappresenta un esempio particolarmente lampante dei problemi legali che coinvolgono alcuni membri della squadra della Von der Leyen.
Ma la Goullard non è certo l’unica che si trova in cattive acque.
Rovana Plumb, commissaria per i trasporti in pectore, è un’ex ministra romena coinvolta in un caso di corruzione del 2017, nel quale è accusata di aver aiutato il leader del suo partito socialdemocratico in un affare immobiliare illecito che coinvolge la proprietà di un’isola nel Danubio.
E colui che è stato scelto come commissario per l’agricoltura, il polacco Janusz Wojciechowski, è sotto inchiesta da parte dell’ufficio UE per la lotta antifrode per presunte irregolarità nei rimborsi di spese di viaggio durante il suo mandato di eurodeputato, tra il 2004 e il 2014. Questa indagine, insieme al controllo delle accuse contro la Goulard da parte dell’agenzia UE antifrode OLAF, ha suscitato una delle domande più scomode al Presidente eletto durante la sua conferenza stampa di martedì.
"Nella sua squadra, ci sono un certo numero di commissari discutibili, un paio di loro sono sotto indagine o sotto osservazione dell'OLAF", ha domandato un giornalista. "Perché non ha semplicemente rinunciato a loro? La sua Commissione rischia di avere già un’immagine offuscata, dato che comprende persone sospettate di aver commesso frodi, nonostante la presunzione d’innocenza."
Nel porre la domanda, il giornalista ha fatto riferimento alla Commissione di Jacques Santer, che è stata costretta a dimettersi nel marzo 1999 per uno scandalo di corruzione incentrato sul commissario francese, l'ex Primo Ministro Edith Cresson. Non era certo il tipo di paragone che la Von der Leyen desiderava quando aveva annunciato la sua nuova squadra, anche se Plumb e Wojciechowski avevano negato ogni addebito.
"L’OLAF è un organismo indipendente ed è così che dovrebbe essere" ha detto la Von der Leyen. "La presunzione d’innocenza vale sempre per tutti, come lei ha giustamente sottolineato."
Questa presunzione è importante per la Von der Leyen a livello personale, dato che deve affrontare un terzo grado da parte del Parlamento tedesco per accuse di sperpero di denaro e cattiva gestione durante il suo mandato al Ministero della Difesa tedesco, che ha guidato per cinque anni e mezzo prima di essere scelta all'inizio di luglio come prima donna a capo della Commissione europea.
Una commissione d'indagine del Parlamento tedesco sta esaminando quanto fossero remunerativi i contratti che il Ministero della difesa ha assegnato a costosissimi consulenti esterni senza un'adeguata supervisione e se una rete di connessioni personali informali che coinvolge alcuni funzionari del ministero abbia facilitato tali accordi. La commissione prevede di citare la von der Leyen e di convocarla a Berlino per essere interrogata, probabilmente a dicembre.
Lo scandalo del Ministero della difesa era noto, ma non ha influenzato le designazioni dei leader nazionali dell'UE quando essi hanno deciso di proporre la Von der Leyen per la posizione di vertice dell'UE. Un funzionario dell'UE ha respinto il suggerimento che il Consiglio europeo avrebbe dovuto impegnarsi in un vaglio più approfondito dei candidati, affermando che era impossibile trovare qualcuno con una carriera in politica che non avesse affrontato qualche tipo di contestazioni o di accuse.
Alla conferenza stampa di martedì, la Von der Leyen ha cercato di utilizzare la benedizione da parte del Consiglio dei suoi candidati alla Commissione come prova del fatto che aveva assemblato una squadra solida, anche se ha ammesso che alla fine le indagini avrebbero fatto il loro corso.
"Infine lasciatemi dire che l'elenco dei commissari proposti è stato accettato dal Consiglio, cosa sempre necessaria", ha detto. "Penso che abbiamo una squadra eccellente di uomini e donne. Non voglio commentare le indagini dell'OLAF perché sono completamente indipendenti, concluderanno il loro lavoro e ascolteremo ciò che hanno da dire."
Tuttavia, alcuni eurodeputati hanno già emesso i loro verdetti sui candidati più controversi della Von der Leyen.
Dacian Ciolo, ex Primo Ministro rumeno e commissario UE per l'agricoltura, ora leader del gruppo liberale-centrista Renew Europe al Parlamento europeo, ha dichiarato di aver messo in guardia la Von der Leyen dall'accettare la candidatura della Plumb da parte di Bucarest. In un'intervista di mercoledì, Cioloș ha detto a POLITICO che avrebbe votato contro il candidato rumeno e avrebbe esortato i membri del suo gruppo a fare altrettanto.
"Conosco Rovana Plumb", ha detto Cioloș, opponendosi a chi suggeriva che avrebbe dovuto sostenerla per un senso di solidarietà nazionale. "Come posso essere sicuro che rappresenterà i valori europei?"
Rimane da capire effettivamente quante difficoltà i candidati della Von der Leyen dovranno affrontare sulla strada per la nomina. Ma alcuni addetti ai lavori del Parlamento prevedono un'aspra battaglia nella nuova e sempre più divisa assemblea, in quanto i deputati sono pronti a silurare i candidati dei gruppi politici rivali.
Della squadra della Von der Leyen, 10 sono socialdemocratici di centro-sinistra; nove provengono dal suo Partito Popolare Europeo di centro-destra; sei sono affiliati a Rinnovamento Europa, mentre uno, il candidato lituano, è nominalmente dei Verdi.
Altri dicono che i candidati in difficoltà potrebbero ottenere la conferma più facilmente del previsto - come parte di un accordo tra i gruppi politici di turarsi il naso e ottenere la nomina di tutti i candidati alla nuova Commissione.
Al momento, il primo scenario - di udienze per le nomine potenzialmente trasformate in una feroce rissa partigiana - sembra il più probabile.
Cioloș, per esempio, ha detto di aver accettato le spiegazioni sulle accuse della Goulard, che fa parte della sua famiglia politica, e che avrebbe appoggiato la sua nomina, perché in ultima analisi risulta chiaro che lei rispetta le regole dell'UE, come prova il suo rimborso dei fondi UE.
Ma l'importante eurodeputato francese Francois-Xavier Bellamy, dei conservatori del partito Repubblicano, ha affermato che le accuse sollevavano interrogativi sull'idoneità della Goulard all'ufficio, nonostante il suo lungo e completo curriculum negli affari UE.
"Credo che sia un cattivo segnale inviato ai nostri partner europei dare l'impressione che qualcuno che non è qualificato, o che non è abbastanza libero dal punto di vista legale per poter essere un ministro, possa assumersi la responsabilità di un incarico a livello di Commissione europea ", ha dichiarato.
Nel frattempo, Ismail Ertug, un eurodeputato tedesco di centro-sinistra, ha difeso Plumb, sua compagna socialista, e ha suggerito che alcuni conservatori stavano inventandosi false accuse contro di lei. "Dobbiamo chiarire che l'autorità rumena anticorruzione ha lasciato cadere le accuse", ha detto Ertug in un'intervista. "Questo deve essere preso in considerazione."
Comunque, Ertug ha affermato che tutte le accuse sarebbero state esaminate dal Parlamento. "Alla fin fine, saranno tutte esaminate", ha detto. "Siamo all'inizio del processo. Il momento decisivo sarà già la prossima settimana a Strasburgo."
La Von der Leyen, alla sua conferenza stampa di martedì, ha rifiutato di fare previsioni sul procedimento di conferma delle nomine, anche se ha riconosciuto che alcuni candidati affronteranno delle difficoltà.
"So che il processo delle audizioni al Parlamento europeo è molto importante e che ciascun commissario, ogni vicepresidente, dovrà essere convincente", ha affermato.
Lili Bayer, Janosch Delcker, Florian Eder, Rym Momtaz, Carmen Paun e Zosia Wanta hanno contribuito a questo articolo.
12/09/19
Yemen: si profila un'altra vergognosa sconfitta degli Stati Uniti
Di Finian Cunningam, 9 settembre 2019
La conferma ufficiale che l’amministrazione Trump sta intraprendendo colloqui discreti con i ribelli Houthi dello Yemen indica la presa di coscienza a Washington che il suo intervento militare nel paese arabo è un disastro irrecuperabile che richiede una via di fuga.
Ci sono anche rapporti secondo i quali l’amministrazione Trump sta esortando i governanti sauditi a prendere contatto con gli Houthis, noti anche come Ansarullah, per ricucire un qualche accordo di pace in modo da mettere fine a una guerra che dura ormai da oltre quattro anni. In breve, gli americani vogliono togliersi da questo pantano.
Un bel voltafaccia. La coalizione saudita, sostenuta dagli Usa, aveva finora giustificato la sua aggressione al più povero tra i paesi della regione araba, con il pretesto che i ribelli erano alleati iraniani. Ora pare che Washington ritenga i “terroristi” Houthi degni di sedersi al tavolo negoziale.
Questo avvenimento segue un trend comune a molte altre guerre straniere degli Stati Uniti. All’inizio, l’aggressione viene “giustificata” con rivendicazioni moralistiche, come combattere i “comunisti” o i “terroristi”, come avvenuto in Vietnam e in Afghanistan. Poi però Washington, dopo molti inutili massacri e devastazioni, contatta gli ex cattivi per “parlare” in modo da districare gli americani dal disastro da loro stessi creato.
I colloqui con gli Houthis sono stati confermati la scorsa settimana dall’assistente segretario degli Stati Uniti David Schenker durante una visita in Arabia Saudita.
“Siamo molto concentrati sul tentativo di mettere fine alla guerra in Yemen” ha detto Schenker”. “Stiamo anche dialogando per quanto possibile con gli Houthi per cercare di trovare una soluzione negoziale reciprocamente accettabile al conflitto”.
Per tutta risposta, l’alto funzionario Houthi Hamid Assem ha dichiarato: “Il fatto che gli Stati Uniti dicano che stanno parlando con noi è una grande vittoria per noi, e dimostra che abbiamo ragione”. Tuttavia, non ha confermato né negato l’esistenza delle negoziazioni.
Si può quasi ammirare la sfrontatezza del governo americano. Si noti come il diplomatico americano citi che “siamo concentrati sul porre fine alla guerra” e “una soluzione reciprocamente accettabile”.
Come se Washington fosse una specie di onesto intermediario, che prova a portare pace in un paese colpito da una violenza di origine misteriosa.
La guerra è iniziata nel marzo 2015 per mano dalla coalizione saudita, che include gli Emirati Arabi Uniti, appoggiata dagli Usa, senza che vi fosse alcuna provocazione da parte dello Yemen. Il casus belli è stato che gli Houthis, un gruppo ribelle principalmente sciita allineato all’Iran, avevano cacciato un dittatore corrotto sostenuto dall’Arabia Saudita alla fine del 2014. Quando questi è fuggito con la coda tra le gambe in esilio nella capitale saudita Riyadh, i Sauditi hanno lanciato la loro campagna di bombardamenti sullo Yemen.
La carneficina in Yemen negli ultimi quattro anni è stata una vera calamità per la popolazione di quasi 28 milioni di abitanti. Le Nazioni Unite stimano che quasi l’80% della nazione è a rischio per fame e malattie.
Un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato la scorsa settimana accusa esplicitamente gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia di essere responsabili di complicità nei massicci crimini di guerra a causa della loro instancabile fornitura di aerei da guerra, munizioni e supporto logistico agli aerei sauditi e degli Emirati Arabi che hanno bombardato indiscriminatamente civili e infrastrutture pubbliche. Inoltre il rapporto accusa gli Houthis di avere commesso atrocità. Potrà essere vero, ma la grande parte delle morti e distruzioni in Yemen è dovuta al supporto militare di Americani, Inglesi e Francesi alla coalizione guidata dai sauditi. Il numero di civili uccisi potrebbe aver raggiunto i 100.000 individui a causa dell’assalto sostenuto dai governi occidentali, mentre i media occidentali continuano a ripetere la cifra di “10.000”, che sembra magicamente non aumentare mai col passare degli anni.
Ci sono molti fattori che spingono l’amministrazione Trump a porre fine alla guerra in Yemen.
Le condizioni umanitarie infernali e la complicità in crimini di guerra non possono più essere nascosti dalle falsità di Washington sulla presunta lotta contro la “sovversione iraniana” dello Yemen. Il paese del sud della penisola arabica è un completo disastro di pubbliche relazioni per le pretese ufficiali americane di essere un leader mondiale di virtù democratica e di rispetto delle leggi.
Quando il Congresso Americano è unanime nel chiedere il divieto di vendita delle armi Usa all’Arabia Saudita a causa delle atrocità in Yemen, allora dovremmo sapere che la guerra delle pubbliche relazioni è stata persa. Il presidente Trump a inizio anno ha scavalcato il congresso per continuare ad armare i sauditi in Yemen. Ma perfino Trump deve essersi finalmente reso conto che la colpevolezza del suo governo per avere aiutato e favorito un genocidio non è più giustificabile, nemmeno per i più creduloni consumatori della propaganda americana.
Dopo quattro anni di implacabili attacchi aerei, che sono diventati finanziariamente rovinosi per la monarchia saudita e per il suo prezioso Principe Incoronato Mahammed bin Salman, che ha ideato la guerra, gli Houthis hanno ancora il controllo della capitale Sanaa e di ampie porzioni del paese. I barbari bombardamenti e l’assedio per affamare lo Yemen non hanno spodestato i ribelli.
Non solo, ma gli Houthis hanno cominciato a portare il conflitto nel cuore dell’Arabia Saudita. Nell’ultimo anno, i ribelli hanno compiuto attacchi a lungo raggio sempre più sofisticati con droni e missili balistici contro le basi militari saudite e la capitale Riyadh. Non è chiaro da dove gli Houthi prendano le loro armi più letali. Forse dai libanesi di Hezbollah, o dall’Iran. In ogni caso, anche se questa fornitura fosse confermata, si potrebbe sostenere che sia un sostegno legittimo a un paese alle prese con un’aggressione.
Indubbiamente il fatto che gli Houthis colpiscano in pieno territorio saudita ha stimolato nei viziati monarchi di Riyadh una seria pausa di riflessione.
Quando gli Emirati – l’altro principale partner della coalizione – un mese fa hanno annunciato il ridimensionamento del loro coinvolgimento nello Yemen, la cosa deve aver suggerito a Washington e Riyadh che la guerra era davvero inutile.
La sconfitta è complicata ulteriormente da un conflitto aperto che si è scatenato nelle ultime settimane tra militanti sponsorizzati dai sauditi da una parte e dagli Emirati dall’altra, nella città portuale del sud di Aden. Esistono rapporti di aerei da guerra degli Emirati che hanno attaccato militanti sostenuti dai sauditi e forze accumulate dai sauditi. Tra Riyadh e Abu Dhabi è scoppiata una guerra di parole. C’è la concreta possibilità che tra le fazioni rivali possa scoppiare una guerra per procura tra l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, presunti alleati di coalizione.
Senza dubbio Washington ha preso nota dell’inarrestabile disastro in Yemen e di come la sua posizione sia indifendibile e insostenibile.
Come in molte altre oscene guerre americane degli ultimi decenni, Washington deve affrontare un’altra ignominiosa sconfitta in Yemen. Quando gli Usa iniziano a parlare di “mettere fine alla guerra” cercando di far passare l’iniziativa come preoccupazione per la “pace reciproca”, allora sai che il gioco sporco è finalmente finito.
10/09/19
BBC - Intervista a Carola Rackete
07/09/19
La Brexit si è trasformata in atti di vandalismo istituzionale
Di Tom Luongo, 4 settembre 2019
Alcuni uomini vogliono solo vedere il mondo bruciare.
–Il Cavaliere Oscuro
La Brexit ha distrutto la politica britannica. Era questo l’obiettivo della strategia di non-negoziazione della UE. Ed ha avuto un grande successo.
Bisogna capire che la mentalità della Gente di Davos e dei loro Quisling (il collaborazionista norvegese di Hitler NdVdE) sparsi per l’Europa è che la UE è inevitabile. L’UE è il futuro e niente che il popolo possa dire o volere cambierà questo destino. E faranno di tutto per arrivarci.
Mentre guardavo altre due ore di quel patetico virtue signaling e disperazione stridente che vanno sotto il nome di “parlamento inglese”, sono arrivato all’unica conclusione a cui può giungere una persona razionale.
La coalizione del remain nel parlamento del Regno Unito è diventata una banda di vandali.
Distruggerebbero tutto: il loro governo, le tradizioni e tutto quello che sanno essere vero fuori dalle stanze di Westminster per assicurarsi che i sogni dei loro padroni diventino realtà.
Il fatto che abbiano presentato un disegno di legge che concede alla Commissione Europea un controllo assoluto sui futuri negoziati con la UE è alto tradimento. Punto e basta.
Il fatto che poi vogliano mettersi al riparo da un’elezione generale, che sanno che avrebbe ribaltato il loro colpo di stato, è un atto di vandalismo.
È il culmine dell’arroganza da parte di persone che inizialmente hanno calpestato i manifesti dei partiti che chiedevano la Brexit, e poi hanno chiesto un “voto del popolo” per fermarla, per mascherarsi e utilizzare le loro ultime briciole di potere per negare a quelle stesse persone l’opportunità di cambiare la loro rappresentanza politica per paura della Brexit.
È qui che il fanatico oltrepassa la linea dell’ideologo. Quel momento in cui devi decidere di soggiogare milioni di persone a causa delle tue paure, delle tue idee, della tua volontà, perché tu sì che sei competente.
E farlo mentre si sostiene di essere dei campioni della democrazia dimostra soltanto quanto sia manipolabile la lingua inglese.
Le persone che hanno passato il segno e votato per impedire a Boris Johnson di attuare la Brexit il 31 di ottobre sono state espulse, come i vandali che si sono dimostrati. Sono persone che hanno cercato in origine di legare il Regno Unito a un Trattato di Ritiro peggiore dell’adesione alla UE come punizione del popolo per avere votato a favore della Brexit nel 2016.
Sono persone come Dominic Grieve, Micheal Gove, Ken Clarke e Phillip Hammond. A prescindere da quello che dicono in pubblico, non hanno mai creduto nella Brexit, non la vogliono e non vogliono vederla attuata.
Ora, se non otterranno quello che vogliono, daranno fuoco al parlamento e a tutto quello che dovrebbe rappresentare.
Perché niente di quello che ha fatto Boris Johnson come Primo Ministro giustifica il tradirlo in questo modo, a meno che la loro fedeltà vada alla UE prima e alla Gran Bretagna solo dopo.
Questa è la definizione stessa di vandalo. Queste persone sono piene di invidia e rancore. Odiano avere perso il referendum. Odiano doverlo attuare. Odiano soprattutto il popolo, per averli messi in questa posizione.
E le loro minacce non sono altro che dichiarazioni di fedeltà, prima di tutto alla UE e solo dopo a tutto il resto.
Perché se la loro fedeltà fosse stata anzitutto al Regno Unito, avrebbero votato per le elezioni. Avrebbero dato fiducia al popolo, perché prendesse la decisione giusta. Ma non lo faranno.
Questi Tory ribelli sanno che Boris Johnson e Nigel Farage tornerebbero da trionfatori a Westminster dopo le elezioni e manderebbero in porto la Brexit alle condizioni dell'Inghilterra, senza pensarci due volte.
I Labours sanno che potrebbero ritrovarsi talmente lontani dal potere da non potersi più riprendere.
Sanno che ormai la gente li odia. Sanno di essere in minoranza. Sanno che il potere sta loro sfuggendo dalle mani.
E quindi il vandalismo continua. La spietata lotta di potere continua. Il popolo viene ignorato. Ma non può durare a lungo.
Perché il vandalismo genera vandalismo. La violenza genera violenza. E non confondetevi, questi atti in Parlamento, volti a frustrare la volontà del popolo sono violenza. Quello che succederà dopo, se queste persone avranno successo nel fermare la Brexit, non sarà trasmesso in televisione.
Ecco cos’è il governo, al suo centro. La nuda, sfrenata forza, brandita come un bastone senza rimorso sulle persone che dovrebbe servire.
George Orwell, una persona che sapeva un paio di cose riguardo alla capacità di tirannia britannica, ha scritto questa frase famosa:
Se vuoi un’immagine del futuro, immagina uno stivale che schiaccia un volto umano – per sempre.
Futuro? Scusa George, quel futuro è il presente, e il presente è il prologo.
06/09/19
La Globalizzazione ha raggiunto il suo picco
di Raul Ilargi Meijer, 26 agosto 2019
Venerdì, a Jackson Hole, il governatore uscente della Banca d'Inghilterra Mark Carney ha parlato di una Moneta Egemonica Sintetica (SHC) che il mondo 'deve' creare, e ho pensato: sembra più inquietante di Halloween. Ora, sappiamo che Carney è un banchiere centrale e un ex partner della Grande Piovra (Giant Squid), quindi un autentico cultista, ma comunque...
Ha anche menzionato Libra, la “moneta” di Facebook, come una sorta di esempio di moneta che dovrebbe sostituire il dollaro USA a livello internazionale. E questa sostituzione sarebbe necessaria perché i paesi stanno accumulando dollari. E/o "proteggendosi accumulando enormi quantità di titoli obbligazionari denominati in dollari". Una qualsiasi delle due, immagino?!
Ho letto diversi commenti sul discorso di Carney, ma da quanto ho visto tutti ignorano un aspetto: l’attuale forma e struttura della globalizzazione. Vedete, Carney può vedere solo una cosa: più centralizzazione, più cose che si muovono nella stessa direzione. Ricordate, è l'uomo che con Michael Bloomberg nel 2016 ha scritto "Come trarre profitto dalla lotta ai cambiamenti climatici". Ossia, vale la pena fare qualcosa solo se ti rende più ricco.
È uno stato d'animo che funziona bene quando sei all'interno di un sistema e di una organizzazione monolitica, quando sei un banchiere centrale o lavori per una grande banca. Ma niente indica che sia uno stato d'animo utile quando il sistema in cui sei deve subire cambiamenti. Ciò è vero sia per i cambiamenti climatici sia per cambiare l'intera economia globale. Carney ha i paraocchi.
Il mondo deve porre fine alla rischiosa dipendenza dal dollaro USA: Carney (BoE)
"Carney [..] ha affermato che i problemi del sistema finanziario incoraggiavano politiche protezionistiche e populiste. [..] Carney ha detto che tassi di interesse di equilibrio molto bassi in passato hanno coinciso con guerre, crisi finanziarie e bruschi cambiamenti nel sistema bancario. Come primo passo per riordinare il sistema finanziario mondiale, i paesi potrebbero triplicare le risorse del FMI a 3 mila miliardi di dollari anziché proteggersi accumulando enormi quantità di debito denominato in dollari."
In altre parole, per riformare il sistema finanziario mondiale, è necessario mettere un sacco di soldi in un fondo che è servito (senza successo) a sostenere il vecchio sistema. Seriamente?
"Anche se tali sforzi concertati possono migliorare il funzionamento dell'attuale sistema, in ultima analisi, un'economia globale multipolare richiede un nuovo SMFI (sistema monetario e finanziario internazionale) per realizzare il suo pieno potenziale", ha detto Carney. Lo yuan cinese sarebbe il candidato più probabile a diventare una valuta di riserva pari al dollaro, ma avrebbe ancora molta strada da fare per essere pronto. La soluzione migliore sarebbe un sistema finanziario multipolare diversificato, che potrebbe essere fornito dalla tecnologia, ha detto Carney.
Non c'è dubbio che l'attuale sistema è un po’ squilibrato, e che il ruolo del dollaro nel sistema finanziario è sproporzionato rispetto alla quota dell'America nel commercio globale. Ma lo yuan è del tutto inadatto come valuta di riserva perché non è scambiato liberamente. E il fatto che ”la tecnologia" potrebbe "fornire un sistema finanziario multipolare diversificato" (definizione impegnativa) è molto dubbio. Forse è vero in teoria, ma le affermazioni di Carney non riguardano -più- solo la teoria.
Libra di Facebook rappresenta la valuta digitale più di alto profilo che sia stata proposta fino ad oggi, ma ha dovuto affrontare una serie di questioni fondamentali che devono ancora essere risolte. "Di conseguenza, è una questione aperta se sarebbe preferibile una nuova moneta egemonica sintetica (SHC) fornita dal settore pubblico, magari attraverso una rete di valute digitali delle banche centrali", ha detto Carney.
La questione fondamentale di Libra sembrerebbe essere il fatto che… non esiste. Poi ci sono tutta una serie di altre questioni, come il motivo per cui Facebook e i suoi partner dovrebbero svolgere un qualsiasi ruolo nella finanza. Perché si tratta di imprese così benevole che si concentrano sulla tutela della nostra privacy? Perché Carney la presenti come una potenziale "soluzione" è molto poco chiaro, a parte il fatto che Libra è un’idea popolare all’interno degli ambienti chiusi che lui frequenta.
Sono ancora diffidente nei confronti delle cripto-valute, troppe cose ancora non funzionano, troppi furti, ci sono troppe cose a riguardo che troppe persone non capiscono. Ma sceglierei sempre i Bitcoin piuttosto che la "rete di valute digitali della banca centrale" di Carney. Perché questa "moneta egemonica sintetica" in tutta la sua infamia è un orrore.
Carney e la sua cerchia di banchieri vogliono il controllo, questo l'abbiamo capito. Ma questo non significa che vogliamo che lo abbiano. Guardate il sistema attuale, che hanno creato loro, e il cui fallimento richiede la creazione di un altro sistema. E adesso vogliono controllare anche il nuovo?
Ma questo è ancora una piccola parte dello spettacolo. Penso che Carney non abbia solo i paraocchi, è semplicemente in ritardo. La globalizzazione, per cui le sue proposte sarebbero utili, ha già superato il suo picco. Magari lui non riesce a vedere oltre, ma noi dovremmo farlo.
La globalizzazione è un processo, è qualcosa che si muove, non può stare ferma. E ora che ha raggiunto in pieno la Cina, non c'è nessun altro posto dove andare. Certo, ci sono alcuni paesi più piccoli che potrebbero essere disposti a produrre a prezzi ancora più bassi, come il Vietnam o la Cambogia, ma non potrebbero mai farlo sulla stessa scala della Cina.
Lo stesso vale per l'Africa. Trasferire in Africa l'intera capacità produttiva che già a partire da 20-30 anni fa è stata trasferita dall'Occidente alla Cina, sarebbe un incubo logistico che nessuno considererebbe seriamente, e così siamo a un punto morto. La globalizzazione non può più muoversi, perché non ha nessun posto dove andare. Il mondo è completamente globalizzato, come non mai. Ma la globalizzazione è un processo.
Forse in modo controintuitivo, l'unica cosa che può davvero fare è ritirarsi. Per una serie di motivi diversi, penso che sia esattamente quello che accadrà. E non credo che sia poi così male. Trump sta già preparando parte di questo processo con la sua guerra dei dazi. Ma può, e sono abbastanza sicuro che lo farà, andare molto oltre.
Se la globalizzazione significa solo, ed è limitata soltanto al trasferimento della produzione dagli Stati Uniti e dall'Europa alla Cina, e questo è proprio ciò che sembra, lo svantaggio per i primi è dolorosamente evidente. Così come è evidente lo svantaggio per il pianeta.
Può avere senso produrre prodotti di fascia alta, come ad esempio l'elettronica complessa, in un unico posto al mondo. Ma perché mai la Cina dovrebbe produrre la nostra biancheria intima? Certo, possono farlo a costi minori, ma l'effetto principale è uccidere i nostri posti di lavoro. La narrazione a riguardo negli ultimi decenni è stata che stavamo costruendo una "economia della conoscenza" o un'"economia dei servizi", ma si tratta di un sacco di cazzate.
Non solo ora dipendiamo dalla Cina per fabbricare le nostre mutande, ma tutte quelle mutandine e pantaloncini e camicie devono essere trasportati da una parte all'altra del pianeta da navi portacontainer alimentate da combustibili fossili. Mentre potremmo produrli proprio dove viviamo, pagare ai lavoratori un salario decoroso per fabbricarli e contemporaneamente ridurre l'inquinamento. Non è una scelta difficile, anche se i vostri boxer costerebbero un dollaro in più.
E a prescindere dal fatto che vi preoccupiate o meno del pianeta, del clima e dell'estinzione delle specie, ora abbastanza persone se ne preoccupano e questo diventa un fattore sempre più determinante nel processo decisionale su questi argomenti. E c'è dell'altro. Henry Ford lo aveva capito: perché la tua attività abbia successo, i lavoratori devono essere pagati abbastanza per permettersi i tuoi prodotti. L'intera "globalizzazione" verso i paesi con salari più bassi non solo ha abbassato i prezzi negli Stati Uniti e in Europa, ma anche i salari.
E questo a sua volta ha aperto la strada a una maggiore retribuzione per i dirigenti, a prezzi delle azioni e dividendi sempre più elevati, ecc., in altre parole a una maggiore disuguaglianza. Pochissimi capiscono i meccanismi che conducono a questo, ma sempre più persone lo capiranno, e dovranno capirlo, con il loro salario che si abbassa a livello cinese.
Ad ogni modo, i grandi piani Sintetici Egemonici di Mark Carney sono "troppo poco e troppo tardi". Non che questo gli impedirà di blaterare a riguardo - dopo tutto, lui rappresenta le classi dominanti, che stanno molto bene e vorrebbe stare ancora meglio. Ma anche lui, e loro, non possono negare che la globalizzazione è come uno squalo, che quando non può più muoversi muore. Potremmo farne il titolo di un film horror: La Globalizzazione non dorme mai...
E Trump gioca il suo ruolo meravigliosamente. Non che sia il più intelligente di tutti, tutt'altro, ma riconosce che la globalizzazione fa del male all'America. E che la Cina, non molto tempo fa un paese del terzo mondo, ora è forse la più grande economia del mondo e dovrà essere assoggettata a regole e controlli completamente diversi rispetto, diciamo, al 1980.
La Cina deve aprire la propria economia ai prodotti statunitensi e dell'UE, altrimenti questi devono chiudere la propria a ciò che la Cina produce. A questo serve la guerra commerciale, e/o la guerra valutaria, l'intero pacchetto. E forse c’era bisogno di un elefante come Trump, ma questo non è importante. L'intera economia mondiale ha raggiunto i limiti della sua spregiudicatezza e lo squilibrio deve essere aggiustato. Roba semplice.
Ho usato come esempio la biancheria intima, ma sappiamo tutti - o potremmo saperlo - quanto di ciò che acquistiamo ogni giorno proviene dalla Cina. Be’, anche questo, come la globalizzazione, e a causa della globalizzazione, ha raggiunto il suo apice. Fabbricheremo di nuovo le nostre mutande. È una brutta cosa? In che modo? Henry Ford avrebbe capito che non lo è, anche se sarebbe stato il primo a spostare le sue linee di produzione a Shenzhen, se avesse potuto.
Ford comprese il legame tra prezzi e salari, ma tale conoscenza sembra essere scomparsa. Tranne forse in Cina, ma il loro modello si basa esclusivamente sulle esportazioni e nemmeno questo può durare. Ford cercò di vendere le sue auto ai suoi lavoratori. Che è proprio l'esatto opposto di quello che le élite finanziarie di oggi stanno cercando di fare, ed è il motivo per cui Carney vuole – tardivamente - una moneta egemonica sintetica.
Vedete il punto? Prevedo che Carney e il suo entourage proporranno presto una moneta mondiale basata sul cloud, 'garantita' da -probabilmente- i diritti speciali del FMI (SDR), ma questo è del tutto inadatto al ruolo che hanno in mente.
Perché non c’è bisogno di una moneta del genere per pagare la biancheria intima prodotta dai tuoi vicini che abitano in fondo alla strada. Ce n’è bisogno solo per la biancheria intima che viene dalla Cina.