30/04/17

ZH: L'"Economia degli Algoritmi" e il Nuovo Feudalesimo

Secondo il futurologo Thaddeus Howze, i social media e la comunicazione digitale stanno rendendo sempre più invasive, onnipresenti e invisibili le tecniche pubblicitarie e di marketing; le stesse applicazioni tecnologiche, alla base di quella che Howze chiama "Economia degli Algoritmi",  porteranno ad un nuovo feudalesimo, in cui una piccolissima élite straordinariamente ricca stabilirà e controllerà attraverso regole apparentemente oggettive ed efficienti il destino di una forza lavoro impoverita e senza opportunità economiche, al pari di nuovi servi della gleba. Howze prende in esame in particolare la società Uber,  considerata l'alfiere di un nuovo modo di fare impresa, in cui la forza lavoro free-lance è sottoposta a un'organizzazione e anche a una remunerazione secondo regole stabilite da  algoritmi, programmi informatici che mirano a massimizzare il profitto delle aziende prevedendo e regolando il comportamento umano.  Nella sua visione distopica,  questa modalità di nuovo feudalesimo  è destinata ad allargarsi a tutti i settori dell'economia.  Da ZeroHedge.

 

di Thaddeus Howze, 25 aprile 2017

Ai fini di questo articolo, i modelli economici feudali implicano l'idea che un piccolissimo segmento della società sia straordinariamente ricco, mentre la maggior parte della popolazione lavora sodo, ha poche possibilità di scelta del lavoro che fa, e tende ad essere retribuita male per i propri sforzi.

feu · da · le · si · mo: sostantivo, storico
Sistema sociale dominante nell'Europa medievale, in cui la nobiltà deteneva il possesso delle terre della Corona in cambio del servizio militare, e i vassalli a loro volta erano i fittavoli dei nobili, mentre i contadini (servi della gleba o servi) erano obbligati a vivere nella terra del loro signore e a  versargli tributi, lavoro, e una quota del proprio prodotto, teoricamente in cambio di protezione militare.

Benvenuti dell'Economia degli Algoritmi, un futuro in cui si usano le macchine per determinare quanto potete essere efficienti e quanto poco potete essere pagati.

Non ci sono sindacati in questa economia. Non ci sono capi con cui lamentarsi. Non ci sono persone alle quali potete chiedere un risarcimento. Perché in questa economia, le persone che lavorano sono considerate la parte meno importante del meccanismo ed è meglio se non comunicano mai con altre persone, se possibile.

Sembra un romanzo di fantascienza tenebroso e distopico, ma è probabile che vi stia succedendo, proprio ora. Se non è così, a meno che siate molto fortunati, lo diventerà presto. Nella mia storia di fantascienza descrivo il prossimo futuro. Spesso questo tipo di storie sono le più impopolari, perché dipingono la tecnologia sotto una luce tutt'altro che perfetta.

In un mondo con un disperato bisogno di immagini positive, un certo numero di scrittori di fantascienza famosi, come David Brin, raccomanda agli scrittori di creare storie più positive, benefiche e orientate all'utopia, nelle quali le persone vedano il futuro come qualcosa da attendere con impazienza, piuttosto che promuovere le distopie,   più popolari e sicuramente più facili da scrivere.

Ho ascoltato David Brin e so che c'è bisogno di fare quanto dice, ma avendo una vasta esperienza nella tecnologia dei computer, mi sento ancora in dovere di sottolineare quanto sia potente la tecnologia e quali effetti può avere sulla nostra società, ora e nel prossimo futuro.

In "Dark Harvest" [Oscuro Raccolto, ndt] sottolineo come in futuro il traffico di esseri umani diventerà sempre più in grado di fornire "schiavi all'ordine", utilizzando le abitudini sui social media per raccogliere informazioni sugli utenti e prevedere il loro comportamento e le loro inclinazioni. Tecnologie del genere, che vedo promosse da aziende come Facebook, Instagram, e adesso Match.com, stanno rendendo ancora più facile trovare, isolare ed estrarre dati dalla vita delle persone, senza preavviso e senza scampo.

In "We Now Return You to Our Scheduled Advertising" [Torniamo ora alla nostra pubblicità programmata, ndt] presento un mondo invaso dalla tecnologia "push", che viene usata per assicurarsi che i potenziali clienti non possano interrompere l'ascolto  della pubblicità.

Nel nostro mondo attuale, la pubblicità televisiva sta diminuendo a causa della potenza della tecnologia dei videoregistratori digitali. Di conseguenza, gli smartphone (che sono più difficili da proteggere) stanno diventando un mezzo per costringere gli utenti ad accettare pubblicità non volute e vederne il contenuto.

Le aziende stanno anche imparando come violare gli smartphone per inviare contenuti che non avete richiesto, costringendo il vostro browser ad accettare i cookie  e indirizzandovi della pubblicità specifica basata sulle vostre ricerche in internet. I negozi, installando il giusto software, possono mandare informazioni direttamente sul vostro telefono al fine di influenzare le vostre decisioni d'acquisto.

Quanto tempo passerà prima che questa tecnologia divenga parte di un'esperienza di acquisto alla quale non ci si può sottrarre? Recentemente è diventato possibile mandare un annuncio pubblicitario su altoparlanti in postazioni remote utilizzando questi programmi. Anche se questa tecnica è stata immediatamente sconfessata, questo non ha impedito a qualcuno di scoprire che era possibile farlo.

Con le leggi che sono state introdotte recentemente, sarà possibile estrarre i vostri dati da un provider di servizi Internet e creare profili che consentono agli inserzionisti di inviarvi direttamente informazioni, dovunque vi troviate.
Questa settimana, la Camera dei Rappresentanti ha votato a favore di una risoluzione, già approvata dal Senato,  che abolisce la regolamentazione dell'era-Obama che vietava ai provider di servizi Internet di vendere la vostra cronologia di navigazione web agli inserzionisti. Quale possibile motivo potrebbe avere il Congresso per abrogare una politica così favorevole ai consumatori? Il ritornello alla Camera ieri era "coerenza". 

"Quello di cui l'America ha bisogno è di uno standard unico per tutto l'ecosistema Internet", ha dichiarato il deputato Greg Walden. Se servizi come Google e Facebook possono trasformare questi dati in profitto, la logica ci porta a chiedere: perché non possono farlo le società via cavo?

Ma la risoluzione della Camera in realtà non adotta un unico standard coerente per internet. Mantiene lo status quo,  in cui i fornitori di servizi Internet non siano effettivamente in svantaggio rispetto ai siti web e alle applicazioni. Se non altro, sono tutti  mantenuti ad un livello più basso. (Wired.com)

Ho scritto anche sulla natura della tecnologia in un formato non-narrativo, in cui discuto sul futuro dell'occupazione, le opportunità di lavoro e l'eventuale necessità di un qualche tipo di sussidio per compensare la mancanza di opportunità d'impiego in futuro, in un saggio intitolato “Humans Need Not Apply.”  [Gli esseri umani non sono tenuti a far domanda d'impiego, ndt].

* * *

In questo saggio, presento quella che io definisco l' "Economia degli Algoritmi", anche se spesso è chiamata dagli economisti o da esperti del settore "Sharing Economy"  o "Economia On-Demand".

Preferisco "Economia degli Algoritmi", perché parla degli insidiosi effetti di decisioni prese da aziende e organizzazioni, che non comprendono solo l'automazione delle fabbriche, ma anche lo sviluppo di app e programmi che usano algoritmi per dirigere, controllare e gestire il comportamento umano.

Mentre i programmatori che utilizzano il Design Thinking usano i computer per mappare, monitorare e controllare le attività umane, sta diventando sempre più diffuso l'uso dei computer per indirizzare i comportamenti umani tramite una serie di algoritmi (comportamenti e scelte programmate fatte dai programmatori per sollecitare la risposta desiderata dagli esseri umani o dai loro programmi) al fine di arricchire le aziende che utilizzano tale tecnologia, come ad esempio Lyft, Uber, TaskRabbit e molte altre imprese "On Demand".

La persistenza e il supporto economico di queste società hanno creato delle compagnie il cui valore sembra di gran lunga superiore ai benefit che queste imprese forniscono ai propri lavoratori. La società viene percepita come un'impresa dal valore eccezionale, che avvantaggia gli investitori, pregiudica le aziende o i servizi già esistenti, spesso molto sfavorevolmente, e arricchisce solo quelli che stanno ai vertici della forza lavoro, di solito dirigenti e sviluppatori senior.

In Uber, ad esempio, a seconda della città, i conducenti, che sono in sostanza il grosso della forza lavoro dell'azienda, possono guadagnare appena 9-11$ l'ora come unico compenso per il loro lavoro per la società. Anche se le pubblicità promettono loro più di 30$ l'ora, le tariffe variano notevolmente a seconda del numero di conducenti, dell'ora del giorno, della quantità di chiamate e dell'ottimizzazione degli algoritmi progettati per ridurre il tempo di attesa per i clienti e per fornire ai clienti delle riduzioni nei costi di trasporto a chilometro.

Nessuna di queste riduzioni, tuttavia, aumenta la quantità di denaro guadagnata dai conducenti e fino a poco tempo fa i passeggeri non potevano nemmeno usare l'app Uber per lasciare delle mance, perché Uber aveva deciso che i suoi conducenti erano pagati abbastanza bene da non richiedere una mancia.

In effetti, uno dei programmi per passeggeri di maggior successo di Uber, Uber-Pool, riduce la capacità di guadagno dei conducenti ad almeno un terzo, poiché taglia il costo dei viaggi lunghi ad un terzo del loro valore, nella prospettiva che il conducente potrà recuperare questi costi trasportando più passeggeri contemporaneamente.

Al ricevimento di un cliente Uber-Pool, il conducente è tenuto a mettere in preventivo che in qualsiasi momento il viaggio può essere interrotto dalla chiamata di un altro passeggero. Sono quindi tenuti a recarsi in questa nuova località, prendere il prossimo passeggero, rassicurare il primo passeggero che non subirà nessun grave ritardo, e ritornare sulla sua strada portando a destinazione i due (o tre) clienti in ordine di vicinanza.

Purtroppo, questa eventualità di trasportare più passeggeri accade raramente, in sostanza, riducendo il costo dei viaggi lunghi ad un terzo del loro valore dato che la condivisione del percorso si verifica molto meno spesso di quanto Uber sia disposta ad ammettere. Un viaggio da 20$ diventa un viaggio da 7$, che si riducono a 5,25$ dopo che Uber si è presa la sua parte.


Aggiungendo al danno la beffa, Uber non tratta i propri conducenti come dipendenti, quindi non vengono compensati per l'utilizzo dei loro veicoli, le riparazioni, l'usura, la benzina, l'assistenza sanitaria, o per qualsiasi altro obbligo che normalmente le aziende hanno verso i propri dipendenti.

Invece, i conducenti devono sostenere la totalità delle spese della loro "opportunità economica", girando ad Uber più di un quarto di quello che guadagnano in ogni transazione.

Se Uber fosse onesta, dovrebbe dire apertamente ai conducenti che, nella maggior parte dei casi, essi perdono più soldi di quanti ne guadagnano (a causa dei costi sostenuti per la guida e il funzionamento del veicolo), a seconda di come sono strutturati gli algoritmi nelle località dove stanno lavorando. Ho il sospetto che la colpa non sia solo di Uber.  Ho il sospetto che tutto il futuro della forza lavoro stia andando in questa direzione.

Sempre più lavoratori, come mai prima d'ora, stanno facendo lavoro part-time, lavoro a chiamata, lavoro non programmato, senza assistenza sanitaria significativa, congedo per malattia o ferie pagate. Le società sono cresciute al punto che non sono in grado di tagliare ulteriormente i loro costi operativi e continuano a pagare livelli di redditività incredibili agli investitori e ai dirigenti, risparmiando sull'unico elemento rimasto nella gestione di un'impresa: la forza lavoro.

Piuttosto che ristrutturare gli stipendi o le aspettative degli investitori, questi programmi decisionali continueranno a impoverire i lavoratori, utilizzando la gamification per allungare gli orari di lavoro e ridurre le retribuzioni e le possibilità di stili di vita sani.

Riporta il New York Times:
Il misterioso gigante del trasporto a chiamata Uber raramente discute in pubblico i problemi interni. Ma nel mese di marzo, dovendo affrontare una crisi su molteplici fronti, degli alti funzionari hanno convocato una conferenza stampa, insistendo sul fatto che Uber sta cambiando la propria cultura e che non avrebbe più tollerato gli "i geniali idioti". [l'originale brilliant jerks nel gergo aziendale indica persone straordinariamente talentuose nel proprio campo, solitamente programmatori, ma del tutto carenti in abilità sociali e comunicative, ndt] 

In particolare, la società ha anche annunciato che avrebbe risolto i suoi problemi coi conducenti, che da anni si lamentano per le retribuzioni in calo e il trattamento arbitrario.

"Abbiamo investito poco nell'esperienza del conducente", ha dichiarato un funzionario anziano. "Stiamo ora riesaminando tutto il nostro operato al fine di ricostruire quell'armonia".

Eppure, anche se Uber parla della sua determinazione a trattare i conducenti in modo più umano, la società è impegnata in uno straordinario esperimento di scienza comportamentale dietro le quinte, per manipolarli al fine di favorire la sua crescita aziendale.  Un impegno le cui dimensioni sono diventate evidenti nelle interviste fatte a diverse dozzine di funzionari di Uber, attuali e passati,  a conducenti e scienziati sociali, nonché a una rivista  di ricerca comportamentale.

Le innovazioni di Uber riflettono le nuove modalità con le quali le aziende stanno gestendo i lavoratori nell'ascesa della "gig economy"  (il cosiddetto "capolarato digitale", ndt) basata sui free-lance. I suoi conducenti sono imprenditori ufficialmente indipendenti anziché lavoratori dipendenti tradizionali, con orari prestabiliti. Ciò consente a Uber di ridurre al minimo i costi del lavoro, ma significa che non può costringere i conducenti a presentarsi in un luogo e all'ora stabilita. E questa mancanza di controllo può può portare il caos in un servizio il cui obiettivo è trasportare senza problemi i passeggeri, quando e dove vogliono.

L'Economia degli Algoritmi non è solo destinata a rimanere in società dirompenti come quelle della forza lavoro "su richiesta", ma si farà strada anche nel resto della forza lavoro, sottraendo lentamente e in modo insidioso il tempo e le opportunità di crescita, limitando i costi con la riduzione delle gratifiche eccetto che per l'elite, in modo da creare la seconda età feudale.

Il loro obiettivo è quello di creare una forza lavoro vincolata al sistema per mezzo del debito, obbligata ad accettare qualsiasi possibile lavoro pur essendo pagata per quel lavoro il meno possibile, ove la creazione di una forza lavoro schiavizzata non è solo una conseguenza, ma un risultato atteso, che mantiene la società indebolita e incapace di creare opportunità di ulteriore sviluppo.

Da allora tutta la nuova creatività è tenuta in ostaggio nelle mani di investitori insensibili che promuovono lo sviluppo nel mondo degli affari di leader bianchi, escludendo qualsiasi altra forma di creatività. Il settantacinque per cento di tutti i dollari investiti sono nelle mani degli uomini bianchi. Nell'industria tecnologica, la maggior parte delle aziende sono gestite e condotte da uomini bianchi, ai quali va la maggior parte del valore della loro società e che sono i beneficiari principali di tali investimenti.

L'Economia degli Algoritmi assomiglia al feudalesimo, compresi i contadini che non hanno scelta e i signori che decidono chi può diventare signore  e chi resta contadino, e che definiscono il valore di un contadino sulla base di ciò che il signore è disposto a pagargli.

Come i signori feudali del vecchio feudalesimo, i signori del neo-feudalismo dicono di essere disposti a pagare gli studenti indebitati, quanto basta per non avere possibilità l'anno successivo.

I lavoratori più anziani, che forse avranno conosciuto il proprio valore, dovranno trovare un modo per vivere della terra, creando le loro opportunità di crescita più lente, poiché nessuno finanzia niente che possa offrire alle persone l'opportunità di sperimentare la parità economica o la capacità di possedere un'attività in cui siano trattati in modo umano, pagati in modo equo e in cui lo sfruttamento non sia considerato un efficace sistema di lavoro e di retribuzione.

Per la maggior parte dei lavoratori più anziani, le opportunità stanno nelle vecchie imprese sfruttatrici come Walmart, conosciuta per le basse retribuzioni e per avere una forza lavoro più anziana, o nelle mani del succitato Uber, che ha, almeno nella Bay Area, una forza lavoro molto più anziana e composta da minoranze.

La composizione dei conducenti è diversa dalla maggior parte degli impiegati, che per la maggior parte sono uomini bianchi, i quali fanno la parte del leone nella distribuzione dei redditi dell'Economia degli Algoritmi che hanno contribuito a creare, e  sicuramente riconoscono come i lavoratori vengano sfruttati dai loro algoritmi.

Se i programmatori di Uber sono abbastanza intelligenti da riconoscere come questi numeri e questa "gamificaton" assicurano la loro propria prosperità, sono anche consapevoli del fatto che i conducenti guadagnano meno, restano con l'azienda per meno tempo e alla fine lasceranno la società, una volta capito come vengono sfruttati.

Tali società possono cambiare i loro comportamenti? È improbabile, date le aspettative di crescita a due cifre da parte degli investitori e del mercato azionario. Quindi possiamo supporre che tali aziende continueranno a fare soldi per i membri dell'élite, drenando risorse da ogni altro aspetto del nostro tessuto sociale, compromettendo la ricchezza individuale e i guadagni, le opportunità di occupazione, la proprietà della casa e lo sviluppo della comunità.

Le persone senza soldi non possono migliorare se stessi o le loro comunità. Nemmeno le persone che sfruttano questi lavoratori sono d'aiuto a queste comunità, creando un "effetto aspirapolvere", prendendo soldi dalle comunità senza mai restituirli nella stessa misura  o in misura maggiore, assicurando così il lento e inesorabile declino della società nel tempo.

Fate un po' di ricerca sull'argomento dell'economia On-Demand. Mentre le previsioni promuovono l'idea che sia buona per gli investitori, non viene quasi mai fatta menzione delle persone che ci lavorano e del loro destino. C'è un'incredibile raccolta di saggi sull'economia On-Demand che indica il futuro di questo settore e ciò che significa per la forza lavoro moderna.

Ci saranno argomenti da entrambi i lati della barricata, pro e contro, ma la preghiera che vi rivolgo è semplice: informatevi. Scoprite di più. Prestate attenzione alla forza disgregatrice che sta operando sulle vostre società, perché, anche se credete che non vi riguardi, vi sbagliate.

Non credetemi sulla parola. Guardate e vedete da voi. Sta accadendo sotto i vostri occhi. Non chiudeteli.

28/04/17

Le Monde: Disoccupazione, istruzione, prigioni… le approssimazioni di Emmanuel Macron

Anche Le Monde si accorge che dietro l’immagine di professionista impeccabile il candidato alle presidenziali francesi Emmanuel Macron nasconde la realtà di un uomo ambiziosissimo, pressapochista e pronto a mentire per attaccare alcuni capisaldi della società francese: il mondo del lavoro (che vorrebbe ancor più deregolamentare), l’istruzione (“la bonne école”? ) e il sistema giudiziario, che si vorrebbe molto più duro. La Francia inizia a rendersi conto che mettersi nelle mani del “golden boy” dell’aristocrazia finanziaria significa mettersi "In marcia!" verso il precipizio sociale.

 

Di Laura Motet e Mathilde Damgé, 28 aprile 2017

Giovedì sul set dello show "Eliseo 2017"  il candidato di "In marcia!" ha commesso alcuni errori fattuali e alcune approssimazioni nel difendere il suo programma.

Giovedì 27 aprile, quattro giorni dopo aver vinto il primo turno delle elezioni presidenziali con il 24% dei voti espressi, l'ex ministro dell’economia Emmanuel Macron è stato ospite a TF1. Di fronte ad Anne-Claire Coudray, Gilles Bouleau, Christophe Jakubyszyn e Melissa Bell, corrispondente della CNN, il candidato di “In marcia!” ha difeso il suo programma e le sue ambizioni a costo di alcuni errori o semplificazioni.

 

L’esagerazione riguardo al tasso di disoccupazione in Francia
"Sul lavoro, la sfida è nota da più di trent'anni: la disoccupazione di massa. La Francia è l'ultimo paese dell'Unione europea che non è stato in grado di regolarla.»

Emmanuel Macron

PERCHÉ È ESAGERATO

La Francia è uno degli ultimi “grandi” paesi a non essere riuscito a ridurre la disoccupazione di massa? Solo se dimentichiamo alcuni dei paesi principali: se la Francia ha un tasso di disoccupazione di circa il 10% della popolazione attiva, la Spagna è al 18%, l’Italia all’11,5% e la media nell'eurozona è a circa il 9,5 % dall'inizio dell'anno, secondo Eurostat.

 

L’esagerazione sul livello didattico degli studenti
"Abbiamo più del 20% degli studenti che arrivano a CM2 (la quinta elementare, NdVdE)" senza saper leggere, scrivere o contare. »

Emmanuel Macron

PERCHÉ È ESAGERATO

Certamente le statistiche del Ministero dell'educazione nazionale sul livello degli studenti CM2 hanno mostrato nel 2015 che il 79,8% ha acquisito le competenze previste nella lettura e il 70,9% ha acquisito quelle in matematica, il che sembra confermare quanto detto da Emmanuel Macron.  Ma su questo punto, l’Istruzione nazionale e il candidato di "In marcia !". non intendono proprio la stessa cosa.

In realtà, l’Istruzione nazionale per competenze di lettura  intende saperidentificare il tema di un testo, trovare informazioni esplicite, dedurre nuove informazioni [implicite] e identificare gli effetti di scelte formali”.

 

L’errore sulle pene detentive brevi
«Oggi, quasi automaticamente, una pena a meno di due anni non viene applicata. »

Emmanuel Macron

PERCHÉ È FALSO

È in effetti possibile, per pene detentive inferiori a due anni, non scontare la pena se a discrezione del giudice la situazione personale del condannato lo consente. In quel caso non c'è un mandato di carcerazione.

Tuttavia è sbagliato dire che le pene detentive inferiori a due anni non vengono mai applicate, o "sono sistematicamente non applicate", come dice Macron.  Secondo i dati del Ministero della giustizia,  al 1° gennaio 2015 il 12% delle pene in corso di esecuzione (su 60.742 detenuti) erano inferiori all’anno, mentre il 29% erano da 1 a 3 anni.

 

 

Gli errori fatali del fondamentalismo finanziario spiegati da un premio Nobel

Nel mese di ottobre 1996, il premio Nobel per l'Economia William Vickrey pubblicò un articolo che illustrava "I 15 errori fatali del fondamentalismo finanziario": per esempio il sacro terrore del deficit e del debito pubblico, legato a erronee analogie tra comportamento economico del singolo e azione dello Stato. Queste fallacie sono rimaste ben vive - o meglio, sempre più vive - nel dibattito pubblico, e lo hanno anzi permeato, trovando un'applicazione concreta, dai risultati disastrosi, nelle regole di Maastricht. Per questo oggi abbiamo scelto di ripresentarne alcune, con la spiegazione del perché si tratta di ragionamenti sbagliati e - se tradotti in pratica - forieri di inutili sofferenze. Quelle che in un'eurozona intrappolata in questi errori, purtroppo, sono ormai evidenti agli occhi di tutti.

 

di William Vickrey, ottobre 1996

In campo economico, una grande parte delle teorie convenzionali oggi prevalenti negli ambienti finanziari, ampiamente utilizzate come base per le politiche governative, nonché pienamente accettate dai media e dall'opinione pubblica, si basa su analisi parziali, su ipotesi smentite dalla realtà e su false analogie.

Per esempio, si sostiene che sia bene incoraggiare il risparmio, senza prestare attenzione al fatto che, per quanto riguarda la maggior parte delle persone, favorire il risparmio significa scoraggiare il consumo e ridurre la domanda, e che una spesa fatta da un consumatore o da un governo è anche un reddito per i venditori e i fornitori, così come il debito pubblico è anche una risorsa. Altrettanto sbagliato è ritenere che ciò che è possibile o auspicabile per i singoli individui presi singolarmente sia ugualmente possibile o auspicabile per tutti  o per l'economia nel suo insieme.

E spesso sembra che l'analisi sia basata sul presupposto che la produzione economica futura sia quasi totalmente determinata da forze economiche inesorabili, indipendenti da qualsiasi strategia politica del governo, tanto che dedicare più risorse a un certo scopo porti inevitabilmente a sottrarle ad un altro. Questo potrebbe essere giustificabile in un'economia in completa piena occupazione o potrebbe essere in un certo senso convalidato supponendo che la Federal Reserve scelga e riesca a sostenere una politica di rigido mantenimento della disoccupazione al livello del suo tasso "naturale" o di "non accelerazione dell'inflazione".  Ma nelle condizioni attuali non è né probabile né auspicabile che si riesca a ottenere un risultato simile.

Quella che segue è la lista di alcuni degli errori che derivano da questo modo di pensare. Presi nel loro insieme, stanno portando a politiche che nella migliore delle ipotesi ci tengono nella depressione economica, con tassi di disoccupazione generale bloccati tra il 5 e il 6 per cento. Questo sarebbe già abbastanza grave anche solo se provocasse una perdita del 10 - 15 per cento della nostra produzione potenziale ripartita uniformemente su tutte le categorie sociali: ma diventa gravissimo quando si traduce in una disoccupazione del 10, 20 e 40 per cento tra i gruppi sociali più svantaggiati; gli ulteriori danni in termini di povertà, disgregazione familiare, dispersione e abbandono scolastico, illegalità, uso di droghe e criminalità, diventano veramente pesanti. E se le politiche in questione saranno applicate fino in fondo insistendo sul "pareggio di bilancio", possiamo aspettarci sicuramente una depressione grave.

 

Il deficit pubblico danneggia le generazioni future?

Il deficit pubblico è considerato una spesa dissoluta e peccaminosa, fatta a scapito delle generazioni future, cui sarà lasciata una minore parte di capitale investito. Un errore che sembra derivare da una analogia sbagliata con i debiti contratti dai privati.

La realtà è quasi esattamente l'opposto. Il deficit si aggiunge al reddito netto disponibile dei cittadini, nella misura in cui le spese pubbliche, che costituiscono reddito per i loro destinatari, superano ciò che viene sottratto al reddito disponibile tramite imposte, tasse e altri oneri. Questo potere d'acquisto aggiuntivo, una volta speso, fornisce domanda aggiuntiva al mercato, spingendo i produttori a investire per aumentare la capacità produttiva degli impianti,  che sarà parte della vera eredità che rimane per il futuro.  Questo va ad aggiungersi a tutto ciò che gli investimenti pubblici rappresentano in infrastrutture, istruzione, ricerca e via dicendo. Maggiori deficit, sufficienti a rimettere in circolo la parte di risparmio - proveniente da un prodotto interno lordo (PIL) in crescita - che eccede quel che viene assorbito dagli investimenti privati a fini di profitto, non sono un peccato economico, ma una necessità economica. Quello che potrebbe causare problemi è un deficit in eccesso rispetto alle effettive possibilità di crescita in termini reali, ma siamo lontanissimi da questo scenario.

Del resto, anche prendendo per buona l'analogia con il comportamento dei singoli, le conclusioni sono assurde. Se a General Motors, AT&T, e alle singole famiglie fosse richiesto di avere il bilancio sempre in pareggio come è richiesto allo Stato, non esisterebbero le obbligazioni, i mutui, i prestiti bancari... mentre ci sarebbero molte meno automobili, telefoni e case.

 

Incentivare il risparmio stimola la crescita?

Si sostiene che bisogna sollecitare o incentivare i singoli a risparmiare di più per stimolare gli investimenti e la crescita economica. Questa convinzione sembra derivare dal presupposto che il prodotto aggregato sia invariabile, cosicché ciò che non è destinato al consumo necessariamente e automaticamente viene dedicato alla formazione del capitale.

Anche in questo caso, in realtà è vero l'esatto contrario. In un'economia monetaria, per la maggior parte delle persone la decisione di risparmiare di più comporta la decisione di spendere di meno; ma meno spesa da parte del risparmiatore significa  meno reddito e meno risparmio per i rivenditori e i produttori; in questo modo il risparmio aggregato non viene aumentato, ma diminuito, perché rivenditori e produttori a loro volta riducono le loro spese, il reddito nazionale si riduce e con esso il risparmio nazionale. Un determinato individuo può infatti riuscire ad aumentare il proprio risparmio, ma solo a spese del reddito e del risparmio degli altri in misura anche maggiore.

Se il risparmio è costituito da una minor spesa per servizi, per esempio un taglio di capelli, l'effetto sul reddito e sul risparmio del fornitore è immediato ed evidente. Se riguarda una merce immagazzinabile, ci può essere un temporaneo investimento in magazzino, che però presto scomparirà, non appena il fornitore riduce le ordinazioni ai suoi fornitori per riportare il magazzino a un livello normale, il che porta infine a una riduzione della produzione, dell'occupazione  e del reddito.

Il risparmio non crea "fondi disponibili per il prestito" dal nulla. Non c'è alcun motivo di ritenere che l'accrescersi del conto in banca del risparmiatore aumenterà la capacità della sua banca di concedere prestiti più di quanto farà diminuire la capacità di concedere prestiti della banca del venditore. Se non altro, è più probabile che un venditore sia attivo sui mercati azionari o che usi il credito aumentato dalle vendite per fare investimenti nella sua attività, rispetto alla probabilità che un risparmiatore risponda a incentivi come l'esenzione o il differimento di imposte sui fondi pensione: l'effetto netto degli incentivi al risparmio è quindi quello di ridurre l'ammontare totale dei prestiti bancari. Gli incentivi al risparmio, con la corrispondente riduzione della spesa, non fanno nulla per migliorare la disponibilità delle banche e degli altri istituti di credito a finanziare progetti di investimento promettenti. Se c'è disponibilità di risorse non impiegate, il risparmio non è né un prerequisito né uno stimolo, ma una conseguenza della formazione di capitale, dato che il reddito generato dalla formazione del capitale fornisce una fonte di risparmio supplementare.

 

Il debito pubblico "spiazza" gli investimenti privati?

Si sostiene che il debito pubblico provochi un "effetto spiazzamento" nei confronti degli investimenti privati.
La realtà è che, al contrario, la spesa dei fondi presi in prestito (a differenza della spesa del gettito delle imposte) genera reddito disponibile aggiuntivo, aumenta la domanda di prodotti dell'industria privata, e rende quindi gli investimenti privati ​​più redditizi. Finché ci sono risorse inutilizzate in abbondanza, se le autorità monetarie si comportano con buon senso (invece di cercare di contrastare il presunto effetto inflazionistico del deficit), chi ha la prospettiva di un investimento redditizio può essere messo in grado di ottenere finanziamenti. In queste circostanze, ogni dollaro aggiuntivo di deficit nel medio-lungo periodo produce due o più dollari aggiuntivi di investimenti privati. Il capitale creato è un incremento della ricchezza - e ipso facto anche del risparmio - di qualcuno. La regola dell' ''offerta che crea la propria domanda" non funziona più non appena una parte dei redditi generati dall'offerta viene risparmiata: mentre sono gli investimenti che creano il proprio risparmio, e anche di più. Lo "spiazzamento" che può verificarsi è solo il risultato, non della realtà economica sottostante, ma di  reazioni restrittive inappropriate  da parte di un'autorità monetaria come risposta al deficit.

 

 

Se i deficit continuano, il costo del debito alla fine travolgerà il fisco?

Prospettiva reale: mentre gli osservatori allarmati si appassionano a proiezioni da film dell'orrore, in cui il debito pro capite diventa insostenibile e il pagamento degli interessi assorbe l'intero gettito fiscale, o si perde la fiducia nella capacità o volontà del governo di realizzare una pressione fiscale  tale da poter piazzare le obbligazioni sui mercati a condizioni ragionevoli, degli scenari di maggior buon senso prevedono un effetto trascurabile o addirittura favorevole sui conti pubblici. Se si mantiene la piena occupazione in modo che il PIL nominale continui a crescere, diciamo, a un tasso del 6% - circa il 3% di inflazione e circa il 3% di crescita reale - il debito per mantenersi in equilibrio dovrebbe crescere del 6% o forse anche a un tasso leggermente più alto; se il tasso di interesse nominale fosse l'8%, il 6% sarebbe finanziato dalla crescita, e solo il 2% resterebbe da pagare attraverso il bilancio corrente. Le imposte sul reddito da capitale degli interessi in aumento  ne compenserebbero una gran parte, e i risparmi legati alla riduzione della disoccupazione, delle prestazioni assicurative e dei costi sociali sarebbero più che sufficienti a coprire il resto, anche senza calcolare il notevole aumento delle entrate fiscali dovuto a un'economia più prospera. Anche se gran parte di queste entrate finirebbero nelle casse dei governi statali e locali, piuttosto che del governo federale, la cosa si potrebbe sistemare attraverso trasferimenti intergovernativi. Un debito di 15.000 miliardi è molto più facile da gestire in un'economia di piena occupazione, con spese sociali e sussidi di disoccupazione notevolmente ridotti, rispetto a un debito di 5.000 miliardi con un'economia in stagnazione e la capacità produttiva in rovina. Semplicemente, il problema non esiste.

 

Il valore della moneta nazionale in valuta estera o in oro è una misura della salute economica di un paese?

Il valore della moneta nazionale in termini di una valuta estera (o in oro) è ritenuto un indicatore della salute economica del paese, e si pensa che le azioni intraprese per mantenere questo valore contribuiscano alla salute dell'economia. In alcuni ambienti si coltiva una sorta di orgoglio sciovinista per il valore della propria moneta, oppure si può trarre soddisfazione dal maggiore potere d'acquisto della moneta nazionale nei viaggi all'estero.

La realtà: tassi di cambio liberamente fluttuanti sono il mezzo con cui si riequilibrano i diversi andamenti del livello dei prezzi nei differenti paesi, mentre gli squilibri commerciali sono riportati in linea grazie a flussi di capitali utili ad aumentare la produttività complessiva del capitale. Cambi fissi o tassi di cambio limitati entro una banda di oscillazione ristretta possono essere mantenuti soltanto attraverso politiche fiscali coordinate nei paesi coinvolti, o imponendo tariffe che compromettono l'efficienza o altre restrizioni sul commercio, od obbligando a pesanti forme di disciplina, che implicano  tassi di disoccupazione inutilmente alti, come avviene per il trattato di Maastricht. I tentativi di controllare i tassi di cambio attraverso manipolazioni finanziarie, a fronte di squilibri di base, di solito alla fine saltano, con grandi perdite per le istituzioni che ci hanno provato e corrispondenti guadagni per gli abili speculatori. Ma anche se non c'è un crollo, gran parte della volatilità dei tassi di cambio può essere ricondotta a speculazioni sulla possibilità di massicci interventi da parte della banca centrale.

Le restrizioni sui tassi di cambio, come quelle previste negli accordi di Maastricht, renderebbero praticamente impossibile per una piccola economia aperta, come la Danimarca, perseguire autonomamente una efficace politica di piena occupazione al proprio interno. Gran parte dell'aumento di potere d'acquisto generato da una politica fiscale di stimolo della domanda sarebbe speso in importazioni, spalmando l'effetto stimolante sul resto dell'unione monetaria, così che la capacità di indebitamento della Danimarca si esaurirebbe molto prima di poter raggiungere la piena occupazione. Con tassi di cambio flessibili, l'aumento della domanda di prodotti importati provocherebbe invece un aumento del valore della valuta estera, che terrebbe a bada l'aumento delle importazioni e stimolerebbe le esportazioni, in modo da mantenere in casa il grosso degli effetti di una politica espansiva. In un regime di cambio liberamente fluttuante, il pericolo di selvaggi attacchi speculativi  nella circostanza di una politica di pieno impiego consolidata sarebbe molto diminuito, soprattutto se combinato con una terza dimensione di controllo diretto sul livello generale dei prezzi nazionali.

Allo stesso modo, la ragione principale per cui stati ed enti locali non possono perseguire una politica indipendente di piena occupazione, è che sono privi di una moneta autonoma, e sono costretti ad avere un tasso di cambio fisso con il resto del paese.

27/04/17

Macron fischiato e deriso dagli operai della sua città dopo l’”agguato” della Le Pen

La crisi di una fabbrica Whirlpool nella periferia di Amiens consente di distinguere i tratti fondamentali dei due candidati alle elezioni francesi, come riporta Zerohedge. Mentre l’ex banchiere di Rothschild Macron incontra a porte chiuse i vertici dei sindacati, la Le Pen si confronta direttamente con i lavoratori. Le politiche di libero mercato rivelano i loro effetti in occasioni come questa: le multinazionali chiudono i battenti nei paesi sviluppati per riaprirli là dove possono sottopagare gli operai, mentre i sindacati cercano di raccattare qualche briciola inchinandosi alle multinazionali. È il neoliberismo made in UE, bellezza.

 

26 aprile 2017

 

Si sono viste scene caotiche, durante la visita del candidato dato per favorito alle elezioni presidenziali francesi, Emmanuel Macron, ai lavoratori della fabbrica in sciopero nella sua città natale, Amiens.

Mercoledì scorso Macron è stato accolto con sberleffi, fischi e cori inneggianti alla  rivale di estrema destra, Marine Le Pen, durante una visita - finita nel caos - a questa fabbrica situata nel Nord della Francia, avvenuta in seguito a quella che Bloomberg ha definito “un’imboscata” da parte della sua rivale nazionalista Marine Le Pen, che lo ha costretto a confrontarsi con alcuni dei di lei più ferventi sostenitori.

Precedendolo, la Le Pen aveva fatto una visita a sorpresa all’impianto Whirlpool della periferia di Amiens, mentre il rivale Macron si incontrava con i leader del sindacato dell’azienda nel centro della città. La Le Pen ha dichiarato ai giornalisti, incontrandoli davanti ai picchetti,  che la decisione di Macron di incontrare i rappresentanti dei lavoratori a porte chiuse mostrava il suo “disprezzo” per la loro difficile situazione, e ha così costretto il suo rivale a modificare i piani e affrontare i manifestanti in diretta televisiva.

Durante questa visita, organizzata frettolosamente, alcuni tra la folla hanno gridato “Marine presidente!” e hanno fischiato mentre l'ex banchiere trentanovenne se ne stava in piedi fuori dalla fabbrica, nella periferia in disarmo di Amiens.

“Sono qui per parlare con voi”, ha detto l’ex ministro dell’economia - sempre schierato dalla parte degli industriali - circondato da un’orda di cameramen e giornalisti.

Lo stabilimento della Whirlpool è diventata un simbolo delle discussioni sul libero mercato che dominano la campagna elettorale francese, perché 280 posti di lavoro verranno tagliati quando l’azienda, il prossimo anno, trasferirà la produzione in Polonia.

Secondo la descrizione di Bloomberg: “Mentre il fumo nero dei pneumatici bruciati turbinava nel vento freddo, e le grida “Marine Presidente” interrompevano le sue dichiarazioni, Macron ha tentato di difendere il regime europeo di libero mercato, nel parcheggio della fabbrica, mentre i dimostranti furenti gli si affollavano intorno”.

“Quando lei vi racconta che la soluzione è riportare indietro la globalizzazione, vi sta mentendo” ha detto Macron ai lavoratori, mentre i microfoni di più di cento giornalisti registravano l’accaduto. “Non possiamo impedire i licenziamenti. Dobbiamo lottare per trovare un compratore”.

A giudicare dalla risposta, i lavoratori locali non lo hanno trovato granché convincente.

In precedenza, Macron era stato nella cità dove è nato, Amiens, per cercare di respingere le accuse secondo cui aveva iniziato la campagna elettorale per il 7 maggio in tono minore, dopo essere passato in vantaggio al primo turno di domenica, davanti alla Le Pen. Ma il suo viaggio in città è passato in secondo piano quando la Le Pen ha annunciato per il giorno stesso la sua visita alla fabbrica, ed è arrivata mentre lui incontrava altrove i rappresentanti sindacali. La Le Pen si è fatta fare selfie con i lavoratori e ha salutato i suoi sostenitori, secondo la AFP.

“Tutti sanno da che parte sta Emmanuel Macron – sta dalla parte delle multinazionali” ha dichiarato la Le Pen, “io sto dalla parte dei lavoratori, qui nel parcheggio, non nei ristoranti di Amiens”.

Dopo la visita della Le Pen, Macron ha detto che avrebbe anche lui visitato la fabbrica. Ha dichiarato ai lavoratori arrabbiati che l’unica ragione per cui lei era venuta era perché “io ero qui”. Come si può vedere dalle immagini (qui sotto), non è stata una buona idea.

https://twitter.com/ChassNews/status/857223870872473602

Macron ha parlato ai lavoratori in sciopero per quasi un’ora, alcuni l’hanno solo fischiato, ma altri hanno discusso con lui, mentre l’inviato speciale di France 2 metteva in piedi un set improvvisato per l’intervista.

Patrice Sinoquet del sindacato CFDT, che si era in precedenza incontrato con Macron, afferma che il 90% dei suoi iscritti voteranno per la Le Pen. “Macron rappresenta il peggio delle politiche di libero mercato”, dichiara Clement Pons, disoccupato di 32 anni, che aspettava fuori dall’incontro in centro. “È un globalista che vuole uccidere la classe lavoratrice. Mi fa venire da vomitare. Non capisco le sue idee”.

Chantal Flahaut, 57 anni, operaia alla  catena di montaggio, che partecipa al picchetto, dice di essere in sciopero per tutta la settimana e di essere così stufa della situazione in Francia che domenica non andrà nemmeno a votare. La sua maglietta ha una scritta: “Whirlpool fabbrica disoccupazione”.

“Sono talmente disgustata” dice, “Macron sta dalla parte delle grandi imprese come la nostra. Dovete smetterla di aiutare miliardari multinazionali, e darci i nostri soldi”.

Il dramma è poi continuato su Twitter, dove Macron ha dichiarato che la Le Pen ha passato “dieci minuti con i suoi sostenitori in un parcheggio di fronte alle telecamere”, mentre lui ha dedicato “un’ora e mezza ai rappresentati dei sindacati e senza giornalisti”. “Quando il 7 di maggio arriverà, ognuno farà la sua scelta”, ha aggiunto.

Benjamin Griveaux, assistente di Macron per la campagna elettorale, dichiara che la Le Pen si sta concentrando sulle acrobazie politiche anziché preoccuparsi dei problemi degli elettori. “Se pensa solo ai tweet e ai selfie, significa che non ha capito che cosa c’è in gioco”, commenta Griveaux. “Sta alimentando le sue ambizioni politiche con la miseria e la sofferenza. Che cosa propone? Nulla. Noi cerchiamo di confrontarci con i problemi”.

Macron, che ha creato lui stesso il suo movimento centrista, voleva tenere un comizio più tardi nella vicina Arras, una città dell'area in decadenza del Nord dove la Le Pen lo ha battuto al primo turno. Lunedì si era attirato critiche per quello che era stato visto come un discorso trionfale e una cena celebrativa in un bistrò di Parigi, domenica sera.

Il capo del partito socialista J. Cristophe Cambadelis ha dichiarato alla radio francese: “Era compiaciuto. Ha pensato a torto di avercela già fatta”.

Macron è stato ministro dell’economia per il governo socialista, dopo avere lavorato come bancario nel settore “Fusioni e acquisizioni” presso Rothschild, ruolo che ha lasciato ad agosto per lanciare la sua campagna presidenziale.

 

26/04/17

Sapir: Le Lezioni del Primo Turno

Jacques Sapir commenta i risultati del primo turno delle elezioni presidenziali in Francia mettendo in luce alcune novità senza precedenti: innanzitutto il quadripartitismo di fatto, con i due candidati esclusi che  seguono i vincitori molto da vicino, e che praticamente segna la fine della Quinta Repubblica.  Inoltre,  il fatto molto rilevante che a conti fatti le idee sovraniste sembrano aver vinto la battaglia culturale,  con i candidati che in varia misura si rifanno a idee sovraniste che hanno raccolto la metà o più dei voti complessivi. Questo, insieme al fatto che la demonizzazione del Front National come partito fascista e dell'odio non ha evidentemente più alcuna base reale, rischia di svuotare di significato l'appello al "fronte repubblicano" mostrandolo per quello che è, una falsità utilizzata come copertura per interessi di altro genere.

 

 

Di JACQUES SAPIR · 25 aprile 2017

Il primo turno delle elezioni presidenziali 2017 sembra ripetere il primo turno del 2002. Per la seconda volta, il candidato del Fronte Nazionale si è qualificato per il secondo turno. Ma le somiglianze si fermano qui. Abbiamo a che fare con una situazione completamente diversa. Da questo punto di vista, le reminiscenze del passato oscurano più che illuminare lo scenario attuale.

 

Verso il quadripartitismo?

In primo luogo, bisogna prendere atto del completo collasso dello spazio politico francese. In un sistema che tende istituzionalmente al bipartitismo, soprattutto a causa del doppio turno, potrebbe emergere, in certe circostanze,  un terzo partito. Tale era la situazione nel 2002, o nel 2007 con la buona affermazione di Bayrou. Ma oggi, ci troviamo davanti a una forma di quadripartitismo.  Infatti, se Emmanuel Macron e Marine Le Pen si sono qualificati per il ballottaggio, sono però seguiti da vicino da François Fillon e Jean-Luc Mélenchon. Già da questo punto di vista, la situazione politica sembra molto diversa. A questo si aggiunge il crollo storico del P "S", ridotto al misero punteggio del candidato del SFIO (Gaston Deferre) nelle elezioni presidenziali del 1969.  Questo crollo corrisponde in pieno all'ascesa di Jean-Luc Mélenchon, che, con il 19,2% dei voti, raggiunge un risultato senza precedenti, che rende ancora più crudele il confronto con il misero 6,2% di Benoît Hamon. Ma questo crollo ha una sua corrispondenza a destra. Anche se mantiene un risultato significativo a oltre il 19,5%, per la prima volta nella Quinta Repubblica il partito che rivendica l'eredità del generale de Gaulle - pur avendola  sperperata e snaturata - non parteciperà al secondo turno delle elezioni presidenziali. E‘ un fatto senza precedenti. E' la fine della Quinta Repubblica. François Fillon è stato l‘affossatore della sua stessa corrente di pensiero.

Ma c’è un altro fattore da considerare. Nel 2002, il successo di Jean-Marie Le Pen era stato una sorpresa. Oggi invece, per diverse settimane abbiamo avuto Marine Le Pen in  testa ai sondaggi. Il Fronte nazionale ha vinto molte elezioni dal 2012 [1]. Gli elettori hanno votato sapendo questo, eppure hanno distribuito i loro voti tra i diversi partiti,  prova che Marine Le Pen non fa più paura, almeno non tanto quanto il padre. Il cambiamento dei temi, ma anche dell'atteggiamento del FN, è notevole. Parlare del FN come di un partito "fascista" o "dell‘odio" ha poco senso, e mostra un totale stravolgimento di parole e concetti, anche se si possono criticare le sue proposte, e in particolare quella  riguardante l'abolizione dello jus soli. Ricordiamo alle nostre care "coscienze indignate" che questa è la posizione ufficiale anche della CDU-CSU della Merkel e dei suoi alleati. Ugualmente, quando la Le Pen afferma che la sicurezza sociale appartiene ai francesi, si sbaglia. La sicurezza sociale, finanziata dai contributi di dipendenti e datori di lavoro, appartiene ai lavoratori, senza distinzioni di nazionalità. Va ricordato. Ma dobbiamo anche dire che affermare questo non è più grave che sostenere che questi contributi sono "costi" per le imprese e non dei versamenti relativi alla necessità di garantirsi una forza lavoro sana, un errore comunemente commesso dalla élite liberale e da Emmanuel Macron.

Queste sono tutte ragioni che svuotano di significato la chiamata a un cosiddetto "fronte repubblicano". Perché, si deve ammetterlo, questo discorso che sbaglia obiettivo non può più mobilitare nessuno. Vediamo fin troppo bene che serve solo da copertura al grande banchetto di tutti coloro che "vont à la soupe" (vogliono un posto a tavola), per usare una frase del generale de Gaulle.

 

La distribuzione dei voti

E' importante anche vedere la provenienza dei voti. Da questo punto di vista, la mappa del primo turno del 23 aprile corrisponde in gran parte, ma non del tutto, a quella che Christophe Guilluy chiama la "Francia periferica". Non del tutto, perché vediamo che in alcune aree "periferiche" l‘effetto memoria persiste. Così le zone rurali del Limousin continuano a avere la memoria della Resistenza (e del suo leader locale Georges Guingouin [2]).  Si potrebbero portare altri esempi. Tuttavia: si vede chiaramente la contrapposizione tra la Francia "metropolitana" con (ad eccezione del sud) un forte "effetto costiera" e la Francia cosiddetta "periferica".  La trasformazione del Fronte Nazionale in partito dominante nelle piccole città e nelle campagne è significativa, anche se il fenomeno va oltre: anche il peso della disoccupazione e della deindustrializzazione è uno dei fattori del suo radicamento. L‘ho detto più volte sin dal 2012.  L'ascesa del FN segue passo passo  i danni della globalizzazione e dell'euro.

 



 

Un'altra dimensione importante è la questione sociale, ovviamente correlata con la dimensione geografica. Si noti che Marine Le Pen ha tra i suoi elettori un'alta concentrazione di persone a reddito basso o molto basso. Ha riportato il  34% dei voti nella classe operaia, in prima posizione, seguita immediatamente da Jean-Luc Mélenchon.  Del resto questa è una caratteristica condivisa con Jean-Luc Mélenchon [3].  Al contrario, l'elettorato di Emmanuel Macron ha un'alta concentrazione di redditi alti ed altissimi, una caratteristica che condivide, ma in misura minore, con l'elettorato di François Fillon.

Ma la composizione sociologica di un elettorato non è tutto. Le dichiarazioni del candidato sono anche importanti. Da questo punto di vista, annunciando la sua volontà di rafforzare sostanzialmente la "legge sul lavoro", legge che aveva suscitato proteste molto forti nella primavera 2016, e annunciando la sua intenzione di farlo per decreto, Emmanuel Macron rivela di sé molto di più di quanto non riveli la semplice concentrazione di ricchi nel suo elettorato. La  pratica dei decreti, come quella prevista nell’articolo 49.3 della Costituzione,  quando applicata in campo sociale, conduce a un notevole abbrutimento delle relazioni sociali. Questo, insieme con la prospettiva di ridurre il numero dei dipendenti pubblici, con l'attenzione per l'austerità fiscale, che va perfettamente di pari passo con i regali alle grandi aziende (come nel caso del credito d'imposta per la competitività e l'occupazione o CICE, che è costato 30 miliardi allo stato nel 2014 e nel 2015 [4]), ci restituisce benissimo il senso della candidatura Macron. Non bisogna esitare a dirlo, il voto a Macron è un vero voto di classe, un voto reazionario nel senso più letterale del termine.

Si capisce dunque l'atteggiamento, degno e responsabile, di Jean-Luc Mélenchon, che ha deciso di non unirsi alla muta urlante del cosiddetto "fronte repubblicano" e preferisce consultarsi con i suoi militanti. E' evidente come il comportamento "appellista" che si va affermando è la malattia senile di una classe politica che abbaia ...

 

Una vittoria culturale delle idee sovraniste?

Ma c'è un'altra lezione importante che si può trarre dalle elezioni di domenica 23 aprile. Consultando  i risultati quasi definitivi del primo turno (nel continente e all'estero), si vede che i diversi programmi sovranisti,  presentati da 5 differenti candidati, insieme hanno praticamente raggiunto il 47% dei voti.

Tavola 1

Risultati definitivi























































Continente ed Estero
E. Macron23,75%
M. le Pen21,53%
F. Fillon19,91%
J-L Mélenchon19,64%
B. Hamon6,35%
N. Dupont-Aignan4,75%
J. Lassalle1,22%
P. Poutou1,10%
F. Asselineau0,92%
N. Arthaud0,65%
J. Cheminade0,18%
Sovranisti46,84%

Fonte : Ministero dell’Interno

 

Questo è un risultato importante. In realtà, è probabile che anche alcuni degli elettori di François Fillon condividano queste idee sovraniste, il che suggerisce che probabilmente si va al 50% o più. Naturalmente, i programmi si differenziano per la loro radicalità sovranista, come si differenziano anche in campo sociale. Se li valutiamo da 10 a -10 su entrambe le scale, considerando che il punto "0" rappresenta la continuità assoluta con la situazione attuale, si ottiene il seguente grafico:



 

Questo grafico indica chiaramente una forte polarizzazione dell'elettorato (e della società) francese, una polarizzazione non secondo il classico punto di riferimento "destra-sinistra", ma intorno alle due questioni chiave della sovranità e del programma sociale. Esso potrebbe indicare che la battaglia culturale è stata vinta dalle idee sovraniste. Ciò che rafforza questa interpretazione è la dichiarazione resa davanti alle telecamere, domenica sera 23 aprile alle ore 22.30 circa, da Emmanuel Macron. Nel suo discorso, Macron ha ripetuto due volte la parola "patriota". Il fatto che si sia sentito obbligato a riprendere degli elementi dei discorsi tenuti, in misura diversa, da Marine Le Pen e da Mélenchon, Dupont-Aignan e Asselineau, mentre lui, ovviamente, non ne condivideva nulla, dimostra che queste idee stanno diventando dominanti. Questo rappresenta, nella situazione attuale, un fattore di speranza per il futuro.

 

 

[1] Vedere la mia nota sui risultati elettorali regionali, https://russeurope.hypotheses.org/4568

[2] https://www.franceinter.fr/emissions/la-marche-de-l-histoire/la-marche-de-l-histoire-09-juin-2014

[3] Vdere la mia nota del 5 Aprile 2017, « Candidats du peuple », https://russeurope.hypotheses.org/5879

[4] https://www.mediapart.fr/journal/economie/190716/cice-un-cout-exorbitant-sans-creation-d-emploi?onglet=full

 

 

25/04/17

Le Figaro: Macron/Le Pen e il clamoroso ritorno della lotta di classe...Ma il PCF chiama al voto per Rotschild

Nel suo editoriale di commento al risultato del primo turno delle elezioni francesi,  anche il giornale francese Le Figaro non può fare a meno di riconoscere il ritorno della lotta di classe, un fatto che riemerge in tutta la sua forza nonostante la rimozione del problema operata dalla sinistra.  La distribuzione del voto mostra chiaramente come le classi popolari si siano rivolte principalmente verso la "populista" di destra Le Pen, mentre la Francia "che sta bene" ha votato per il "nuovo" che non cambierà niente, l'ex banchiere Macron. 

Ma quanto peserà, anche al secondo turno, la confusione mentale della cosiddetta sinistra? Incapace di guardare alla realtà senza la lente deformante delle proprie credenze ideologiche, il  PCF  chiama a votare Rotschild pur di sbarrare la strada alla Le Pen. 

(Articoli segnalati su Maurizio Blondet)

 

Le Figaro,  di Mathieu Slama, 24 Aprile 2017

Credevamo che il concetto di lotta di classe fosse superato. Intellettuali di sinistra come Chantal Mouffe e Jean-Claude Michea,  benché nutriti al pensiero marxista, recentemente hanno dichiarato che il concetto di lotta di classe doveva essere ripensato. E nessun candidato della sinistra, con l'eccezione di Nathalie Arthaud, ne ha parlato durante la campagna elettorale.

Tuttavia, le cose non stanno così. La lotta di classe riemerge politicamente nel secondo turno di ballottaggio che opporrà il liberale Emmanuel Macron alla sovranista Marine Le Pen.

L'elettorato di Macron raccoglie la Francia che sta andando bene, la Francia ottimista, la Francia che si guadagna la vita senza problemi, la Francia, che non ha bisogno di confini e di patria, quei vecchi miti del mondo antico: la Francia "aperta", generosa perché ne ha i mezzi.  La Francia di Marine Le Pen  è la Francia che soffre, che ha paura. Si preoccupa del suo futuro, di arrivare alla fine del mese, soffre nel vedere i padroni che guadagnano tanti soldi  e insorge contro l'incredibile arroganza della borghesia, che dà lezioni di umanesimo e progressismo dall’alto dei suoi 5000 euro al mese.

Le Pen in Francia probabilmente perderà contro il "fronte repubblicano" che si va organizzando contro di lei. Qualunque cosa si pensi del candidato del Fronte nazionale, c’è qui una forma di ingiustizia su cui interrogarsi: la Francia dei piani alti si prepara a confiscare alle classi popolari le elezioni presidenziali, un‘elezione che potenzialmente determina il loro destino.

Bastava  vedere, la notte scorsa, la differenza tra gli attivisti di Macron - consulenti alla moda, studenti delle scuole di business, sicuri della loro superiorità di classe - e i sostenitori di Le Pen, gente semplice, timida, che non padroneggia i codici sociali e mediatici. Che contrasto, anche, tra l'atmosfera da discoteca nella sede di Macron e i balli improvvisati nella sede di Le Pen.

Dietro questa lotta di classe si nasconde uno scontro tra due visioni del mondo. La visione liberale e universalistica che non crede né nello Stato né nella nazione; e la visione oggi definita populista o sovranista, che vuole ritornare allo Stato, ai confini nazionali e al senso di comunità contro le devastazioni della globalizzazione. E‘ la grande battaglia che in definitiva non è mai cessata,  dal 1789.

 

 

Il Partito Comunista chiama al voto per Rotschild - O come tradire il popolo sino in fondo

di Egalité et Réconciliation, 24 Aprile 2017

 

In una dichiarazione dopo il primo turno delle elezioni presidenziali, il Partito Comunista ha denunciato "una situazione estremamente grave per il nostro paese."  Per il PCF, che ha sostenuto Jean-Luc Mélenchon, il secondo turno delle elezioni presidenziali  "vedrà lo scontro tra il  candidato dell'estrema destra xenofoba e populista, Marine Le Pen, ed Emmanuel Macron, il candidato scelto dagli ambienti finanziari per portare avanti le politiche liberali di cui il nostro paese ha sofferto per 30 anni. "

Il PCF ritiene, tuttavia, che "Marine Le Pen vuole un mondo pericoloso in cui tutte le avventure militari diventano possibili, dove sarebbero incoraggiate tutte le rivalità nazionaliste."

Noi comunisti, "consapevoli delle enormi battaglie che stanno arrivando e delle responsabilità che incombono sul nostro partito, il 7 maggio, per il secondo turno delle elezioni presidenziali, chiediamo di sbarrare la strada della Presidenza della Repubblica a Marine Le Pen, al suo clan e alla minaccia che il Fronte Nazionale rappresenta per la democrazia, la repubblica e la pace, anche  se per farlo si deve votare l'unico candidato che, purtroppo, le si oppone."

 

 

 

24/04/17

Zero Hedge: In Francia un cambiamento enorme, finito il sistema a due partiti.

Mentre i dati del Ministero dell'Interno francese si susseguono (mostrando in questo momento una leggera tendenza all'aumento del gap tra Macron in testa e Le Pen che segue),  Zero Hedge sottolinea un dato che comunque appare ormai incontrovertibile: per la prima volta i tradizionali partiti dell'establishment, che hanno condotto il paese nelle secche della gravissima crisi economica e sociale dell'eurozona, scompaiono dalle presidenziali. Sicuramente  le indicazioni di voto per il secondo turno convergeranno tutte su Macron, il candidato di "En Marche!",  il nuovo movimento sotto il quale si nascondono i soliti  gruppi di interesse eurofili, ma resta da vedere se il popolo francese deciderà di seguirle. 

 

 

Zero Hedge, 24 Aprile 2017

Con gli eventi in Francia che si sviluppano freneticamente, e con Le Pen che conduce (per ora), secondo i dati ufficiali del Ministero francese, o segue al secondo posto, secondo gli exit poll, Fraser King di Citi si domanda: "Siamo alla  fine del sistema a due partiti in Francia?":

Se i risultati confermeranno i sondaggi, con Le Pen e Macron al secondo turno, sarà la prima volta nella storia della "quinta" Repubblica  che nessuno dei due maggiori partiti della Francia sarà presente, segnando un cambiamento enorme nel paesaggio politico francese.

Il nuovo partito 'En Marche!' di Emmanuel Macron correrà contro il Front National di Marine Le Pen. Nel 2002, gli elettori francesi si sono uniti dietro a Jacques Chirac in un "Front Republicain" per scongiurare la vittoria del FN di destra estrema. Lo stesso accadrà con Macron?

Tutto questo potrà avere ripercussioni sulla politica francese, in particolare per quanto riguarda i rapporti con l'organo legislativo (Assemblea Generale e Senato). Quando un Presidente in carica non controlla il legislativo, si parla di "coabitazione" (fatto comune in altri paesi, come la Germania, ma non verificatosi in Francia dal 2002).

20/04/17

La City di Londra continua a produrre posti di lavoro (a dispetto dell'Incertezza sulla Brexit)

Sempre a dispetto di chi vorrebbe vedere la Gran Bretagna sprofondare nell'Atlantico, un articolo di Sky News commenta l'ultimo report della Morgan KcKinley, che mostra come la City - il centro finanziario di Londra - continui a creare nuovi posti di lavoro "nonostante" la decisione sulla Brexit sia già stata irrevocabilmente presa, con l'articolo 50 già invocato. A quanto pare, dunque, neppure il mondo finanziario si sta dando molta pena per l'incombente uscita della Gran Bretagna dalla UE.

 

di Sky News, 20 aprile 2017

Le aziende "sono stufe di cercare di interpretare il futuro che gli sta davanti" dice un analista, e un report indica una crescita dei posti di lavoro nella City [il centro economico e finanziario, NdT] di Londra.

La City di Londra continua a essere un magnete di posti di lavoro, nonostante alcune delle posizioni legate ai servizi finanziari siano state spostate verso l'Europa, suggerisce un recente report.

Il London Employment Monitor della Morgan McKinley lo scorso mese ha registrato un balzo verso l'alto a doppia cifra dei posti di lavoro vacanti nel settore finanziario.

Il numero dei posti di lavoro disponibili nel mese di marzo nel settore finanziario a Londra è cresciuto del 17 percento rispetto a febbraio e del 13 percento su base annuale, con un aumento di 8145 nuove unità.

I posti di lavoro nel settore della regolamentazione finanziaria, della tecnologia finanziaria e della gestione del rischio sono i principali responsabili di questo aumento, sostiene il report.

Hakan Enver, direttore delle operazioni per i servizi finanziari di Morgan McKinley, dice: "Le aziende sono stufe di cercare di interpretare il futuro che gli si prospetta e stanno tornando ad assumere nuovi talenti".

Molte aziende hanno già annunciato di avere piani per spostare i loro uffici al di fuori del Regno Unito in preparazione alla sua uscita dall'Unione Europea.

Ma questi loro piani non sembrano aver causato alcun aumento della disoccupazione nella City di Londra.

"Mentre Londra continua ad attrarre investitori da tutto il mondo, le istituzioni si stanno impegnando per cercare di mantenere l'accesso al mercato unico europeo e alla ricchezza degli investitori, e per mantenere la produttività economica a Londra e nei dintorni", afferma il report.

"Anziché spostarsi negli altri paesi europei, quindi, i servizi finanziari stanno cercando di mantenere le migliori posizioni in entrambi i mondi, tenendo un piede dentro la City di Londra ed espandendo le operazioni verso gli altri snodi finanziari europei".

Ad ogni modo, il numero di persone in cerca di lavoro in questo settore è diminuito del 9 percento su base mensile, e del 25 percento su base annuale, scendendo a 9695 unità.

Enver ha detto che marzo di solito è un mese piuttosto monotono per i nuovi posti di lavoro, con la "stagione dei bonus", cioè il primo trimestre, ancora in corso. Prevede dati ancora migliori per il mese di aprile.

19/04/17

Vogliono sopprimere l’euro: perché molti europei rivogliono la propria moneta

La CNN dedica un articolo al problema europeo della moneta unica. Attraverso le interviste a diversi esperti e cittadini europei - in particolare il nostro  Alberto Bagnai, che apre e chiude l’articolo - sono sottolineati i difetti fondamentali alla base dell’unione monetaria: la mancanza di uno stato e di un’identità europei, la grande diversità tra i paesi aderenti, la rigidità di un sistema che impone le stesse ricette a 19 economie in differenti fasi del loro sviluppo. Il peso  della moneta unica sull’Europa è così grande che la sua fine sembra inevitabile: sarebbe dovere di intellettuali e politici farsi trovare preparati a questa eventualità e accelerare il processo  di smantellamento di uno strumento che, più viene utilizzato, più danneggia le economie che coinvolge.

 

di Ivana Kottasova, 19 aprile 2017

 

Sergi Cutillas era entusiasta, quando la Spagna è entrata nell’euro. Ma ora vorrebbe uscirne. “L’eurozona ha fallito. È stata un brutto esperimento,” – dichiara – “una pia illusione”.

L’economista trentaquattrenne vorrebbe che la Spagna uscisse dall’euro. Non è certo il solo: il 25% delle persone che usano la moneta unica vorrebbero abbandonarla, secondo l’ultimo sondaggio dell’Unione Europea.

La più grave minaccia per l’euro si presenta in Francia, dove domenica si voterà per il primo turno delle presidenziali, che vedono candidata Marine Le Pen. La politica di estrema destra, che vuole far uscire la Francia dall’unione monetaria, dovrebbe passare al secondo turno per affrontare un altro candidato il 7 di maggio.

L’euro, la valuta comune a 19 paesi dell'UE, è il simbolo più evidente del lungo esperimento di integrazione economica europea, iniziato alla fine della seconda guerra mondiale.

Ma questo simbolo è ora minacciato da politici di destra e di sinistra che vogliono riportare in circolazione la lira, la dracma, la peseta e il franco francese.

Ecco perché vogliono sopprimere l’euro.

'L’Europa non è una nazione'



Per Alberto Bagnai, la vera motivazione per liberarsi della moneta unica è questa: i paesi europei non sono uguali, quindi non dovrebbero usare la stessa moneta.

“Il punto fondamentale è che non si può formare uno stato federale tra cittadini di paesi con un passato culturale così differente” dice il professore universitario italiano. “Senza uno stato europeo, non si può avere una moneta europea”.

Alcuni paesi europei sono più ricchi, altri più poveri, come avviene per gli stati Americani. Ma a differenza degli Stati Uniti, l’eurozona non ha un governo centrale che possa decidere riguardo alla spesa, alla tassazione e alle politiche di bilancio.

“Gli Stati Uniti sono una nazione, possiedono un senso di identità comune” – dice Bagnai.

Questo non avviene in Europa, dove non esiste una prospettiva di unità politica, perché le nazioni più ricche, come la Germania, finirebbero col dover trasferire stabilmente i propri soldi alle nazioni meno fortunate.

“La Germania non vuole che ciò avvenga”, dichiara Bagnai. “Dovremmo smetterla di raccontare favole”.

"Un'illusione ottica"

Queste divisioni profonde non sono sempre state così evidenti.

I tassi di interesse necessari per pagare i creditori in Spagna, Grecia e Italia sono calati dopo la loro entrata nell’euro – convergendo con i tassi della Germania.



"Gli investitori hanno guardato i tassi nominali e hanno creduto che i greci fossero diventati tedeschi, “ commenta Bagnai - ”si è trattato di una sorta di illusione ottica”.

Poi è arrivata la crisi finanziaria, e le crepe dell’unione monetaria hanno iniziato a venire alla luce.



In Spagna, i politici non hanno potuto svalutare l'euro per contrastare il collasso della bolla immobiliare e la crisi debitoria.

Al contrario, Madrid è stata costretta a tagliare la spesa e ad attuare un programma di austerità – cosa che ha colpito il livello di vita.

“Il tasso di disoccupazione del 20% che abbiamo oggi in Spagna è una conseguenza diretta dell’euro” dice l’economista Cutillas.



Cutillas afferma che molte persone in Spagna, un paese che ha vissuto decenni di una violenta dittatura sotto Francisco Franco, sostengono l’euro perché lo associano al progresso, alla modernità e alla pace. Ma questo per l’economista non è abbastanza.

“Non è male poter viaggiare facilmente e avere un mezzo di pagamento comune, ma questi vantaggi non dovrebbero nascondere quello che l’euro sta provocando”, dichiara.



Una tragedia greca

La Grecia è il miglior esempio della divisione tra i ricchi paesi del nord Europa e le economie più deboli della periferia europea.

Dovendo affrontare una propria crisi debitoria, Atene ha accettato pesanti programmi di austerità in cambio di diversi salvataggi. I salari, le pensioni e le spese governative sono stati drasticamente ridotti.

Fotis Panagiotopoulos, operaio navale presso l’autorità portuale di Atene, ha vissuto l’esperienza sulla propria pelle. Il suo stipendio è stato ridotto del 50% dall’inizio della crisi greca del 2010. Sua moglie non riesce a trovare un lavoro stabile.

“In Grecia stiamo subendo una morte lenta” – dice – “non c’è via d’uscita a meno che non rompiamo questo circolo vizioso del debito”.



Panagiotopoulos vorrebbe che la Grecia si liberasse dall’euro per ricominciare da capo.

“Vogliamo solo poterci assicurare che noi, e i nostri bambini, possiamo avere un futuro dignitoso” – ha detto – “ con l’euro, non vedo come questo sia possibile”.



L’”euro-bolla” Irlandese

Vi ricordate della tigre celtica? L’Irlanda ebbe una crescita travolgente nei primi anni dell’euro, con tassi annuali di crescita medi del 6,5% tra il 1999 e il 2007.

Keith Redmond, dentista e politico locale a Dublino, ricorda quegli anni con paura.

“Non era un boom. Era una bolla… un’euro-bolla”.

Redmond sostiene che, non potendo regolare i suoi tassi di interesse, l’Irlanda non è riuscita a raffreddare la bolla. E quando questa è esplosa, ha portato il sistema bancario irlandese sull’orlo del collasso. L’Irlanda è stata costretta a tagliare la spesa.

Ora l’Irlanda ha svoltato e la sua economia è tornata a crescere. Ma, secondo Redmond, l’euro rimane un problema.

“Il problema fondamentale non è stato risolto… potrebbe accadere tutto di nuovo. Il nostro sistema monetario non ha alcuna flessibilità per essere in grado di affrontare uno shock”.



Il nazionalismo Francese

Vincent Brousseau è un economista francese. Tuttavia secondo lui il problema dell’euro non è economico. Considera piuttosto la moneta comune una minaccia alla sovranità nazionale francese.

“Non è francese” dice, a proposito della moneta unica. “Non importa se è sopravvalutata o sottovalutata… il punto è essere in grado di prendere le nostre decisioni”.

Ha avuto un forte ripensamento. Fino a pochi anni fa Brousseau lavorava per la Banca Centrale Europea.

“Quando ho incominciato, alla BCE, pensavo che ci potesse essere una sola Europa, ero un europeista convinto” – dice.

Ma ha gradualmente cambiato opinione nei 15 anni spesi alla Banca Centrale, che stabiliva un tasso di interesse comune per 19 diversi paesi europei.

“Mi sono reso conto che trasferire sovranità dalla Francia al superstato europeo non è un bene per il Paese” – ha detto Brousseau, che ora coordina la politica economica e monetaria del partito politico UPR.

Cosa ci aspetta

Gli oppositori dell’euro sono in disaccordo su quello che ci aspetta.

Redmond vorrebbe vedere l’unione monetaria divisa in due. L’attuale euro rimarrebbe in uso in Germania, Olanda e altri paesi economicamente forti. Un secondo euro, più debole, verrebbe introdotto per Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna.

Brousseau vorebbe che la Francia abbandonasse completamente l’euro e ritornasse a utilizzare il franco. Non gli piacciono i compromessi proposti dalla candidata di estrema destra Marine Le Pen, che vuole abbandonare l’euro, ma utilizzare una nuova moneta pan-europea in parallelo al franco.

In Italia, Bagnai pensa che la fine dell’euro sia inevitabile.

“Sappiamo che il progetto potrebbe durare ancora un decennio, forse, ma è destinato a fallire. E prima succederà, meglio sarà”.

 

Sapir: Paul Krugman e l'Euro

L'economista francese Jacques Sapir contesta la recente presa di posizione del Nobel americano Paul Krugman, il quale, pur essendosi spesso espresso anche con forza contro le politiche europee di austerità,  ora in prossimità delle elezioni in Francia si affretta a prendere le distanze dalla Le Pen e dal suo programma di uscita dall'euro.  Krugman porta a sostegno della sua tesi - che il problema della Francia non sta nell'euro - un dato statistico sul costo del lavoro francese misurato sulla media dei paesi europei, senza ahimé tenere in nessun conto i dati tra paesi all'interno della zona euro, mentre è proprio negli squilibri intra-eurozona che si manifesta il problema della moneta unica, con surplus abnormi da un lato e disoccupazione dall'altro. 

 

di Jacques Sapir, 13 Aprile 2017

Paul Krugman ha recentemente pubblicato una breve nota in cui spiega (in sostanza) che se l'Europa ha "dei problemi", questi non sono legati all’esistenza dell'euro, e, pertanto, non potrebbero nemmeno essere risolti con i programmi dei candidati (Marine le Pen e Jean-Luc Mélenchon) che mettono in discussione l'esistenza della moneta unica.

Per illustrare il suo argomento, egli confronta la curva del costo del lavoro reale della Francia rispetto alla media della zona euro, e le trova simili.  Ne "deduce" che l'euro non c'entra niente (proprio come aveva sostenuto, nel tempo, che "La globalizzazione non c'entra niente")

 



 

L'unico problema è che l'euro sta esacerbando le divergenze all'interno della zona euro e che non ha senso prendere in considerazione un dato medio. Si dovrebbero prendere i dati per paese, e non solo la Francia. Così, ho ripetuto i calcoli e confrontato i risultati. Vediamo (Figura 2) che la Francia, l'Italia e la Finlandia hanno un costo unitario del lavoro sensibilmente superiore a quello di Germania e Austria, ma anche dei due paesi dell'Europa meridionale che hanno sofferto di più  delle politiche di austerità (che d’altronde denuncia, giustamente, anche Paul Krugman, Spagna e Grecia).

 


Ora, e il FMI l’ha dimostrato molto chiaramente in un documento pubblicato la scorsa estate, l'euro ha portato a sottovalutare i costi in Germania e a sopravvalutarli in  paesi come la Francia e l'Italia. Così ho ripreso i calcoli fatti sulla base dei dati OCSE, ma facendo l’ipotesi che Germania,  Francia, Italia e Spagna avessero mantenuto le loro monete, e che dal 2000 queste ultime si fossero apprezzate o deprezzate normalmente secondo il livello di scarto delle parità rilevato nel documento del FMI.  Possiamo vedere i risultati nella figura 3.

 



 

Si può constatare che il costo unitario del lavoro si apprezza istantaneamente e in maniera notevole in Germania, per arrivare a uno scarto del 12% con la Francia e l'Italia (e non di - 7% come accade  a causa dell’euro) e del 22% con la Spagna. In altre parole, è l'euro che, a causa della sua sottovalutazione del costo unitario del lavoro in Germania e della sua sopravvalutazione in altri paesi, genera sia il surplus commerciale straordinario della Germania (+8 % del PIL), ma anche il fenomeno della distruzione di posti di lavoro industriali che abbiamo sperimentato in Francia, Italia e Spagna.

Se Paul Krugman vuole esprimere il suo particolare giudizio sulla vita politica in Francia è perfettamente nel suo diritto. Ma per farlo non falsifichi i dati statistici.

18/04/17

Nell'ultimo paese che l'America ha liberato da un "malvagio dittatore" oggi si commerciano apertamente gli schiavi

Un articolo rilanciato da Zero Hedge ci apre una finestra sull'orrore in cui la Libia è stata gettata dal cosiddetto intervento  "umanitario"  dei paesi NATO  e dalla primavera araba. Nel paese nordafricano, privo di un controllo politico, si fa apertamente compravendita di esseri umani come schiavi, li si detiene per ottenere il riscatto e se non sono utili alla fine li si uccide. Il disordine e le atrocità che seguono la cacciata del dittatore - per quanto odioso possa essere -  dovrebbero essere tenuti ben presenti oggi che il cerchio si sta stringendo intorno alla Siria.


 

di Carey Wedler, 15 aprile 2017

È ben noto che l'intervento NATO a guida USA del 2011 in Libia, con lo scopo di rovesciare Muammar Gheddafi, ha portato ad un vuoto di potere che ha permesso a gruppi terroristici come l'ISIS di prendere piede nel paese.

Nonostante le conseguenze devastanti dell'invasione del 2011, l'Occidente è oggi lanciato sulla stessa traiettoria nei riguardi della Siria. Proprio come l'amministrazione Obama ha stroncato Gheddafi nel 2011, accusandolo di violazione dei diritti umani e insistendo che doveva essere rimosso dal potere al fine di proteggere il popolo libico, così l'amministrazione Trump sta oggi puntando il dito contro le politiche repressive di Bashar al-Assad in Siria e lanciando l'avvertimento che il suo regime è destinato a terminare presto — tutto ovviamente in nome della protezione dei civili siriani.

Ma mentre gli Stati Uniti e i loro alleati si dimostrano effettivamente incapaci di fornire una qualsiasi base legale a giustificazione dei loro recenti attacchi aerei — figurarsi poi fornire una qualsiasi evidenza concreta a dimostrazione del fatto che Assad sia effettivamente responsabile dei mortali attacchi chimici della scorsa settimana — emergono sempre più chiaramente i pericoli connessi all'invasione di un paese straniero e alla rimozione dei suoi leader politici.

Questa settimana abbiamo avuto nuove rivelazioni sugli effetti collaterali degli "interventi umanitari": la crescita del mercato degli schiavi.

Il Guardian ha riportato che sebbene "la violenza, l'estorsione e il lavoro in schiavitù" siano stati già in passato una realtà per le persone che transitavano attraverso la Libia, recentemente il commercio degli schiavi è aumentato. Oggi la compravendita di esseri umani come schiavi viene fatta apertamente, alla luce del sole.
"Gli ultimi report sul 'mercato degli schiavi' a cui sono sottoposti i migranti si possono aggiungere alla lunga lista di atrocità [che avvengono il Libia]" ha detto Mohammed Abdiker, capo delle operazioni di emergenza dell'International Office of Migration, un'organizzazione intergovernativa che promuove "migrazioni ordinate e più umane a beneficio di tutti", secondo il suo stesso sito web. "La situazione è tragica. Più l'IOM si impegna in Libia, più ci rendiamo conto come questo paese sia una valle di lacrime per troppi migranti."

Il paese nordafricano viene usato spesso come punto di uscita per i rifugiati che arrivano da altre parti del continente. Ma da quando Gheddafi è stato rovesciato nel 2011 "il paese, che è ampio e poco densamente popolato, è piombato nel caos della violenza, e i migranti, che hanno poco denaro e di solito sono privi di documenti, sono particolarmente vulnerabili", ha spiegato il Guardian.

Un sopravvissuto del Senegal ha raccontato che stava attraversando la Libia, proveniendo dal Niger, assieme ad un gruppo di altri migranti che cercavano di scappare dai loro paesi di origine. Avevano pagato un trafficante perché li trasportasse in autobus fino alla costa, dove avrebbero corso il rischio di imbarcarsi per l'Europa. Ma anziché portarli sulla costa il trafficante li ha condotti in un'area polverosa presso la cittadina libica di Sabha. Secondo quanto riportato da Livia Manente, la funzionaria dell'IOM che intervista i sopravvissuti, "il loro autista gli ha detto all'improvviso che gli intermediari non gli avevano passato i pagamenti dovuti e ha messo i passeggeri in vendita". La Manente ha anche dichiarato:
"Molti altri migranti hanno confermato questa storia, descrivendo indipendentemente [l'uno dall'altro] i vari mercati degli schiavi e le diverse prigioni private che si trovano in tutta la Libia", aggiungendo che la OIM-Italia ha confermato di aver raccolto simili testimonianze anche dai migranti nell'Italia del sud.

Il sopravvissuto senegalese ha detto di essere stato portato in una prigione improvvisata che, come nota il Guardian, è cosa comune in Libia.
"I detenuti all'interno sono costretti a lavorare senza paga, o in cambio di magre razioni di cibo, e i loro carcerieri telefonano regolarmente alle famiglie a casa chiedendo un riscatto. Il suo carceriere chiese 300.000 franchi CFA (circa 450 euro), poi lo vendette a un'altra prigione più grossa dove la richiesta di riscatto raddoppiò senza spiegazioni".

Quando i migranti sono detenuti troppo a lungo senza che il riscatto venga pagato, vengono portati via e uccisi. "Alcuni deperiscono per la scarsità delle razioni e le condizioni igieniche miserabili, muoiono di fame o di malattie, ma il loro numero complessivo non diminuisce mai", riporta il Guardian.
"Se il numero di migranti scende perché qualcuno muore o viene riscattato, i rapitori vanno al mercato e ne comprano degli altri", ha detto Manente.

Giuseppe Loprete, capo della missione IOM del Niger, ha confermato questi inquietanti resoconti. "È assolutamente chiaro che loro si vedono trattati come schiavi", ha detto. Loprete ha gestito il rimpatrio di 1500 migranti nei soli primi tre mesi dell'anno, e teme che molte altre storie e incidenti del genere emergeranno man mano che altri migranti torneranno dalla Libia.
"Le condizioni stanno peggiorando in Libia, penso che ci possiamo aspettare molti altri casi nei mesi a venire", ha aggiunto.

Ora, mentre il governo degli Stati Uniti sta insistendo nell'idea che un cambio di regime in Siria sia la soluzione giusta per risolvere le molte crisi di quel paese, è sempre più evidente che la cacciata dei dittatori — per quanto detestabili possano essere — non è una soluzione efficace. Rovesciare Saddam Hussein non ha portato solo alla morte di molti civili e alla radicalizzazione della società, ma anche all'ascesa dell'ISIS.

Mentre la Libia, che un tempo era un modello di stabilità nella regione, continua a precipitare nel baratro in cui l'ha gettata "l'intervento umanitario" dell'Occidente – e gli esseri umani vengono trascinati nel nuovo mercato della schiavitù, e gli stupri e i rapimenti affliggono la popolazione – è sempre più ovvio che altre guerre non faranno altro che provocare ulteriori inimmaginabili sofferenze.

16/04/17

George Monbiot - Neoliberalismo, l'ideologia alla radice di tutti i nostri problemi

Un grande articolo di George Monbiot sul Guardian rintraccia le origini e lo sviluppo di quella teoria neoliberale che dagli anni '80 ha pervaso le nostre società, ma i cui presupposti sono stati preparati con sorprendente cura e determinazione già da molti decenni prima.  Monbiot  sottolinea in particolare lo strano carattere "anonimo" di questa ideologia: pur profondamente penetrata nella coscienza collettiva, non ha nemmeno un nome ben definito, e così coperta da un vago anonimato risuona quasi come un sistema naturale, rendendo ancora più difficile identificarla e contrapporvisi.  In questo sta il fallimento storico della sinistra, che nel momento peggiore della crisi del sistema neoliberale  si ritrova senza aver elaborato alcuna proposta alternativa. 

Con questa riflessione, da parte di tutta la redazione un augurio di Buona Pasqua di serenità 

 

di George Monbiot, 15 aprile 2016

Traduzione di @chemicalture

Immaginate se il popolo dell'Unione Sovietica non avesse mai sentito parlare del comunismo. L'ideologia che domina le nostre vite, per la maggior parte di noi non ha un nome. Menzionatela nelle vostre conversazioni e avrete in risposta una scrollata di spalle. Anche se i vostri ascoltatori hanno già sentito questo termine, faranno fatica a definirlo. Neoliberalismo: sapete di cosa si tratta?

Il suo anonimato è sia un sintomo che la causa del suo potere. Essa ha svolto un ruolo importante in una notevole varietà di crisi: la crisi finanziaria del 2007-8, la delocalizzazione di ricchezza e potere, di cui i Panama Papers ci offrono solo un assaggio, il lento collasso della sanità pubblica e dell'istruzione, l'aumento dei bambini poveri, l'epidemia della solitudine, la distruzione degli ecosistemi, l'ascesa di Donald Trump. Ma noi rispondiamo a queste crisi come se fossero dei casi isolati, apparentemente inconsapevoli del fatto che tutte sono state catalizzate o aggravate dalla stessa filosofia di base; una filosofia che ha - o ha avuto - un nome. Quale potere più grande dell'agire nel completo anonimato?

Il neoliberalismo è diventato così pervasivo che ormai raramente lo consideriamo come una ideologia. Sembriamo accettare la tesi che questa utopica fede millenaria rappresenti una forza neutrale; una sorta di legge biologica, come la teoria dell'evoluzione di Darwin. Ma la filosofia è nata come un tentativo consapevole di trasformare la vita umana e spostare il luogo del potere.

Il neoliberalismo vede la competizione come la caratteristica che definisce le relazioni umane. Ridefinisce i cittadini in quanto consumatori, le cui scelte democratiche sono meglio esercitate con l'acquisto e la vendita, un processo che premia il merito e punisce l'inefficienza. Essa sostiene che “il mercato” offre dei vantaggi che non potrebbero mai essere offerti dalla pianificazione dell'economia.

I tentativi di limitare la concorrenza sono trattati come ostili alla libertà. Pressione fiscale e regolamentazione dovrebbero essere ridotte al minimo, i servizi pubblici dovrebbero essere privatizzati. L'organizzazione del lavoro e la contrattazione collettiva da parte dei sindacati sono considerate come distorsioni del mercato, che impediscono lo stabilirsi di una naturale gerarchia di vincitori e vinti. La disuguaglianza è ridefinita come virtuosa: un premio per i migliori e un generatore di ricchezza che viene redistribuita verso il basso per arricchire tutti. Gli sforzi per creare una società più equa sono sia controproducenti che moralmente condannabili. Il mercato fa sì che ognuno ottenga ciò che merita.

Noi interiorizziamo e diffondiamo questo credo. I ricchi si autoconvincono di aver acquisito la loro ricchezza attraverso il merito, ignorando i vantaggi - come l'istruzione, l'eredità e la classe sociale d'appartenenza - che possono averli aiutati ad assicurarsela. I poveri cominciano a incolpare se stessi per i propri fallimenti, anche quando possono fare poco per cambiare la situazione.

Per non parlare della disoccupazione strutturale: se non si ha un lavoro è perché non lo si è cercato abbastanza. E nemmeno dei costi impossibili degli alloggi: se la vostra carta di credito è in rosso, siete stati irresponsabili e imprevidenti. Non importa che i vostri figli non abbiano più un cortile a scuola dove poter giocare: se ingrassano, è colpa vostra. In un mondo governato dalla competizione, chi rimane indietro viene definito e si percepisce come perdente.

Tra i risultati, come documentato da Paul Verhaeghe nel suo libro "What About Me?", vi sono epidemie di autolesionismo, disturbi alimentari, depressione, solitudine, ansia da prestazione e fobia sociale. Forse non è sorprendente che la Gran Bretagna, dove l'ideologia neoliberale è stata applicata più rigorosamente, sia la capitale europea della solitudine. Ormai siamo tutti neoliberali.

***

Il termine neoliberalismo è stato coniato durante una riunione a Parigi nel 1938. Tra i delegati vi erano due uomini che giunsero a definire l'ideologia, Ludwig von Mises e Friedrich Hayek. Entrambi esuli provenienti dall'Austria, vedevano nella socialdemocrazia, esemplificata dal New Deal di Franklin Roosevelt e dal graduale sviluppo del welfare britannico, la manifestazione di un collettivismo di stampo simile al nazismo e al comunismo.

Nel suo libro "La via della schiavitù", pubblicato nel 1944, Hayek sosteneva che la pianificazione del governo, schiacciando l'individualismo, avrebbe portato inesorabilmente al controllo totalitario. Come il libro di Mises "Burocrazia", "La via della schiavitù" ebbe una grande diffusione. Riuscì ad attirare l'attenzione di persone molto ricche, che vedevano in questa filosofia la possibilità di liberarsi dalla regolamentazione e dalle tasse. Quando, nel 1947, Hayek fondò la prima organizzazione che avrebbe diffuso la dottrina del neoliberalismo – la Mont Pelerin Society - fu sostenuto finanziariamente da ricchi milionari e dalle loro fondazioni.

Con il loro aiuto, cominciò a creare quello che Daniel Stedman Jones descrive in "Padroni dell'Universo" come “una sorta di internazionale del liberalismo”: una rete transatlantica di accademici, uomini d'affari, giornalisti e attivisti. Ricchi banchieri appartenenti al movimento finanziarono una serie di think thank per affinare e promuovere l'ideologia. Tra di loro c'erano l' American Enterprise Institute , la Heritage Foundation, il Cato Institute, l'Institute of Economic Affairs, il Centre of Policies Studies e l'Adam Smith Institute. Essi finanziarono inoltre posizioni accademiche e dipartimenti, in particolare presso le università di Chicago e della Virginia.

Man mano che si è evoluto, il neoliberalismo è diventato più stridente. La visione di Hayek sui governi che dovrebbero regolamentare la concorrenza per impedire la formazione di monopoli ha ceduto il posto - tra i seguaci americani come Milton Friedman – alla convinzione che il potere di monopolio potrebbe essere visto come una ricompensa per l'efficienza.

Durante questa transizione però è accaduto qualcosa: il movimento ha perso il suo nome. Nel 1951, Friedman era felice di descrivere se stesso come un neoliberale. Ma subito dopo, il termine ha cominciato a scomparire. Ancora più strano, anche se l'ideologia era diventata più netta e il movimento più coerente, il nome perduto non è stato sostituito da alcuna alternativa comunemente accettata.

In un primo momento, nonostante il suo lauto finanziamento, il neoliberalismo rimase ai margini. Il consenso del dopoguerra era quasi universale: le indicazioni economiche di John Maynard Keynes erano ampiamente applicate, la piena occupazione e la riduzione della povertà erano obiettivi condivisi negli Stati Uniti e in gran parte dell'Europa occidentale, le aliquote d'imposta sui redditi alti erano elevate e i governi perseguivano i loro obiettivi sociali senza ostacoli, creando nuovi servizi pubblici e reti di sicurezza sociale.

Ma negli anni Settanta, quando le politiche keynesiane cominciarono a crollare e le crisi economiche colpivano su entrambe le sponde dell'Atlantico, le idee neoliberali cominciarono a entrare nel mainstream. Come osservò Friedman, “quando venne il momento che si doveva cambiare ... c'era un'alternativa già pronta lì per essere colta”. Con l'aiuto di giornalisti compiacenti e consiglieri politici, elementi del neoliberalismo, in particolare le sue indicazioni circa la politica monetaria, furono adottati dall'amministrazione di Jimmy Carter negli Stati Uniti e dal governo di Jim Callaghan in Gran Bretagna.

Dopo che Margaret Thatcher e Ronald Reagan presero il potere, il resto del pacchetto fu presto applicato: massicci tagli alle tasse per i ricchi, smantellamento dei sindacati, deregolamentazione, privatizzazioni, esternalizzazioni e concorrenza nei servizi pubblici. Attraverso il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, il trattato di Maastricht e l'Organizzazione mondiale del commercio, le politiche neoliberali sono state imposte  - spesso senza il consenso democratico - in gran parte del mondo. La cosa più notevole è stata l'adozione del neoliberalismo tra i partiti che un tempo appartenevano alla sinistra: i Laburisti e i Democratici, per esempio. Come osserva Stedman Jones, “è difficile pensare ad un'altra utopia che sia stata così pienamente realizzata".

***

Può sembrare paradossale che una dottrina che promette possibilità di scelta e libertà sia stata promossa con lo slogan “there is no alternative" (non c'è alternativa, ndt). Ma, come osservò Hayek durante una visita nel Cile di Pinochet - una delle prime nazioni in cui il programma venne ampiamente applicato - “la mia preferenza personale pende verso una dittatura liberale piuttosto che verso un governo democratico privo del liberalismo”. La libertà che il neoliberalismo offre, che suona così seducente se espressa in termini generali, si rivela essere libertà per il luccio, non per i pesciolini.

Libertà dai sindacati e dalla contrattazione collettiva significa libertà di reprimere i salari. Libertà dalla regolamentazione significa libertà di avvelenare i fiumi, mettere in pericolo i lavoratori, applicare tassi di interesse iniqui e inventare strumenti finanziari esotici. Libertà dalle tasse significa libertà dalla redistribuzione della ricchezza che solleva le persone dalla povertà.



Naomi Klein ha scritto un libro in cui ha parlato di come i neoliberalisti abbiano fatto uso della crisi per imporre politiche impopolari, mentre le persone erano distratte. Fotografia: Anya Chibis per il Guardian

 

Come documentato da Naomi Klein in "The Shock Doctrine" ( uscito in italiano col titolo "Shock Economy. L'ascesa del capitalismo dei disastri", NdR), teorici neoliberali hanno sostenuto l'uso della crisi per imporre politiche impopolari, approfittando della distrazione creata dalla situazione di crisi: cosi è successo in occasione del colpo di stato di Pinochet, della guerra in Iraq e dell'uragano Katrina, quest'ultimo descritto da Friedman come “un'opportunità per riformare radicalmente il sistema educativo” di New Orleans.

Dove le politiche neoliberiste non possono essere imposte a livello nazionale, sono imposte a livello internazionale, attraverso trattati commerciali che incorporano la cosiddetta “risoluzione delle controversie tra investitori e Stato”: tribunali off-shore in cui le gandi società possono fare pressioni per la rimozione delle protezioni sociali e ambientali. Quando i parlamenti hanno votato a favore della limitazione della vendita di sigarette, o per proteggere le riserve idriche nei confronti delle compagnie minerarie, congelare le bollette energetiche o evitare l'eccessivo aumento dei prezzi da parte delle case farmaceutiche, le società hanno fatto causa, spesso con successo. La democrazia è ridotta a un teatro.

Un altro paradosso del neoliberalismo è che la competizione universale si basa sulla altrettanto universale comparazione e selezione. Il risultato è che i lavoratori, i disoccupati e i servizi pubblici di ogni genere sono soggetti ad un pernicioso e soffocante regime di valutazione e monitoraggio, ideato per identificare i vincitori e punire i perdenti. La dottrina proposta da Von Mises. che ci avrebbe liberato dall'incubo burocratico della pianificazione centrale, al contrario, ha realizzato proprio questo.

Il neoliberalismo non è stato concepito come un meccanismo autoreferenziale, ma lo è rapidamente diventato. La crescita economica è stata nettamente più lenta nell'era neoliberista (dal 1980 in Gran Bretagna e negli Stati Uniti) di quanto non fosse nei decenni precedenti; ma non per i più ricchi. La disuguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza, dopo 60 anni di declino, in questo periodo è di nuovo aumentata rapidamente a causa della distruzione dei sindacati, le riduzioni fiscali, l'aumento delle rendite, le privatizzazioni e la deregolamentazione.

La privatizzazione o mercatizzazione dei servizi pubblici, quali l'energia, l'acqua, i trasporti, la sanità, l'istruzione, le strade e le carceri, ha permesso alle grandi aziende di imporre delle tariffe sui beni essenziali e pretendere il pagamento per l'accesso, sia dai cittadini che dai governi. Rendita è un altro termine per significare reddito senza lavoro. Quando si paga un prezzo gonfiato per un biglietto del treno, solo una parte della tariffa compensa gli operatori per i soldi che spendono per il carburante, i salari, il materiale rotabile e altre spese. Il resto riflette il fatto che vi hanno messo con le spalle al muro.


In Messico, a Carlos Slim è stato concesso il controllo di quasi tutti i servizi di telefonia, così che è divenuto ben presto  l'uomo più ricco del mondo. Fotografia: Henry Romero / Reuters


Coloro che possiedono e gestiscono i servizi privatizzati o semi-privatizzati del Regno Unito fanno immense fortune investendo poco e ricaricando molto. In Russia e in India, oligarchi hanno acquisito beni precedentemente dello Stato grazie a delle svendite. In Messico, a Carlos Slim è stato concesso il controllo di quasi tutti i servizi di rete fissa e telefonia mobile, così che è divenuto ben presto l'uomo più ricco del mondo.

La finanziarizzazione dell'economia, come osserva Andrew Sayer in "Why We Can't Afford the Rich , ha avuto un impatto simile. “Come le rendite”, sostiene, “gli interessi sono ... redditi non da lavoro, che maturano senza alcuno sforzo”. Come i poveri diventano più poveri e i ricchi diventano più ricchi, i ricchi acquisiscono sempre più il controllo su un'altra risorsa cruciale: la moneta. La spesa per interessi, in modo schiacciante, rappresenta un trasferimento di denaro dai poveri ai ricchi. Man mano che i prezzi degli immobili e la fine dei finanziamenti pubblici caricano le persone di debiti (si pensi al passaggio dalle borse di studio ai prestiti agli studenti), le banche e i loro dirigenti sbancano.

Sayer sostiene che gli ultimi quattro decenni sono stati caratterizzati da un trasferimento di ricchezza non solo dai poveri ai ricchi, ma anche tra le fila dei ricchi: da quelli che fanno soldi con la produzione di nuovi beni o servizi a coloro che fanno soldi controllando i beni esistenti e traendone delle rendite, interessi o plusvalenze. Il reddito da lavoro è stato soppiantato dalla rendita senza lavoro.

Le politiche neoliberiste sono ovunque afflitte dai fallimenti del mercato. Non solo le banche sono troppo grandi per fallire ("too big to fail"), ma lo sono anche le società ora incaricate di fornire servizi pubblici. Come Tony Judt ha sottolineato nel suo libro "Ill Fares The Land", Hayek ha dimenticato che i servizi pubblici vitali per un paese non possono fallire, il che significa che la concorrenza non può fare il suo corso. Gli investitori prendono i profitti, lo Stato si assume il rischio.

Maggiore è il fallimento, più estrema diventa l'ideologia. I governi usano le crisi neoliberiste come pretesto e occasione per tagliare le tasse, privatizzare i restanti servizi pubblici, creare strappi nella rete di sicurezza sociale, deregolamentare le imprese e disciplinare i cittadini. Lo Stato autolesionista ora affonda i denti in ogni organo del settore pubblico.

Forse l'impatto più pericoloso del neoliberalismo non è la crisi economica che ha causato, ma la crisi politica. Come il peso dello Stato è ridotto, così è ridotta la nostra capacità di cambiare il corso delle nostre vite attraverso il voto. Invece, la teoria neoliberale afferma che le persone possono esercitare una scelta attraverso la spesa. Ma alcuni hanno più da spendere rispetto ad altri: nella democrazia del consumatore o dell'azionista, il diritto di voto non è equamente distribuito. Il risultato è una riduzione dei diritti dei meno abbienti e della classe media. Mentre i partiti di destra e della ex sinistra adottano politiche neoliberali simili, la riduzione del potere statale si traduce in una revoca dei diritti. Un gran numero di persone sono state escluse dalla politica.


Slogan, simboli e sensazioni ... Donald Trump. Fotografia: Aaron Josefczyk / Reuters


Chris Hedges osserva che “i movimenti fascisti costruiscono il loro fondamento non sulla base degli attivisti, ma di coloro che sono politicamente inattivi, i 'perdenti', che percepiscono, spesso in modo corretto, di non avere alcuna voce in capitolo nel mondo politico”. Quando il dibattito politico non parla più a tutti, allora le persone diventano sensibili a slogan, simboli e sensazioni. Per gli ammiratori di Trump, ad esempio, i fatti e gli argomenti appaiono irrilevanti.

Judt ha spiegato che quando la fitta rete di interazioni tra il popolo e lo Stato viene ridotto a nulla se non all'autorità e all'obbedienza, l'unica forza che ci lega è il potere dello stato. Il totalitarismo che Hayek temeva ha più probabilità di emergere quando i governi, dopo aver perso l'autorità morale che nasce dalla erogazione dei servizi pubblici, si riducono a “blandire, minacciare e, infine, costringere la gente a obbedire”.

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Come il comunismo, il neoliberalismo è il Dio che ha fallito. Ma la dottrina zombie vacilla e uno dei motivi è il suo anonimato. O meglio, un insieme di anonimati.

La dottrina invisibile della mano invisibile è promossa da sostenitori invisibili. Lentamente, molto lentamente, abbiamo iniziato a scoprire i nomi di alcuni di loro. Vediamo che l'Institute of Economic Affairs, che ha sostenuto con forza sui media la campagna contro l'ulteriore regolamentazione del settore del tabacco, è stato segretamente finanziato dalla British American Tobacco sin dal 1963. Scopriamo che Charles e David Koch, due degli uomini più ricchi del mondo, fondarono l'istituto che ha messo in piedi il movimento Tea Party. Scopriamo che Charles Koch, nell'istituire uno dei suoi think tank, osservò che “al fine di evitare critiche indesiderate, non si dovrebbe fare molta pubblicità sul modo come l'organizzazione è controllata e diretta”.

Le parole usate dal neoliberismo spesso nascondono più di quanto chiariscano. “Il mercato” suona come un sistema naturale che potrebbe essere paragonato alla gravità o alla pressione atmosferica. Ma è gravido di relazioni di potere. Ciò che “il mercato vuole” tende a significare ciò che le aziende ed i loro capi vogliono.“Investimento”, come nota Sayer, significa due cose molto diverse. Uno è il finanziamento di attività produttive e socialmente utili, l'altro è l'acquisto di beni esistenti per ottenere una rendita, interessi, dividendi e plusvalenze. Utilizzare la stessa parola per le diverse attività “mimetizza le fonti della ricchezza”, il che ci porta a confondere l'estrazione di ricchezza con la creazione di ricchezza.

Un secolo fa, i nuovi ricchi venivano denigrati da coloro che avevano ereditato il loro denaro. Gli imprenditori ricercavano l'accettazione sociale facendosi passare per rentiers. Oggi, il rapporto è stato invertito: i rentiers e gli ereditieri si definiscono imprenditori. Sostengono di essersi guadagnati le loro rendite, che in realtà non derivano dal lavoro.

Questo anonimato e questa confusione si mischiano all'opacità senza nome e senza luogo del capitalismo moderno: il modello di franchising assicura che i lavoratori non sappiano per chi lavorano esattamente; società registrate off-shore dietro ad una rete di segretezza così complessa che neanche la polizia può risalire ai proprietari reali; regimi fiscali che infinocchiano i governi; prodotti finanziari che nessuno comprende.

L'anonimato del neoliberalismo è ferocemente difeso. Coloro che sono influenzati da Hayek, Mises e Friedman tendono a rifiutare il termine, poiché esso – e non a torto - è oggi utilizzato solo in senso dispregiativo. Ma non ci offrono un'alternativa. Alcuni si definiscono liberali classici o libertari, ma queste descrizioni sono stranamente defilate e fuorvianti, in quanto suggeriscono che nei libri "La via della schiavitù" e "Burocrazia", o nel classico di Friedman "Capitalismo e Libertà", non vi sia in realtà niente di nuovo.

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Per tutte queste ragioni,  nel progetto neoliberale c'è qualcosa di ammirevole, almeno nelle sue fasi iniziali.  Si è trattato  di una peculiare, innovativa  filosofia promossa da una rete di pensatori e attivisti coerenti e con un chiaro piano d'azione. Portato avanti con pazienza e tenacia. "La via della schiavitù" è diventata la strada per il potere.

Il trionfo del neoliberalismo riflette anche il fallimento della sinistra. Quando nel 1929 l'economia del laissez-faire  portò alla catastrofe, Keynes ideò una teoria economica globale per sostituirla. Quando negli anni '70 la gestione keynesiana della domanda andò fuori strada, c'era un'alternativa pronta. Ma quando nel 2008 il neoliberalismo è crollato, non c'era... niente. Ecco perché la marcia degli zombie. La sinistra e il centro non hanno prodotto alcun nuovo inquadramento generale del pensiero economico per 80 anni.

Ogni invocazione di Lord Keynes è un'ammissione di fallimento. Proporre soluzioni keynesiane alle crisi del 21° secolo significa ignorare tre problemi evidenti. E' difficile mobilitare le persone intorno a vecchie idee; le falle messe in luce negli anni '70 non sono scomparse; e, sopratutto, non tengono in considerazione la nostra più grave emergenza: la crisi ambientale. Il Keynesismo agisce stimolando la domanda dei consumatori per promuovere la crescita economica. La domanda dei consumatori e la crescita economica sono i motori della distruzione ambientale.

Quel che la storia del keynesismo e del neoliberalismo ci dimostra è che nessuno dei due si è dimostrato adeguato a  controbilanciare le criticità del sistema.Bisogna proporre un'alternativa coerente. Per i Laburisti, i Democratici e più in generale la sinistra, il compito centrale dovrebbe essere quello di sviluppare un programma economico che sia come l'Apollo (il programma spaziale, Ndt), un tentativo maturo di progettare un nuovo sistema progettato su misura per le esigenze del 21 ° secolo.