30/05/17

Flassbeck: Schäuble non riesce o non vuole capire?

Su Makroskop Heiner Flassbeck lancia un esplicito j'accuse contro il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble. Il ministro, avverte l'economista, rappresenta un pericolo per i già instabili equilibri europei, a causa della sua percezione totalmente scorretta e deleteria della crisi e delle possibili soluzioni.

 

di Heiner Flassbeck, 12.05.2017

 

Questo è quello che capita quando un uomo, nonostante l’età avanzata, non sembra avere alcuna intenzione di imparare: finisce col ripetere costantemente le stesse tesi sbagliate, rendendosi ridicolo.
Ma come è possibile che il popolo tedesco accetti un ministro delle Finanze che, anno dopo anno, esprime senza sosta concetti che sono chiaramente falsi?
E come è possibile che nella totalità dei media, a quanto pare, non esista neanche un individuo dotato di logica, che chiami falso ciò che, semplicemente, lo è?
E come è possibile che il partito minore della coalizione accetti tutto ciò senza reagire, proprio ora che sarebbe importante intavolare una discussione ragionevole con il nuovo presidente francese, piuttosto che buttare nuovamente benzina sul già rovente fuoco europeo?

Schäuble ha dichiarato sullo Spiegel online che è vero che il surplus delle partite correnti tedesco è troppo alto, ma che il governo non ha modo di modificare questa dinamica, in quanto sarebbe dovuta all’elevata competitività dell’economia tedesca e alla sua appartenenza a un’unione monetaria.

La prima parte della dichiarazione è falsa, perché è stata proprio la politica che ha esercitato forti pressioni sui sindacati nei primi anni 2000, affinché i salari tedeschi crescessero in misura minore sia rispetto al periodo precedente, sia a quanto esplicitamente preventivato dall’Unione monetaria.

Questo è stato il germe della crisi dell'euro e della spirale deflazionistica dilagata in tutta Europa.
Non è stata l'efficienza tedesca che ha portato al miglioramento della competitività, ma semplicemente una cosa che porta il nome di compressione salariale.

La politica ha il potere di influenzare il mercato del lavoro con differenti modalità e obiettivi.

Il governo tedesco potrebbe benissimo mettere sotto pressione le organizzazioni imprenditoriali per imporre accordi salariali più alti, così come in passato ha messo sotto pressione i sindacati con finalità opposte.
Se la sola pressione politica non fosse sufficiente, si può decidere di rafforzare i sindacati attraverso la strada della legislazione, esattamente come la coalizione rosso-verde li indebolì con l’Agenda 2010 e la riforma Hartz IV.

 

La seconda parte della dichiarazione è altrettanto falsa: il motivo per cui l’euro è così debole sui mercati valutari internazionali è imputabile unicamente al fatto che la compressione salariale tedesca ha aperto fin dal principio un cuneo all’interno dell’Unione monetaria, cui si può rimediare solo attraverso tagli salariali drastici (e disastrosi) anche nelle nazioni partner più importanti, come ad esempio la Francia. La crisi dell’euro, la scarsa crescita economica del continente, le tendenze deflazionistiche, la politica dei tassi zero e l'errore fatale dell’assoluta austerità fiscale sono tutti elementi dovuti essenzialmente al fatto che la Germania ha usato il dumping salariale per trasferire all’estero il suo problema di debito fin dai primi anni 2000.

 

Schäuble predica inoltre – l'ultima volta lo ha fatto proprio pochi giorni fa a Washington - uno sforzo per aumentare la competitività da parte di tutti Paesi europei - UN’ALTRA asserzione fondamentalmente sbagliata.
Chi dice una cosa del genere non ha capito il funzionamento di un'economia grande e relativamente chiusa come l'Unione monetaria europea.

Un mercato di questo tipo non può risolvere i suoi problemi via surplus verso l’estero, questo con o senza un presidente come Trump alla guida degli Stati Uniti. È prima di tutto necessario creare e sostenere la domanda interna, cosa impossibile senza il ritorno a una politica salariale ragionevole in Germania, e un allentamento o l'eliminazione delle regole del Patto di stabilità.

 

Ad oggi chiunque permetta che Schäuble impedisca qualsiasi soluzione costruttiva della crisi europea a causa della sua errata comprensione dei principi economici di base è direttamente responsabile del perdurare delle turbolenze in Europa.
L’SPD dovrebbe fermare quanto prima il ministro delle Finanze, per tentare di bilanciare almeno una parte delle sue colpe nella crisi europea.

28/05/17

Foreign Policy: la Germania sta costruendo un esercito europeo sotto il suo comando

Dal crollo del Muro di Berlino, venuta meno la minaccia sovietica, le forze armate tedesche sono state costantemente ridimensionate in numero e investimenti, tanto che nel 2014 un'indagine parlamentare ne denunciava la scarsa operatività. Ma, diventata il nuovo egemone europeo grazie alla crisi dell'euro e spronata dagli alleati, USA inclusi, ad assumere un maggiore ruolo militare, negli ultimi anni la Germania ha aumentato gli investimenti nella difesa e, per accelerare il recupero delle capacità militari, grazie ad una propria iniziativa all'interno della NATO, ha iniziato a integrare nel proprio esercito alcune divisioni di paesi alleati satelliti, con rapporto di mutuo beneficio per i partecipanti. Così, mentre a Berlino si discute anche della possibilità di dotarsi dell'atomica, silenziosamente la Germania sta costruendo il potenziale nucleo di una futura forza armata dell'Unione Europea, ovviamente sotto il suo comando. Da Foreign Policy.

 

di Elisabeth Braw, 22 maggio 2017

Ogni pochi anni, l'idea di un esercito dell'UE torna a farsi strada tra le notizie, facendo molto rumore. Per alcuni è un'idea fantastica, per altri un incubo: per ogni federalista di Bruxelles convinto che una forza di difesa comune sia ciò che serve all'Europa per rilanciare la sua posizione nel mondo, ci sono quelli, a Londra e altrove, che inorridiscono all'idea di un potenziale rivale della NATO.

Ma quest'anno, lontano dall'attenzione dei media, la Germania e due dei suoi alleati europei, la Repubblica Ceca e la Romania, hanno silenziosamente fatto un passo  avanti radicale verso un qualcosa che assomiglia ad un esercito UE, evitando le complicazioni politiche che questo passo comporta: hanno annunciato l'integrazione delle loro forze armate.

L'intero esercito della Romania non si unirà alla Bundeswehr, né le forze armate ceche diventeranno una semplice divisione tedesca. Ma nei prossimi mesi, ciascun paese integrerà una brigata nelle forze armate tedesche: l'81a Brigata Meccanizzata della Romania si unirà alla Divisione delle Forze di Risposta Rapida della Bundeswehr, mentre la 4a Brigata di Dispiegamento Rapido della Repubblica Ceca, che ha servito in Afghanistan e in Kosovo ed è considerata la punta di lancia dell'esercito ceco, diventerà parte della Decima Divisione Blindata tedesca. Così facendo, seguiranno le orme di due brigate olandesi, una delle quali è già entrata a far parte della Divisione delle Forze di Risposta Rapida mentre l'altra è stata integrata nella Prima Divisione Blindata della Bundeswehr. Secondo Carlo Masala, professore di politica internazionale presso l'Università della Bundeswehr a Monaco di Baviera, "il governo tedesco si sta dimostrando disposto a procedere verso l'integrazione militare europea" - anche se altri paesi del continente ancora non lo sono.

Il Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha ripetutamente ventilato l'idea di un esercito dell'Unione europea, solo per ricevere in risposta derisione o un imbarazzato silenzio. È così anche adesso che l'UK, eterno nemico dell'idea, sta uscendo dall'unione. C'è poco accordo tra i rimanenti Stati membri su come dovrebbe essere organizzata esattamente una simile forza ed a quali  competenze le forze armate nazionali dovrebbero conseguentemente rinunciare. E così il progresso è stato lento. A marzo di quest'anno, l'Unione europea ha creato un quartier generale militare congiunto - ma ha soltanto la responsabilità dell'addestramento delle missioni in Somalia, Mali e Repubblica Centrafricana e ha un magro personale di 30 unità. Sono state progettate anche altre forze multinazionali, come il Gruppo da Battaglia del Nord, una piccola forza di reazione rapida di 2.400 militari formata dagli Stati baltici, da diversi paesi nordici e dai Paesi Bassi, e la Forza Congiunta di Spedizione della Gran Bretagna, una "mini NATO" i cui membri includono gli Stati baltici, la Svezia e la Finlandia. Ma in assenza di adeguate opportunità di schieramento, questi gruppi operativi potrebbero anche non esistere.

Tuttavia sotto la blanda etichetta del Framework Nations Concept, la Germania ha lavorato a qualcosa di molto più ambizioso: la creazione di quella che sostanzialmente è una rete di mini-eserciti europei, guidata dalla Bundeswehr. "L'iniziativa è scaturita dalla debolezza della Bundeswehr", ha dichiarato Justyna Gotkowska, analista di sicurezza dell'Europa settentrionale presso il think tank polacco Centro per gli Studi Orientali. "I tedeschi hanno capito che la Bundeswehr doveva colmare le lacune delle sue forze terrestri ... per guadagnare influenza politica e militare all'interno della NATO". Un aiuto da parte dei partner potrebbe essere la carta migliore a disposizione della Germania per rinforzare rapidamente il suo esercito - e i mini-eserciti a guida tedesca potrebbero essere l'opzione più realistica per l'Europa, se deve considerare seriamente la sicurezza comune. "È un tentativo per impedire che la sicurezza comune europea fallisca completamente", ha detto Masala.

"Lacune" della Bundeswehr è un eufemismo. Nel 1989, il governo della Germania Occidentale spendeva il 2,7% del PIL per la difesa, ma nel 2000 questa spesa era scesa all'1,4%, dove è rimasta per anni. Infatti, tra il 2013 e il 2016, la spesa per la difesa è rimasta bloccata all'1,2% - lontano dal livello di riferimento del 2% della NATO. In un rapporto del 2014 al Bundestag, il Parlamento tedesco, gli ispettori generali della Bundeswehr hanno presentato un quadro imbarazzante: la maggior parte degli elicotteri della Marina non funzionava e dei 64 elicotteri dell'esercito solo 18 erano utilizzabili. E mentre la Bundeswehr della Guerra Fredda era composta da 370.000 soldati, la scorsa estate era forte soltanto di 176.015 tra uomini e donne.

Da allora la Bundeswehr è cresciuta a più di 178.000 soldati attivi; l'anno scorso il governo ha aumentato i finanziamenti del 4,2%, e quest'anno la spesa per la difesa crescerà dell'8%. Ma la Germania è ancora molto lontana dalla Francia e dall'UK come forza militare. E l'aumento della spesa per la difesa non è immune da polemiche in Germania, dato che il paese è consapevole della propria storia come potenza militare. Il ministro degli Esteri Sigmar Gabriel ha recentemente affermato che è "completamente irrealistico" pensare che la Germania raggiunga il riferimento di spesa per la difesa della NATO del 2% del PIL - anche se quasi tutti gli alleati della Germania, dai più piccoli paesi  europei agli Stati Uniti, la stanno sollecitando ad avere un ruolo militare più importante nel mondo.

La Germania può non avere ancora la volontà politica di espandere le sue forze militari alle dimensioni che molti sperano - ma ciò che ha avuto dal 2013 è il Framework Nations Concept. Per la Germania, l'idea è di condividere le sue risorse con i paesi più piccoli in cambio dell'uso delle loro truppe. Per questi paesi più piccoli, l'iniziativa è un modo per far sì che la Germania sia più coinvolta nella sicurezza europea, evitando la difficile politica dell'espansione militare tedesca. "È un passo verso una maggiore indipendenza militare europea", ha detto Masala. "L'UK e la Francia non sono disposte a prendere la guida della sicurezza europea" - l' UK è in un via di collisione con i suoi alleati dell'UE, mentre la Francia, un peso massimo militare, ha spesso mostrato riluttanza verso le operazioni multinazionali della NATO. "Resta solo la Germania", ha detto. Operativamente, le risultanti unità bi-nazionali sono maggiormente dispiegabili perché sono permanenti (la maggior parte delle unità multinazionali fino ad ora sono state temporanee). Questo amplifica in modo determinante il potere militare dei paesi partner. E se la Germania decidesse di schierare un'unità integrata, potrebbe farlo solo con il consenso del partner minoritario.

Naturalmente, dal 1945 la Germania è stata straordinariamente riluttante a dispiegare il suo esercito all'estero, addirittura  fino al 1990 ha vietato alla Bundeswehr di schierarsi fuori dai confini. In effetti, i partner minoritari - e quelli potenziali - sperano che il Framework Nations Concept farà assumere alla Germania più responsabilità nella sicurezza europea. Finora, la Germania e i suoi mini-eserciti multinazionali non sono altro che delle iniziative su piccola scala, ben lontane da un vero esercito europeo. Ma è probabile che l'iniziativa cresca. I partner della Germania hanno sfruttato i vantaggi pratici dell'integrazione: per la Romania e la Repubblica Ceca, significa portare le proprie truppe allo stesso livello di addestramento delle forze tedesche; per i Paesi Bassi, ha significato riconquistare competenze coi carri armati (gli olandesi avevano venduto l'ultimo dei loro carri armati nel 2011, ma le truppe della 43a Brigata Meccanizzata, che sono in parte acquartierate con la Prima Divisione Blindata nella città tedesca occidentale di Oldenburg, ora guidano i carri armati tedeschi e potrebbero utilizzarli se schierati con il resto dell'esercito olandese). Il colonnello Anthony Leuvering, comandante della 43a Meccanizzata di base a Oldenburg, mi ha detto che l'integrazione ha avuto veramente pochi intoppi: "La Bundeswehr ha circa 180.000 unità, ma i tedeschi non ci trattano come l'ultima ruota del carro". Si aspetta che altri paesi si uniscano all'iniziativa: "Molti, molti paesi vogliono collaborare con la Bundeswehr". La Bundeswehr, a sua volta, ha in mente un elenco di partner secondari, ha dichiarato Robin Allers, un professore tedesco, associato presso l'Istituto norvegese per gli Studi sulla Difesa, che ha visto l'elenco dell'esercito tedesco. Secondo Masala, i paesi scandinavi, che già utilizzano una grande quantità di apparecchiature tedesche, sarebbero i migliori candidati per il prossimo ciclo di integrazione nella Bundeswehr.

Finora, l'approccio empirico di basso profilo del Framework Nations Concept è andato a vantaggio delle Germania; poche persone in Europa hanno obiettato all'integrazione di unità olandesi o rumene con le divisioni tedesche, in parte perché potrebbero non averla notata. E' meno chiaro se ci saranno ripercussioni politiche nel caso in cui  più nazioni dovessero unirsi all'iniziativa.

Al di fuori della politica, il vero test sul valore del Framework Nations Concept sarà il successo in combattimento delle unità integrate. Ma la parte più complessa dell'integrazione, sul campo di battaglia e fuori, potrebbe rivelarsi la ricerca di una  lingua franca. Le truppe dovrebbero imparare le lingue gli uni degli altri? O il partner minoritario dovrebbe parlare tedesco? Il Colonello Leuvering, olandese di lingua tedesca, riferisce che la divisione bi-nazionale di Oldenburg si sta orientando verso l'uso dell'inglese.

27/05/17

Il problema non è la Grecia. L'eurozona ha fallito, e anche i tedeschi ne sono le vittime

Riprendiamo un articolo del 2015 del Guardian, in cui il progetto europeo viene spietatamente analizzato per i risultati che ottiene: non un promotore di democrazia e di benessere, ma uno strumento che mina le basi della democrazia ed estende l’abbassamento delle condizioni di vita dei lavoratori tedeschi a tutto il continente – con l’aggravante che tutti gli altri lavoratori partivano da condizioni decisamente meno agiate.

 

Di Aditya Chakrabortty, 22 giugno 2015

 

Quasi tutte le discussioni sul fallimento della Grecia si rifanno a valutazioni moralistiche. Potremmo definire la questione i Cattivi Greci contro la Nobile Europa. Questi greci problematici non avrebbero mai dovuto far parte dell’euro, secondo questa narrazione. Una volta entrati, si sono cacciati in un mare di guai – e adesso tocca all’Europa risolvere tutto.

Queste sono le basi su cui concordano tutte le Persone Sagge. Tra costoro, quelli di destra proseguono dicendo che quei falliti dei Greci devono o accettare quel che gli propone l’Europa o uscire dalla moneta unica. Quelli invece più progressisti, dopo un certo tentennamento e imbarazzo,  alla fine chiedono che l’Europa mostri un po’ di solidarietà e aiuti questo paese fallito del Sud. Qualsiasi sia la soluzione proposta, le Persone Sagge concordano sul problema: la colpa non è di Bruxelles, bensì di Atene. Oh, questi Greci scapestrati! È l’atteggiamento che traspare quando Christine Lagarde dell’FMI critica il governo di Syriza per non essere abbastanza “adulto”. E’ quello che permette alla stampa tedesca di sostenere che il Ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis, ha “bisogno  di assistenza psichiatrica”.

Questa narrazione ha un piccolo problema: come molte narrazioni moralistiche, è totalmente slegata dalla dura realtà. Atene è solo il peggior sintomo di un male molto più grande che affligge il progetto europeo. Perché la moneta unica non è al servizio dei comuni cittadini  Europei, dalla Valle della Ruhr a Roma.

Dicendo questo, non voglio negare la corruzione e l'evasione endemica della Grecia (e non lo faceva  nemmeno Syriza, arrivato al potere facendo campagna politica esattamente contro questi vizi). Né voglio indossare i panni dei sostenitori di Farage. Quello che sostengo è molto più semplice: il progetto europeo non solo non riesce a mantenere le promesse dei suoi fondatori, ma sta ottenendo l’esatto opposto – sta infatti distruggendo il benessere dei cittadini europei. E, come vedremo, questo vale anche per coloro che vivono nella prima economia del continente, la Germania.

Prima di tutto, ricordiamo le nobili promesse del progetto europeo. Ripercorriamo le orme del tedesco Schmidt e del francese d’Estaing, mentre posavano le fondamenta del grande progetto unificatore europeo. In particolar modo, ricordiamoci di come si sentivano quelli che ci credevano davvero. Prendiamo ad esempio Oskar Lafontaine, il ministro delle finanze tedesco, proprio alla vigilia del lancio dell’euro. Parlava di “visioni di un’Europa unita, da raggiungere attraverso la graduale convergenza degli standard di vita, l’approfondirsi della democrazia, e il fiorire di una vera cultura europea”.

Potremmo citare migliaia di altri analoghi proclami di euro-poesia, ma questo di Lafontaine ci mostra quanto in basso sia caduto il progetto della moneta unica. Anziché innalzare gli standard di vita in Europa, l’unione monetaria li sta spingendo verso il basso. Anziché approfondire la democrazia, la sta mettendo a rischio. Per quanto riguarda la “vera cultura europea”, quando i giornalisti tedeschi accusano i ministri greci di essere “psicotici”, il mitico consesso di nazioni sembra davvero lontanissimo.

Di questi tre fallimenti, il primo è il più importante – perché spiega come l’intera unione viene messa a rischio. Per constatare cosa è successo agli standard di vita dei cittadini europei, ci riferiamo a una straordinaria ricerca pubblicata quest’anno da Heiner Flassbeck, ex capo economista alla Conferenza delle Nazioni Unite su Commercio e Sviluppo, e da Costas Lapavitsas, un professore di economia della Soas University di Londra ora diventato parlamentare di Syriza.

In “Contro la Troika” questi economisti hanno pubblicato un grafico che mostra come l’euro ha influito sugli standard di vita. Si sono focalizzati sul costo unitario del lavoro – quanto occorre pagare il personale per poter produrre un’unità di prodotto. Hanno mappato il costo del lavoro nell’eurozona tra il 1999 e il 2013. Quello che hanno trovato è che i lavoratori tedeschi in pratica non hanno ottenuto alcun aumento di salario in questi 14 anni. Nella breve vita dell’euro, i lavoratori tedeschi se la sono cavata peggio dei francesi, degli austriaci, degli italiani e di molti altri dell’Europa del sud.

Sì, stiamo parlando proprio della Germania: l’economia più potente del continente, quella che perfino David Cameron guarda con invidia. Eppure i lavoratori tedeschi che rendono ricco il loro paese  non hanno ricevuto alcuna ricompensa per i loro sforzi. E questo rappresenta il modello per il continente intero.

Forse avrete un’idea della Germania come di una nazione di lavoratori molto abili, molto ben retribuiti, in fabbriche luccicanti. Questi lavoratori e i loro sindacati esistono ancora – ma stanno velocemente scomparendo. Secondo il principale esperto tedesco in disuguaglianze, Gerhard Bosch, essi stanno venendo sostituiti da lavoro sottopagato. La forza-lavoro a basso costo è esplosa ed è ormai quasi a livelli americani, secondo lui.

Non diamone la colpa all’euro, ma al lento declino dei sindacati tedeschi, e alla tendenza alla delocalizzazione verso i paesi a basso costo dell’est Europa. Il ruolo della moneta unica è stato quello di permettere al problema tedesco dei  bassi salari di rovinare un continente intero.

I lavoratori francesi, italiani, spagnoli e del resto dell’eurozona ora devono subire la concorrenza sleale dell’epica gelata dei salari che ha caratterizzato il grande paese al centro dell’eurozona.  Flassbeck e Lapavitsas descrivono questo fenomeno come una politica tedesca di “beggar thy neighbour” ( frega il tuo vicino, ndVdE) – “ma solo dopo aver fregato i suoi stessi cittadini”.

Nello scorso secolo, gli altri paesi dell’eurozona avrebbero potuto diventare più competitivi svalutando le proprie monete nazionali – proprio come ha fatto il Regno Unito a partire dal disastro delle banche. Ma ormai fanno tutti parte di un unico club,  l’unica soluzione possibile dopo il crash è stata di pagare meno i lavoratori.

Questo è esattamente quello che consigliano di fare alla Grecia la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea e il FMI: liberarsi dei lavoratori in eccesso, pagare meno quelli che mantengono un lavoro, e tagliare le pensioni per gli anziani. Ma non è una ricetta solo per la Grecia. Praticamente in ogni meeting i Saggi di Bruxelles e Strasburgo se ne escono col solito comunicato che esorta a “riformare” il mercato del lavoro e il sistema di sicurezza sociale in tutto il continente: un tentativo nemmeno troppo mascherato per attaccare gli standard di vita dei comuni cittadini. Ecco cosa è diventato il Nobile Progetto Europeo: una triste marcia al ribasso. L’obiettivo non è quello di creare una democrazia più forte, ma dei mercati più forti – e le due cose sono sempre più incompatibili. La tedesca Angela Merkel non si è fatta alcuno scrupolo  ad intromettersi nei sistemi democratici di altri paesi Europei – mettendo implicitamente in guardia i greci che avessero osato votare Syriza per esempio, o forzando il primo ministro socialista spagnolo, Josè Luis Rodrìguez Zapatero, a rimangiarsi le promesse di spesa che gli erano valse l’elezione.

Il pestaggio diplomatico inflitto a Syriza da quando è andata al potere quest’anno (il 2015 per chi scrive, ndVdE) può solo essere interpretato come il tentativo dell’Europa di dare un esempio agli elettori spagnoli, che potrebbero essere tentati di sostenere il movimento gemello Podemos. Se ti spingi troppo a sinistra, dice il messaggio, ti riserveremo lo stesso trattamento.

A prescindere da quali fossero gli ideali fondanti dell’eurozona, di sicuro non si accordano con la triste realtà del 2015. Questa è la rivoluzione della Thatcher, o di Reagan, ma su scala continentale. E come allora, viene accompagnata dall’idea che Non C’E’ Alcuna Alternativa (in inglese TINA: There Is No Alternative, ndVdE) nella gestione dell’economia, e nemmeno su quale tipo di governo gli elettori possono scegliere.

Il fatto che questo scempio venga portato avanti da personaggi apparentemente Saggi e Presentabili che pretendono di essere socialdemocratici, non rende il progetto più carino o gentile. Dà solo all’intera vicenda uno sgradevole sapore di ipocrisia.

 

25/05/17

La Danimarca e altri paesi dell'UE saranno presto obbligati a entrare nella zona euro

Poco più di un mese dopo che la Repubblica Ceca ha sganciato la corona dall’euro, quando si erano sparse voci che anche la Danimarca volesse seguire la medesima strada, forse ringalluzziti dal risultato delle elezioni francesi, i commissari UE vogliono serrare i ranghi e forzare tutti i paesi UE ad adottare l’euro entro il 2025. Così riporta RT, riferendo di notizie trapelate da una riunione della settimana scorsa a Strasburgo e pubblicate dal Frankfurter Allgemeine Zeitung. Per un interessante confronto tra l’andamento delle economie scandinave in relazione all’adozione o meno dell’euro, rimandiamo a La grande divergenza scandinava, di Frances Coppola.

Da RT, 25 maggio 2017

Benché la Danimarca abbia già votato contro la scelta di lasciare la Corona per l'euro, la Commissione europea potrebbe costringere il paese ad adottare la moneta unica europea, riporta il giornale tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung.

Appunti trapelati dalla riunione della scorsa settimana a Strasburgo hanno rivelato che la Commissione UE vuole che tutti i 27 membri del blocco adottino l'euro entro il 2025.

A quanto viene riferito, i funzionari dell'UE stanno cercando di redigere un bilancio in euro in grado di incorporare il pagamento di una tassa fissa da parte di tutti gli Stati membri. Il denaro raccolto sarebbe destinato a investimenti in tutto il blocco.

Tuttavia, il commissario europeo per l'Euro e il dialogo sociale Valdis Dombrovskis, ha dichiarato che si tratta di un fraintendimento.

“È stata fatta confusione. Quello che abbiamo discusso per il prossimo documento di riflessione è il completamento dell'unione economica e monetaria. Questo non significa che gli Stati membri dell'UE debbano adottare l'euro. Non c'è alcuna scadenza di tempo specifica, ma naturalmente abbiamo incoraggiato tutti gli Stati membri a fare i preparativi necessari,” così il sito svedese della Commissione europea cita le parole di Dombrovskis.

L'euro è oggi la moneta unica per 19 membri del blocco. I nove restanti paesi, tra cui Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Ungheria, Polonia, Romania, Svezia e Regno Unito, che è attualmente in fase di uscire dall'Unione europea, non utilizzano l'euro come moneta nazionale.

La Commissione UE, a quanto si riporta, dovrebbe tenere una riunione sul futuro dell'euro il 31 maggio. E vuole ristabilire il controllo sull'euro, secondo il tabloid tedesco.

Cosa si nasconde dietro alla politica neoliberale dell’appartenenza

Il sito Counterpunch denuncia la deriva del Partito Democratico americano, la stessa che è avvenuta da noi. Invece di occuparsi dei conflitti di classe cercando di risolverli, i democratici li negano, così approfondendoli. Il loro ragionare in termini di gender, preferenze sessuali o religiose e simili non fa che aiutare i capitalisti, dividendo la classe lavoratrice in innumerevoli fazioni.

 

di Paul Street, 24 maggio 2017

L’anno scorso, Daniel Denvir descrisse acutamente la strategia politica di Hillary Clinton come “l’apice del neoliberalismo, in cui una versione distorta della politica dell'appartenenza viene usata per difendere un’oligarchia e uno stato nazionale di sicurezza, celebrando le diversità per gestire lo sfruttamento e il conflitto sociale” (il corsivo è mio).

Questo “apice” della politica neoliberale dell'appartenenza (NIP) è un’arma potente nelle mani dei pochi capitalisti privilegiati e del loro impero globale di omicidi di massa. È stata al centro del fenomeno Barack Obama e della sua presidenza.  Ed è tuttora viva e vegeta e presente al vertice del Partito Democratico e dei suoi numerosi alleati tra i media, anche sei mesi dopo l’umiliante sconfitta di Hillary Clinton.

Funziona così. Non sei riuscito a sopportare di votare il “male minore” ossia la candidata bugiarda neoliberale e guerrafondaia Hillary Clinton, malvagio strumento e alleata di una dittatura non eletta e intrecciata di denaro, impero e supremazia bianca?

Be’, dice la NIP, questo dimostra che sei sessista. Hai un problema di genere. Evidentemente non sopporti che una donna ricopra una posizione di autorità.

Lo stesso vale se hai avuto l’ardire di notare il grottesco imperialismo di Madeleine Albright, buona amica anti-russa di Hillary ed ex Segretario di Stato di Bill Clinton. La Albright è la rivoltante funzionaria imperialista che ha dichiarato alla CBS che l’assassinio di mezzo milione di bambini iracheni (bambine incluse) ad opera delle sanzioni economiche imposte dagli USA è stato “un prezzo che valeva la pena pagare” per i progressi nel raggiungimento degli obiettivi di politica estera statunitensi (la Albright ha dichiarato anche che c'è “un posto all’inferno" per le ragazze che non hanno votato per la Clinton l’anno scorso).

Lo stesso vale se non se non esulti di gioia per la partecipazione delle donne-pilota al bombardamento statunitense dei villaggi afgani.

Che importa delle donne e ragazze tra gli  innumerevoli cittadini USA e del mondo feriti e minacciati dall’agenda neoliberale e imperialista che la Clinton ha portato avanti con lo stesso fervore e malignità del suo leggendario marito molestatore di donne?

Che importa se molte femministe e donne progressiste non hanno potuto digerire il corporativismo e il militarismo di Hillary Clinton e hanno appoggiato Bernie Sanders (insieme a uomini che sono stati assurdamente scherniti come “Berniebros" - "fratelli di Bernie” NdVdE - dalla campagna di Hillary) alle primarie presidenziali democratiche? O se hai votato per una donna (Jill Stein) come presidente?
No, dice la NIP. Hai odiato Hillary perché non credi nei diritti delle donne.


Hai criticato il primo presidente nero degli USA perché era prigioniero e servo della già menzionata dittatura di non eletti e hai rifiutato di salire sul carro del suo falso progressismo di speranza-cambiamento? Hai denunciato la dedizione senza risparmio di Obama ai ricchi e ai potenti? Non hai sostenuto Obama quando bombardava con i droni donne e bambini musulmani attraverso un programma di assassinii non-molto-mirati che Noam Chomsky ha giustamente definito “la più estrema campagna di terrorismo dell’era moderna?”

Be’, dice la NIP; questo dimostra soltanto quanto tu sia razzista. Devi avere un problema con gli uomini neri in posizioni di autorità.

Che importa dei molti milioni, se non miliardi, di persone di colore che sono state colpite o minacciate dall’agenda neoliberale e imperialista che Obama ha portato avanti con lo stesso fervore e malignità dei Clinton? A chi importa dei tuoi avvertimenti e osservazioni riguardo il totale disastro del fenomeno Obama e della sua presidenza rispetto alla causa dell’uguaglianza nera? O del fatto che molti neri americani non fossero d’accordo con il concetto malato che mettere una faccia tecnicamente nera nel posto simbolicamente più alto fosse una soluzione alla perdurante esistenza del razzismo nel cuore della vita americana?

Sei preoccupato delle pressioni al ribasso che gli immigranti africani e messicani possono esercitare sui salari e sul potere negoziale dei sindacati sul tuo mercato del lavoro locale?

Be’, sostiene la NIP, questo dimostra che razza di egoista, nazionalista-bianco-che-guarda-solo-FOX-News sei.

Dimentichiamoci il gioioso sfruttamento da parte dei datori di lavoro locali del lavoro degli immigranti come alternativa a basso costo e strumento per dividere la classe lavoratrice – e dimentichiamoci i tuoi stessi sforzi per vedere riconosciuti i diritti agli immigrati e l’inclusione degli immigrati nelle lotte per ottenere condizioni di lavoro e di vita migliori.

Sei preoccupato che l’influsso di ricchi studenti provenienti dalla Cina stia contribuendo a gonfiare i prezzi del tutoraggio al college e all’università, provocando l’esclusione dei figli della classe lavoratrice americana dall’istruzione superiore negli USA? Trovi sgradevoli i notevoli sprechi e l’esclusivo orientamento al business di molti di questi studenti cinesi?

Per la NIP ciò dimostra solo quanto tu sia un razzista che desidera segretamente riportare in vita la Legge di Esclusione della Cina del 1882.

Non importa quanto hai scritto, detto e/o fatto per criticare il rozzo, neo-Dickensiano sfruttamento del proletariato cinese – la vera fonte di ricchezza che rende possibile per le famiglie cinesi ricche mandare i propri figli unici nelle università americane.

Hai osato notare che l’afflusso di massa delle donne nel mondo del lavoro statunitense durante e dopo gli anni 70 ha permesso alla classe imprenditrice di schiacciare le paghe orarie e ha contribuito alla crisi della vita familiare della classe lavoratrice?

La NIP sostiene che questo dimostra che maschio sciovinista sei: ovviamente tu ritieni che “il posto di una donna è a casa”. Devi essere un sessista che vuole riportare l’orologio indietro, quando non c’erano i diritti delle donne.

Non importa se da tempo sostieni la parità di genere sul posto di lavoro e oltre.

Sei preoccupato per il fatto che i dati recenti dimostrano che i maschi della classe lavoratrice bianca degli USA stanno attraversando un periodo di declino precipitoso in termini di aspettativa di vita, a causa del collasso del mercato del lavoro per gli uomini della classe lavoratrice nell’era neoliberista?

Per la NIP questa è la dimostrazione che sei un sessista bianco che si interessa solo dei bianchi.

A chi interessa la tua lunga opposizione al sessismo, razzismo e ad altri mali?

Trovi molto poco sorprendente che molti bianche della classe lavoratrice e rurale reagiscano male alla frase “Le vite dei neri contano”, dato che negli ultimi 40 anni è stato loro insegnato dal capitalismo neoliberista che le LORO vite non contano?

Questo prova che sei un razzista che non capisce la speciale oppressione subita dalle persone di colore.

Non interessa la tua lunga denuncia e opposizione al razzismo e la tua difesa della frase “Le vite dei neri contano”.

Non sopporti il pericoloso piano imperialista USA per umiliare la Russia?

Questo dimostra che adori i grandi e forti nazionalisti bianchi, come Vladimir Putin. Vorresti segretamente tornare ai bei giorni della supremazia indiscussa degli uomini bianchi.

Non interessa la tua costante e indefessa critica dell’oligarchia neliberista di Putin, oltre che del suo razzismo e sessismo.

Non riesci a sopportare i professori di storia e sociologia (o di altre “scienze sociali”) che si concentrano sulla razza/etnicità e/o il gender e/o gli orientamenti sessuali e/o la religione e/o la nazionalità e/o l’età e/o l’ecologia, con l’assurda esclusione delle classi sociali nel raccontare la storia degli avvenimenti presenti?

Questo dimostra che sei un razzista e/o omofobo e/o bigotto e/o anti-ecologico.

Non importa la centralità della disuguaglianza tra classi nello sviluppo dei fenomeni di razzismo, oppressione etnica, sessismo, omofobia e via dicendo.

Non importa che la crisi ambientale venga pilotata al di sopra di qualsiasi problema dalla follia estremista della classe dominante capitalista.

Esiste un nome per tutta questa follia di politica dell'appartenenza nella quale si identificano così tanti liberali borghesi finti progressisti: la regola di dominio di classe divide et impera.

Non sono uno di quei social-democratici ed economisti che riducono tutto ai conflitti di classe e che dicono che tutta quanta la politica dell'appartenenza dovrebbe essere messa da parte. Nessun uomo di sinistra degno di questo nome dovrebbe negare o ignorare le esperienze specifiche di oppressione delle donne, dei neri, dei nativi americani, sudamericani, gay, transgender, musulmani, arabi, africani e così via. Sottovalutare la particolarità dell'oppressione e della vita delle persone legata a identità razziali, di genere, sessuali, etniche e di nazionalità non porta da nessuna parte, né moralmente né politicamente.

Quello che è da rigettare è l’identitarismo borghese paralizzante e reazionario al quale è profondamente legato il pessimo, affarista e neoliberista Partito Democratico. Come ha fatto notare Conor Lynch a Salon lo scorso autunno, “la campagna della Clinton ha tentato di incentrare le elezioni del 2016 sull’odiosità di Trump (“Amiamo l’odio per Trump”) e la sua “truppa di miserabili”, senza intanto offrire una reale visione di cambiamento progressivo e populista… quando qualcuno a sinistra ha sollevato legittime preoccupazioni riguardo al messaggio perdente della Clinton o al suo bagaglio politico durante e dopo le primarie, è stato ridicolmente etichettato come "fratello" sessista o razzista da figure apicali del partito (anche se alcuni dei più duri critici progressisti della Clinton erano di fatto donne e persone di colore).

La sinistra nei suoi momenti migliori ha percepito la politica dell’appartenenza in modo opposto sia al "dividi e comanda" della classe dirigente, sia al riduzionismo di classe. Come ha detto Luis Proyect lo scorso dicembre:

“Mentre l’idea di riunire i lavoratori in base ai loro interessi di classe e alla loro provenienza etnica, il loro gender, e altre differenze ha un enorme seguito a prima vista, non esiste un modo facile per dare concretezza a un approccio simile, data la tendenza innata del sistema capitalistico a creare divisioni tra la classe lavoratrice per mantenere il vantaggio sulla classe intera… ancora nel 1960… i leader trozkisti… percepivano la rivoluzione americana come una sorta di fronte unito di diverse battaglie che si sono riunite sulla base di comuni interessi di classe. Se questa è una concessione alla 'politica dell’appartenenza', temo che un movimento socialista che si basi su richieste particolari dei neri e altri di altri settori della popolazione che agiscono nel loro proprio interesse sulla base del sesso, delle preferenze sessuali ecc sarà inevitabilmente mancante della universalità necessaria a trionfare contro una classe capitalista coesa. Per dirla in termini dialettici, negare l’esistenza di contraddizioni e rifiutarsi di risolverle non potrà che portare a contraddizioni più profonde”.

E questo è davvero corretto. Si riferisce all'identità come un mezzo che serve a costruire solidarietà tra la classe lavoratrice in opposizione al capitale, mentre la NIP cerca di dividere la classe lavoratrice per servire il capitale.

 

23/05/17

ZH: Le autorità greche stanno lanciando una confisca di massa di cassette di sicurezza

Zero Hedge riferisce come lo stato greco, dopo avere svenato i propri cittadini per anni con l'austerità dettata "dall'Europa", si prepara ad un giro di vite su chi ha tentato di mettere in salvo qualcosa aggirando la legge (cioè gli "evasori"). Secondo quanto riportato da Kathimerini, entro la fine dell'anno le autorità fiscali greche adotteranno sistemi informatici per identificare rapidamente e mettere le mani sui beni non dichiarati dai cittadini.

 

di Zero Hedge, 22 maggio 2017

La scorsa settimana il Parlamento Greco ha approvato delle nuove misure di austerità per sbloccare i fondi di salvataggio destinati alla Grecia, ma fermi a Bruxelles. Si tratta di una mossa simbolica che ha poco o nessun impatto reale sull'effettiva imposizione di ulteriore austerità. E se i greci sono stati piuttosto bravi nella prima parte (le promesse), sono stati gravemente mancanti nella seconda parte (la consegna).

Le cose potrebbero presto cambiare. Secondo Kathimerini, gli ispettori del Ministero delle finanze greco stanno per avviare una ricerca serrata dei proprietari di tutti i valori non dichiarati, e le leggi saranno riviste al fine di permettere la confisca elettronica di prodotti finanziari e del contenuto delle cassette di sicurezza. Il piano per l'identificazione dei contribuenti che hanno "dimenticato" di dichiarare le loro proprietà alle autorità fiscali dovrebbe essere predisposto entro la fine dell'anno, secondo la tabella di marcia dell'Autorità Indipendente per le Entrate Pubbliche.

Ciò che ne seguirà sarà una vera e propria confisca di massa, da parte del governo, di qualsiasi valore la cui fonte, origine e finanziamento non possano essere giustificati.

Le autorità fiscali greche a questo fine riceveranno il supporto del catasto, ed entro la fine di settembre gli ispettori fiscali dovrebbero ottenere accesso al database del catasto per vedere i dettagli di tutte le proprietà.  Qualunque contribuente che venga identificato come uno che ha omesso di dichiarare i propri beni alle autorità fiscali verrà invitato a dichiararli e pagare le relative tasse e le multe stabilite dalla legge. Se i contribuenti non dovessero farlo, i valori potranno essere "sequestrati".

Kathimerini nota anche che l'autorità fiscale sta aspettando che il Parlamento approvi la normativa che autorizza la confisca di massa di cassette di sicurezza e attività finanziarie.

Fino ad oggi il processo di confisca era redatto "a mano" ed era perciò particolarmente lento nella localizzazione degli asset dei contribuenti che occultavano i redditi o avevano grossi debiti verso lo stato. Ora il processo sta per diventare molto più rapido: dopo che saranno state messe in atto le regolamentazioni necessarie per la riscossione dei debiti con un sistema automatico, le autorità fiscali saranno in grado di emettere avvisi di confisca online e di mettere le mani direttamente sul contenuto delle cassette di sicurezza, di confiscare denaro, pietre preziose, gioielli e altro. Saranno inoltre in grado di confiscare titoli e altri asset finanziari.

Quest'anno le autorità fiscali concentreranno i propri sforzi sulle confische, nel tentativo di ridurre l'enorme ammontare di debito scaduto che i cittadini hanno verso lo stato. È in questo contesto che l'Autorità Indipendente per le Entrate Pubbliche entro la fine del mese venderà all'asta 27 proprietà precedentemente detenute da debitori dello Stato, con l'obiettivo di raccogliere entro la fine dell'anno 2,7 miliardi di euro tramite la riscossione di vecchi debiti, e altri 690 miliardi di euro di nuovi debiti dai principali debitori.

Nei mesi a venire parleremo dei dettagli delle vendite all'asta, se dovessero emergere affari particolarmente rilevanti.

21/05/17

EHOC: L'euro e la distruzione del progetto europeo

Su European House of Cards, Kamil Kaminski, storico e coordinatore del  Manifesto di solidarietà europea, lancia un appello per uno smantellamento concordato dell'euro. Anche dal suo punto di vista di convinto atlantista, Kaminski ritiene che l'euro stia distruggendo l'Unione europea, aumentando la sofferenza economica e le divisioni tra i paesi europei, avvitati nelle stesse politiche deflattive in regime di cambio fisso che negli anni '30 portarono alla caduta della Repubblica di Weimar. Questa situazione sta polarizzando il panorama politico europeo e creando forti sentimenti anti-americani in tutta Europa. Se si vuole preservare il progetto dell'Unione europea e il legame atlantico, la UE stessa con l'aiuto degli USA dovrebbero procedere allo smantellamento controllato dell'eurozona, prima che sia troppo tardi e che il crollo dell'euro trascini con sé tutto il progetto.

 

di Kamil Kaminski

La vittoriosa marcia della globalizzazione, rappresentata al meglio dalla Belle Époque, fu brutalmente interrotta dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale nel 1914. Soltanto negli anni '90 il libero mercato globale ha assaporato la propria riscossa. Il progressivo allargamento dell'Unione europea e le quattro libertà del Mercato Unico [la libertà di circolazione per forza lavoro, servizi, merci e capitali, ndVdE] hanno permesso all'Europa, almeno in senso economico, di fare ritorno al "mondo di ieri", volendo prendere in prestito il titolo delle famose memorie di Stefan Zweig. Una nuova Belle Époque è in costruzione. L'euro è stato annunciato come un simbolo di questa nuova era per l'Europa, ma si è invece rivelato una trappola economica. Ha portato sofferenza anziché prosperità, divisione anziché unità - in breve, l'euro mina il progetto europeo.

L'eurozona non ha avuto nessuna vera ripresa dalla crisi finanziaria del 2007/2008. Ancora peggio, alcune economie europee, Italia inclusa, hanno a tutt'oggi un PIL inferiore al livello pre-crisi. Al cuore del problema c'è l'Unione monetaria europea. Il lancio dell'euro ha distorto l'economia europea, liberando verso il sud Europa un grande e improvviso flusso di capitali che ne hanno eroso la competitività. Oggi, le politiche per il salvataggio dell'euro  sono la ragione prima per cui l'Europa sta attraversando un decennio perduto. Il prezzo dell'appartenenza alla UEM è la rinuncia agli strumenti più importanti per rispondere alla grave crisi economica: una politica autonoma sui tassi d'interesse e sul tasso di cambio. Le economie del sud Europa, intrappolate in una situazione di miseria, hanno disperatamente bisogno di una profonda svalutazione. La Finlandia potrebbe essere il prossimo paese membro della UEM a trovarsi nella condizione di aver bisogno di una  svalutazione.

Per di più, la depressione dell'Europa del sud e il surplus della Germania sono due facce della stessa medaglia, o piuttosto due diverse conseguenze della stessa moneta unica. Si prevede che nel 2016 il surplus della Germania raggiungerà il culmine del suo massimo storico, all'incirca l'8,5% del PIL. Lungi dall'essere un segno della salute dell'economia tedesca, questo surplus è funzione del malessere europeo e globale. Gli squilibri economici sono una ragione chiave delle deludenti prestazioni dell'economia globale. Cancellare in modo controllato gli squilibri economici è cruciale per far ripartire la crescita economica globale.

L'Unione europea ha raggiunto il periodo di massimo trionfo nel 2004 e nel 2007, quando l'allargamento della UE ha disintegrato le ultime tracce della Cortina di Ferro, riunificando il continente. Con l'ammissione della Croazia, la UE ha cominciato a integrare i Balcani nel progetto europeo, preannunciando la prosperità economica e la stabilità politica per quella regione. Al contrario, l'euro non ha portato né prosperità, né stabilità - ha fatto l'esatto opposto. La UE del 2016 è a malapena riconoscibile rispetto all'ottimistica e fiduciosa UE del 2004. Il progetto europeo ha perso il suo fascino, e il sentimento anti-UE è in crescita. Le idee di creare una federazione europea provocano soltanto una reazione negativa ancora più forte contro la UE, e un'unione fiscale non può portare prosperità, come ci insegna il caso del sud Italia.

Un sistema monetario va oltre la semplice economia: spesso si trasforma in un sistema di valori. Le famose parole del presidente della BCE Mario Draghi, che l'euro sarebbe stato salvato "a qualsiasi costo", hanno espresso la "mentalità dell'euro", che sembra prevalere tra i decisori politici europei. Questo è il motivo per cui la crisi economica nell'eurozona è stata marchiata fin dall'inizio come crisi dei debiti sovrani, anche se l'euro stesso era la sorgente del problema. Nel 2016 ci troviamo a discutere dell'altissimo debito pubblico nell'eurozona: oltre il 175% del PIL in Grecia, il 133% in Italia, il 100% in Spagna, livelli più alti rispetto al 2010. Non è una coincidenza. La malaccorta narrativa della "crisi dei debiti sovrani" ha condotto a politiche economiche di austerità, sostenute dalla Commissione europea, dal FMI, dalla BCE e dall'Eurogruppo, politiche che si sono risolte in una caduta del PIL, nella disoccupazione di massa, e in più debito. Italia, Grecia, Portogallo e Spagna ne sono i migliori esempi.

Date queste sfide, la BCE è stata chiamata a salvare l'eurozona. Le banche centrali hanno un ruolo chiave in tempi di profonda crisi economica, ma la BCE non può risolvere gli squilibri economici interni all'eurozona. Fin dall'inizio, alla BCE è stata affidata una missione impossibile - dirigere un'unica politica monetaria per un gruppo di economie molto diverse. Di conseguenza, la politica monetaria della BCE ha avuto esiti dannosi: mina la stabilità del settore finanziario europeo, ha contribuito alla creazione di bolle immobiliari e danneggia i partner commerciali dell'Europa, solo per menzionarne alcuni. Un ulteriore QE è probabile che produca altre tensioni politiche. La crisi del settore bancario europeo è soltanto un altro frutto della crisi dell'eurozona. Nonostante la convinzione che alcune forme di salvataggio pubblico possano togliere le banche dai guai, è difficile immaginare un settore bancario con buone prestazioni  senza il ritorno ad un ambiente economico sano in Europa.

La moneta unica ha portato al declino dei partiti centristi in Europa e all'ascesa di partiti di estrema destra e di estrema sinistra, anti-NATO e anti-USA. La promessa di stabilità offerta da un regime di cambio fisso si è rivelata una pericolosa illusione. La crisi dei migranti ha solo peggiorato le cose. Un forte sentimento anti-americano sta penetrando in modo preoccupante nel dibattito pubblico europeo. Dovrebbe essere sottolineato che il TTIP non è solo un accordo commerciale di nuova generazione, ma anche la riaffermazione del legame transatlantico in una dimensione economica. Una forte partnership transatlantica è senza dubbio cruciale per l'Europa. La NATO è la miglior garanzia per la sicurezza europea. Mentre l'ordine mondiale post-Guerra Fredda si va decomponendo e allo stesso tempo crescono nuove minacce come il terrorismo, l'alleanza transatlantica deveessere rinnovata e rafforzata.

La "mentalità dell'euro" ha prodotto la bizzarra idea, ormai diventata un luogo comune, che la rottura dell'euro sarebbe uno scenario da apocalisse per la UE. Questa visione è profondamente sbagliata. Proprio la moneta unica ha il potenziale di diventare il becchino del progetto europeo. Vengono ripetuti i gravi errori fatti negli anni '30, di perseguire una politica deflazionistica in un regime di cambi fissi. La caduta della Repubblica di Weimar e la destabilizzazione del sistema politico giapponese sono state le conseguenze più tragiche di quegli errori. Ad un certo punto l'eurozona collasserà. E' inevitabile. Se avverrà in modo caotico, potrebbe scatenare il panico nel sistema bancario, e quindi potrebbe essere la causa di problemi ancora più seri. Sarebbe un evento con ripercussioni catastrofiche a livello globale. La UE ha bisogno di una nuova Grande Strategia basata su uno smantellamento controllato dell'eurozona. La riduzione del debito per alcuni paesi deve essere parte dell'accordo. Sarebbe un vantaggio per entrambe le parti se gli USA sostenessero una nuova Grande Strategia Europea. Dopo il riallineamento dei tassi di cambio in Europa dovrebbero essere implementate prudenti politiche economiche pro-mercato, a livello nazionale ed europeo, per facilitare una crescita economica robusta e sostenibile. Solo una strategia coordinata di smantellamento dell'eurozona, condotta nello spirito di solidarietà tra nazioni europee, limiterebbe i rischi e mitigherebbe le perdite. In questo modo, in Europa potrebbero essere ristabilite politiche centriste. Questa Grande Strategia sarebbe una personificazione della ragion di Stato europea, che porterebbe alla rinascita del progetto europeo e delle relazioni transatlantiche. É tempo per l'Europa di imparare la lezione che un regime monetaria dannoso può essere molto distruttivo per la democrazia.

Asservimento, plagio e pregiudizio razziale: la terza puntata dell’inchiesta sulle ong

Nella terza puntata dell’inchiesta investigativa di Cory Morningstar sulle organizzazioni non governative, l’argomento viene trattato in veste filosofica per offrire una chiave di lettura e di riflessione alle prossime due puntate,  più descrittive. Viene qui evidenziato come il problema abbia radici molto antiche, e come già agli inizi delle lotte contro il razzismo e il pregiudizio culturale esistessero voci, come quella di Malcom X, che avevano ben compreso i pericoli e i rischi di cooptazione derivanti dalla supina accettazione di soluzioni riformiste, parziali e solo cosmetiche, ai problemi globali, la cui portata va ben al di là delle divisioni etniche e di classe.  Alla luce di ciò, vengono esaminate le prospettive filosofiche, sorprendentemente profetiche, del filosofo francese Étienne de La Boétie.  Si tratta di un cambiamento di prospettiva notevole, forse scomodo, ma assolutamente indispensabile, e oggi quanto mai urgente.

 

di Cory Morningstar, 10 settembre 2012

Traduzione di Margherita Russo

 

Asservimento, plagio e pregiudizio razziale


 



 

 
Se il caffè è scuro al punto da essere troppo forte per me, lo allungo aggiungendo del latte. Lo integro con il latte. Se continuo ad aggiungere più latte, ben presto l’aroma del caffè cambia; è la natura stessa del caffè a cambiare. Aggiungendo ancora più latte, alla fine non si distinguerà più neanche la presenza di caffè nella tazza. Una cosa analoga è accaduta con la marcia su Washington. I bianchi non erano lì per integrarla, ma per infiltrarvisi. I bianchi sono entrati a farne parte; l’hanno sommersa; ne sono divenuti parte integrante al punto da farle perdere significato. Non era più una marcia di neri; non era più militante; non era più arrabbiata; non era più impaziente. A tutti gli effetti, non era più una marcia.” – Malcolm X

 

Negli anni ‘60, all’apice del movimento per i diritti civili, si svolse una tavola rotonda il cui tema era l’efficacia dello stesso movimento. La discussione includeva Alan Morrison, Malcolm X, Wyatt T. Walker e James Farmer insieme a un moderatore. Malcolm X si trovava in minoranza, poiché gli altri componenti del panel facevano parte dell’ala maggioritaria del movimento per i diritti civili, quella che si occupava quasi esclusivamente di organizzare marce, votazioni e regolamenti. Malcolm X era l’unico a raccontare, senza giri di parole, la verità sul fatto che la struttura patriarcale di potere in mano ai bianchi era molto più potente di quanto i suoi colleghi volessero far credere; che la libertà cui ambivano era qualcosa che il legislatore non avrebbe mai concesso loro; e che il ventre molle razzista di tutte le istituzioni americane era (ed è tuttora) talmente imbevuto di suprematismo bianco da renderle irrecuperabili. Il panel si mostrò aggressivo contro di lui per la sua sincerità – non diversamente da quanto succede oggi a chiunque dica la verità. 

Facciamo un salto di quasi 30 anni. Il moderatore, Wyatt T. Walker e James Farmer sono gli unici a essere ancora vivi. Quando a una tavola rotonda commemorativa con soltanto questi uomini il moderatore chiede se Malcolm X fosse stato più in linea con gli eventi di allora, Walker non ha dubbi. Walker ammette che Malcom X aveva capito meglio degli altri cosa fosse in gioco in quel momento e come fosse ingenua la fiducia che mancassero solo pochi anni alla società equa e giusta descritta da Martin Luther King. Farmer, più riluttante, deve comunque riconoscere che Malcolm X era stato più sul pezzo. [http://youtu.be/SKLSM4Rk_t0]
Le masse non sono mai state assetate di verità. Chiunque sappia loro fornire illusioni ne diventa facilmente il padrone; chiunque provi a distruggere le loro illusioni è sempre loro vittima.”

— Gustave Le Bon, The Crowd, 1895

Oggi, in confronto, il movimento Occupy Wall Street è costituito da giovani influenzabili, ingenui, benintenzionati, che non possono ancora contare su un’esperienza di vita che consenta loro di comprendere la profondità e gravità della nostra disastrosa situazione e le stesse cause cruciali e profonde che sottostanno a gran parte delle attuali numerose e crescenti crisi – il razzismo, l’imperialismo, il capitalismo industriale e il militarismo. Il fatto stesso che tanti giovani siano assetati di verità non adulterate rende ancor più cruciale per i poteri egemoni che di tali verità non si parli affatto. Ed è qui che entrano in gioco le ONG e le élite di potere. Occupy svolge molte funzioni per le élite di potere: come valvola di sfogo per calmare la crescente intolleranza e frustrazione accumulata; per indottrinare con un’ideologia pacifista che protegga lo status quo togliendo autonomia e addomesticando le masse; per distogliere l’attenzione dai problemi del capitalismo e concentrarla sulle “riforme”; per puntare sul processo elettorale come soluzione di tutto invece di smascherarlo come una distrazione; l’assenza intenzionale di qualsiasi analisi dell’illusorio sistema monetario, del razzismo, dello specismo, della servitù volontaria e obbedienza auto-inflitta verso lo stato e l’apparato militare (che sia finalizzata a sconfiggerli). (Ed è ovviamente vietato accennare ai finanziamenti delle grandi società alle fondazioni.) Perché continuare a foraggiare questa macchina omicida con tasse (soprattutto imposte sul reddito), mutui, investimenti e risparmi – quando tutto questo sta distruggendo le specie viventi e il pianeta? Perché continuare ad investire sulla nostra auto-distruzione? Occupy riesce a creare l’ingenua illusione di un passaggio di potere dall’ambito politico istituzionale o dall’oligarchia verso “il popolo” nonostante, nella realtà, non vi sia alcun passaggio di potere. Infine, Occupy offre all’oligarchia che lo finanzia una visione d’insieme delle dinamiche interne alla prossima generazione, destinata ad essere socialmente programmata per facilitare la globalizzazione e l’asservimento.
L’abitudine ben presto consolida ciò che altri principi della natura umana avevano creato in modo incompleto; e gli uomini, una volta abituati all’obbedienza, non pensano mai a lasciare il sentiero incessantemente battuto da loro stessi e dai loro antenati.” — David Hume, Of the Origin of Government

Basti considerare che economisti come Paul Krugman, Joseph Stiglitz e Milton Friedman sono laureati in prestigiose università, eppure insegnano e parlano di un’economia a risorse illimitate, quando anche un bambino di cinque anni capisce che in un mondo finito le risorse non possono che essere limitate (almeno finché il bambino non viene indottrinato dalla nostra cultura). Per questo il movimento Occupy è illusorio quanto la differenza tra Democratici e Repubblicani, liberali e conservatori. Semplicemente, i militanti non riescono a comprendere minimamente a quale grado di corruzione porti la ricerca del potere. L’industria del non-profit assicura che non lo capiscano mai. Così, le classi privilegiate continuano ad applaudire e adulare dei burattini come McKibben, che non chiedono di meglio se non di perpetuare la favoletta che per risolvere le molteplici crisi che ci affliggono basti l’”economia verde”, invece di ammettere semplicemente la verità: che si dovrebbe imparare a vivere consumando meno.  In palese contrasto con la realtà attuale, come il collasso dell’ecosistema, gli attivisti di Occupy mirano solo a ritagliarsi una fetta più grande della stessa torta. Indottrinati dagli istituti d’insegnamento (anch’essi plasmati, influenzati e finanziati da personaggi come Rockefeller e altri membri dell’oligarchia), sono solo capaci di vedere i problemi globali in prospettiva, tipicamente occidentale, socio-economica, nella falsa convinzione che le crisi attuali, molteplici e in costante aggravamento, si possano risolvere con le cosiddette riforme, attuabili con un paio di provvedimenti legislativi – esattamente come lo credevano i partecipanti alla tavola rotonda con Malcom X quarant’anni fa.

Ma non è possibile riformare un abominio come l’attuale sistema capitalistico industriale. Nonostante questo, oggi, una plebe efficacemente indottrinata, decisa a negare la realtà e avvolta in una nebbia di dissonanza cognitiva, continua a sostenere falsi “leader” e illusioni, e ad ingoiare ogni tipo di frottole come fossero caramelle. Il riformismo rimane la via più facile, perché la via effettiva verso una società autenticamente rivoluzionaria, sempre che una cosa del genere esista, richiederebbe duro lavoro, creatività, forte disciplina e il rifiuto senza mezzi termini del consumismo attorno a cui ruota lo stile di vita occidentale, che glorifica avidità e individualismo – qualcosa che la nostra società non è disposta a fare. Le riforme sono dei palliativi attuati sotto gli auspici del capitale, finalizzati solo alla cura dei sintomi dell’oppressione, dello sfruttamento e dell’ingiustizia, mentre lasciano inalterata la malattia di fondo – il capitalismo.


Ma addentriamoci ancora di più nel subconscio degli atteggiamenti mentali prevalenti. Se si abbandona lo stile di vita occidentale, che fin dalla rivoluzione industriale ha ammaliato gran parte della società (uno stile di vita imperniato sul carbone) un’inesprimibile domanda sorge spontanea: cosa significa allora l’Occidente? La perdita dell’orientamento psicologico dell’essenza “occidentale” è qualcosa di cui “fantocci” come quelli che fanno parte di Avaaz non colgono la gravità – anche quando si confrontano con il muro di apatia dei cittadini occidentali a proposito dei cambiamenti climatici.




Il principe” William, Tuvalu, 2012. È difficile immaginare l’umiliazione che questi tuvaluani devono aver provato nell’essere assoggettati ad ulteriore sfruttamento coloniale/imperialistico razziale che, lungi dall’essere stato eradicato, continua a dilagare nel 21° secolo.

 

La realtà è che senza emissioni di carbonio, l’Occidente perde significato. E inconsciamente, gran parte delle persone considerate socialmente nobili, come il climatologo senza peli sulla lingua James Hansen, hanno vissuto nel privilegio razziale per così tanto tempo da non poterne fare a meno. Non possono rischiare di perdere il loro status. Non conoscono altro modo di vivere. Offrono dunque false soluzioni riformiste a piccoli incrementi, pur sapendo sotto sotto che è troppo poco, troppo tardi. Leggende, come quella che la riforma del capitalismo industriale sia la soluzione alla crisi perpetuata ed istituzionalizzata nella nostra cultura, sono talmente radicate che è più facile per un uomo in buona fede come Hansen immaginare lastre di ghiaccio alte 100 piedi, o persino l’annientamento della vita sulla Terra, restando allo stesso tempo assolutamente incapace di immaginare un mondo in cui la società civile riesca a eradicare sia il rapace sistema capitalista industriale che l’ossessione per la crescita. In una cultura in cui l’occidentalità, il privilegio, l’avidità e gli eccessi sono stati idealizzati, dire la verità, ossia che nessun cambiamento incrementale simbolico potrà mai iniziare a scongiurare il disastro che abbiamo causato noi stessi, equivale non solo a sputare nel piatto in cui si mangia, ma addirittura a romperlo del tutto.

Bisogna inoltre mantenere un atteggiamento critico rispetto a molti altri pezzi del movimento Occupy – non per quello che quello che pretendono di rappresentare, ma per il tacito consenso ipocrita alle élite tramite la palese cooperazione con la polizia e l’FBI. Indubbiamente il movimento Occupy ha messo in luce una forte ipocrisia – quella del suo legame diretto con il Partito Democratico. (Un legame diretto esplicitato con quello di MoveOn.org, che, insieme a Res Publica, è promotore di Avaaz.)

Comunque si guardano bene dal menzionare – almeno finora – il punto debole intrinseco alle campagne di Occupy organizzate dai liberal di sinistra negli Stati Uniti. Occupazioni che non occupano praticamente nulla; codici di comportamento per gli attivisti di Occupy che vietano qualsiasi forma di auto-difesa; e strategie di autoregolamentazione in base alle quali ai manifestanti si chiede di cooperare con le autorità e, a tutti gli effetti, di denunciarsi vicendevolmente alle stesse.



La complessa rete di ONG, inclusi i comparti dei media alternativi, viene utilizzata dalle élite corporative per plasmare e manipolare i movimenti di protesta….

Non è certo una teoria speculativa che le rivolte in Medio Oriente siano state parte di un’immensa campagna geopolitica concepita in Occidente e svolta tramite i suoi surrogati con l’aiuto di fondazioni, organizzazioni, e della scuderia di ONG in malafede tenute in piedi in tutto il mondo. Come vedremo, i preparativi per le “primavere arabe” e la campagna globale che attualmente invade la Russia e la Cina, come previsto in “The Middle East & then the World” del febbraio 2011, non sono iniziati quando i disordini erano già in corso, ma anni prima che fosse stato alzato il primo “pugno”, e non all’interno dello stesso mondo arabo ma piuttosto in stanze di seminari a Washington e New York, oppure in strutture d'addestramento patrocinate dagli USA in Serbia, e campi tenuti nei paesi limitrofi….

Il fine non è la repressione del dissenso, al contrario, forgiare e plasmare il movimento di protesta, fissare i limiti del dissenso.” — Michel Chossudovsky

[In questo discorso, il Dr. William Rees, noto per aver co-inventato l’“impatto ecologico,” approfondisce i miti biologici e culturali. Se questi miti continuano ad essere negati, invece di essere fronteggiati, questo diniego collettivo sarà strumentale alla nostra distruzione: http://vimeo.com/25059671#at=0]

Il 5 ottobre 2011, Enaemaehkiw Túpac Keshena ha pubblicato nell’articolo Watching the Petty Bourgeoisie in Motion questa citazione di Omali Yeshitela:

 
La piccola borghesia è spesso radicalizzata – a prescindere dal colore. Vedere una forza piccolo-borghese che parla di rivoluzione non è necessariamente la stessa cosa che vedere una forza rivoluzionaria in azione. La piccola borghesia è radicalizzata proprio a causa delle contraddizioni dell’imperialismo. Proprio a causa delle contraddizioni dell’imperialismo. Proprio perché in quanto classe sociale è in via di estinzione, e spesso le contraddizioni dell’imperialismo ne accelerano la disgregazione. La sua fine imminente diventa evidente e la spinge verso l’azione. — Omali Yeshitela, 30 giugno 1984

 


5 ottobre 2011, OWS, New York, U.S: “Il circo della piccola borghesia in piazza”



Ottobre 2011, Libia: il portavoce del governo libico Dr. Moussa Ibrahim ha confermato la presenza di donne nella resistenza libica della Sirte e Bani Walid come combattenti a pieno titolo. (Qui non ci sono palloncini o altre sciocchezze)

 

 

Agenzia Pan African News sulla Resistenza del Fronte di Liberazione Libico (LLF, creato per contrastare il regime fantoccio USA-NATO), 8 novembre 2011:
Un portavoce del LLF avrebbe affermato che il movimento sta per lanciare una serie di attentati ai danni di 500 alti funzionari ed agenti del regime NTC. La Resistenza sottolinea che ‘Siamo pronti a sferrare un attacco per eliminare tutti i leader del National Transitional Council, assassinandoli uno ad uno. Questa è solo il primo degli elenchi che intendiamo stilare. Qui sono i nomi di tutti i traditori condannati a morte.'”

La differenza tra il Fronte di Liberazione Libico (e molti altri eserciti di liberazione ovunque nel mondo) e i cosiddetti movimenti rivoluzionari americani ed europei celebrati dalla sinistra dominante è che i libici vengono ammazzati tutti i giorni e lottano per la sopravvivenza. Il paradosso è che anche noi veniamo sterminati, ma a un ritmo molto più lento, più metodico, più confortevole, tanto da passare inosservato. Per di più, il nostro lento declino è in realtà un suicidio. I capitalisti non riescono neanche ad immaginare di dover utilizzare le armi per difendersi,  invece giurano di far valere le “virtù” del pacifismo e stigmatizzano chi si difende dall’oppressione, dallo sfruttamento e dalla tirannia. È molto più comodo così. E poi, chi trova il tempo per impegnarsi a fare la rivoluzione quando ogni sera alle 9 danno il suo programma preferito? La triste verità è che in Occidente la rivoluzione interessa solo se accompagnata da una busta di popcorn e una Coca-Cola.

 

Il fondatore di Avaaz e MoveOn.org annunciano la “primavera” americana


100,000 americani saranno addestrati all’obbedienza passiva nella finta primavera americana, finanziata generosamente da Rockefeller e Soros


 
Perché le cose cambino, bisogna rendersi conto fino a che punto le fondamenta della tirannia affondano nella vasta rete di persone corrotte che hanno tutto l’interesse a mantenere in vita la tirannia.” — Étienne de La Boétie, The Politics of Obedience, in The Discourse of Voluntary Servitude

 

E mentre i lacchè del liberalismo si accaloravano perché una ragazza era stata molestata da un idiota di nome Limbaugh, esigendo che Obama se ne occupasse di persona, la “sinistra” non spendeva una parola su questioni rilevanti – come le invasioni illegali di stati sovrani, che altro non sono che crimini contro l’umanità. La sinistra di professione si è occupata piuttosto di prepararsi per la propria finta primavera, con un’ipocrisia così dichiaratamente palese, e un’assurdità talmente esagerata che viene da chiedersi quanto ancora si possano ingannare persone ben intenzionate. L’ipocrisia: da quando l’incredibilmente sospetto Occupy Wall Street ha avuto inizio, il dogma pacifista “non-violento” predicato alle masse ha assunto le forme di un totale indottrinamento. Ma mentre dalle torri d’avorio della Giustizia si predica come danneggiare la proprietà privata sia un atto violento (e come tale intollerabile per i leader), le stesse torri d’avorio convincono i loro sostenitori che gli interventi esteri (bombe, invasioni, guerre) siano in realtà “umanitari.” Questo dà tutto un altro significato alla parola “addestramento”. Ebbene sì, la guerra è pace. E Orwell si starà rigirando nella tomba.

L’industria del non-profit è stata e continua a essere strumento essenziale di politica estera, soprattutto per gli USA. Quando coercizione o tangenti non sono sufficienti ad assicurare l’attuazione della politica estera americana su stati sovrani, soprattutto attraverso il National Endowment for Democracy, Freedom House e ICI, diventa necessario usare la forza militare. Per evitare di essere messi sotto esame ed essere soggetti a ripercussioni negative da parte di una popolazione indignata, gli stati Uniti sono riusciti a reclutare ONG come Avaaz, Human Rights Watch ed Amnesty International come rivenditori, o spacciatori, di guerre - in pratica, come dei magnaccia. Solo loro riescono a impacchettarlo così bene, con video che giocano scaltramente con le emozioni. “Provalo, ti piacerà. Con noi ti sentirai meglio.”

Il complesso industriale non-profit si rivolge ai ceti privilegiati, borghesi e prevalentemente bianchi difensori dello status quo, che si rispecchiano nell’elitismo ben rappresentato da tale complesso. È dimostrato che questa fascia demografica preferisce il compromesso e l’azione simbolica che non inciti al vero cambiamento. Fra questi si ritrova la stragrande maggioranza dei sedicenti “attivisti”. Per loro, superficiale è bello. Meglio evitare la scomoda realtà. Mai fu dissonanza cognitiva più preziosa. Mai furono le narrazioni in supporto del frame, fornite da Avaaz e compagnia, più indispensabili per soffocare le coscienze (sporche?) ed allo stesso tempo rimanere convinti che l’ignoranza sia la forza, e la guerra sia la pace.


E mentre il messaggio fondamentale di “azione diretta non-violenta” propugnato da Occupy è stato inculcato nella sinistra come un dogma religioso dai “sinistri di professione”, ci stiamo adesso addentrando in un’epoca in cui la possibilità di difendere noi stessi con ogni mezzo, di proteggere il futuro dei nostri figli ad ogni costo, è una finestra che si sta inesorabilmente chiudendo. Perché molto presto ogni singola nostra mossa sarà monitorata. Non ci sarà più tolleranza per il dissenso. Il movimento Occupy, ben lungi dal mobilitare le forze per distruggere il sistema che mira a schiacciarci, lo ha rafforzato. Lo stesso movimento, saturato da sinistri di professione, è riuscito a sedare il dissenso, e quindi a proteggere lo status quo, nel momento in cui venivano eliminati i diritti civili - e mentre l’imperialismo espandeva le sue brame di potere e la sua cupidigia per le ultime risorse rimaste sulla terra.


Gli attivisti all’interno dei “movimenti” esistenti fanno la voce grossa contro il controllo dei poteri corporativi, ma alla fine della fiera sono sempre in ginocchio con le palme tese nella speranza che l’oligarchia li reputi degni di altre elemosine. Le cose stanno così: se si prende davvero coscienza del fatto che il dominio delle multinazionali e il capitalismo industriale stanno annientando collettivamente l’umanità, l’unica cosa da fare è imparare a vivere al di fuori di questo sistema - l’uno esclude l’altro. Prima lo si fa, meglio è. Finché le “rivoluzioni” fatte in nostro nome sono amorevolmente finanziate, gestite e controllate da interessi del capitale, non sarà mai possibile un’emancipazione dal sistema economico industriale che sta esaurendo gran parte delle limitate risorse del pianeta.



Una strategia di sopravvivenza deve includere una teologia della liberazione – una filosofia/cosmologia se si preferisce – altrimenti l’umanità continuerà semplicemente a escogitare maniere più efficienti per sfruttare ciò da cui è attratta. Se questi processi persistono indisturbati ed immutati alla base dell’ideologia colonialista, la nostra specie non si libererà mai dall’innegabile dato di fatto che viviamo in un pianeta dalle risorse limitate, e prima o poi l’ambiente sarà sfruttato al punto di superare la sua capacità di auto-rinnovamento. — John Mohawk, Scholar of the Haudenosaunee, 1977

 

Gli attivisti che avevano autenticamente come obiettivo una rivoluzionaria trasformazione hanno dunque dovuto prendere il controllo di Occupy. Fin dall’inizio si è assistito alla secessione di coloro che sceglievano di occuparsi del problema alla sua radice dai gruppi guidati ed infiltrati dalla sinistra liberale. I bisogni delle popolazioni locali e delle minoranza etniche sono stati ignorati, e la mancanza di attenzione e grave incomprensione delle cause profonde alla base dei problemi più critici che fronteggiano l’umanità è ormai quasi intollerabile. Al contrario, la preoccupazione principale che trova eco nelle stanze del movimento ruota intorno all’accumulazione e distribuzione di ricchezza monetaria – derivata in gran parte dall’industria estrattiva e dal complesso industriale militare.

La marginalizzazione delle popolazioni locali è ben illustrata in un articolo del 31 maggio 2012 intitolato Decolonizing Occupy, scritto da Jay Taber:

 
Parallelamente all’evoluzione di Occupy in strutture politiche organizzate al fine di realizzare le istanze espresse nelle sue mobilitazioni ed assemblee, sarebbe auspicabile includere un dibattito con i leader del movimento di liberazione dei popoli indigeni. Come uno dei settori di popolazione più istruiti, organizzati ed attivi al giorno d’oggi, le popolazioni indigene del pianeta hanno conosciuto bene coloro che Occupy dice di combattere. I paesi del Quarto Mondo — così come le entità politiche autoctone europee — sono in testa alla battaglia contro il neoliberalismo, così come lo erano contro il colonialismo... Mentre si assiste alla confluenza di interessi tra le battaglie di liberazione del Quarto Mondo ed Occupy, la questione della governabilità è sicuramente prioritaria tra le rimostranze dei partecipanti, ma perché questi diversi movimenti possano coalizzarsi nel perseguire un rinnovamento democratico, sarebbe opportuno che Occupy faccia un resoconto delle prospettive locali in materie come sovranità, autonomia e autodeterminazione.

9 marzo 2012, “OCCUPY IMPERIALISM: Crisis, Resistance, Solidarity” – Conferenza Nazionale, 9-10 giugno [l’intera dichiarazione si trova qui]:
Con migliaia di attivisti bianchi, il movimento allargato Occupy mira teoricamente ad incriminare le banche e le grandi società, ma preferisce ignorare la violenza perpetrata con l’appoggio di Wall Street contro africani e messicani qui da noi [negli Stati Uniti], e contro i popoli oppressi in tutti i continenti.

Nel rispondere precipuamente agli effetti della crisi dell’imperialismo sulla borghesia bianca, Occupy non rimette fondamentalmente in questione la rilevanza di Wall Street e del capitalismo per la maggioranza della popolazione del pianeta…

Troviamo preoccupante che mentre in Africa, in Messico e ovunque le popolazioni indigene mettono quotidianamente in atto azioni di protesta in una resistenza organizzata o spontanea contro il pugno di ferro sempre più duro dello stato di polizia loro imposto, queste sembrano essere questioni secondarie per un movimento più interessato a tasse universitarie, mutui e pensioni e ai diritti della borghesia.

Troviamo preoccupante che non faccia scalpore l’intensificarsi della violenza perpetrata dall’amministrazione Obama, con il sostegno di Wall Street, contro i cittadini di Afghanistan, Pakistan, Libia, Siria, Iran, Congo, Uganda, Somalia e ovunque in Africa, oltre che in America Centrale e Meridionale, così come gli sforzi di un capitalismo sempre più disperato di reprimere i movimenti e i governi popolari anti-imperialisti.”


AVAAZ


 
Ci si deve rendere conto che ci troviamo davanti ad una potente macchina di potere e di sfruttamento, e che quindi, come minimo, un’informazione libera al pubblico deve includere una denuncia di tale sfruttamento, e degli interessi economici e degli apologeti intellettuali che traggono vantaggio dal governo delle élite. Limitandosi ad analizzarne le presunte ‘incongruenze’ intellettuali, gli antagonisti dell’intervento governativo si sono resi inefficaci. Da un lato, la loro contro-propaganda è stato indirizzata ad un pubblico che manca sia dei mezzi che dell’interesse per seguire complesse analisi ragionate, e che quindi può essere facilmente fuorviato di nuovo dai cosiddetti esperti al servizio del potere. Sono questi stessi esperti a dover essere delegittimati, ed ancora una volta è La Boétie a sottolineare la necessità di questa delegittimazione. In un’epoca come la nostra, pensatori come Étienne de La Boétie sono divenuti di gran lunga più pertinenti, più autenticamente moderni, di quanto non lo siano mai stati per oltre un secolo. — Murray N. Rothbard, in Ending Tyranny Without Violence

Alla guida del complesso industriale non-profit troviamo le ONG che costituiscono la rete dei Soros. E alla guida di tutto questo meccanismo troviamo Avaaz, l’organizzazione che presiede l’intero complesso, mentre altri soggetti chiave replicano la loro ideologia su tutto il meccanismo globale. Avaaz si è trasformata in uno dei gatekeeper dell’oligarchia. Nel seguito di questa indagine investigativa saranno analizzati dati e collegamenti dei principali gatekeeper che costituiscono Avaaz, oltre alle molte organizzazioni omologhe ed affiliate di Avaaz; la storia e i motivi dietro la loro fondazione; Res Publica, GetUp e MoveOn, le nuove emergenti Purpose, Globalhood e SumOfUs. Si accennerà anche alle indispensabili Movements.org, Amnesty International, Human Rights Watch ed altre che, insieme ad Avaaz, contribuiscono ad avverare i sogni imperialistici. Più in là nella serie, l’indagine si occuperà della nuova tendenza emergente di collaborazioni tra grandi media e ONG, di cui Avaaz può essere considerato il prototipo.


Prima parte


Seconda parte

EHOC: lo smantellamento dell'euro e la lezione della fine dell'area del rublo

Su European House of Cards, Brigitte Granville, economista che ha assistito il governo russo nelle smantellamento dell'area del rublo negli anni '90, traccia alcune similitudini tra la rublozona e l'attuale eurozona. Nata nel 1991 sulle ceneri del crollo dell'Unione Sovietica, l'area del rublo, sostenuta fin da subito dall'Unione europea che non voleva l'imbarazzante spettacolo di un'unione monetaria fallimentare alle sue porte mentre si apprestava a lanciare la propria, condivide con l'euro gli stessi difetti costitutivi: razionali economici del tutto sbagliati, tesi a dare legittimità scientifica a quella che era soltanto la visione ideologica dell'elite al potere. L'area del rublo era disfunzionale e innescò una spirale inflazionistica; fu il suo stesso centro, la Russia, a porre le condizioni per la sua fine, mettendo gli altri membri di fronte ad una scelta: o il ritorno alle proprie valute o l'adesione a criteri economici sempre più stringenti e modellati sulle esigenze del centro - così che le repubbliche ex-sovietiche presero ognuna la propria strada valutaria. È la stessa scelta alla quale saranno sottoposti i paesi membri dell'EZ.  Ed è probabile che sia proprio la Germania ad uscire per prima.

 

di Brigitte Granville

Nel 1994, Linda Goldberg, Barry Ickes e Randi Ryterman conclusero il loro articolo sulla rottura dell'area del rublo (rublozona, RZ) cogliendo quello che hanno definito un "paradossale" contrasto  con il contemporaneo progredire dell'unione monetaria in Europa.
"Nella Comunità europea, la partecipazione all'Exchange Rate Mechanism (ERM, meccanismo del tasso di cambio, ndt) è stata in parte collegata al desiderio dei paesi di importare la disciplina monetaria imposta da un centro forte, la Germania. Questo abbraccio della disciplina monetaria in Europa non minaccia la sovranità e l'indipendenza dei paesi membri. Al contrario, la decisione dei paesi di rimanere nell'area del rublo restringe in modo chiaro il ritmo e la direzione delle loro riforme economiche. L'abbandono della zona del rublo è un rigetto del controllo da parte della Russia sia sulla politica monetaria che sulla strategia di riforme."(1)

 

Questi autori non hanno colto il vero paradosso.  La storia della RZ è iniziata con l'autorizzazione alle ex-Repubbliche Sovietiche (FSR) a condividere la moneta della Russia senza avere virtualmente nessun vincolo sulla propria sovranità - nel senso di essere forzati ad attenersi a determinate regole su come condurre le proprie politiche monetarie, fiscali e finanziarie. In particolare, per un certo periodo le banche centrali delle FSR sono state in grado di emettere rubli per i pagamenti non in contanti a proprio piacimento. In questo modo la RZ ha avuto due effetti: ha permesso alle FSR di non fare le riforme necessarie; e ha minato le stesse riforme russe, che miravano alla stabilizzazione macroeconomica (o, per metterla in modo più preciso, la RZ completò il cattivo lavoro che la banca centrale russa (BCR) stava facendo per proprio conto nel combattere l'inflazione in patria). Fu solo nel 1993, quando la Russia - come forma di autodifesa economica - iniziò a imporre politiche stringenti e condizioni di convergenza alle FSR,  che queste ultime decisero di uscire da questa unione monetaria e introdurre le proprie monete nazionali. Nel 1994, la RZ era finita nel cestino della storia.

Questo illuminante precedente per l'eurozona (EZ) ha spinto un inviato di Bloomberg a commentare, nel giugno 2012: "Col senno di poi, è sorprendente che gli architetti dell'euro non abbiano riflettuto maggiormente sul fallimento della rublozona mentre costruivano la loro grande architettura" (2). In effetti, i cosiddetti architetti non pensarono molto alla RZ.  A pochi giorni dalla firma dei Trattati di Maastricht nel dicembre 1991, l'Unione Sovietica collassò e fu stabilita la RZ, che comprendeva le FSR adesso sovrane. Nel preciso momento in cui l'Europa aveva concordato di lanciare un'unione monetaria tra stati sovrani, l'ultima cosa che volevano i funzionari europei era l'imbarazzante spettacolo del fallimento di una unione monetaria formata in modo simile, alle porte dell'Europa.

Di conseguenza, gli "architetti dell'euro" dettero un forte supporto politico alla RZ. Così come la creazione dell'euro era stata basata su un razionale economico discutibile che aveva a che fare con le aree valutarie ottimali, allo stesso modo gli architetti dell'euro determinarono una tesi economica per l'esistenza della RZ: era un mezzo per preservare i profondi legami commerciali tra le FSR.  Entravano in gioco delle considerazioni politiche - che andavano dai timori della destabilizzazione di una potenza nucleare come effetto di un eccessivo disordine economico, alla preoccupazione più spicciola che aggiustamenti economici radicali nella ex-URSS - sebbene necessari e in ultima analisi benefici - potessero portare a maggiori richieste di sostegno alla bilancia dei pagamenti da parte dei paesi occidentali (i quali, sia bilateralmente che attraverso le istituzioni finanziarie internazionali, avevano rifiutato di garantire alla Russia la stessa riduzione del debito della quale avevano beneficiato altre economie  post-comuniste in transizione, come la Polonia).

Comunque sia, le argomentazioni economiche sulle relazioni commerciali all'interno della ex-Unione Sovietica (FSU) erano viziate. Quelle relazioni erano l'eredità della pianificazione centrale; e una volta collassata l'Unione Sovietica, il razionale economico per mantenere questi legami era insufficiente. I prezzi del commercio intra-regionale, prima della liberalizzazione degli stessi, erano mal calcolati e definiti per la maggior parte sulla base del baratto, portando all'accumulazione, al mercato nero e alla carenza di scorte (3). La gran parte del commercio sovietico era basato su prodotti per i quali non c'era domanda. Operando sotto "vincoli di bilancio flessibili", liberi dalla disciplina di un mercato competitivo, le imprese statali delle FSR fornivano beni alle altre repubbliche, senza curarsi delle loro necessità e della loro capacità di pagare - e assumendo invece che i crediti della BCR sarebbero stati sufficienti per regolare tutte le transazioni (4). Gaddy e Ickes affermarono in sintesi che le imprese industriali post-sovietiche erano sopravvissute "nonostante i loro risultati, invece che grazie ad essi" (5). Anche se c'era un'argomentazione di tipo gravitazionale, basata sulla vicinanza tra le FSR, una volta che furono introdotte le monete nazionali e liberalizzati i prezzi, la quota parte del commercio intra-FSR sul totale scese dal 57% del 1992 al 33% del 1997 (6).

In aggiunta ai razionali economici dubbi, le origini della RZ e dell'EZ condividono un'altra caratteristica comune: il volontarismo politico. Così come, nel caso dell'EZ, la classe al governo in Francia vedeva l'unione monetaria come un modo per accrescere il potere francese impedendo che la Bundesbank fosse di proprietà esclusiva della Germania (in corso di riunificazione), gran parte dell'élite russa era similmente ansiosa di mettere in salvo quanto più possibile dell'Unione Sovietica, che era stata uno strumento del potere russo. Bordo e Jonung hanno concluso che le unione monetarie sono sempre motivate politicamente - guidate (come sostenuto da Mark Mazower, riportato nello stesso articolo di Bloomberg citato sopra) da "una visione ideologica dell'elite". (7,8)

Nel caso delle FSR, la motivazione politica era molto differente. Da poco dotate di sovranità, le FSR avevano ben poca volontà di lavorare per una RZ cooperativa, poiché la moneta comune era diventata il simbolo dell' "ultima istituzione sovietica" (9). Allo stesso tempo, le FSR non gettarono immediatamente nella spazzatura la RZ, come invece fecero con altre iniziative russe tese a stabilire alcune istituzioni sovra-nazionali, come le forze armate. Al contrario, e in un modo che presagiva le relazioni odierne tra la BCE e le autorità fiscali dell'eurozona, le FSR erano incentivate a creare deficit quanto più grandi possibili emettendo crediti in rubli che "incrementavano gli acquisti reali del governo nazionale, facendone ricadere i i costi sui detentori di attività nominali in tutta l'area valutaria" (10,11).

Questa agenda delle FSR era supportata in Russia dagli interessi economici della potente lobby dell'industria, che voleva che i crediti della banca centrale continuassero a coprire le usuali transazioni con fornitori e compratori - molti dei quali erano nelle varie FSR.  Questi interessi avevano un potente alleato nel governatore della BCR Viktor Gerashchenko (nominato il 17 luglio 1992), di mentalità sovietica, che sino alla fine del 1992 fornì abbondante liquidità e prestiti senza interessi per un totale rispettivamente del 3.1% e del 10% del PIL russo (12). Poiché nel dicembre 1991 la Russia aveva perso l'accesso al credito internazionale dopo il fallimento nel credito commerciale  a breve termine  della Vneshekonombank,  questi oneri parafiscali erano finanziati attraverso la BCR quasi esclusivamente con la creazione di moneta, portando ad una inflazione molto alta e volatile (13).

Questa dinamica cambiò quando Boris Fyodorov fu nominato Ministro delle Finanze, nel gennaio 1993. La lotta all'inflazione divenne una delle maggiori priorità e i crediti alle FSR uno dei maggiori obiettivi. L'incentivo a limitare i costi della RZ venne dalle negoziazioni con il FMI su una nuova linea di credito progettata in particolare per la Russia (Sistemic Transformation Facility, STF). Ormai il FMI - che prima si era unito alla UE nel supportare la RZ - aveva riconosciuto la necessità per ogni FSR di introdurre la propria moneta nazionale (Pomfret, 2002) (questa dinamica FMI-UE assomiglia alla storia della preannunciata Grexit).

Nell'aprile 1993 i crediti furono tecnicamente aboliti e tutti i crediti alle FSR precedentemente accumulati nel 1992-1993 furono trasformati in debito statale (denominato in dollari USA e con un tasso d'interesse collegato al Libor), trasferiti sul bilancio pubblico e quindi sotto il controllo del Ministero delle Finanze. Questo limitò la generosità del presidente della BCR verso le FSR. Con la stretta creditizia verso le FSR, la loro domanda di liquidità aumentò drasticamente e divenne la principale minaccia. La Russia agì il 24 luglio 1993 introducendo una riforma monetaria con cui le banconote dell'era sovietica (raffiguranti Lenin) in circolazione nelle FSR cessavano di avere corso legale in Russia. Le FSR furono costrette a scegliere tra: introdurre le proprie monete; o negoziare con la Russia per criteri simili a quelli di Maastricht. Preferirono andare per la propria strada valutaria (14).

Così, per tornare alla citazione dello studio di Goldberg, Ickes e Ryterman dal quale siamo partiti, la lezione "paradossale" della RZ per l'Europa è che quando l'ERM si è trasformato nell'EZ i paesi periferici dell'EZ  hanno sperimentato precisamente quell'erosione della loro sovranità e indipendenza che la Russia finì col richiedere alle FSR come condizione per continuare a condividere il rublo. Applicata all'EZ, l'analogia col collasso della RZ suggerisce due scenari: o i corrispettivi delle FSR - ad esempio, i paesi meno competitivi della Germania - alla fine si sottraggono ai vincoli dell'odierna unione di trasferimento e decidono di uscire; o, in alternativa, la Germania arriva a considerare gli accordi esistenti, secondo i quali la BCE (e l'ESM) in effetti finanziano i deficit di bilancio così come la BCR finanziava le FSR, come un intollerabile onere fiscale - e/o un onere potenzialmente inflazionistico - sui propri contribuenti. A quel punto, la Germani stessa potrebbe decidere di lasciare, o insistere su regole più stringenti (o almeno, su un'applicazione più stringente delle regole attuali) col risultato che altri paesi più deboli usciranno.

 

Note

1. Goldberg, Ickes and Ryterman, 1994: 321

2. http://www.bloomberg.com/news/articles/2012-06-08/the-ruble-zone-collapsed-in-the-1990s-and-it-was-bad

3. Dornbusch, 1992a: 8

4. Kornai, 1979

5. Gaddy and Ickes, 2002:3

6. Aslund, 2002: 129.

7. Bordo and Jonung (1999)

8. http://www.bloomberg.com/news/articles/2012-06-08/the-ruble-zone-collapsed-in-the- 1990s-and-it-was-bad

9. Aslund, 2002: 204.

10. Bofinger, 1993: 183

11. Conway, 1995: 7

12. IMF, 1994, table 2: 26

13. Granville, 1994, Ferguson and Granville, 2000

14. IMF, 1994: 44