Come scrive Tom Luongo su Europe Reloaded, anche se il baluardo estremo del PD ha retto all’assalto del centrodestra, le elezioni in Emilia-Romagna e Calabria hanno confermato lo spostamento del quadro politico italiano. Il dato che più allarma le élite è il collasso repentino del movimento Cinque Stelle, attuale partito di governo e di maggioranza relativa in parlamento e quasi sparito nelle ultime elezioni regionali. Questi risultati non potranno che portare a turbolenze nella maggioranza parlamentare. La Lega si conferma invece un partito anti-establishment, capace di conservare la propria identità e di dettare l’agenda politica italiana, a differenza dell’ormai morente movimento grillino.
Di Tom Luongo, 27 gennaio 2020
C’era una vera paura in Europa per quello che poteva accadere lo scorso fine settimana in Italia. Le elezioni regionali in Emilia-Romagna e Calabria avrebbero potuto essere terribili per la fragile coalizione di governo tra PD e movimento Cinque Stelle.
Ma il centro-sinistra ha retto contro la campagna garibaldina di Matteo Salvini e della sua coalizione guidata dalla Lega.
L’Emilia-Romagna è la culla del comunismo italiano, ed è stata un fortino inespugnabile della sinistra per decenni. Anche se Salvini e soci non sono riusciti a vincere la battaglia, questo è un classico esempio di sconfitta che fa fare passi avanti.
Si tratta di un enorme passo avanti per il centro-destra italiano che influenzerà il modo in cui la regione viene governata. Ma la questione importante qui riguarda i Cinque Stelle.
È altrettanto chiaro che i Cinque Stelle sono al collasso completo come partito di opposizione, avendo ottenuto solo il 3,5% in Emilia-Romagna e il 7,3% in Calabria.
A livello nazionale, i sondaggi danno i Cinque Stelle tra il 15 e il 17%, il che significa che stanno dirigendosi verso l’irrilevanza politica se i numeri dovessero scendere ulteriormente. Ma dove andranno a finire questi voti?
I Cinque Stelle sono nati come partito di opposizione alla élite politica italiana vecchia e corrotta. In origine erano un partito nettamente euroscettico, ma non hanno gestito bene la transizione da partito emergente che fungeva da pungolo, incanalando la frustrazione degli elettori, in una forza governativa davvero efficace.
Mattia Zunianello ha scritto un articolo sul Blog della Scuola Londinese di Economia e Scienze Politiche riguardo al modo in cui la mancanza di coesione interna dei Cinque Stelle li abbia condannati a un volo di Icaro, troppo vicino al sole, destinato a schiantarsi al suolo, mentre la Lega di Salvini continua a essere una forza capace di trasformare la politica italiana per una generazione.
“Inizialmente i Cinque Stelle sono emersi (e sono rimasti fino al 2018) come partito antisistema che si rifiutava di cooperare con altri partiti del sistema, e si presentava come un polo a parte, in contrapposizione sia al centro-destra sia al centro-sinistra. Al tempo, dichiarava che avrebbe cooperato con gli altri partiti solamente per discutere i singoli problemi e le singole leggi. Il M5S rigettava la legittimità degli altri partiti nella maniera più decisa e una collaborazione a tutto tondo era esclusa a priori.
Tuttavia, i partiti antisistema spesso finiscono per integrarsi nel sistema che avevano avversato in precedenza. Questo è particolarmente vero per i partiti populisti, che diventano la "nuova norma" nel sistema europeo dei partiti e dei governi attuali. L’integrazione e la legittimazione dei partiti politici può essere un processo lungo o breve, secondo i vari incentivi del sistema politico e i risultati elettorali, ed è generalmente accompagnata da una serie di riforme organizzative e programmatiche.
Il punto più alto dell’integrazione dei partiti populisti è rappresentato dal loro ingresso finale nel governo nazionale. In molti casi, i partiti populisti riescono in realtà a sopravvivere al loro ingresso nel governo, e perfino a guadagnare voti nelle elezioni seguenti. La Lega italiana ne è un chiaro esempio. Dopo una disastrosa prima esperienza al governo (1994), la Lega, nel tempo, ha beneficiato di un "processo di apprendimento". La Lega ora ha una lunga esperienza di partecipazione al governo e domina l’agenda politica italiana. Secondo i sondaggi, il partito di Matteo Salvini è oggi di gran lunga il più forte nel paese (stimato al 32%)."
Ecco la ragione per cui il consenso della Lega in Emilia-Romagna è aumentato costantemente nel corso delle ultime tre elezioni in questa zona, ed è stato quasi in grado, in un orizzonte temporale di soli tre anni, di rovesciare l’establishment locale. Solo un’aspra battaglia che ha portato a un’affluenza massiccia, di quasi il 59%, ha impedito all’Emilia-Romagna di diventare “azzurra”.
Le elezioni precedenti avevano registrato un’affluenza di appena il 30%. Chi si scomoda a votare quando il risultato è già scontato?
Se guardate attentamente i risultati, vi accorgerete della cosa che rende inquieti questa mattina i plutocrati italiani. I consensi globali dei Cinque Stelle e del PD sono scesi complessivamente di 20 punti percentuali. Non solo il Movimento Cinque Stelle è in caduta libera, ma sembra anche che il PD potrebbe raggiungerlo presto. Il prossimo governo in Emilia-Romagna non darà gli elettori per scontati, come ha fatto fin qui.
La Lega e i Fratelli D’Italia hanno raccolto i sette seggi di governo che ha perso il PD, che non può più governare con una maggioranza bulgara.
I risultati in Calabria sono anche peggiori. La coalizione di centro-sinistra ha perso più di 32 punti percentuali rispetto alle elezioni del 2014. E anche se il risultato finale non è mai stato in dubbio alla vigilia, non dovrebbe essere comunque sottovalutato. Come per le elezioni in Umbria dello scorso autunno, questi risultati dicono a tutti che all’orizzonte per l’Italia ci sono grandi cambiamenti.
Oggi i mercati hanno tirato un respiro di sollievo. Salvini per il momento è stato ricacciato indietro. Ma per quanto? Certo, la coalizione di governo sopravviverà un altro giorno. Certo, oggi è un po’ più forte di quanto fosse ieri. Ma il Cinque Stelle è un partito avviato verso il collasso e i contrasti tra i suoi membri più importanti continueranno fino a quando la coalizione non si romperà.
Salvini ha fatto la mossa giusta in agosto, dissolvendo la coalizione. Mentre l’Italia affonda economicamente e politicamente, lui si trova nella posizione di guidare i populisti, assicurarsi il loro sostegno e guadagnare consensi mentre il governo si prende tutte le colpe.
E, come suggerisce Zulianello, dal momento che la Lega è un’organizzazione correttamente costituita e funzionale, quando ritornerà al governo lo farà con un chiaro mandato e obiettivi chiaramente definiti.
Il Movimento Cinque Stelle non potrebbe mai riuscire a produrre queste due cose.
30/01/20
28/01/20
Wahrheit Macht Frei… La verità vi farà liberi
In occasione della Giornata della Memoria 2020, pubblichiamo un articolo di Strategic Culture che rimette ordine nei fatti storici del tempo. Sarebbe infatti opportuno che l’Europa non ricordasse del nazismo e dell’Olocausto solo ciò che le fa comodo, riscrivendo la storia di tutto il resto. Il tentativo recente da parte del governo polacco e dell’UE di attribuire all’Unione Sovietica parte della responsabilità dei crimini della Germania nazista è un insulto al popolo russo, che più di ogni altro ha pagato un prezzo — elevatissimo — per combattere e sconfiggere i nazisti, oltre ad avere materialmente liberato numerosissimi campi di concentramento, Auschwitz compreso.
Di Finian Cunningham, 22 gennaio 2020
Ricorre questa settimana il settantacinquesimo anniversario della liberazione del campo di morte di Auschwitz dai nazisti ad opera dell’Armata Rossa sovietica. Ma l’evento epocale viene oscurato da nuovi tentativi da parte delle autorità polacche – supportate da funzionari americani e tedeschi – di scaricare la colpa della Seconda guerra mondiale sull’Unione Sovietica.
La famigerata massima tedesca “Arbeit Macht Frei” (“Il lavoro rende liberi”), che sormontava il cancello di ingresso metallico di Auschwitz, attraverso il quale milioni di prigionieri si avviarono verso la morte, potrebbe oggi essere sottotitolata con la frase più onesta “Wahrheit Macht Frei” (“La verità vi farà liberi”).
Perché quello che si sta verificando nella commemorazione di Auschwitz della Polonia, e più in generale nelle dichiarazioni sulle origini della Seconda Guerra Mondiale, è una spaventosa distorsione della storia per soddisfare gli attuali interessi geopolitici occidentali e danneggiare la Russia. Ma nascondere o negare le cause della guerra serve solo a condannare il mondo a ripeterla.
Anziché vedersi assegnato un posto d’onore in prima fila per la liberazione dei campi di sterminio nel sud della Polonia il 27 gennaio 1945, ad opera dell’Armata Sovietica, oggi Mosca viene messa a margine, nonostante il suo ruolo fondamentale nel distruggere il regime nazista e tutti i suoi orrori.
Sembra che il presidente Russo Vladimir Putin abbia declinato l’invito a presenziare al settantacinquesimo anniversario in Polonia. La Russia verrà rappresentata dal suo ambasciatore nel Paese. Putin sarà presente a un evento equivalente in Israele, e in quella commemorazione alternativa gli sarà riconosciuta la meritata importanza, per mettere in risalto i risultati ottenuti nella liberazione dal predecessore della Russia, l’Unione Sovietica. Possiamo capire le ragioni per cui il Presidente Russo ha deciso di non prendere parte all’evento in Polonia, a causa delle affermazioni tossiche fatte recentemente da Varsavia e da altri stati occidentali sulle accuse rivolte all’Unione Sovietica di essere stata collusa con la Germania nazista nell’istigare la guerra.
Questa distorsione della storia ha persino ottenuto uno status ufficiale quando il Parlamento europeo – a seguito di pressioni da parte degli stati Baltici e della Polonia – ha adottato una risoluzione, lo scorso settembre, in cui l’Unione Sovietica viene dichiarata colpevole come il Terzo Reich Nazista per aver dato inizio alla Seconda Guerra Mondiale.
Quando il presidente Putin ha liquidato la risoluzione come una “sciocchezza” e ha proseguito sottolineando la collaborazione documentata della stessa Polonia con la Germania nazista, l’attuale governo polacco, insieme ai diplomatici tedeschi e americani, hanno raddoppiato le accuse verso Mosca, imputandole di avere una parziale responsabilità nell'esplosione della peggiore conflagrazione della storia.
Queste accuse occidentali e polacche hanno origine dallo storico patto di non aggressione firmato tra nazisti e sovietici il 23 agosto 1939, una settimana prima che i nazisti invadessero la Polonia. Si sostiene quindi che la distensione tra Stalin e Hitler abbia incoraggiato quest’ultimo a dare il via alla guerra.
Come ha riferito Radio Free Europe: “L’inviato tedesco Rolf Nikel e l’ambasciatore USA in Polonia Georgette Mosbacher hanno entrambi dichiarato il 30 dicembre che la Germania e l’Unione Sovietica hanno colluso, nel 1939, per iniziare la guerra che avrebbe portato alla morte di decine di milioni di persone nell’Europa continentale”.
Il Primo ministro polacco Mateusz Moraweicka ha denunciato la versione della storia di Putin come “falsa… che calpesta la memoria di tali eventi. La Polonia deve difendere la verità, non per i propri interessi, ma per il bene di ciò che definisce l’Europa”.
Si tratta di un esempio di distorsione della storia quanto mai audace.
Le ragioni di questa riscrittura sono ovvie. La Germania può così scaricare parte della sua colpa riguardo alla guerra che ha terrorizzato l’Europa con il genocidio fascista.
Coinvolgendo i Sovietici nell’orrore nazista, gli americani e i loro surrogati di destra in Polonia e negli stati Baltici possono rianimare le loro invenzioni fiacche e stantie su una “aggressione russa” verso l’Europa di oggi. Questo capovolgimento è particolarmente disprezzabile, se consideriamo che l’Unione Sovietica soffrì più di ogni altra nazione la barbarie nazista, con più di 25 milioni di morti e decine di milioni di feriti.
La Polonia è forse quella che ha più da guadagnare dalla falsificazione della storia. Il suo stesso vergognoso passato di collusione col regime nazista prima e durante la guerra verrebbe, si prevede, cancellato e scaricato nel dimenticatoio della storia.
Ironia della sorte, tutti coloro che si accodano alla denigrazione della Russia per la presunta complicità sovietica con la Germania nazista sostengono che Putin sta “riscrivendo la storia” , facendo riferimento ai documenti sovietici e alla propaganda.
Uno dei migliori resoconti accademici del periodo dalla Prima guerra mondiale fino alla fine degli anni '30 e allo scoppio della guerra è l'opera dello storico britannico A. J. P. Taylor, dal titolo 'Le origini della Seconda Guerra Mondiale' (pubblicata nel 1961). Taylor non è un "compagno di viaggio" dell'Unione Sovietica. Il suo studio è un esercizio professionale di studio oggettivo.
La prospettiva russa è sostanzialmente appoggiata da Taylor (e da altri storici occidentali, vedi ad esempio questo recente saggio di Michael Jabara Carley). Il patto di non aggressione nazista-sovietico alla vigilia dello scoppio della guerra fu un disperato tentativo di Mosca di tenere a bada il Terzo Reich. Dovuto al fatto che, come sottolinea Taylor, le potenze occidentali, in particolare la Gran Bretagna, la Francia e la Polonia, avevano costantemente respinto tutti gli appelli sovietici a stringere un patto collettivo europeo di sicurezza contro la Germania nazista.
Quando Hitler si annesse l'Austria nel 1936 e invase la Cecoslovacchia nel 1938, Gran Bretagna, Francia e Polonia si voltarono dall'altra parte. Il manifesto del Fuhrer nel Mein Kampf e le sue varie invettive durante gli anni '30 ebbero come obiettivo esplicito l'annientamento dell'Unione sovietica e degli ebrei europei per la soluzione finale.
I ministri polacchi durante questo periodo condivisero lo spregio nazista per il popolo sovietico ed ebraico. Il caso dell'ambasciatore polacco a Berlino Josef Lipski, che nel 1938 propose a Hitler un piano per deportare gli ebrei europei in Africa, è inconfutabile.
Ciò che le autorità polacche oggi sono costrette a negare sono fatti storici obiettivi che assegnano complicità ai loro predecessori nello scatenare il mostro nazista. Il fatto che Auschwitz e altri campi di sterminio nazisti si trovino sul territorio polacco non sembra dare a questi russofobi virali alcuno spunto di riflessione. Il fatto che l'Armata Rossa sovietica abbia salvato milioni di polacchi dalla barbarie nazista – una barbarie che i loro vacillanti e illusi leader politici avevano incoraggiato – è forse l'esempio più chiaro di come "la menzogna non vi farà liberi".
Di Finian Cunningham, 22 gennaio 2020
Ricorre questa settimana il settantacinquesimo anniversario della liberazione del campo di morte di Auschwitz dai nazisti ad opera dell’Armata Rossa sovietica. Ma l’evento epocale viene oscurato da nuovi tentativi da parte delle autorità polacche – supportate da funzionari americani e tedeschi – di scaricare la colpa della Seconda guerra mondiale sull’Unione Sovietica.
La famigerata massima tedesca “Arbeit Macht Frei” (“Il lavoro rende liberi”), che sormontava il cancello di ingresso metallico di Auschwitz, attraverso il quale milioni di prigionieri si avviarono verso la morte, potrebbe oggi essere sottotitolata con la frase più onesta “Wahrheit Macht Frei” (“La verità vi farà liberi”).
Perché quello che si sta verificando nella commemorazione di Auschwitz della Polonia, e più in generale nelle dichiarazioni sulle origini della Seconda Guerra Mondiale, è una spaventosa distorsione della storia per soddisfare gli attuali interessi geopolitici occidentali e danneggiare la Russia. Ma nascondere o negare le cause della guerra serve solo a condannare il mondo a ripeterla.
Anziché vedersi assegnato un posto d’onore in prima fila per la liberazione dei campi di sterminio nel sud della Polonia il 27 gennaio 1945, ad opera dell’Armata Sovietica, oggi Mosca viene messa a margine, nonostante il suo ruolo fondamentale nel distruggere il regime nazista e tutti i suoi orrori.
Sembra che il presidente Russo Vladimir Putin abbia declinato l’invito a presenziare al settantacinquesimo anniversario in Polonia. La Russia verrà rappresentata dal suo ambasciatore nel Paese. Putin sarà presente a un evento equivalente in Israele, e in quella commemorazione alternativa gli sarà riconosciuta la meritata importanza, per mettere in risalto i risultati ottenuti nella liberazione dal predecessore della Russia, l’Unione Sovietica. Possiamo capire le ragioni per cui il Presidente Russo ha deciso di non prendere parte all’evento in Polonia, a causa delle affermazioni tossiche fatte recentemente da Varsavia e da altri stati occidentali sulle accuse rivolte all’Unione Sovietica di essere stata collusa con la Germania nazista nell’istigare la guerra.
Questa distorsione della storia ha persino ottenuto uno status ufficiale quando il Parlamento europeo – a seguito di pressioni da parte degli stati Baltici e della Polonia – ha adottato una risoluzione, lo scorso settembre, in cui l’Unione Sovietica viene dichiarata colpevole come il Terzo Reich Nazista per aver dato inizio alla Seconda Guerra Mondiale.
Quando il presidente Putin ha liquidato la risoluzione come una “sciocchezza” e ha proseguito sottolineando la collaborazione documentata della stessa Polonia con la Germania nazista, l’attuale governo polacco, insieme ai diplomatici tedeschi e americani, hanno raddoppiato le accuse verso Mosca, imputandole di avere una parziale responsabilità nell'esplosione della peggiore conflagrazione della storia.
Queste accuse occidentali e polacche hanno origine dallo storico patto di non aggressione firmato tra nazisti e sovietici il 23 agosto 1939, una settimana prima che i nazisti invadessero la Polonia. Si sostiene quindi che la distensione tra Stalin e Hitler abbia incoraggiato quest’ultimo a dare il via alla guerra.
Come ha riferito Radio Free Europe: “L’inviato tedesco Rolf Nikel e l’ambasciatore USA in Polonia Georgette Mosbacher hanno entrambi dichiarato il 30 dicembre che la Germania e l’Unione Sovietica hanno colluso, nel 1939, per iniziare la guerra che avrebbe portato alla morte di decine di milioni di persone nell’Europa continentale”.
Il Primo ministro polacco Mateusz Moraweicka ha denunciato la versione della storia di Putin come “falsa… che calpesta la memoria di tali eventi. La Polonia deve difendere la verità, non per i propri interessi, ma per il bene di ciò che definisce l’Europa”.
Si tratta di un esempio di distorsione della storia quanto mai audace.
Le ragioni di questa riscrittura sono ovvie. La Germania può così scaricare parte della sua colpa riguardo alla guerra che ha terrorizzato l’Europa con il genocidio fascista.
Coinvolgendo i Sovietici nell’orrore nazista, gli americani e i loro surrogati di destra in Polonia e negli stati Baltici possono rianimare le loro invenzioni fiacche e stantie su una “aggressione russa” verso l’Europa di oggi. Questo capovolgimento è particolarmente disprezzabile, se consideriamo che l’Unione Sovietica soffrì più di ogni altra nazione la barbarie nazista, con più di 25 milioni di morti e decine di milioni di feriti.
La Polonia è forse quella che ha più da guadagnare dalla falsificazione della storia. Il suo stesso vergognoso passato di collusione col regime nazista prima e durante la guerra verrebbe, si prevede, cancellato e scaricato nel dimenticatoio della storia.
Ironia della sorte, tutti coloro che si accodano alla denigrazione della Russia per la presunta complicità sovietica con la Germania nazista sostengono che Putin sta “riscrivendo la storia” , facendo riferimento ai documenti sovietici e alla propaganda.
Uno dei migliori resoconti accademici del periodo dalla Prima guerra mondiale fino alla fine degli anni '30 e allo scoppio della guerra è l'opera dello storico britannico A. J. P. Taylor, dal titolo 'Le origini della Seconda Guerra Mondiale' (pubblicata nel 1961). Taylor non è un "compagno di viaggio" dell'Unione Sovietica. Il suo studio è un esercizio professionale di studio oggettivo.
La prospettiva russa è sostanzialmente appoggiata da Taylor (e da altri storici occidentali, vedi ad esempio questo recente saggio di Michael Jabara Carley). Il patto di non aggressione nazista-sovietico alla vigilia dello scoppio della guerra fu un disperato tentativo di Mosca di tenere a bada il Terzo Reich. Dovuto al fatto che, come sottolinea Taylor, le potenze occidentali, in particolare la Gran Bretagna, la Francia e la Polonia, avevano costantemente respinto tutti gli appelli sovietici a stringere un patto collettivo europeo di sicurezza contro la Germania nazista.
Quando Hitler si annesse l'Austria nel 1936 e invase la Cecoslovacchia nel 1938, Gran Bretagna, Francia e Polonia si voltarono dall'altra parte. Il manifesto del Fuhrer nel Mein Kampf e le sue varie invettive durante gli anni '30 ebbero come obiettivo esplicito l'annientamento dell'Unione sovietica e degli ebrei europei per la soluzione finale.
I ministri polacchi durante questo periodo condivisero lo spregio nazista per il popolo sovietico ed ebraico. Il caso dell'ambasciatore polacco a Berlino Josef Lipski, che nel 1938 propose a Hitler un piano per deportare gli ebrei europei in Africa, è inconfutabile.
Ciò che le autorità polacche oggi sono costrette a negare sono fatti storici obiettivi che assegnano complicità ai loro predecessori nello scatenare il mostro nazista. Il fatto che Auschwitz e altri campi di sterminio nazisti si trovino sul territorio polacco non sembra dare a questi russofobi virali alcuno spunto di riflessione. Il fatto che l'Armata Rossa sovietica abbia salvato milioni di polacchi dalla barbarie nazista – una barbarie che i loro vacillanti e illusi leader politici avevano incoraggiato – è forse l'esempio più chiaro di come "la menzogna non vi farà liberi".
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21/01/20
EuroIntelligence – Il mondo ha scoperto come ricattare la Germania
Wolfgang Munchau in uno dei suoi “Briefing” su EuroIntelligence evidenzia come la Germania si trovi con le mani sempre più legate negli affari con l’estero, a causa della dipendenza del suo sistema economico da una ormai cristallizzata politica mercantilista. Gli Stati Uniti prima, e ora la Cina sulla questione dello sviluppo della rete 5G da parte di Huawei in Europa, possono sempre sollevare contro la Germania la minaccia dei dazi, particolarmente verso l’industria automobilistica, a causa della dipendenza del paese tedesco dalle esportazioni. E quello che vale per la Germania, vale sempre di più per la intera UE.
di Wolfgang Munchau - EuroIntelligence, 17 gennaio 2020
Dopo che l’amministrazione Trump ha minacciato di imporre dazi sulle auto tedesche come conseguenza della questione Iran, adesso è la Cina che avanza la stessa minaccia con riferimento a Huawei. Il mondo ha scoperto che la Germania, e per estensione la UE, è vulnerabile alle minacce in chiave mercantilista. Questo è ciò che accade quando i surplus commerciali non si realizzano per caso, ma sono parte essenziale della propria strategia economica.
Il New York Times cita un membro della commissione per gli affari digitali del Bundestag, secondo il quale i cinesi avrebbero chiarito, durante conversazioni private con i funzionari tedeschi, che faranno rappresaglia proprio là dove fa male: contro l’industria automobilistica. Anche il precedente ambasciatore cinese in Germania aveva avvertito che ci sarebbero state conseguenze, ma senza specificarle. Le minacce manifestate in privato sembrano essere diventate uno strumento fondamentale della diplomazia internazionale. Il Washington Post questa settimana ha riportato che l’amministrazione statunitense avrebbe minacciato i funzionari UE di imporre dazi sulle automobili a meno che la UE non acconsentisse ad avviare una procedura di arbitrato sul nucleare iraniano.
Angela Merkel, come sempre, conduce l’affare da dietro le quinte. L’ultima decisione spetta al Bundestag. C’è forte opposizione contro Huawei da parte delle lobby pro-atlantiste nella CDU, e specialmente da parte di Norbert Rottgen, capo della commissione per gli Affari esteri. Uno degli argomenti degli Stati Uniti contro l’offerta di Huawei è che le compagnie automobilistiche in futuro raccoglieranno un’ampia quantità di dati personali sui conducenti, e la Germania renderebbe di fatto questi dati disponibili al Partito Comunista Cinese.
Rottgen ha sollevato un altro punto importante, secondo la nostra prospettiva. Se si permette a Huawei di entrare in Germania, si mina l’unità europea e si danneggiano indirettamente i due concorrenti nord-europei di Huawei. Da un punto di vista strategico è il classico caso in cui la UE dovrebbe unirsi, preferire la “opzione europea”, e accettare il fatto che questa potrebbe essere più costosa, più lenta e meno conveniente.
Riteniamo, comunque, che le chance siano a favore di Huawei. La politica estera tedesca è da sempre mercantilista, non strategica. La Germania e la Francia hanno sempre dato priorità ai propri ristretti interessi industriali rispetto al bene europeo.
Non dobbiamo nemmeno sovrastimare l’effettiva influenza e posizione di Rottgen. È uno di quei membri della CDU che viene citato nei media anglofoni, ma questo non riflette necessariamente la maggioranza del Bundestag, e forse nemmeno la maggioranza del suo stesso gruppo. La CSU è a favore di Huawei. La CDU è divisa. La SPD è tradizionalmente il partito delle auto e del carbone. I tedeschi potrebbero giungere alla conclusione che sarà comunque difficile evitare i dazi statunitensi sulle automobili.
E l’opinione pubblica è diventata incredibilmente anti-americana. Secondo un sondaggio di Deutschlandtrend, il 57% dei tedeschi non ha alcuna fiducia negli Stati Uniti, mentre solo il 25% esprime la stessa opinione rispetto alla Russia.
di Wolfgang Munchau - EuroIntelligence, 17 gennaio 2020
Dopo che l’amministrazione Trump ha minacciato di imporre dazi sulle auto tedesche come conseguenza della questione Iran, adesso è la Cina che avanza la stessa minaccia con riferimento a Huawei. Il mondo ha scoperto che la Germania, e per estensione la UE, è vulnerabile alle minacce in chiave mercantilista. Questo è ciò che accade quando i surplus commerciali non si realizzano per caso, ma sono parte essenziale della propria strategia economica.
Il New York Times cita un membro della commissione per gli affari digitali del Bundestag, secondo il quale i cinesi avrebbero chiarito, durante conversazioni private con i funzionari tedeschi, che faranno rappresaglia proprio là dove fa male: contro l’industria automobilistica. Anche il precedente ambasciatore cinese in Germania aveva avvertito che ci sarebbero state conseguenze, ma senza specificarle. Le minacce manifestate in privato sembrano essere diventate uno strumento fondamentale della diplomazia internazionale. Il Washington Post questa settimana ha riportato che l’amministrazione statunitense avrebbe minacciato i funzionari UE di imporre dazi sulle automobili a meno che la UE non acconsentisse ad avviare una procedura di arbitrato sul nucleare iraniano.
Angela Merkel, come sempre, conduce l’affare da dietro le quinte. L’ultima decisione spetta al Bundestag. C’è forte opposizione contro Huawei da parte delle lobby pro-atlantiste nella CDU, e specialmente da parte di Norbert Rottgen, capo della commissione per gli Affari esteri. Uno degli argomenti degli Stati Uniti contro l’offerta di Huawei è che le compagnie automobilistiche in futuro raccoglieranno un’ampia quantità di dati personali sui conducenti, e la Germania renderebbe di fatto questi dati disponibili al Partito Comunista Cinese.
Rottgen ha sollevato un altro punto importante, secondo la nostra prospettiva. Se si permette a Huawei di entrare in Germania, si mina l’unità europea e si danneggiano indirettamente i due concorrenti nord-europei di Huawei. Da un punto di vista strategico è il classico caso in cui la UE dovrebbe unirsi, preferire la “opzione europea”, e accettare il fatto che questa potrebbe essere più costosa, più lenta e meno conveniente.
Riteniamo, comunque, che le chance siano a favore di Huawei. La politica estera tedesca è da sempre mercantilista, non strategica. La Germania e la Francia hanno sempre dato priorità ai propri ristretti interessi industriali rispetto al bene europeo.
Non dobbiamo nemmeno sovrastimare l’effettiva influenza e posizione di Rottgen. È uno di quei membri della CDU che viene citato nei media anglofoni, ma questo non riflette necessariamente la maggioranza del Bundestag, e forse nemmeno la maggioranza del suo stesso gruppo. La CSU è a favore di Huawei. La CDU è divisa. La SPD è tradizionalmente il partito delle auto e del carbone. I tedeschi potrebbero giungere alla conclusione che sarà comunque difficile evitare i dazi statunitensi sulle automobili.
E l’opinione pubblica è diventata incredibilmente anti-americana. Secondo un sondaggio di Deutschlandtrend, il 57% dei tedeschi non ha alcuna fiducia negli Stati Uniti, mentre solo il 25% esprime la stessa opinione rispetto alla Russia.
14/01/20
Handelsblatt - Un grande affare con e per l'Italia: l'Europa deve cogliere l'attimo
Su Handelsblatt, il prestigioso quotidiano tedesco di economia e finanza, l'economista Harald Benink, professore e ricercatore all’università di Tilburg (NL), rivolge un appello all’Europa affinché la “situazione italiana” venga gestita diversamente. Nel timore di una probabile caduta del traballante governo giallo-rosso e di un'Italia divenuta ostaggio dei pericolosi "populisti", Benink auspica un piano di investimenti europeo che possa rilanciare l’economia italiana, ma allo stesso tempo lo vorrebbe strettamente vincolato a riforme strutturali decise e monitorate da Bruxelles, come quella del mercato del lavoro e del sistema pensionistico. In pratica un commissariamento dell'Italia in cambio di investimenti, promossi solo dopo uno stretto monitoraggio sulle mitiche, quanto inutili e antisociali, "riforme strutturali". L'approfondimento evidenzia come, anche nelle riflessioni apparentemente più solidaristiche, i media nordeuropei non riescano ad abbandonare il dogmatismo economico liberista.
di Harald Benink, 17 dicembre 2019
Traduzione di Oscar Amalfitano
Nella politica italiana gli ultimi mesi sono stati molto turbolenti. Con l’obiettivo di rafforzare la leadership politica e i mercati finanziari in Europa è nato un nuovo governo senza la Lega di Matteo Salvini, che aveva tentato di provocare delle nuove elezioni per diventare lui stesso il primo ministro.
Tuttavia, l’attuale stabilità politica potrebbe non durare a lungo, pertanto l'Europa non dovrebbe farsi sfuggire l'occasione per tendere la mano all'Italia e raggiungere un importante accordo.
L'Unione europea si trova su un percorso critico. Da un lato l'avvicinarsi della Brexit crea nuove incertezze sulle relazioni future con la Gran Bretagna, dall'altro potrebbe sorgere una nuova crisi, ancora più grave della precedente, a causa dei problemi economici e finanziari in Italia. La condizione attuale dovrebbe essere utilizzata per ripensare l'instabile situazione economica, finanziaria e politica in Europa.
Le dinamiche negative del discorso politico in Europa devono essere limitate. Ciò vale particolarmente per la maggioranza delle popolazioni degli Stati membri, che vedono il progetto europeo come una minaccia, piuttosto che come un'opportunità.
Tutto ciò è particolarmente evidente in Italia. Uno dei membri fondatori dell'UE, il paese avverte oggi una frattura e mancanza di solidarietà rispetto a temi come la governance della zona euro e le migrazioni, in particolare nei confronti dei paesi del Nord, come Germania e Paesi Bassi. In questo modo i partiti populisti hanno guadagnato sempre più elettori.
È evidente che in Italia siano presenti problemi strutturali ed economici. Nello specifico, si pensi alla mancanza di drastiche riforme nei mercati del lavoro e dei servizi, della riscossione delle imposte e del sistema pensionistico. Per troppo tempo, il paese ha rinviato le riforme necessarie, incidendo sulla sua competitività e sul potenziale di crescita a lungo termine.
La politica della BCE non ha creato incentivi.
Allo stesso tempo, le misure intraprese dall'UE sono state spesso inadeguate. Da un lato, la politica monetaria della BCE ha mantenuto i tassi di interesse sui titoli di stato italiani a un livello molto basso, senza particolari vincoli.
I bassi tassi di interesse hanno fatto sì che mancasse la spinta per intraprendere riforme economiche di vasta portata. D'altro canto, le regole del Patto di stabilità e crescita dell'UE sono vincolanti e potrebbero presto portare a multe contro l'Italia, cosa che finirebbe per peggiorare ulteriormente le dinamiche politiche attualmente in atto.
È giunto il momento di un grande accordo tra Italia e UE per migliorare la situazione politica. Ciò richiede un piano d'azione economico e politico quinquennale, che colleghi un'agenda dettagliata per le riforme economico-strutturali a potenziali investimenti europei.
L'idea di base è che siano previsti passi concreti nella legislazione e nell'attuazione delle riforme per ciascuno dei cinque anni del piano. Alla fine di ogni anno si potrà verificare se l'Italia avrà attuato le misure concordate. In caso di esito positivo, l'Italia potrebbe essere premiata con ingenti investimenti da parte della UE in settori come le infrastrutture e la ricerca scientifica.
C’è molto in gioco
Un simile approccio bastone-carota non è mai stato tentato prima. Tale orientamento modificherebbe il discorso politico e consentirebbe ai leader italiani di spiegare alla propria popolazione che l'Europa non richiede unicamente difficili riforme economiche e disciplina di bilancio, ma agisce anche in modo solidale sotto forma di investimenti. Ciò potrebbe servire a promuovere l'accettazione politica di misure serie da parte dell'elettorato.
La sfida è prevenire un'escalation della crisi politica tra Italia ed Europa. Tale escalation può condurre a una crisi di fiducia rispetto all'affidabilità creditizia del debito italiano e delle banche che hanno investito abbondantemente in titoli di stato.
Date le dimensioni dell'economia italiana e, soprattutto, dell'enorme debito pubblico, una crisi in Italia porterebbe molto probabilmente a una ancora più grave crisi bancaria e finanziaria in Europa, che avrebbe anche enormi conseguenze per il futuro dell'euro.
È quindi importante che il nuovo presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e la nuova presidente della BCE, Christine Lagarde, sfruttino il momento per elaborare un grande accordo con l'Italia. C'è molto in ballo e urge un nuovo approccio.
di Harald Benink, 17 dicembre 2019
Traduzione di Oscar Amalfitano
Nella politica italiana gli ultimi mesi sono stati molto turbolenti. Con l’obiettivo di rafforzare la leadership politica e i mercati finanziari in Europa è nato un nuovo governo senza la Lega di Matteo Salvini, che aveva tentato di provocare delle nuove elezioni per diventare lui stesso il primo ministro.
Tuttavia, l’attuale stabilità politica potrebbe non durare a lungo, pertanto l'Europa non dovrebbe farsi sfuggire l'occasione per tendere la mano all'Italia e raggiungere un importante accordo.
L'Unione europea si trova su un percorso critico. Da un lato l'avvicinarsi della Brexit crea nuove incertezze sulle relazioni future con la Gran Bretagna, dall'altro potrebbe sorgere una nuova crisi, ancora più grave della precedente, a causa dei problemi economici e finanziari in Italia. La condizione attuale dovrebbe essere utilizzata per ripensare l'instabile situazione economica, finanziaria e politica in Europa.
Le dinamiche negative del discorso politico in Europa devono essere limitate. Ciò vale particolarmente per la maggioranza delle popolazioni degli Stati membri, che vedono il progetto europeo come una minaccia, piuttosto che come un'opportunità.
Tutto ciò è particolarmente evidente in Italia. Uno dei membri fondatori dell'UE, il paese avverte oggi una frattura e mancanza di solidarietà rispetto a temi come la governance della zona euro e le migrazioni, in particolare nei confronti dei paesi del Nord, come Germania e Paesi Bassi. In questo modo i partiti populisti hanno guadagnato sempre più elettori.
È evidente che in Italia siano presenti problemi strutturali ed economici. Nello specifico, si pensi alla mancanza di drastiche riforme nei mercati del lavoro e dei servizi, della riscossione delle imposte e del sistema pensionistico. Per troppo tempo, il paese ha rinviato le riforme necessarie, incidendo sulla sua competitività e sul potenziale di crescita a lungo termine.
La politica della BCE non ha creato incentivi.
Allo stesso tempo, le misure intraprese dall'UE sono state spesso inadeguate. Da un lato, la politica monetaria della BCE ha mantenuto i tassi di interesse sui titoli di stato italiani a un livello molto basso, senza particolari vincoli.
I bassi tassi di interesse hanno fatto sì che mancasse la spinta per intraprendere riforme economiche di vasta portata. D'altro canto, le regole del Patto di stabilità e crescita dell'UE sono vincolanti e potrebbero presto portare a multe contro l'Italia, cosa che finirebbe per peggiorare ulteriormente le dinamiche politiche attualmente in atto.
È giunto il momento di un grande accordo tra Italia e UE per migliorare la situazione politica. Ciò richiede un piano d'azione economico e politico quinquennale, che colleghi un'agenda dettagliata per le riforme economico-strutturali a potenziali investimenti europei.
L'idea di base è che siano previsti passi concreti nella legislazione e nell'attuazione delle riforme per ciascuno dei cinque anni del piano. Alla fine di ogni anno si potrà verificare se l'Italia avrà attuato le misure concordate. In caso di esito positivo, l'Italia potrebbe essere premiata con ingenti investimenti da parte della UE in settori come le infrastrutture e la ricerca scientifica.
C’è molto in gioco
Un simile approccio bastone-carota non è mai stato tentato prima. Tale orientamento modificherebbe il discorso politico e consentirebbe ai leader italiani di spiegare alla propria popolazione che l'Europa non richiede unicamente difficili riforme economiche e disciplina di bilancio, ma agisce anche in modo solidale sotto forma di investimenti. Ciò potrebbe servire a promuovere l'accettazione politica di misure serie da parte dell'elettorato.
La sfida è prevenire un'escalation della crisi politica tra Italia ed Europa. Tale escalation può condurre a una crisi di fiducia rispetto all'affidabilità creditizia del debito italiano e delle banche che hanno investito abbondantemente in titoli di stato.
Date le dimensioni dell'economia italiana e, soprattutto, dell'enorme debito pubblico, una crisi in Italia porterebbe molto probabilmente a una ancora più grave crisi bancaria e finanziaria in Europa, che avrebbe anche enormi conseguenze per il futuro dell'euro.
È quindi importante che il nuovo presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e la nuova presidente della BCE, Christine Lagarde, sfruttino il momento per elaborare un grande accordo con l'Italia. C'è molto in ballo e urge un nuovo approccio.
12/01/20
L’Australia va a fuoco: la colpa è degli ambientalisti e dei piromani
Un articolo di Mike Shedlock ridicolizza l’attuale narrazione riguardo i terribili incendi australiani. Questa disgrazia non ha nulla a che fare col riscaldamento globale: è invece da attribuire agli uomini, che quasi sempre causano gli incendi, e alle folli regole imposte dal politically correct ambientale, che vieta gli incendi programmati con funzione preventiva e permette la diffusione di piante a crescita rapida e che tendono a diffondere le fiamme molto rapidamente.
Di Mike Shedlock, 8 gennaio 2020
Non meno di 15 milioni di acri in Australia sono stati distrutti dagli incendi. Gli attivisti sul cambiamento climatico sono sul piede di guerra.
Prendiamo per esempio l'articolo Perché laggiù va tutto a fuoco.
L’attuale ciclo di incendi è iniziato alla fine dello scorso anno. Ha carbonizzato almeno 15 milioni di acri e ucciso più di due dozzine di australiani, compresi alcuni coraggiosi vigili del fuoco volontari che si sono precipitati nell’inferno per salvare case e vite.
La storiella del cambiamento climatico è una grossolana semplificazione per spiegare gli incendi boschivi, le cui cause sono complesse così come la loro ricorrenza è prevedibile: l’Australia si trova nel mezzo di una delle sue regolari siccità.
Le leggi bizantine di stampo ambientalista impediscono ai proprietari terrieri di eliminare arbusti, cespugli e alberi. I governi statali non fanno la loro parte nel ridurre la quantità di materiale infiammabile nei parchi. Lo scorso novembre un ex capo dei vigili del fuoco di Victoria ha criticato aspramente l’approccio “minimalista” di quello stato nella riduzione dei rischi da incendio durante la bassa stagione. Le lamentele si sentono in tutto il Paese.
Lunedì un parlamentare dei Verdi Australiani ha scritto su twitter che un giorno ci vorranno “tribunali climatici” per giudicare i politici conservatori.
Le cause principali
Forse bisognerebbe invertire l'ordine delle due cose.
Non si tratta dei cambiamenti climatici
Considerate cortesemente anche Gli incendi boschivi australiani sono stati causati da esseri umani, non da cambiamenti climatici.
In quanto a politiche, vegetazione e clima le somiglianze tra Australia e California sono sempre state notevoli. Entrambi i posti sono bellissimi, di estrema sinistra, e politicamente verdi. In entrambi, alla gente piace vivere in mezzo a vegetazione che ogni anno si secca abbastanza da bruciare fino al cielo – con o senza cambiamenti climatici.
Questo avviene a causa di stagioni piovose relativamente corte, inserite in un tempo perfettamente balneare. Il paesaggio è verde in maniera spettacolare quando piove, ed estremamente arido quando non piove più. Quando le precipitazioni sono abbondanti, come è stato negli anni recenti in Australia, la vegetazione diventa ancora più rigogliosa, rappresentando così un combustibile ancora più abbondante per gli incendi boschivi.
Allo stesso tempo, la nostra cultura che idolatra la vegetazione ci impedisce di bruciarla volontariamente. In California gli incendi controllati sono ora in gran parte proibiti (perché la combustione rilascia la temutissima anidride carbonica), assicurando così che il disastro sia sempre dietro l’angolo. La stessa cosa vale per l’Australia, dove sono consentiti alcuni incendi controllati, ma neppure lontanamente sufficienti.
Sono anni che l’Australia è pronta ad esplodere. David Packham, ex capo del Centro di Ricerche Nazionale australiano per gli Incendi Rurali, avvertì in un articolo del 2015 su the Age che i livelli di materiale combustibile erano saliti al loro livello più pericoloso da migliaia di anni. Packham fece notare che questo era il risultato di un’”ideologia verde fuorviante”.
Ora è molto comodo per gli allarmisti verdi dare la colpa al riscaldamento globale degli incendi in Australia e California. In realtà, sono le politiche che essi stessi sostengono ad esserne responsabili.
Incendi boschivi: 67 anni di dati
(La linea verde rappresenta le aree soggette a incendi controllati, la linea rossa le aree interessate da incendi non controllati - NdVdE)
Crisi incendiaria
Considerate cortesemente anche Non abbiamo solo una crisi di incendi boschivi. Abbiamo anche una crisi da incendi dolosi.
Il numero di individui in tutta l'Australia i cui incendi dolosi hanno contribuito all'attuale crisi è ormai superiore a 200.
Ecco il mio preferito: "Un vigile del fuoco volontario in Australia è stato accusato di avere innescato deliberatamente le fiamme durante la crisi degli incendi. La polizia ha arrestato l'uomo, 19 anni, per sette capi d'accusa per presunto incendio doloso in una zona a sud di Sydney, nel Nuovo Galles del Sud."
Non si tratta di complottismo. Anche se in passato l'incendio doloso è stato utilizzato come strumento di terrore, gli incendi australiani sembrano derivare dalle azioni di individui scollegati tra loro, che sono disturbati o spericolati. Non è nulla di nuovo; come ha scritto a novembre il criminologo ecologico Paul Read:
“Un'analisi satellitare del 2015 di 113.000 incendi dal 1997 al 2009 ha confermato quello che sapevamo da tempo: il 40 per cento degli incendi è acceso deliberatamente, un altro 47 per cento è acceso accidentalmente. Questo corrisponde piuttosto bene ai dati precedenti pubblicati un decennio prima, che circa la metà di tutti gli incendi sono intenzionali o sospettati di essere tali, e il 37 per cento è accidentale. Insieme, raggiungono la stessa conclusione: l'87 per cento degli incendi viene acceso dall'uomo.“
Il flagello dell’Eucalipto
Ecco un interessante articolo del 2013: Gli incendi boschivi australiani: la colpa è degli alberi di eucalipto?
“Guardando alla foresta di eucalipto fuori dalla mia finestra in Tasmania, vedo un gigantesco pericolo di incendio”, ha detto David Bowman, un ecologista delle foreste dell’Università della Tasmania, in Australia, a KQED. “In un giorno molto caldo, queste cose bruceranno come torce e inonderanno di scintille le nostre periferie”.
Come molte piante native delle regioni soggette ad incendi, gli alberi di eucalipto (detti anche alberi della gomma in Australia), si sono adattati per sopravvivere – o perfino per prosperare – durante gli incendi. Le foglie cadute di eucalipto creano densi tappeti di materiale infiammabile, e la corteccia degli alberi si stacca in lunghe stelle filanti che cadono a terra, fornendo materiale aggiuntivo che attira i fuochi a terra sulle foglie, creando un’enorme “corona di fuoco” veloce a propagarsi, nella parte alta delle foreste di eucalipto.
Inoltre l’olio di eucalipto, che dà agli alberi il loro caratteristico odore aromatico, è un olio infiammabile: questo olio, combinato con il letto di foglie e i filamenti di corteccia, durante i periodi di siccità, può trasformare in pochi minuti un piccolo fuoco a terra in una terrificante tempesta di fuoco. Ecco perché gli alberi di eucalipto – specialmente gli alberi della gomma blu (Eucalyptus globulus) che sono comuni in tutto il Nuovo Galles del Sud - sono talvolta chiamati “alberi di benzina”.
Il pericolo rappresentato dai boschi di eucalipto che si estendevano al di fuori dell’Australia venne sottolineato nel 1991, quando un incendio boschivo ha incenerito le colline intorno ad Oakland, in California. L'incendio uccise 25 persone e annientò più di 3.000 abitazioni, secondo l’Agenzia Federale per la Gestione delle Emergenze (FEMA), e fu imputato anzitutto alle miglaia di alberi di eucalipto che si trovavano in tutte le colline di Oakland.
Nonostante la loro meritata reputazione di incubo peggiore dei vigili del fuoco, gli alberi di eucalipto rimangono un esemplare paesaggisticamente apprezzato, rinomati per la loro crescita rapida, che genera alti alberi che fanno ombra e che, secondo alcune ricerche, aiutano a respingere gli insetti grazie a quello stesso olio profumato di eucalipto accusato di alimentare gli incendi.
"I boschetti di eucalipto sulle colline ripide - come quelle sulle colline di East Bay - sono estremamente infiammabili quando... i venti di fine estate e d’autunno iniziano a soffiare e a rendere impossibile il controllo di un fronte di fiamme in movimento fino a quando i venti si fermano," ha detto Tom Klatt, gestore ambientale del campus UC Berkeley, in un rapporto dalla Divisione di Agricoltura e Risorse Naturali dell'università.
Tree idee per l’eucalipto
"
Che diavolo hanno fatto gli esseri umani?" ha detto Bowman. "Abbiamo diffuso una pianta pericolosa in tutto il mondo. "
Ma questa storia non fa vendere. Ci vuole altro. Tipo questa:
I negazionisti del clima si stanno arrostendo
I negazionisti del clima si stanno arrostendo se stessi… e tutti gli altri.
L’Australia, come molti altri paesi (inclusi gli Stati Uniti) è patologicamente dipendente dai combustibili fossili, e per questo sta arrostendo se stessa e il pianeta. Senza una forte politica internazionale, ci saranno in futuro siccità, incendi, e altri disastri che faranno sembrare l’attuale crisi come un sogno ad occhi aperti.
Complessivamente, questa storia si merita appena un 7- o un 6+, perché non finisce con una premonizione come quelle di Alexandria Ocasio-Cortez secondo cui il mondo finirà in 12 anni se non facciamo niente.
A Miami affogheranno tutti in 6 anni
“Si bruceranno da soli” è OK, ma l’articolo in sé è moscio.
Per ottenere davvero attenzione ci vuole un titolo come questo “A Miami affogheranno tutti entro sei anni”.
Ecco, questo è un titolo da 8++, che sicuramente susciterà interesse.
Bugie e manipolazioni
https://twitter.com/StunnedMulletNZ/status/1208187874446721024
Roba incredibile.
La polizia verde ha scartato le temperature in lungo e in largo e ha manipolato al ribasso le temperature più vecchie.
Il mio esempio preferito: la polizia climatica ha scartato le alte temperature record perché la persona che le ha misurate lo ha fatto di domenica. Sostengono che il misuratore non avrebbe dovuto lavorare di domenica, pertanto il record al rialzo non avrebbe dovuto essere registrato.
Naturalmente hanno spostato i termometri negli aeroporti con un numero sempre maggiore di aeroplani e asfalto bollente, ecc. E infine, sono passati recentemente a misure elettroniche che tendono a dare indicazioni più alte dei termometri a mercurio.
Tutto riguarda il cambiamento climatico, ma…
Oltre alle bugie, alle manipolazioni della temperatura, alla cattiva gestione delle ustioni, agli incendi dolosi, alle restrizioni ambientali e ad altre ideologie verdi fuorvianti, questa storia riguarda tutta il cambiamento climatico.
Purtroppo, una storia politicamente scorretta come questa non va da nessuna parte. Ma "A Miami, affogheranno tutti entro sei anni " potrebbe andare.
Oh, a proposito, propongo che la ragione più probabile degli incendi è che gli attivisti del riscaldamento globale vogliono darne la colpa al cambiamento climatico.
Di Mike Shedlock, 8 gennaio 2020
Non meno di 15 milioni di acri in Australia sono stati distrutti dagli incendi. Gli attivisti sul cambiamento climatico sono sul piede di guerra.
Prendiamo per esempio l'articolo Perché laggiù va tutto a fuoco.
L’attuale ciclo di incendi è iniziato alla fine dello scorso anno. Ha carbonizzato almeno 15 milioni di acri e ucciso più di due dozzine di australiani, compresi alcuni coraggiosi vigili del fuoco volontari che si sono precipitati nell’inferno per salvare case e vite.
La storiella del cambiamento climatico è una grossolana semplificazione per spiegare gli incendi boschivi, le cui cause sono complesse così come la loro ricorrenza è prevedibile: l’Australia si trova nel mezzo di una delle sue regolari siccità.
Le leggi bizantine di stampo ambientalista impediscono ai proprietari terrieri di eliminare arbusti, cespugli e alberi. I governi statali non fanno la loro parte nel ridurre la quantità di materiale infiammabile nei parchi. Lo scorso novembre un ex capo dei vigili del fuoco di Victoria ha criticato aspramente l’approccio “minimalista” di quello stato nella riduzione dei rischi da incendio durante la bassa stagione. Le lamentele si sentono in tutto il Paese.
Lunedì un parlamentare dei Verdi Australiani ha scritto su twitter che un giorno ci vorranno “tribunali climatici” per giudicare i politici conservatori.
Le cause principali
- 1) Incendi dolosi: più di 180 persone sono state arrestate con l’accusa di aver dato l’inizio agli incendi da quando è iniziata l’attuale stagione.
- 2) Causa secondaria: le restrizioni ambientali e la fuorviante ideologia ambientalista.
Forse bisognerebbe invertire l'ordine delle due cose.
Non si tratta dei cambiamenti climatici
Considerate cortesemente anche Gli incendi boschivi australiani sono stati causati da esseri umani, non da cambiamenti climatici.
In quanto a politiche, vegetazione e clima le somiglianze tra Australia e California sono sempre state notevoli. Entrambi i posti sono bellissimi, di estrema sinistra, e politicamente verdi. In entrambi, alla gente piace vivere in mezzo a vegetazione che ogni anno si secca abbastanza da bruciare fino al cielo – con o senza cambiamenti climatici.
Questo avviene a causa di stagioni piovose relativamente corte, inserite in un tempo perfettamente balneare. Il paesaggio è verde in maniera spettacolare quando piove, ed estremamente arido quando non piove più. Quando le precipitazioni sono abbondanti, come è stato negli anni recenti in Australia, la vegetazione diventa ancora più rigogliosa, rappresentando così un combustibile ancora più abbondante per gli incendi boschivi.
Allo stesso tempo, la nostra cultura che idolatra la vegetazione ci impedisce di bruciarla volontariamente. In California gli incendi controllati sono ora in gran parte proibiti (perché la combustione rilascia la temutissima anidride carbonica), assicurando così che il disastro sia sempre dietro l’angolo. La stessa cosa vale per l’Australia, dove sono consentiti alcuni incendi controllati, ma neppure lontanamente sufficienti.
Sono anni che l’Australia è pronta ad esplodere. David Packham, ex capo del Centro di Ricerche Nazionale australiano per gli Incendi Rurali, avvertì in un articolo del 2015 su the Age che i livelli di materiale combustibile erano saliti al loro livello più pericoloso da migliaia di anni. Packham fece notare che questo era il risultato di un’”ideologia verde fuorviante”.
Ora è molto comodo per gli allarmisti verdi dare la colpa al riscaldamento globale degli incendi in Australia e California. In realtà, sono le politiche che essi stessi sostengono ad esserne responsabili.
Incendi boschivi: 67 anni di dati
(La linea verde rappresenta le aree soggette a incendi controllati, la linea rossa le aree interessate da incendi non controllati - NdVdE)
Crisi incendiaria
Considerate cortesemente anche Non abbiamo solo una crisi di incendi boschivi. Abbiamo anche una crisi da incendi dolosi.
Il numero di individui in tutta l'Australia i cui incendi dolosi hanno contribuito all'attuale crisi è ormai superiore a 200.
Ecco il mio preferito: "Un vigile del fuoco volontario in Australia è stato accusato di avere innescato deliberatamente le fiamme durante la crisi degli incendi. La polizia ha arrestato l'uomo, 19 anni, per sette capi d'accusa per presunto incendio doloso in una zona a sud di Sydney, nel Nuovo Galles del Sud."
Non si tratta di complottismo. Anche se in passato l'incendio doloso è stato utilizzato come strumento di terrore, gli incendi australiani sembrano derivare dalle azioni di individui scollegati tra loro, che sono disturbati o spericolati. Non è nulla di nuovo; come ha scritto a novembre il criminologo ecologico Paul Read:
“Un'analisi satellitare del 2015 di 113.000 incendi dal 1997 al 2009 ha confermato quello che sapevamo da tempo: il 40 per cento degli incendi è acceso deliberatamente, un altro 47 per cento è acceso accidentalmente. Questo corrisponde piuttosto bene ai dati precedenti pubblicati un decennio prima, che circa la metà di tutti gli incendi sono intenzionali o sospettati di essere tali, e il 37 per cento è accidentale. Insieme, raggiungono la stessa conclusione: l'87 per cento degli incendi viene acceso dall'uomo.“
Il flagello dell’Eucalipto
Ecco un interessante articolo del 2013: Gli incendi boschivi australiani: la colpa è degli alberi di eucalipto?
“Guardando alla foresta di eucalipto fuori dalla mia finestra in Tasmania, vedo un gigantesco pericolo di incendio”, ha detto David Bowman, un ecologista delle foreste dell’Università della Tasmania, in Australia, a KQED. “In un giorno molto caldo, queste cose bruceranno come torce e inonderanno di scintille le nostre periferie”.
Come molte piante native delle regioni soggette ad incendi, gli alberi di eucalipto (detti anche alberi della gomma in Australia), si sono adattati per sopravvivere – o perfino per prosperare – durante gli incendi. Le foglie cadute di eucalipto creano densi tappeti di materiale infiammabile, e la corteccia degli alberi si stacca in lunghe stelle filanti che cadono a terra, fornendo materiale aggiuntivo che attira i fuochi a terra sulle foglie, creando un’enorme “corona di fuoco” veloce a propagarsi, nella parte alta delle foreste di eucalipto.
Inoltre l’olio di eucalipto, che dà agli alberi il loro caratteristico odore aromatico, è un olio infiammabile: questo olio, combinato con il letto di foglie e i filamenti di corteccia, durante i periodi di siccità, può trasformare in pochi minuti un piccolo fuoco a terra in una terrificante tempesta di fuoco. Ecco perché gli alberi di eucalipto – specialmente gli alberi della gomma blu (Eucalyptus globulus) che sono comuni in tutto il Nuovo Galles del Sud - sono talvolta chiamati “alberi di benzina”.
Il pericolo rappresentato dai boschi di eucalipto che si estendevano al di fuori dell’Australia venne sottolineato nel 1991, quando un incendio boschivo ha incenerito le colline intorno ad Oakland, in California. L'incendio uccise 25 persone e annientò più di 3.000 abitazioni, secondo l’Agenzia Federale per la Gestione delle Emergenze (FEMA), e fu imputato anzitutto alle miglaia di alberi di eucalipto che si trovavano in tutte le colline di Oakland.
Nonostante la loro meritata reputazione di incubo peggiore dei vigili del fuoco, gli alberi di eucalipto rimangono un esemplare paesaggisticamente apprezzato, rinomati per la loro crescita rapida, che genera alti alberi che fanno ombra e che, secondo alcune ricerche, aiutano a respingere gli insetti grazie a quello stesso olio profumato di eucalipto accusato di alimentare gli incendi.
"I boschetti di eucalipto sulle colline ripide - come quelle sulle colline di East Bay - sono estremamente infiammabili quando... i venti di fine estate e d’autunno iniziano a soffiare e a rendere impossibile il controllo di un fronte di fiamme in movimento fino a quando i venti si fermano," ha detto Tom Klatt, gestore ambientale del campus UC Berkeley, in un rapporto dalla Divisione di Agricoltura e Risorse Naturali dell'università.
Tree idee per l’eucalipto
- 1 - Ehi, piantiamo eucalipti, crescono in fretta.
- 2 - Quando seccano, evitiamo di fare incendi controllati, perchè emetterebbero anidride carbonica.
- 3 - Se qualcosa va storto con i punti 1 e 2, diamo la colpa al riscaldamento globale.
"
Che diavolo hanno fatto gli esseri umani?" ha detto Bowman. "Abbiamo diffuso una pianta pericolosa in tutto il mondo. "
Ma questa storia non fa vendere. Ci vuole altro. Tipo questa:
I negazionisti del clima si stanno arrostendo
I negazionisti del clima si stanno arrostendo se stessi… e tutti gli altri.
L’Australia, come molti altri paesi (inclusi gli Stati Uniti) è patologicamente dipendente dai combustibili fossili, e per questo sta arrostendo se stessa e il pianeta. Senza una forte politica internazionale, ci saranno in futuro siccità, incendi, e altri disastri che faranno sembrare l’attuale crisi come un sogno ad occhi aperti.
Complessivamente, questa storia si merita appena un 7- o un 6+, perché non finisce con una premonizione come quelle di Alexandria Ocasio-Cortez secondo cui il mondo finirà in 12 anni se non facciamo niente.
A Miami affogheranno tutti in 6 anni
“Si bruceranno da soli” è OK, ma l’articolo in sé è moscio.
Per ottenere davvero attenzione ci vuole un titolo come questo “A Miami affogheranno tutti entro sei anni”.
Ecco, questo è un titolo da 8++, che sicuramente susciterà interesse.
Bugie e manipolazioni
https://twitter.com/StunnedMulletNZ/status/1208187874446721024
Roba incredibile.
La polizia verde ha scartato le temperature in lungo e in largo e ha manipolato al ribasso le temperature più vecchie.
Il mio esempio preferito: la polizia climatica ha scartato le alte temperature record perché la persona che le ha misurate lo ha fatto di domenica. Sostengono che il misuratore non avrebbe dovuto lavorare di domenica, pertanto il record al rialzo non avrebbe dovuto essere registrato.
Naturalmente hanno spostato i termometri negli aeroporti con un numero sempre maggiore di aeroplani e asfalto bollente, ecc. E infine, sono passati recentemente a misure elettroniche che tendono a dare indicazioni più alte dei termometri a mercurio.
Tutto riguarda il cambiamento climatico, ma…
Oltre alle bugie, alle manipolazioni della temperatura, alla cattiva gestione delle ustioni, agli incendi dolosi, alle restrizioni ambientali e ad altre ideologie verdi fuorvianti, questa storia riguarda tutta il cambiamento climatico.
Purtroppo, una storia politicamente scorretta come questa non va da nessuna parte. Ma "A Miami, affogheranno tutti entro sei anni " potrebbe andare.
Oh, a proposito, propongo che la ragione più probabile degli incendi è che gli attivisti del riscaldamento globale vogliono darne la colpa al cambiamento climatico.
09/01/20
Papilloma Virus: il vaccino riduce davvero il rischio di cancro?
Pubblichiamo un articolo di Agoravox che, basandosi su una corposa rassegna di fonti scientifiche, mette in dubbio l’opportunità di vaccinare massivamente i giovani contro l’HPV, in particolare i soggetti di età maggiore, che potrebbero già essere venuti a contatto col virus. L’attuale frenesia nell'imporre ed estendere l’uso dei vaccini sembra anche in questo caso non fermarsi di fronte a nulla: né ai costi eccessivi del vaccino, né alle complicazioni e ai possibili effetti opposti a quelli desiderati che l’uso del farmaco ha evidenziato.
03/01/20
Twitter mi censura ancora
Pubblichiamo un intervento del giornalista Yasha Levine, che ha sperimentato la censura che Twitter può operare senza fornire alcuna spiegazione in merito. Il ricorso massivo alla sistematica censura dai parte di social media privati, totalmente esenti da responsabilità verso chicchessia, denota una pericolosa deriva autoritaria della società odierna. È triste constatare che molti sprovveduti ancora invocano l’intervento di queste società per silenziare coloro che esprimono una opinione diversa dalla propria. Senza rendersi conto che saranno i prossimi ad essere censurati alla prima occasione.
Di Yasha Levine, 27 dicembre 2019
Già da una settimana Twitter ha bloccato il mio account a causa di un tweet che faceva riferimento al mio recente articolo su “Immigrati come arma” – quello che parlava dell’impeachment a Trump e della “Dottrina Ucraina”. Ancora non ho alcuna informazione su come Twitter abbia preso questa decisione e come sia successo – e questo anche dopo che un rappresentante delle pubbliche relazioni di Twitter ha risposto alla mia mail e si è offerto di spiegare cosa è accaduto. In realtà, la risposta di Twitter è la cosa più irritante di tutta la vicenda.
Ho mandato a Twitter una mail il 24 dicembre, chiedendo alla società di spiegare come ha iniziato a censurare le opinioni politiche sulla sua piattaforma. Una rappresentante mi ha risposto qualche giorno dopo. Ma prima che accettasse di darmi i dettagli di quanto era avvenuto, mi ha chiesto di non citarla direttamente e di mantenere quello che mi diceva “in sottofondo” e “solo per capirci”. Nel mondo del giornalismo e delle relazioni dei grandi media, questo dovrebbe essere un segno che il tuo contatto si aprirà e discuterà gli avvenimenti in maniera un po’ più franca, Ti diranno quello che è successo, ma non vogliono che la cosa venga attribuita direttamente a loro.
Ho accettato, pensando che fosse l’unica maniera che avevo per carpire qualche informazione da questa società notoriamente opaca nelle comunicazioni.
Che cosa mi ha detto la rappresentante? Nulla. Anzi, peggio che nulla. Ha ignorato tutte le mie domande e ha semplicemente ripetuto lo stesso messaggio generico che avevo ricevuto dal sistema di censura di Twitter quasi una settimana prima:
In background / secondo Twitter: il tuo account è bloccato per aver violato le Regole di Twitter. Come da comunicazione a te inviata dal Supporto Twitter, ti è richiesto di cancellare un Tweet per riprendere l’accesso al tuo account.
In pratica era un grande “vai a farti fottere”. Punto. Ora Twitter ignora le mie mail.
E perché non dovrebbe? Twitter è una piattaforma privata. Posso anche essere un famoso giornalista con una certa rispettabilità nel mainstream e avere un certo numero di sostenitori dalla mia parte, ma non ho comunque alcun diritto su Twitter – salvo quelli che la compagnia ritiene di concedermi. Quindi non posso fare nulla. Ho usato Twitter da giornalista per anni nel mio lavoro, ma [il mio account] può essere chiuso, cancellato e sparire con la semplice pressione di un bottone senza possibilità di ricorso.
L’America non è l’Unione Sovietica, ma ovviamente questo non significa che la censura non esista. In questo caso abbiamo appaltato la censura dei nostri media politici a un potere privato concentrato e che non è responsabile verso nessuno: società che sono totalmente integrate nell’establishment finanziario, politico e di sicurezza nazionale. Ed ecco come funziona questo potere: in maniera opaca e senza guardare in faccia nessuno.
https://mobile.twitter.com/yashalevine/status/1210690828558979072
Non sono certo il primo e di sicuro non sarò l’ultimo a rendermene conto. Succede in ogni momento, a tutti i tipi di persone. Quello che è stupefacente è che c’è un costante appello a un maggiore, non minore, controllo della libertà di parola da parte di queste società.
—Yasha Levine
PS: Naturalmente, funziona anche al contrario. Twitter può collaborare con il nostro apparato di politica estera per mantenere aperte le comunicazioni, anziché chiuse e censurate.
Traduzione:
Washington attinge a una nuova forza potente nella diplomazia (16 giugno 2009)
Washington - L'amministrazione Obama sostiene di avere cercato di evitare parole o azioni che potessero essere viste come un intromissione americana nelle elezioni presidenziali iraniane e nelle loro tumultuose conseguenze.
Eppure lunedì mattina un funzionario 27enne del Dipartimento di Stato, Jared Cohen, ha mandato una richiesta insolita via mail a Twitter: ritardare la manutenzione programmata del suo global network, che avrebbe interrotto il servizio mentre gli iraniani usavano Twitter per scambiarsi informazioni e per informare il mondo esterno riguardo alle crescenti proteste intorno a Teheran.
La richiesta, indirizzata a un co-fondatore di Twitter, Jack Dorsey, è un'altra pietra miliare per i nuovi media: il governo degli Stati Uniti riconosce che un servizio social di internet, che fino a quattro anni fa non esisteva, ha la possibilità di cambiare la storia di un antico paese islamico.
"Si è trattato solo di una chiamata per dire 'sembra che Twitter stia giocando un ruolo importante in un momento cruciale per l'Iran. Potreste lasciarlo funzionare?'" ha dichiarato P.J. Crowley, assistente segretario di Stato agli affari pubblici.
Twitter ha esaudito la richiesta, dichiarando lunedì in un post che ritardava l'aggiornamento del sito fino al tardo pomeriggio di martedì - le 13:30 ora di Teheran - perché i suoi partner riconoscevano "il ruolo che Twitter sta attualmente interpretando in quanto importante strumento di comunicazione in Iran". La piattaforma ha ripreso a funzionare normalmente martedì sera.
Il Dipartimento di Stato ha sostenuto che la sua richiesta non costituiva un'interferenza. Cohen, secondo loro, ha contattato Twitter solo tre giorni dopo il voto e ben dopo che le proteste erano iniziate.
Di Yasha Levine, 27 dicembre 2019
Già da una settimana Twitter ha bloccato il mio account a causa di un tweet che faceva riferimento al mio recente articolo su “Immigrati come arma” – quello che parlava dell’impeachment a Trump e della “Dottrina Ucraina”. Ancora non ho alcuna informazione su come Twitter abbia preso questa decisione e come sia successo – e questo anche dopo che un rappresentante delle pubbliche relazioni di Twitter ha risposto alla mia mail e si è offerto di spiegare cosa è accaduto. In realtà, la risposta di Twitter è la cosa più irritante di tutta la vicenda.
Ho mandato a Twitter una mail il 24 dicembre, chiedendo alla società di spiegare come ha iniziato a censurare le opinioni politiche sulla sua piattaforma. Una rappresentante mi ha risposto qualche giorno dopo. Ma prima che accettasse di darmi i dettagli di quanto era avvenuto, mi ha chiesto di non citarla direttamente e di mantenere quello che mi diceva “in sottofondo” e “solo per capirci”. Nel mondo del giornalismo e delle relazioni dei grandi media, questo dovrebbe essere un segno che il tuo contatto si aprirà e discuterà gli avvenimenti in maniera un po’ più franca, Ti diranno quello che è successo, ma non vogliono che la cosa venga attribuita direttamente a loro.
Ho accettato, pensando che fosse l’unica maniera che avevo per carpire qualche informazione da questa società notoriamente opaca nelle comunicazioni.
Che cosa mi ha detto la rappresentante? Nulla. Anzi, peggio che nulla. Ha ignorato tutte le mie domande e ha semplicemente ripetuto lo stesso messaggio generico che avevo ricevuto dal sistema di censura di Twitter quasi una settimana prima:
In background / secondo Twitter: il tuo account è bloccato per aver violato le Regole di Twitter. Come da comunicazione a te inviata dal Supporto Twitter, ti è richiesto di cancellare un Tweet per riprendere l’accesso al tuo account.
In pratica era un grande “vai a farti fottere”. Punto. Ora Twitter ignora le mie mail.
E perché non dovrebbe? Twitter è una piattaforma privata. Posso anche essere un famoso giornalista con una certa rispettabilità nel mainstream e avere un certo numero di sostenitori dalla mia parte, ma non ho comunque alcun diritto su Twitter – salvo quelli che la compagnia ritiene di concedermi. Quindi non posso fare nulla. Ho usato Twitter da giornalista per anni nel mio lavoro, ma [il mio account] può essere chiuso, cancellato e sparire con la semplice pressione di un bottone senza possibilità di ricorso.
L’America non è l’Unione Sovietica, ma ovviamente questo non significa che la censura non esista. In questo caso abbiamo appaltato la censura dei nostri media politici a un potere privato concentrato e che non è responsabile verso nessuno: società che sono totalmente integrate nell’establishment finanziario, politico e di sicurezza nazionale. Ed ecco come funziona questo potere: in maniera opaca e senza guardare in faccia nessuno.
https://mobile.twitter.com/yashalevine/status/1210690828558979072
Non sono certo il primo e di sicuro non sarò l’ultimo a rendermene conto. Succede in ogni momento, a tutti i tipi di persone. Quello che è stupefacente è che c’è un costante appello a un maggiore, non minore, controllo della libertà di parola da parte di queste società.
—Yasha Levine
PS: Naturalmente, funziona anche al contrario. Twitter può collaborare con il nostro apparato di politica estera per mantenere aperte le comunicazioni, anziché chiuse e censurate.
Traduzione:
Washington attinge a una nuova forza potente nella diplomazia (16 giugno 2009)
Washington - L'amministrazione Obama sostiene di avere cercato di evitare parole o azioni che potessero essere viste come un intromissione americana nelle elezioni presidenziali iraniane e nelle loro tumultuose conseguenze.
Eppure lunedì mattina un funzionario 27enne del Dipartimento di Stato, Jared Cohen, ha mandato una richiesta insolita via mail a Twitter: ritardare la manutenzione programmata del suo global network, che avrebbe interrotto il servizio mentre gli iraniani usavano Twitter per scambiarsi informazioni e per informare il mondo esterno riguardo alle crescenti proteste intorno a Teheran.
La richiesta, indirizzata a un co-fondatore di Twitter, Jack Dorsey, è un'altra pietra miliare per i nuovi media: il governo degli Stati Uniti riconosce che un servizio social di internet, che fino a quattro anni fa non esisteva, ha la possibilità di cambiare la storia di un antico paese islamico.
"Si è trattato solo di una chiamata per dire 'sembra che Twitter stia giocando un ruolo importante in un momento cruciale per l'Iran. Potreste lasciarlo funzionare?'" ha dichiarato P.J. Crowley, assistente segretario di Stato agli affari pubblici.
Twitter ha esaudito la richiesta, dichiarando lunedì in un post che ritardava l'aggiornamento del sito fino al tardo pomeriggio di martedì - le 13:30 ora di Teheran - perché i suoi partner riconoscevano "il ruolo che Twitter sta attualmente interpretando in quanto importante strumento di comunicazione in Iran". La piattaforma ha ripreso a funzionare normalmente martedì sera.
Il Dipartimento di Stato ha sostenuto che la sua richiesta non costituiva un'interferenza. Cohen, secondo loro, ha contattato Twitter solo tre giorni dopo il voto e ben dopo che le proteste erano iniziate.
Putin ricorda all’Occidente: coloro che ignorano la storia sono condannati a ripeterla
Mentre l’Unione Europea a guida tedesca si sforza comicamente di scaricare i crimini nazisti sulla coscienza della Russia, Putin ricorda alcuni semplici fatti allo smemorato occidente: Francia e Inghilterra scesero a patti con i nazisti ben prima dell’URSS, ammiravano i politici Mussolini e Hitler e ne condividevano le idee sull’eugenetica. Chi usa l’antinazismo ai propri fini politici, salvo poi appoggiare i gruppi di veri neonazisti in Ucraina, è destinato a ripetere gli errori del passato.
Di Matthew Ehret, 1 gennaio 2020
Il Presidente Putin ha recentemente suscitato un vespaio ricordando alle nazioni occidentale la loro complicità nel sostenere l’ascesa del Nazismo, molto prima che venisse firmato il patto Molotov-Ribbentrop il 23 agosto del 1939.
Ma cosa ha riguardato esattamente questo vespaio?
Tra il 19 e il 24 dicembre, Putin ha parlato in diverse occasioni del pericolo di una rinascita del fascismo in Europa apostrofando l’allora ambasciatore polacco in Germania, Józef Lipski (1934-1939), come “Feccia e maiale antisemita, non c’è altro modo di descriverlo… Condivideva i sentimenti anti-semiti di Hitler e promise addirittura di erigere un monumento a Varsavia per celebrare la persecuzione del popolo ebraico”.
Putin ha pronunciato queste parole più che altro per sottolineare la grande ipocrisia nascosta sotto la forma di una Risoluzione del Parlamento Europeo, adottata il 17 settembre, che chiedeva agli Stati Europei di riconoscere ufficialmente che il Patto di non aggressione russo-tedesco del 1939 (chiamato Patto Molotov-Ribbentrop) fu l’unica causa della Seconda Guerra Mondiale! L’attuale governo polacco ha dimostrato di essere uno dei sostenitori più sfegatati di questa risoluzione, cosa particolarmente pericolosa in quanto è anche uno dei membri NATO di maggiore importanza strategica e che ospita lo scudo balistico antimissile (ABM) nel suo territorio, come parte della dottrina militare di “Dominio a Completo Spettro” predicata dagli utopisti militare industriali della NATO e del “Deep State” americano.
Putin ha ricordato ai suoi ascoltatori che la vera responsabilità della guerra dovrebbe essere attribuita a quelle potenze europee che avevano già firmato patti di non aggressione con Hitler molto prima della Russia, a cominciare dall’Accordo di Monaco del 1938 tra la Francia, l’Inghilterra e la Germania, che avrebbe permesso più tardi l’annessione tedesca della Cecoslovacchia. Su questo punto, Putin ha detto: “Facciamogli leggere i documenti storici, così che possano vedere che l’accordo di Monaco fu firmato nel 1938: i leader dei più importanti paesi europei – la Francia e il Regno Unito – firmarono un accordo con Hitler per dividere la Cecoslovacchia”.
Il leader russo ha continuato dicendo “E’ gente come questa che ha negoziato con Hitler – è gente come quella che oggi sta distruggendo i monumenti ai soldati che ci hanno liberato dal nazismo, soldati dell’Armata Rossa che hanno liberato l’Europa e i popoli europei dai nazisti”.
Il riferimento di Putin alla “distruzione di monumenti” faceva diretto riferimento alla Polonia, che si è distinta come il più entusiasta tra i distruttori di monumenti pro-sovietici dedicati alla Seconda guerra mondiale negli ultimi 30 anni. Dal 1989, centinaia di questi monumenti sono stati abbattuti e, nonostante ne rimangano ancora 200, il loro futuro è in grande pericolo, dato che il clima anti-russo è a un massimo storico. Altre nazioni che facevano parte del Patto di Varsavia e che hanno seguito le stesse orme nella distruzione di monumenti pro-russi negli ultimi anni sono lo stato neonazista dell’Ucraina, la Repubblica Ceca e la Bulgaria.
Ora, aggiungerò un’altra verità scomoda che è stata sollevata dagli avvertimenti di Putin: la posizione filonazista dell’ambasciatore polacco e le politiche filonaziste da parte di Inghilterra e Francia non erano casi isolati negli anni che precedettero la Seconda Guerra Mondiale. Il fatto è che l’eugenetica come quasi-scienza razzista aveva ottenuto un’adesione semi-religiosa da buona parte dell’establishment politico e scientifico occidentale durante gli anni ’20 e ’30, con sostenitori di spicco, in Inghilterra, quali Sir Winston Churchill, il fascista britannico Sir Oswald Mosley e Re Edoardo VIII, che vantavano l’importanza della “purificazione della razza”.
Churchill nel 1933 definì Mussolini “il più grande tra i legislatori” e nel 1938 disse: “se l’Inghilterra dovesse subire un disastro nazionale, dovrebbe pregare Dio che invii un uomo dalla forza mentale e dalla volontà di Adolph Hitler”.
Il regime francese di Vichy aveva abbracciato l’eugenetica sotto la guida del fanatico antisemita Feldmaresciallo Pétain, che non vedeva l’ora di collaborare coi Nazisti. Viene facilmente dimenticato che perfino le leggi tedesche sulla sterilizzazione furono modellate sulle leggi eugenetiche americane e canadesi, che erano già in vigore da decenni.Si tratta di un affare un po' imbarazzante per l’occidente che le Fondazioni Rockefeller/Carnegie abbiano riversato soldi nelle università occidentali e tedesche sin dal 1912 per legittimare la “scienza della purificazione razziale”, una copertura per il “controllo della popolazione”.
Infine, non dimentichiamo che la stessa Wall Street e le banche della City di Londra che oggi spingono per un governo fascista globale mondiale avevano entusiasticamente riversato delle fortune nei forzieri di guerra fascisti durante il decennio che precedette la Seconda Guerra Mondiale.
Quindi, quando Putin evidenzia l’ipocrisia delle nazioni occidentali, cieche alle lezioni del loro passato, non è preoccupato tanto del passato, quanto perché sa che coloro che ignorano la loro vera storia sono condannati a ripeterla.
Di Matthew Ehret, 1 gennaio 2020
Il Presidente Putin ha recentemente suscitato un vespaio ricordando alle nazioni occidentale la loro complicità nel sostenere l’ascesa del Nazismo, molto prima che venisse firmato il patto Molotov-Ribbentrop il 23 agosto del 1939.
Ma cosa ha riguardato esattamente questo vespaio?
Tra il 19 e il 24 dicembre, Putin ha parlato in diverse occasioni del pericolo di una rinascita del fascismo in Europa apostrofando l’allora ambasciatore polacco in Germania, Józef Lipski (1934-1939), come “Feccia e maiale antisemita, non c’è altro modo di descriverlo… Condivideva i sentimenti anti-semiti di Hitler e promise addirittura di erigere un monumento a Varsavia per celebrare la persecuzione del popolo ebraico”.
Putin ha pronunciato queste parole più che altro per sottolineare la grande ipocrisia nascosta sotto la forma di una Risoluzione del Parlamento Europeo, adottata il 17 settembre, che chiedeva agli Stati Europei di riconoscere ufficialmente che il Patto di non aggressione russo-tedesco del 1939 (chiamato Patto Molotov-Ribbentrop) fu l’unica causa della Seconda Guerra Mondiale! L’attuale governo polacco ha dimostrato di essere uno dei sostenitori più sfegatati di questa risoluzione, cosa particolarmente pericolosa in quanto è anche uno dei membri NATO di maggiore importanza strategica e che ospita lo scudo balistico antimissile (ABM) nel suo territorio, come parte della dottrina militare di “Dominio a Completo Spettro” predicata dagli utopisti militare industriali della NATO e del “Deep State” americano.
Putin ha ricordato ai suoi ascoltatori che la vera responsabilità della guerra dovrebbe essere attribuita a quelle potenze europee che avevano già firmato patti di non aggressione con Hitler molto prima della Russia, a cominciare dall’Accordo di Monaco del 1938 tra la Francia, l’Inghilterra e la Germania, che avrebbe permesso più tardi l’annessione tedesca della Cecoslovacchia. Su questo punto, Putin ha detto: “Facciamogli leggere i documenti storici, così che possano vedere che l’accordo di Monaco fu firmato nel 1938: i leader dei più importanti paesi europei – la Francia e il Regno Unito – firmarono un accordo con Hitler per dividere la Cecoslovacchia”.
Il leader russo ha continuato dicendo “E’ gente come questa che ha negoziato con Hitler – è gente come quella che oggi sta distruggendo i monumenti ai soldati che ci hanno liberato dal nazismo, soldati dell’Armata Rossa che hanno liberato l’Europa e i popoli europei dai nazisti”.
Il riferimento di Putin alla “distruzione di monumenti” faceva diretto riferimento alla Polonia, che si è distinta come il più entusiasta tra i distruttori di monumenti pro-sovietici dedicati alla Seconda guerra mondiale negli ultimi 30 anni. Dal 1989, centinaia di questi monumenti sono stati abbattuti e, nonostante ne rimangano ancora 200, il loro futuro è in grande pericolo, dato che il clima anti-russo è a un massimo storico. Altre nazioni che facevano parte del Patto di Varsavia e che hanno seguito le stesse orme nella distruzione di monumenti pro-russi negli ultimi anni sono lo stato neonazista dell’Ucraina, la Repubblica Ceca e la Bulgaria.
Ora, aggiungerò un’altra verità scomoda che è stata sollevata dagli avvertimenti di Putin: la posizione filonazista dell’ambasciatore polacco e le politiche filonaziste da parte di Inghilterra e Francia non erano casi isolati negli anni che precedettero la Seconda Guerra Mondiale. Il fatto è che l’eugenetica come quasi-scienza razzista aveva ottenuto un’adesione semi-religiosa da buona parte dell’establishment politico e scientifico occidentale durante gli anni ’20 e ’30, con sostenitori di spicco, in Inghilterra, quali Sir Winston Churchill, il fascista britannico Sir Oswald Mosley e Re Edoardo VIII, che vantavano l’importanza della “purificazione della razza”.
Churchill nel 1933 definì Mussolini “il più grande tra i legislatori” e nel 1938 disse: “se l’Inghilterra dovesse subire un disastro nazionale, dovrebbe pregare Dio che invii un uomo dalla forza mentale e dalla volontà di Adolph Hitler”.
Il regime francese di Vichy aveva abbracciato l’eugenetica sotto la guida del fanatico antisemita Feldmaresciallo Pétain, che non vedeva l’ora di collaborare coi Nazisti. Viene facilmente dimenticato che perfino le leggi tedesche sulla sterilizzazione furono modellate sulle leggi eugenetiche americane e canadesi, che erano già in vigore da decenni.Si tratta di un affare un po' imbarazzante per l’occidente che le Fondazioni Rockefeller/Carnegie abbiano riversato soldi nelle università occidentali e tedesche sin dal 1912 per legittimare la “scienza della purificazione razziale”, una copertura per il “controllo della popolazione”.
Infine, non dimentichiamo che la stessa Wall Street e le banche della City di Londra che oggi spingono per un governo fascista globale mondiale avevano entusiasticamente riversato delle fortune nei forzieri di guerra fascisti durante il decennio che precedette la Seconda Guerra Mondiale.
Quindi, quando Putin evidenzia l’ipocrisia delle nazioni occidentali, cieche alle lezioni del loro passato, non è preoccupato tanto del passato, quanto perché sa che coloro che ignorano la loro vera storia sono condannati a ripeterla.
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