26/03/20
Il coronavirus ci pone di fronte a una guerra, e dobbiamo mobilitarci di conseguenza - Mario Draghi sul Financial Times
Mario Draghi interviene sul Financial Times con un articolo che ha l'effetto di una bomba sui burocrati di Bruxelles e sulla esitante e tremebonda politica del governo italiano. I debiti pubblici aumenteranno e ce ne dobbiamo fare una ragione, siamo di fronte a una guerra e in tempi eccezionali le risposte devono essere eccezionali. E veloci. Il rischio è entrare in un ciclo irreversibile di povertà. Con buona pace del nostro ministro dell'economia, le previsioni sull'impatto della crisi sono di proprozioni inimmaginabili.
di Mario Draghi, 25 Marzo 2020
Livelli più elevati di debito pubblico diventeranno una caratteristica dell’economia e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato
La pandemia di coronavirus è una tragedia umana di proporzioni potenzialmente bibliche. Molti oggi vivono nella paura per la propria vita o in lutto per i propri cari. Le azioni intraprese dai governi per evitare che i nostri sistemi sanitari vengano travolti sono coraggiose e necessarie. Devono essere sostenuti.
Ma queste azioni comportano anche un costo economico enorme e inevitabile. Mentre molti affrontano il pericolo di perdere la vita, molti altri affrontano la perdita del sostentamento. Giorno dopo giorno, le notizie economiche stanno peggiorando. Nell'intera economia le imprese affrontano perdite. Molte si stanno già ridimensionando e stanno licenziando i lavoratori. Una profonda recessione è inevitabile.
20/03/20
L'élite tedesca chiede la fine delle politiche espansive della BCE e il MES per l'Italia
Mentre qualche residuo europeista nostalgico si ostina a pensare che l'UE possa essere la soluzione alla crisi del Coronavirus, e non un problema nell'affrontarla, le élite tedesche chiariscono a tutti che il loro obiettivo è riportare le politiche BCE in linea con i loro interessi - ossia tassi di interesse più alti e fine delle politiche monetarie espansive. Ovviamente sanno che questo manderebbe a gambe all'aria i paesi periferici, ma la soluzione è a portata di mano: intervento del MES e imposizione di pesanti pacchetti di austerità per tutti gli stati in difficoltà finanziaria. Anche nell'emergenza, si conferma che non esiste l'interesse europeo, esistono bensì interessi particolari che vengono regolati in base alla legge della giungla.
Dal Frankfurter Allgemeine Sonntagzeitung, 15 marzo 2020
Traduzione di Musso (@Musso___)
Il nostro obiettivo
La crisi del Coronavirus è attualmente sotto controllo.
Si tratta qui principalmente di una crisi dell'offerta, che difficilmente può essere affrontata con una politica della domanda.
La Banca centrale europea (BCE) non è pertanto chiamata in causa.
Le sue risoluzioni del 12 marzo hanno mostrato che, a differenza di altre banche centrali, come la Fed degli Stati Uniti, non aveva più spazio per ulteriori riduzioni dei tassi di interesse.
Come giustamente affermato dalla presidente Lagarde, non spetta all'Eurosistema ridurre i differenziali dei tassi di interesse.
Un ulteriore calo del tasso di interesse negativo per i depositi, aumenterebbe ulteriormente la liquidità degli enti creditizi e indebolirebbe la resilienza del sistema bancario in caso di insolvenze dei prestiti indotte dalla crisi.
La strategia di politica monetaria della BCE dovrebbe essere a lungo termine e creare una "prospettiva di fiducia", tanto per il superamento della crisi, quanto per il tempo successivo.
In questo contesto, riteniamo che sia necessario, dopo un affievolimento della crisi, avviare l'inversione di tendenza dei tassi.
Con ciò, non si tratta di un movimento radicale dei tassi di interesse, bensì di segnali per una graduale normalizzazione della politica monetaria.
Bisogna dare il via alla fine della sistematica ed esuberante inondazione monetaria del sistema monetario europeo.
Un primo passo - dopo un cambiamento nella ‘forward guidance’ - può essere quello di innalzare il tasso di deposito negativo per le banche verso lo zero percento.
Lo Scenario
Nel contesto della crisi finanziaria del 2008/2009, la BCE ha contribuito a stabilizzare la situazione con una politica, sino ad allora senza precedenti, di bassi tassi di interesse.
Dopo due importanti rialzi dei tassi nel 2011, la zona euro è tornata in recessione.
Allo stesso tempo, la crisi del debito sovrano della Grecia ha minacciato di diffondersi in altri paesi della zona euro.
La BCE ha reagito con ripetuti tagli ai tassi d'interesse, sino allo zero percento.
La fiducia nella sopravvivenza della zona euro è stata sostenuta dal discorso "whatever it takes", del presidente della BCE Mario Draghi, nel luglio 2012.
In tal modo, agli occhi di molti osservatori, venne implicitamente dichiarata una responsabilità comune ed illimitata, per le emissioni di titoli di stato emessi da parte degli Stati membri.
La BCE ha così stabilizzato i mercati finanziari, con successo.
La disoccupazione è diminuita in modo significativo.
A fronte di ciò, stanno i pericoli, legati al coinvolgimento in regimi di responsabilità, che sono stati approvati aggirando i parlamenti.
Nonostante la riuscita stabilizzazione dei mercati, la BCE ha mantenuto i suoi tassi di interesse estremamente bassi e, con il lancio di programmi di acquisto di titoli di inaudita grandezza, ha persino intrapreso una politica continua di denaro straordinariamente economico, come quella negli Stati Uniti all'inizio della crisi finanziaria e bancaria del 2008/2009.
Il motivo di fondo era, inizialmente il timore di una spirale deflazionistica e, in seguito, l'obiettivo di raggiungere un tasso di inflazione “inferiore ma vicino al 2%”, che la BCE ha deciso nel 2003 in un diverso contesto di politica monetaria.
Il Trattato di Maastricht impone stabilità dei prezzi.
Ciò non significa che è possibile trasformare un limite superiore per gli aumenti di prezzo in un obiettivo di prezzo.
Sebbene l'economia dell'area dell'euro sia sempre rimasta lontana dal limite di deflazione, l'effetto sul tasso di inflazione è stato davvero modesto.
Pure ciò, per la presidentessa della BCE Christine Lagarde, dovrebbe costituire un motivo, per l’annunciata “review” della strategia di politica monetaria della banca centrale.
BCE stessa ha, nel suo ultimo Rapporto sulla Stabilità Finanziaria, indicato i sempre più chiaramente negativi effetti collaterali della pluriennale politica del denaro a basso costo.
Certamente, lo stato tedesco, come tutti i debitori, fa parte di coloro che guadagnano dalla politica dei bassi tassi di interesse, però i perdenti sono i risparmiatori e i futuri pensionati.
La Germania è, nel suo insieme, creditore netto rispetto al resto del mondo, addirittura il secondo più grande, dopo il Giappone.
Quindi, i risparmiatori perdono più di quanto lo stato guadagna.
La signora Lagarde ha annunciato che avrebbe fatto, nel corso dell'anno, una “review” ed avrebbe, in questo processo, “ascoltato molto”, il che significa che, nella nuova messa a fuoco, sarebbero state incorporate pure opinioni diverse sulla politica monetaria della BCE.
Noi vogliamo partecipare a questa formazione dell’opinione e fornire informazioni sulla necessaria correzione del corso della politica monetaria.
I nostri argomenti
Nonostante anni di politiche a basso tasso di interesse, massicci acquisti di obbligazioni con conseguente liquidità eccessiva e un boom economico sino alla fine del 2017, l'obiettivo del due per cento non è stato finora durevolmente raggiunto.
Manifestamente, gli strumenti della BCE non hanno funzionato; tuttavia, essi continueranno a venire utilizzati.
Accanto al raggiungimento dell'obiettivo di inflazione, un intento della banca centrale era il sostegno dei bilanci pubblici nell'area dell'euro.
Soprattutto, i paesi sovra-indebitati, Italia e Grecia, dovrebbero essere protetti dalle difficoltà, attraverso tassi di interesse bassissimi, sebbene gli strumenti del MES-Meccanismo Europeo di Stabilità siano a tal fine disponibili dal 2012; a differenza dell'acquisto di titoli di stato da parte della BCE, gli aiuti finanziari del MES sono legati ad impegni di riforma.
La politica monetaria della BCE, quindi, ha ridotto l'incentivo ad una sana politica di bilancio ed a riforme strutturali favorevoli alla crescita.
Inoltre, i differenziali dei tassi di interesse tra paesi con più e meno elevato merito di credito, in linea generale sono non un segnale di una inadeguata trasmissione della politica monetaria, bensì un incentivo a osservare il Patto di Stabilità ed il Fiscal Compact, in tal modo rafforzando l'unione monetaria.
La BCE ha, con la sua politica di salvataggio, gestito la politica fiscale.
Ha raggiunto il limite del suo mandato, se non superato.
Per la politica fiscale, ci sono i parlamenti.
L’irrigidimento della politica della BCE vicino la linea dello zero per cento, più tardi l’abbassamento del tasso di deposito in territorio negativo, annulla il più importante strumento di intervento della banca centrale.
Con la gestione del tasso di riferimento, c'era, in tempi di una maggiormente fruttuosa politica della BCE, la possibilità di stimolare una maggiore crescita economica.
Se la banca centrale, però, per anni senza necessità mantiene la politica del tasso di interesse zero, questo strumento di controllo non è più utilizzabile.
L'ultimo taglio dei tassi di deposito durante il mandato di Mario Draghi e la ripresa degli acquisti di titoli non ha avuto alcun impatto visibile sui prestiti delle banche, sugli investimenti e sulla crescita economica.
La strozzatura più importante manifestamente è, non nella mancanza di capitale disponibile, bensì nella perdita della competitività di prezzo e tecnica della maggior parte d'Europa.
La BCE ha, dopo la necessaria gestione delle crisi nel 2012, deciso, con il massiccio acquisto di titoli di Stato e obbligazioni societarie, di adottare una politica che, agli occhi di molti osservatori, va ben oltre il suo mandato di garanzia della stabilità dei prezzi e, da tempo, ha condotto al finanziamento degli Stati.
Il Quatitative Easing (QE), da novembre [2019, ndt], è stato proseguito [ripreso, ndt] con acquisti di obbligazioni per un totale di 20 miliardi di euro al mese.
Sino alla fine dell'anno [2020. ndt], BCE, secondo la sua più recente decisione, metterà sino a 120 miliardi di Euro in acquisti di titoli.
Tuttavia, la precedente inondazione dei mercati dei capitali ha esacerbato gli effetti negativi delle politiche dei tassi di interesse nulli e negativi.
In caso di significativa debolezza economica nella zona euro e per stabilizzare possibili turbolenze sui mercati dei capitali, come oggi per conseguenza del corona virus, rimane ancora alla BCE solo un piccolo spazio di manovra, cosicché taluni osservatori già parlano di forme ancora più estreme di politica monetaria, come l'acquisto di azioni o addirittura di "helicopter money".
Particolarmente gravi sono le seguenti distorsioni:
(1) Attraverso la politica di tassi di interesse zero e negativo, il “piccolo risparmiatore” subisce perdite patrimoniali reali, come con l'inflazione, che le banche centrali dovrebbero prevenire.
L'atteggiamento positivo dei cittadini verso il risparmio, per decenni incoraggiato in Germania, sarà danneggiato.
Molti privati in Germania sfruttano la situazione dei bassi tassi di interesse per incrementare i consumi presenti.
Il rischio di povertà in età avanzata cresce.
(2) Le pensioni saranno permanentemente danneggiate.
La coalizione [di governo] è rimproverata di mettere, attraverso generosi “regali pensionistici”, in discussione la stabilità di lungo termine del sistema pensionistico.
Tuttavia, la lungamente prolungata politica dei tassi zero a lungo termine, sta danneggiando ancora di più le pensioni.
Non da ultimo, sono colpite pure le pensioni professionali: imprese devono compiere accantonamenti significativamente più elevati.
Ciò riduce le loro opportunità di investimento e le prospettive di profitto.
Mette pure in pericolo posti di lavoro.
I fondi pensione, gli enti previdenziali e altri investitori istituzionali, saranno in sempre maggiore quantità spinti verso investimenti più rischiosi, al fine di ottenere un rendimento adeguato del capitale gestito.
Ciò comporta il rischio di sensibili perdite di prezzo.
L'assicurazione vita con la garanzia di un tasso fisso, era in Germania lo strumento più efficace e stabile per la pensione privata.
La politica della BCE la ha duramente colpita.
La generazione di profitti [del business] degli interessi garantiti, pone enormi sfide per le compagnie assicurative.
(3) Allo stesso tempo, i prezzi dei valori reali, come azioni o immobili, continuano ad essere stimolati [al rialzo].
Ciò reca, oltre al rischio di correzioni dolorose, già ad indesiderabili effetti distributivi: i cittadini ricchi che possiedono azioni e proprietà immobiliari in misura superiore alla media, aumentano considerevolmente la propria ricchezza.
Gran parte delle fasce di reddito inferiori e medie, che per lo più non hanno risparmi od effettuano investimenti fruttiferi sui conti correnti, non beneficiano di questo effetto.
A loro, l’accesso a beni reali è reso considerevolmente più difficile.
In particolare, la proprietà della casa è, in molte grandi città, a malapena accessibile.
Il risultato è una distribuzione della ricchezza, che minaccia la pace sociale e la stabilità politica.
(4) Un gran numero di istituzioni sociali e culturali, in Germania, è supportato da fondazioni.
Possono fare il loro lavoro unicamente se riescono a collocare il loro capitale con successo sul mercato dei capitali.
Dal momento che, per motivi di cautela, è vietato investire la maggior parte del capitale della fondazione in azioni, oggigiorno molte fondazioni non dispongono del denaro per la gestione corrente.
La politica dei tassi di interesse della BCE danneggia pure il volontariato e la vita culturale in Germania.
(5) L'attività di deposito e credito è una parte essenziale del modello di business delle banche tedesche.
Soprattutto, la generazione di margini sui prestiti è fortemente limitata dalla politica dei tassi di interesse zero e dai tassi di interesse negativi sui depositi presso la banca centrale.
La conseguentemente limitata redditività, pesa sulle opportunità di [concedere nuovo] credito.
Attraverso la politica della Bce, la capacità d’azione delle banche tedesche ed il loro successo nella concorrenza internazionale verranno chiaramente compromesse.
Certamente, molte banche ancora ricavano da prestiti a lungo termine esistenti.
I risultanti utili di bilancio, sono effetti una tantum.
In tempi di nuovo ordine geopolitico e delle da esso risultanti crescenti incertezze, un sistema bancario europeo funzionale e competitivo costituisce un presupposto importante, per sostenere le imprese e le economie della zona euro nel gioco di forza dei "Grandi".
(6) La politica del tasso di interesse zero della BCE, fa sì che il denaro sia investito, non solo in progetti sempre più rischiosi, ma anche in progetti ed imprese non redditizi (“Zombie-Companies”).
Troppo denaro conduce ad una allocazione del capitale macroeconomicamente drasticamente inadeguata e, quindi, a perdite di produttività, così come ad un indebolimento della Germania come sede attraente per le imprese.
Se i tassi di interesse dovessero una buona volta aumentare, esiste un aumentato rischio di fallimenti aziendali e, attraverso ciò, di conseguenti perdite su obbligazioni e prestiti, nonché perdite di posti di lavoro.
Per la stabilità economica della Germania nel futuro, sono urgentemente necessarie riforme strutturali ed innovazioni.
Tuttavia, l’inondazione di liquidità della BCE alimenta una apparenza di redditività e fa apparire redditizi investimenti che non possono sostenersi in un ambiente concorrenziale.
La nostra conclusione
I molteplici effetti collaterali, non giustificano più il proseguimento della politica monetaria ultra-espansiva della BCE.
Più a lungo la strategia esistente verrà mantenuta, più difficili saranno le complicazioni, quando in futuro verrà adottata una politica più restrittiva.
Noi insistiamo quindi un sollecito segnale di inversione di tendenza nei tassi di interesse, quanto meno la rinuncia ad ulteriori misure espansive di politica monetaria (tassi di interesse ancor più bassi, oppure ulteriori acquisti di titoli) giustificati dalla crisi del coronavirus.
In ogni caso, la BCE non potrebbe fare quasi nulla per questa crisi.
Dopo il superamento di questa crisi, dovrebbe essere avviata l'inversione di tendenza dei tassi di interesse.
Questo può essere fatto solo se ben preparato ed accompagnato da una comunicazione intelligente, ma non dovrebbe farsi aspettare un altro anno intero.
Edmund Stoiber [CSU] è stato primo ministro bavarese fino al 2007, Peer Steinbrück [SPD] è stato ministro delle finanze fino al 2009 e Wolfgang Clement [SPD] è stato ministro dell'economia della Repubblica federale fino al 2005.
Gunther Oettinger [CDU] è stato commissario europeo per la Camera fino al 2019.
Hans-Werner Sinn è stato presidente dell'Istituto Ifo fino al 2016.
Franz-Christoph Zeitler [CSU] è stato vicepresidente della Bundesbank fino al 2011.
Kurt Faltlhauser [CSU] è stato ministro delle finanze bavarese fino al 2007.
Marcus Vitt è portavoce del consiglio di amministrazione della banca Donner & Reuschel.
17/03/20
BCE : Christine Lagaffe, l’anti Draghi
Di Les Arvernes, 14 marzo 2020
La Banca centrale europea, in occasione del Consiglio direttivo del 12 marzo, ha annunciato un piano massiccio per sostenere l'economia dell’eurozona. In particolare le banche, attraverso un'apertura illimitata di fatto da parte della BCE delle sue "operazioni mirate di rifinanziamento a lungo termine" (TLTRO), saranno remunerate di 75 punti base dalla banca centrale per tutti i loro prestiti all'economia. Attraverso le varie sospensioni delle norme prudenziali annunciate simultaneamente dall'unico supervisore della BCE (SSM), quasi 800 miliardi di euro di capitale saranno erogati nei bilanci bancari, anche al fine di facilitare i prestiti alle imprese e ai privati. Infine, è stato aperto un fondo di 120 miliardi di euro, al fine di continuare a monetizzare i debiti pubblici, e anche per poter acquisire qualsiasi titolo pubblico o privato che la BCE ritenga opportuno acquisire per sostenere la liquidità sui mercati.
Questa iniezione di liquidità è certamente la più grande da parte della BCE dal 2009. Nonostante ciò, la conferenza stampa di Christine Lagarde ha innescato una crisi all'interno della crisi. In seguito ai commenti del Presidente, un grave panico si è diffuso sui titoli italiani, sia sul debito pubblico che sul mercato azionario. A tal punto che il Presidente estremamente europeista della Repubblica Italiana Sergio Matterella (che aveva abusato del suo potere costituzionale per bloccare le ambizioni di politica economica della coalizione "GialloVerde" tra Cinque Stelle e Lega) ha rilasciato una dichiarazione contro Christine Lagarde, in cui ha deplorato gli attacchi all'Italia in un momento in cui il paese è in ginocchio, mentre combatte da solo contro l'epidemia di Covid-19.
Con qualche parola pronunciata per caso, e per prendere le distanze dal suo predecessore, Christine Lagarde ha infatti frantumato e ripudiato la costruzione del "Whatever It Takes" di Mario Draghi, un baluardo contro l'implosione della zona euro. Nel 2012 Mario Draghi, con queste tre parole, aveva chiarito ai mercati che la BCE era pronta a fare qualsiasi cosa, a qualsiasi creazione monetaria massiccia, per evitare il default di uno Stato membro dell'euro, in questo caso l'Italia. Sulla base delle "Outright Monetary Transactions", che non hanno alcun fondamento nel mandato della BCE e non esistono nella realtà, le tre parole del mago Draghi avevano chiarito ai mercati che avrebbero inevitabilmente perso a causa della risoluzione della Banca Centrale. Il 12 marzo la Lagarde ha fatto esattamente l'opposto di Draghi, spiegando che non rientrava nel mandato della BCE ridurre le differenze di tassi tra gli Stati membri, i cosiddetti "spread". Draghi il mago, Lagarde la demolitrice.
Christine Lagarde ha così dimostrato di aver raggiunto il suo "Principio di Peter" nel lasciare il FMI per la BCE. Quel FMI, che lei ha anche notevolmente contribuito a trasformare in una "banca globale bis", più interessata alla parità di genere e all'economia verde che alla stabilità finanziaria, argomenti che ora porta alla BCE. Ha anche dimostrato che, a differenza di Draghi, è ostaggio del suo Consiglio direttivo e in particolare dei falchi recessivi franco-tedeschi Weidmann e Villeroy (il più tedesco dei due non è quello che si direbbe), il che lascia presagire il peggio in materia di revisone del mandato della BCE.
Christine Lagarde ha dimostrato di essere solo quello che sembra, cioè una personalità "popolare" che trascorre il suo tempo nella mondanità che trasmette sui suoi social network - invece di concentrarsi sulla politica monetaria e l’economia - e che manca di profondità, di "gravitas", di comprensione delle implicazioni delle sue parole. Christine Lagarde è un Duisenberg bis, ma un Duisenberg di tempi di crisi, le cui gaffe e discorsi mal controllati aggravano le crisi finanziarie invece di calmarle.
La sua nomina è l'ennesimo errore da aggiungere agli sbagli del nostro Presidente, Emmanuel Macron. La Presidenza della BCE è stata infatti la più importante delle sedie musicali tra i posti nelle istituzioni europee per il 2019. Ma la scelta di Christine Lagarde dimostra ancora una volta la mancanza di giudizio del presidente, che ha avuto l'opportunità di sostenere molti candidati di qualità, compresi alcuni francesi (no, l'attuale governatore della Banca di Francia non è uno di loro). Ancora una volta, la moneta cattiva ha scacciato quella buona.
Les Arvernes sono un gruppo di alti funzionari, professori, saggisti e imprenditori che si sentono ora chiamati a intervenire regolarmente nel dibattito pubblico.
Composto da personalità che preferiscono rimanere anonime, questo gruppo vuole essere l'equivalente di destra dei Gracques che furono lanciati durante la campagna presidenziale del 2007, firmando un appello per un'alleanza PS-UDF. Les Arvernes, d'altra parte, vogliono agire contro la negazione della realtà in cui troppo spesso le élite francesi si rinchiudono.
13/03/20
Ashoka Mody - L’Italia ha bisogno di un salvataggio precauzionale di 500-700 miliardi di euro ora che il coronavirus la spinge sull’orlo del baratro
di Ashoka Mody, 10 marzo 2020
L’Italia ha bisogno di una cifra tra 500 e 700 miliardi di euro di salvataggio precauzionale per contribuire a rassicurare i mercati finanziari sul fatto che il governo italiano e le banche riusciranno a soddisfare i pagamenti dei debiti, ora che la crisi economica e finanziaria si fa via via più preoccupante.
Mentre i costi umani del coronavirus crescono in modo allarmante, la crisi dell’Italia si avvia a diventare presto ingestibile, scatenando un potenziale caos nei mercati finanziari.
Questo compito non può essere lasciato alle soli nazioni dell’eurozona. Devono essere coinvolti non solo il Fondo Monetario Internazionale, ma anche gli Stati Uniti, eventualmente con una linea di credito per il caso in cui le necessità di salvataggio crescano.
Il tempo si sta esaurendo. Germania e Francia, le due maggiori economie del blocco dei 19 paesi dell’eurozona, stanno esse stesse iniziando a sperimentare la rapida diffusione del virus, e i loro sistemi economici e finanziari sono già in una fase di stress acuto. Se dovessero esporsi nel farsi interamente carico del rischio italiano, potrebbero trovarsi con uno spiacevole downgrade del credito.
L’Italia, la terza maggiore economia del blocco dei paesi, è da tempo su una linea di “spaccatura”, una faglia dell’eurozona. E, come ha scritto il fisico Per Bak, quando una faglia si apre, altre vacillano, causando una reazione a catena di terremoti.
Praticamente qualsiasi forza economica internazionale e interna è ora schiarata contro il paese.
L’economia italiana non cresce da quando è entrata nell’eurozona, nel 1999. Il reddito pro-capite, corretto per il potere d’acquisto, è rimasto fermo all’equivalente di 35.000 dollari. L’economia è rimasta in uno stato di quasi costante recessione nel corso dell’ultimo decennio, e si stava già contraendo, assieme a tutto il commercio globale, già prima che il coronavirus la colpisse. Il peso del debito pubblico è aumentato alla cifra impressionante di 2.300 miliardi di euro, corrispondenti al 134% del PIL del paese.
Già alla fine dell’anno scorso la caduta del commercio globale stava spingendo l’Europa verso la recessione.
Il coronavirus causerà quasi certamente una contrazione dell’economia italiana di circa il 3% nella prima metà del 2020, ma il danno inflitto potrebbe essere anche molto più ampio. Mentre l’economia cinese rallenta ancora – e molto probabilmente si contrarrà essa stessa – nel corso dei prossimi mesi, la mancanza di componenti cinesi fondamentali alla catena produttiva continuerà ad arrecare danno alla produzione e al commercio mondiale. Questo danno si sta estendendo alla Germania, che nonostante le sue sofferenze rimane la più forte economia europea e un importante mercato per la manifattura italiana.
In Italia il virus ha non solo costretto al blocco delle regioni più produttive – la Lombardia, col suo hub finanziario e di moda, Milano, e parti delle regioni Veneto ed Emilia-Romagna – ma da martedì ha portato al blocco dell’intero paese. Con la gente che sta a casa e la domanda di servizi che crolla, coloro che sono economicamente più vulnerabili – specialmente gli italiani giovani con posti di lavoro precari – perderanno i loro redditi, e la domanda si contrarrà ulteriormente. Con una delle popolazioni più anziane al mondo (circa il 23% delle persone ha più di 65 anni), la malattia e la mortalità indotta dal coronavirus – e lo stress economico e finanziario associato – potrebbe permanere più a lungo che altrove.
Infatti, anche se il numero di nuovi casi iniziasse a scendere, lo scompiglio arrecato all’attività economica continuerebbe. I mercati azionari se ne sono già accorti. Uno dei maggiori tra le grandi economie del mondo, l’indice del mercato azionario italiano ha già registrato una pesante caduta.
Nei mercati del debito i campanelli d’allarme stanno già suonando. Sebbene i rendimenti dei titoli pubblici stiano diminuendo in gran parte del mondo economicamente sviluppato, i rendimenti dei titoli pubblici italiani si stanno impennando. Vero, questi sono rendimenti nominali, e stando all’1,4% sono abbastanza bassi. Ma tenendo conto dei tassi reali, ovvero corretti per l’inflazione, si tratta di quasi un 1%, che è decisamente troppo per un’economia che non sta crescendo, e che ora inizia a contrarsi. La persistenza di tassi di interesse reali elevati ha determinato il progressivo incremento del rapporto debito/PIL dell’italia.
E adesso l’aumento dei tassi di interesse nominali minaccia di gettare l’Italia in un circolo vizioso. La contrazione economica costringerà il rapporto debito/PIL a salire, il che potrebbe causare un’ulteriore impennata dei tassi di interesse nominali. Con una domanda così debole, l’inflazione probabilmente scenderà ancora, facendo aumentare ulteriormente i tassi di interesse reale e creando un’ulteriore flessione nella crescita. Tutto questo aumenterà sempre di più le preoccupazioni sulla capacità del governo italiano di servire il proprio debito.
Nel frattempo una crescita più debole causerà ulteriore stress alle già fragili banche italiane, che nel loro insieme detengono asset finanziari per circa 5.000 miliardi di euro. Sebbene molte banche abbiano già venduto ampie parti dei loro crediti in sofferenza che i debitori non stavano pagando nei termini, i mercati finanziari hanno un’opinione molto negativa del sistema bancario italiano. Il rapporto tra valore nominale e valore di mercato di Intesa aSanpaolo e Unicredit, le maggiori banche, era ben inferiore a 1 già prima del rallentamento causato dal virus, e da allora stanno rapidamente crollando. Essenzialmente, i mercati stanno dicendo che ampie porzioni degli asset sui libri contabili delle banche potrebbero, essenzialmente, essere privi di valore.
A peggiorare le cose, l’euro si è rivalutato nel momento in cui la Federal Reserve statunitense ha ridotto il tasso di interesse, e la Banca Centrale Europea, da tempo priva di munizioni, può operare solo cambiamenti cosmetici privi di reale efficacia. Con la Fed che abbassa ulteriormente i tassi, l’euro diventa più forte, rendendo ancora più difficile la ripresa italiana. L’eterna questione rimane se gli europei, che da tempo si sono assuefatti all’austerità fiscale, riusciranno ora a concordare un ampio e coordinato stimolo fiscale. Anche se lo facessero, lo stimolo servirebbe a poco per rimettere dei soldi nelle tasche degli italiani i quali, in ogni caso, rimarrebbero incapaci di spendere date le condizioni di blocco e di confinamento del paese.
Perciò l’Italia è sulla soglia di una crisi finanziaria e non può aspettarsi nessun aiuto dalle politiche monetarie o fiscali convenzionali. Il compito politico, quindi, è ora quello di costruire un “firewall” finanziario che sappia placare i timori dei mercati mentre, nei prossimi sei mesi, l’Italia attraverserà il momento più difficile.
L’esperienza del FMI mostra che i salvataggi finanziari sono più efficaci quando vengono messi in atto nel momento in cui un paese è vulnerabile ma non ancora entrato in una crisi conclamata.
Il firewall per l’Italia deve iniziare con un pacchetto di salvataggio precauzionale di almeno 500 miliardi di euro, che fornirebbe fondi da iniettare nel capitale delle banche in modo da garantire la prosecuzione del finanziamento al governo nel caso in cui i mercati non rinnovassero il debito.
Le nazioni europee non possono farlo da sole. Non siamo nel 2010-2011 quando i leader europei, guidati dalla cancelliera Angela Merkel, hanno definito i salvataggi per Grecia, Irlanda e Portogallo. Questi tre paesi messi insieme sarebbero comunque più piccoli dell’Italia.
In più il potere economico tedesco è decisamente diminuito, e la sua leadership politica è allo sbando. L’economia tedesca era in una condizione di quasi recessione già prima che il virus si diffondesse, e adesso si trova di fronte a una grave carenza di domanda che veniva dalla Cina, il suo mercato più fiorente. In più, il virus si sta diffondendo anche dentro la germania, facendo contrarre al contempo la domanda interna. Il governo tedesco dovrà conservare la sua potenza di fuoco nel caso in cui le sue due maggiori banche, Deutsche Bank e Commerzbank, che hanno un rapporto tra valore nominale e di mercato di appena un quinto, avranno bisogno di sostegno finanziario.
Anche l’economia francese è nei guai, e l’ostentato presidente Emmanuel Macron è al tempo stesso divisivo e volatile sulle questioni europee.
Questo lascerebbe la possibilità di un’emissione di moneta da parte della BCE sotto la sua autorità di compratore di bond secondo il programma di Outright Monetary Transactions (OMT). Ma la "magia" della sua emissione di moneta può rivelarsi un’illusione. Per attivare l’OMT, l’Italia dovrebbe infatti concordare prima le condizioni e l’entità del salvataggio con il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). La ragione per fare un salvataggio precauzionale adesso anziché aspettare e sperare che il problema svanisca da solo è semplice. Sotto il peso della crisi che si sta profilando, e ai limiti delle risorse, le autorità del MES e dell’Italia faticherebbero a trovare un pacchetto di salvataggio che sia accettabile per entrambi. I ritardi fomenterebbero il panico dei mercati, rendendo le negoziazioni ancora più difficili.
In questa fase, anche se il MES e gli italiani concordassero un programma, il Consiglio direttivo della BCE dovrebbe autorizzare l’OMT. I membri tedeschi e degli altri paesi del “nord” dell’eurozona sarebbero preoccupati che la BCE stampi moneta per acquistare ampie quantità di titoli italiani, sui quali il governo italiano potrebbe alla fine fare default. Un tale default implicherebbe che i leader tedeschi e degli altri paesi del “nord” debbano ai loro contribuenti (arrabbiati) di riempire il vuoto rimasto nel capitale della BCE.
Per mettere la cosa in prospettiva, i leader europei si stanno attualmente accapigliando sui centesimi per decidere il prossimo bilancio dell’Unione Europea. Sarebbe quindi un errore, nel momento in cui le maggiori nazioni europee sono così deboli, aspettarsi che intervengano tempestivamente per sostenere finanziariamente un’Italia in fallimento. E se la faglia finanziaria italiana dovesse aprirsi, i default italiani avrebbero ripercussioni a cascata sul sistema finanziario globale, causando danni ben difficili da contenere.
Possiamo correre il rischio di non fare nulla. Oppure, mentre gli italiani sono piegati dal peso dell’enorme sfida medica e umana con cui sono alle prese, la comunità globale può intervenire per impedire che l’Italia diventi l’epicentro di una crisi finanziaria globale.
02/03/20
Ashoka Mody - Italia: la crisi che potrebbe diventare virale
di Ashoka Mody, 28 febbraio 2020
Il coronavirus minaccia di trasformare la crisi economica e finanziaria italiana in una crisi globale.
Il coronavirus sta precipitando l'Italia in una crisi economica e finanziaria che ha il potenziale di innescare un caos finanziario mondiale.Il principale anello debole della catena economica globale è l'Italia, che nel 2019 era già sotto forte tensione e ora sta minacciosamente cedendo dinanzi ad altri cruciali problemi globali: Cina, Giappone, Corea del Sud e Germania.
Anche se nei prossimi mesi il coronavirus (ufficialmente Covid-19) sarà contenuto, è già alle porte una crisi finanziaria che si irradierà dall' epicentro italiano. Eppure i leader europei sembrano procedere come se fosse tutto normale. Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea (BCE), afferma che il coronavirus non è ancora tale da causare "uno shock di lunga durata". Il suo staff e quello di Paolo Gentiloni, commissario europeo all’economia, stanno ancora valutando la gravità del problema, indulgendo in una pericolosa noncuranza. La BCE e i governi europei non riescono ad affrontare il pericolo rappresentato da una crisi finanziaria italiana. E non c’è più tempo per prepararsi allo sforzo globale che sarà necessario per contenerne le conseguenze.
Il punto di rottura dell’economia e della finanza italiana
Nei due decenni da quando l'Italia ha adottato l'euro, gli italiani sono diventati più poveri. L'economia del paese permane in una recessione economica quasi perpetua.
Il sistema politico disfunzionale italiano dà la sensazione di un temporary fast-pizza. Per quasi mezzo secolo, i governi italiani hanno mancato di investire nel futuro del Paese. Tutti comprendevano che l'Italia avrebbe avuto difficoltà a sopravvivere senza la stampella della sua lira flessibile, che di tanto in tanto si deprezzava. Ma l'arroganza dei leader europei ha portato l'Italia nella morsa della zona euro, dove l'euro è troppo forte per l'economia italiana, e l'interesse reale - il tasso di interesse corretto per l'inflazione - è troppo alto per un'economia che non cresce.
Il coronavirus ha colpito l'Italia in modo crudele, non solo in termini di vite umane in pericolo, ma perché minaccia di paralizzare le regioni della Lombardia e del Veneto, poli produttivi che negli ultimi due decenni hanno evitato all'economia italiana un destino economico ancora più cupo.
Le vulnerabilità finanziarie dell'Italia sono enormi. Il peso del debito pubblico italiano, pari a circa 2.400 miliardi di euro, è maggiore di quello tedesco, che ammonta a 2.000 miliardi di euro. Il rapporto debito / PIL del governo italiano è aumentato inesorabilmente. Il sistema bancario italiano è seduto su un gigantesco cumulo di attività finanziarie, pari a circa cinquemila miliardi di euro. Mentre le molte banche italiane in crisi hanno venduto (spesso per pochi centesimi) gran parte dei prestiti in sofferenza che i loro mutuatari non stavano rimborsando, la redditività delle banche risulta anemica a causa dei tassi di interesse estremamente bassi e poiché i mutuatari sono ancora in difficoltà, in un ambiente a crescita zero. Il rapporto tra valore di mercato e valore contabile del patrimonio netto anche delle banche più forti d'Italia - Intesa Sanpaolo e UniCredit - rimane ben al di sotto di uno, il che implica che i mercati ritengono che alla fine gran parte delle attività detenute da queste banche saranno cancellate.
Le cose peggioreranno
Il coronavirus ha colpito l'economia globale in un momento in cui era già debole. E la malattia attacca i deboli ancora più ferocemente.
L'Italia e le altre economie europee - dipendenti in maniera decisiva dal commercio globale - sono state sottoposte a un crescente stress economico sin dall'inizio del 2018, quando il commercio mondiale ha iniziato a rallentare (vedi il grafico sotto). Il rallentamento del commercio mondiale, a sua volta, è stato la conseguenza della decisione del governo cinese di smettere di pompare il suo sistema finanziario interno per paura che la bolla immobiliare e la vulnerabilità finanziaria potessero sfuggirle pericolosamente di mano. Come l'economia cinese - con la sua enorme presenza nel sistema del commercio globale - si è raffreddata, il commercio mondiale ha iniziato a rallentare. Nel 2019 la guerra dei dazi tra Cina e Stati Uniti ha ulteriormente rallentato la crescita del commercio mondiale, spingendo le economie europee in condizioni quasi recessive. Pertanto, la situazione economica globale, e in particolare quella europea, era già precaria ben prima che il coronavirus colpisse.
Il coronavirus ha ribaltato in tutta evidenza il ruolo dominante della Cina nel commercio mondiale. La Cina è il nodo chiave nella catena del valore aggiunto globale. Le fabbriche cinesi producono le componenti dell'industria meccanica ed elettrica, nonché gli ingredienti dell'industria farmaceutica, necessari per mantenere attive le fabbriche del mondo. Con l’arresto dell’attività di diverse fabbriche cinesi, i produttori di tutto il mondo - specialmente in altri importanti centri di produzione che si affidano alla Cina – sono a rischio di fermarsi. Già le fabbriche automobilistiche in Corea del Sud, nell’impossibilità di procurarsi le componenti prodotte dalla Cina, sono in sofferenza. Del resto, la diffusione del coronavirus nella Corea del Sud interromperà la produzione delle sue fabbriche di semiconduttori e altre componenti elettroniche, interrompendo le forniture ai produttori che assemblano prodotti di consumo e industriali.
In Europa, la Germania, tradizionale ancora della salute economica europea e arbitro della contrattazione politica in Europa, è ad alto rischio. Nel 2019, l'economia tedesca ha ripetutamente sofferto del rallentamento del commercio mondiale e dell'accelerata contrazione della sua industria automobilistica, poiché i consumatori si sono allontanati dalle vantate auto a combustione interna tedesche, rendendo tecnologicamente obsoleto gran parte di un ecosistema industriale incentrato sulla produzione automobilistica. Ora che, nella prima metà del 2020, l'economia cinese si contrae, i produttori tedeschi di automobili e macchinari perderanno il loro mercato più ricco degli ultimi anni. E con il contrarsi dell'economia tedesca, molti produttori italiani sostenuti dalle vendite in Germania ne soffriranno.
Mentre Cina, Giappone, Corea del Sud e Germania sono in grado di gestire una contrazione economica di sei mesi, l'Italia no. Se scivola dal suo attuale torpore, economico e politico, verso una profonda contrazione economica, l'Italia non ha alcuno spazio fiscale né finanziario. Il rapporto debito pubblico / PIL aumenterà rapidamente, spingendo verso l’alto i tassi di interesse e rendendo l’onere del debito ancora più pesante. Il caotico sistema bancario dovrà affrontare perdite che non può sopportare e che il governo non può sostenere. I fallimenti del settore pubblico e privato in Italia provocheranno il default dei creditori, innescando una voragine globale di insolvenze.
Un'Europa litigiosa
Nel 2010 i membri della zona euro sono riusciti a far fronte alla crisi finanziaria. Ma i paesi in crisi - Grecia, Irlanda e Portogallo - erano piccoli. A quel tempo, anche il debito del governo spagnolo era solo un terzo del debito del governo italiano. E la Germania, l’alfiere salvatore, era al culmine della sua forza economica e politica. La cancelliera tedesca Angela Merkel, sebbene di una lentezza esasperante nella risposta, è riuscita comunque a mantenere a galla la nave della zona euro.
Oggi gli europei stanno combattendo al centesimo sul prossimo bilancio UE. Sulle questioni critiche della migrazione e sulle risposte strategiche a Cina, Russia e Stati Uniti, le divisioni sono palpabili.
La Germania, un tempo leader europeo, è in condizioni precarie. Mentre la sua economia lotta in mezzo a grandi difficoltà, c'è anche un grande punto interrogativo che incombe sul futuro della gigantesca Deutsche Bank, sommersa dagli scandali, con la vigilanza statunitense e britannica che la monitorano costantemente per frode e riciclaggio di denaro. I mercati ora valutano le attività di Deutsche Bank a un terzo del valore registrato nei libri contabili della banca.
Tutto ciò è esacerbato dalla politica aspramente frammentata della Germania. Come leadership finanziaria, la Germania era considerata l'unica scelta possibile. Ora, con una Merkel cancelliera zoppicante in una nazione politicamente a pezzi, non c'è nessuno che possa assumere il ruolo che i cancellieri tedeschi hanno svolto in passato, imponendosi di autorità. E nessun altro ha la statura politica o finanziaria per ricoprire questo ruolo, men che meno il divisivo e instabile presidente francese, Emmanuel Macron.
In una crisi economica e finanziaria italiana, i farraginosi meccanismi di salvataggio finanziario dell'UE saranno testati senza pietà. Qualsiasi operazione di salvataggio richiederà, come primo passo, un programma che metta al governo italiano uno stretto e umiliante guinzaglio fiscale. I leader dell'UE hanno bullizzato la Grecia, l'Irlanda e il Portogallo perché accettassero una tale subordinazione politica. Gli italiani si piegheranno allo stesso trattamento e accetteranno le stesse condizioni?
Se la politica italiana non sarà in grado di approntare al suo interno una difesa credibile, la BCE, andando contro le norme concordate, sarà comunque tentata di usare il suo potere di emissione di moneta per sostenere il governo italiano e il sistema finanziario del paese? Oppure, come è più probabile, la BCE rimarrà paralizzata? Infatti, con una una crisi che si avvita a spirale e un crescente panico nei mercati, i tedeschi e gli altri Stati membri "settentrionali" dell'Eurozona manterranno il controllo del consiglio direttivo della BCE. Si preoccuperebbero che, se la BCE finanziasse l’Italia e gli italiani non rimborsassero la BCE, i contribuenti degli stati del Nord si potrebbero trovare gravati da un onere di dimensioni tali che persino i loro governi, apparentemente forti, sarebbero sottoposti a un grande stress fiscale e a un downgrade del loro rating.
Tempo per un'azione globale
Sia chiaro, siamo giunti a un momento cruciale della storia economica globale. Tutte le operazioni di salvataggio sin dalla crisi finanziaria globale ed europea hanno esaurito la potenza di fuoco delle banche centrali. Dappertutto, la ripresa economica si è rivelata molto più debole rispetto alle crisi precedenti. Gli osservatori hanno riconosciuto a malincuore che le prospettive di crescita a lungo termine nei paesi avanzati e in gran parte dei paesi in via di sviluppo sono nettamente diminuite. L'epicentro italiano si trova in una condizione economica e finanziaria molto più fragile che in qualsiasi altra fase dal dopoguerra.
Oggi, solo il sistema della Federal Reserve statunitense può iniettare un modesto stimolo monetario. I governi farebbero bene a coordinare uno stimolo fiscale globale attraverso un aumento della spesa e tagli fiscali per sostenere l'economia internazionale. Ma uno stimolo della Fed e misure fiscali nazionali da sole non saranno sufficienti.
Ben prima che inizi lo stimolo monetario o fiscale, ci sarà un momento di resa dei conti. Questa sarà la scelta. Gli stati membri del Nord UE potrebbero concordare di pagare per l'Italia, con la consapevolezza che dovranno tenere i loro libretti degli assegni aperti per molto tempo, infliggendo danni significativi, anche duraturi, ai propri conti pubblici. Oppure potrebbero indietreggiare, sperando che il problema scompaia. In tal caso, il sistema finanziario italiano potrebbe crollare in caduta libera, causando dei default a cascata nei circuiti finanziari di tutto il mondo. La crisi andrà quasi certamente oltre la possibilità di gestione dei membri dell'Eurozona.
Certo, il peggio potrebbe non arrivare mai. Ma in questo momento delicato, è essenziale essere preparati a livello globale a una risposta finanziaria su vasta scala. Non farlo sarebbe irresponsabile.
Ashoka Mody insegna alla Princeton University ed è autore di Euro. Una tragedia in nove atti, di prossima pubblicazione in Italia.