Ashoka Mody spiega come la crisi italiana, in questa tempesta perfetta, si avvia a diventare l’epicentro di una grande crisi finanziaria globale. Dato che i paesi europei sono eternamente divisi e su di loro non si può fare affidamento, e la BCE risulta essenzialmente inutile nel suo ruolo di banca centrale, Mody invoca l’intervento del FMI e degli Stati Uniti. L'entità dell'intervento suggerito è quantificata in 500-700 miliardi di euro, per avere un'approssimazione dell'enormità della crisi che si profila. Intervento che plausibilmente non vedremo, dato che gli stessi Stati Uniti stanno entrando nella fase di turbolenza da coronavirus.
di Ashoka Mody, 10 marzo 2020
L’Italia ha bisogno di una cifra tra 500 e 700 miliardi di euro di salvataggio precauzionale per contribuire a rassicurare i mercati finanziari sul fatto che il governo italiano e le banche riusciranno a soddisfare i pagamenti dei debiti, ora che la crisi economica e finanziaria si fa via via più preoccupante.
Mentre i costi umani del coronavirus crescono in modo allarmante, la crisi dell’Italia si avvia a diventare presto ingestibile, scatenando un potenziale caos nei mercati finanziari.
Questo compito non può essere lasciato alle soli nazioni dell’eurozona. Devono essere coinvolti non solo il Fondo Monetario Internazionale, ma anche gli Stati Uniti, eventualmente con una linea di credito per il caso in cui le necessità di salvataggio crescano.
Il tempo si sta esaurendo. Germania e Francia, le due maggiori economie del blocco dei 19 paesi dell’eurozona, stanno esse stesse iniziando a sperimentare la rapida diffusione del virus, e i loro sistemi economici e finanziari sono già in una fase di stress acuto. Se dovessero esporsi nel farsi interamente carico del rischio italiano, potrebbero trovarsi con uno spiacevole downgrade del credito.
L’Italia, la terza maggiore economia del blocco dei paesi, è da tempo su una linea di “spaccatura”, una faglia dell’eurozona. E, come ha scritto il fisico Per Bak, quando una faglia si apre, altre vacillano, causando una reazione a catena di terremoti.
Praticamente qualsiasi forza economica internazionale e interna è ora schiarata contro il paese.
L’economia italiana non cresce da quando è entrata nell’eurozona, nel 1999. Il reddito pro-capite, corretto per il potere d’acquisto, è rimasto fermo all’equivalente di 35.000 dollari. L’economia è rimasta in uno stato di quasi costante recessione nel corso dell’ultimo decennio, e si stava già contraendo, assieme a tutto il commercio globale, già prima che il coronavirus la colpisse. Il peso del debito pubblico è aumentato alla cifra impressionante di 2.300 miliardi di euro, corrispondenti al 134% del PIL del paese.
Già alla fine dell’anno scorso la caduta del commercio globale stava spingendo l’Europa verso la recessione.
Il coronavirus causerà quasi certamente una contrazione dell’economia italiana di circa il 3% nella prima metà del 2020, ma il danno inflitto potrebbe essere anche molto più ampio. Mentre l’economia cinese rallenta ancora – e molto probabilmente si contrarrà essa stessa – nel corso dei prossimi mesi, la mancanza di componenti cinesi fondamentali alla catena produttiva continuerà ad arrecare danno alla produzione e al commercio mondiale. Questo danno si sta estendendo alla Germania, che nonostante le sue sofferenze rimane la più forte economia europea e un importante mercato per la manifattura italiana.
In Italia il virus ha non solo costretto al blocco delle regioni più produttive – la Lombardia, col suo hub finanziario e di moda, Milano, e parti delle regioni Veneto ed Emilia-Romagna – ma da martedì ha portato al blocco dell’intero paese. Con la gente che sta a casa e la domanda di servizi che crolla, coloro che sono economicamente più vulnerabili – specialmente gli italiani giovani con posti di lavoro precari – perderanno i loro redditi, e la domanda si contrarrà ulteriormente. Con una delle popolazioni più anziane al mondo (circa il 23% delle persone ha più di 65 anni), la malattia e la mortalità indotta dal coronavirus – e lo stress economico e finanziario associato – potrebbe permanere più a lungo che altrove.
Infatti, anche se il numero di nuovi casi iniziasse a scendere, lo scompiglio arrecato all’attività economica continuerebbe. I mercati azionari se ne sono già accorti. Uno dei maggiori tra le grandi economie del mondo, l’indice del mercato azionario italiano ha già registrato una pesante caduta.
Nei mercati del debito i campanelli d’allarme stanno già suonando. Sebbene i rendimenti dei titoli pubblici stiano diminuendo in gran parte del mondo economicamente sviluppato, i rendimenti dei titoli pubblici italiani si stanno impennando. Vero, questi sono rendimenti nominali, e stando all’1,4% sono abbastanza bassi. Ma tenendo conto dei tassi reali, ovvero corretti per l’inflazione, si tratta di quasi un 1%, che è decisamente troppo per un’economia che non sta crescendo, e che ora inizia a contrarsi. La persistenza di tassi di interesse reali elevati ha determinato il progressivo incremento del rapporto debito/PIL dell’italia.
E adesso l’aumento dei tassi di interesse nominali minaccia di gettare l’Italia in un circolo vizioso. La contrazione economica costringerà il rapporto debito/PIL a salire, il che potrebbe causare un’ulteriore impennata dei tassi di interesse nominali. Con una domanda così debole, l’inflazione probabilmente scenderà ancora, facendo aumentare ulteriormente i tassi di interesse reale e creando un’ulteriore flessione nella crescita. Tutto questo aumenterà sempre di più le preoccupazioni sulla capacità del governo italiano di servire il proprio debito.
Nel frattempo una crescita più debole causerà ulteriore stress alle già fragili banche italiane, che nel loro insieme detengono asset finanziari per circa 5.000 miliardi di euro. Sebbene molte banche abbiano già venduto ampie parti dei loro crediti in sofferenza che i debitori non stavano pagando nei termini, i mercati finanziari hanno un’opinione molto negativa del sistema bancario italiano. Il rapporto tra valore nominale e valore di mercato di Intesa aSanpaolo e Unicredit, le maggiori banche, era ben inferiore a 1 già prima del rallentamento causato dal virus, e da allora stanno rapidamente crollando. Essenzialmente, i mercati stanno dicendo che ampie porzioni degli asset sui libri contabili delle banche potrebbero, essenzialmente, essere privi di valore.
A peggiorare le cose, l’euro si è rivalutato nel momento in cui la Federal Reserve statunitense ha ridotto il tasso di interesse, e la Banca Centrale Europea, da tempo priva di munizioni, può operare solo cambiamenti cosmetici privi di reale efficacia. Con la Fed che abbassa ulteriormente i tassi, l’euro diventa più forte, rendendo ancora più difficile la ripresa italiana. L’eterna questione rimane se gli europei, che da tempo si sono assuefatti all’austerità fiscale, riusciranno ora a concordare un ampio e coordinato stimolo fiscale. Anche se lo facessero, lo stimolo servirebbe a poco per rimettere dei soldi nelle tasche degli italiani i quali, in ogni caso, rimarrebbero incapaci di spendere date le condizioni di blocco e di confinamento del paese.
Perciò l’Italia è sulla soglia di una crisi finanziaria e non può aspettarsi nessun aiuto dalle politiche monetarie o fiscali convenzionali. Il compito politico, quindi, è ora quello di costruire un “firewall” finanziario che sappia placare i timori dei mercati mentre, nei prossimi sei mesi, l’Italia attraverserà il momento più difficile.
L’esperienza del FMI mostra che i salvataggi finanziari sono più efficaci quando vengono messi in atto nel momento in cui un paese è vulnerabile ma non ancora entrato in una crisi conclamata.
Il firewall per l’Italia deve iniziare con un pacchetto di salvataggio precauzionale di almeno 500 miliardi di euro, che fornirebbe fondi da iniettare nel capitale delle banche in modo da garantire la prosecuzione del finanziamento al governo nel caso in cui i mercati non rinnovassero il debito.
Le nazioni europee non possono farlo da sole. Non siamo nel 2010-2011 quando i leader europei, guidati dalla cancelliera Angela Merkel, hanno definito i salvataggi per Grecia, Irlanda e Portogallo. Questi tre paesi messi insieme sarebbero comunque più piccoli dell’Italia.
In più il potere economico tedesco è decisamente diminuito, e la sua leadership politica è allo sbando. L’economia tedesca era in una condizione di quasi recessione già prima che il virus si diffondesse, e adesso si trova di fronte a una grave carenza di domanda che veniva dalla Cina, il suo mercato più fiorente. In più, il virus si sta diffondendo anche dentro la germania, facendo contrarre al contempo la domanda interna. Il governo tedesco dovrà conservare la sua potenza di fuoco nel caso in cui le sue due maggiori banche, Deutsche Bank e Commerzbank, che hanno un rapporto tra valore nominale e di mercato di appena un quinto, avranno bisogno di sostegno finanziario.
Anche l’economia francese è nei guai, e l’ostentato presidente Emmanuel Macron è al tempo stesso divisivo e volatile sulle questioni europee.
Questo lascerebbe la possibilità di un’emissione di moneta da parte della BCE sotto la sua autorità di compratore di bond secondo il programma di Outright Monetary Transactions (OMT). Ma la "magia" della sua emissione di moneta può rivelarsi un’illusione. Per attivare l’OMT, l’Italia dovrebbe infatti concordare prima le condizioni e l’entità del salvataggio con il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). La ragione per fare un salvataggio precauzionale adesso anziché aspettare e sperare che il problema svanisca da solo è semplice. Sotto il peso della crisi che si sta profilando, e ai limiti delle risorse, le autorità del MES e dell’Italia faticherebbero a trovare un pacchetto di salvataggio che sia accettabile per entrambi. I ritardi fomenterebbero il panico dei mercati, rendendo le negoziazioni ancora più difficili.
In questa fase, anche se il MES e gli italiani concordassero un programma, il Consiglio direttivo della BCE dovrebbe autorizzare l’OMT. I membri tedeschi e degli altri paesi del “nord” dell’eurozona sarebbero preoccupati che la BCE stampi moneta per acquistare ampie quantità di titoli italiani, sui quali il governo italiano potrebbe alla fine fare default. Un tale default implicherebbe che i leader tedeschi e degli altri paesi del “nord” debbano ai loro contribuenti (arrabbiati) di riempire il vuoto rimasto nel capitale della BCE.
Per mettere la cosa in prospettiva, i leader europei si stanno attualmente accapigliando sui centesimi per decidere il prossimo bilancio dell’Unione Europea. Sarebbe quindi un errore, nel momento in cui le maggiori nazioni europee sono così deboli, aspettarsi che intervengano tempestivamente per sostenere finanziariamente un’Italia in fallimento. E se la faglia finanziaria italiana dovesse aprirsi, i default italiani avrebbero ripercussioni a cascata sul sistema finanziario globale, causando danni ben difficili da contenere.
Possiamo correre il rischio di non fare nulla. Oppure, mentre gli italiani sono piegati dal peso dell’enorme sfida medica e umana con cui sono alle prese, la comunità globale può intervenire per impedire che l’Italia diventi l’epicentro di una crisi finanziaria globale.
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