Un articolo segnalatomi tempo fa (mi scuso, ma non ricordo più da chi) e che può essere molto utile da leggere oggi nel Giorno della Memoria, per tenere a mente quello che è stato l'importante ruolo dei medici e degli scienziati nelle atrocità naziste. Quando la scienza perde il suo legame con l'etica e la filosofia morale, non ha più una bussola che la guida e può facilmente invertire quello che sarebbe il suo scopo originario, a favore della persona umana.
Nella risposta, e nelle sue conseguenze, un bioeticista può
trovare delle lezioni di morale per i medici di oggi.
DI ASHLEY K. FERNANDES*, 10 dicembre 2020
Questo saggio è scritto dal punto di vista di un medico, un
docente della materia e un bioeticista che trova nel deplorevole coinvolgimento
dei medici nella Shoah un'opportunità per evidenziare delle lezioni morali sempre
valide per la professione medica. Medicina e diritto sono intimamente legati
tra loro e, a partire dalla professionalizzazione della medicina negli Stati
Uniti e in Europa nella seconda metà dell'Ottocento, lo sono ancora di più. Una
disciplina che collega entrambi è la filosofia morale; poiché tanto la legge
quanto la medicina implicano la ragione e la volontà orientate al bene della
persona. Quindi, la storia dell'Olocausto è una tragedia che si è svolta a
causa della corruzione della filosofia morale prima, della medicina e del
diritto in secondo luogo.
Perché questo è importante? Il motivo è che c'è chi si oppone all'applicazione ai giorni nostri delle lezioni apprese dagli orrori della medicina nazista. Alcuni dicono che la “medicina nazista” non fosse vera medicina o scienza: non possiamo nemmeno chiamare “medicina” ciò che facevano i nazisti, poiché la medicina contiene in sé un presupposto di rigore e benevolenza. Questa è un'obiezione che sento da scienziati medici, che indicano le garanzie rappresentate dal Codice di Norimberga (1947), dalla Dichiarazione di Helsinki (1964) e dal Rapporto Belmont (1978) come prova della natura radicalmente diversa della scienza odierna. Ma questo argomento è circolare. Definisce la scienza come "buona scienza" (relegando qualsiasi cosa non etica a "cattiva scienza" o "pseudoscienza"), quando in realtà queste stesse tutele sono nate dagli abusi di quello che allora era il paese scientificamente più avanzato del mondo. La medicina di allora, come quella di oggi, non è immune da queste prevaricazioni, come dimostrano gli orribili abusi del dopoguerra a Tuskegee e altrove.
Altri studiosi hanno suggerito che la vera causa dell'Olocausto fosse economica, politica o razziale - non morale - e che, poiché gli Stati Uniti hanno un sistema politico, economico e culturale radicalmente diverso, l'uso dell’ "analogia nazista” dovrebbe essere limitato. Gli abusi medici oggi sono in qualche modo meno probabili, perché le considerazioni economiche, politiche e culturali sono altamente specifiche. Un eminente bioeticista, ad esempio, ha osservato:
"Una componente chiave del pensiero nazista era liberare la Germania... da quelli che erano ritenuti dei fardelli economici sullo stato... una paura radicata nell'amara esperienza successiva alla prima guerra mondiale. … [Questi temi] hanno poco a che fare con il dibattito contemporaneo su scienza, medicina o tecnologia."
Mentre sono d'accordo sul fatto che la cosiddetta “analogia nazista” sia stata usata in maniera impropria e persino abusata, e quindi dovrebbe essere usata con moderazione e precisione, per non correre il rischio di spingersi troppo in là, suggerire che l'Olocausto fosse "semplicemente" motivato da ragioni politiche può essere falsamente rassicurante. Anche ammettendo la (discutibile) affermazione che la motivazione principale dell'Olocausto fosse economica o politica, i nazisti in qualche modo fecero il salto dall'identificare delle persone come "pesi economici" al considerarle assolutamente e totalmente sacrificabili.
Infine, va notato che così come la filosofia ha un impatto decisivo sia sulla medicina che sul diritto, medicina e diritto esercitano importanti effetti l’una sull’altro. Le leggi naziste sulla sterilizzazione, le leggi sul matrimonio di Norimberga e le direttive sull'eutanasia cambiarono tutte irrevocabilmente la natura del rapporto medico-paziente autorizzando e dando concretezza a idee vili che fino ad allora erano state discusse, ma non tecnicamente consentite.
Val la pena sottolineare che sebbene molte professioni (compreso il diritto) siano state "coinvolte" dalla filosofia nazista, medici e infermieri subirono un'attrazione particolarmente forte. Robert N. Proctor (1988) osserva che i medici si unirono al partito nazista in massa (nel 1945 quasi il 50%), molto più di qualsiasi altra professione. I medici avevano sette volte più probabilità di unirsi alle SS rispetto ad altri occupati maschi tedeschi. Anche gli infermieri sono stati importanti collaboratori. L'Olocausto dovrebbe essere studiato da ogni professionista sanitario per ricordare quanto sia sacra la sostanza del nostro mestiere e quali possono essere le conseguenze se dimentichiamo nuovamente la dignità delle persone.
Tra il 1933 e il 1945, i nazisti stabilirono una "biocrazia", che alla fine uccise milioni di persone innocenti. L'idea che i medici fossero in qualche modo "costretti" a partecipare è un mito infranto. Il testo senza precedenti di Proctor (1988) rende il concetto evidente in maniera assolutamente chiara; The Nazi Doctors (2000) di Robert J. Lifton traccia meticolosamente sia la medicalizzazione della morte, dall'eugenetica all'eutanasia fino ad Auschwitz, sia le storie dei medici che hanno perpetrato il genocidio, vi sono stati soggetti e hanno resistito. Quindi, con una grande ricchezza di ricerche storiche sull'argomento, un resoconto completo di questa progressione da fidati guaritori ad assassini autorizzati dallo stato, va oltre lo scopo di questo saggio.
Nel 1859, Charles Darwin pubblicò L'origine delle specie. Questa teoria scientifica ha chiarito la teoria dell'evoluzione in un'era pre-genetica, ma non ha fatto grandi affermazioni sull'antropologia filosofica. Il lavoro di Darwin era decisamente descrittivo, non prescrittivo. Più tardi, Francis Galton coniò il termine "eugenetica" nella sua opera Inquiries into Human Faculty and its Development (1883), e nacque l'applicazione dell'"evoluzione" a livello sociale. I darwinisti sociali come Charles B. Davenport negli Stati Uniti e Karl Pearson in Inghilterra, ad esempio, hanno sostenuto, in modi diversi e utilizzando il "linguaggio della scienza", che i geni dell'"adattamento" dovrebbero essere promossi, e i geni degli “inadatti” scoraggiati. Daniel J. Kevles (1995) traccia le origini del movimento eugenetico in Europa e negli Stati Uniti e la sua potente influenza sulla politica sociale nell'era prebellica, inclusa la resistenza che suscitò, in particolare da parte della Chiesa cattolica e dei suoi intellettuali (come GK Chesterton), così come da parte di una minoranza di brillanti scienziati laici.
Tuttavia, gli eugenetisti tedeschi portarono avanti lo "scoraggiamento degli inadatti", collaborando con entusiasmo con il partito nazista, poiché erano favorevoli alla sterilizzazione forzata degli "inadatti". Più di un decennio prima dei nazisti, Alfred Hoche e Karl Binding (1920) pubblicarono il loro libro molto apprezzato, Die Freigabe der Vernichtung lebensunwerten Lebens (L'autorizzazione alla distruzione della vita indegna della vita). Il libro parlava dei "deboli di mente incurabili" che avrebbero dovuto essere uccisi, ma per ora la sterilizzazione era un buon inizio.
La maggior parte delle persone sa come si è svolta in seguito la tragica storia: i nazisti salirono al potere in Germania nel 1933, attraverso un processo democratico, e quello stesso anno furono approvate le leggi per la sterilizzazione obbligatoria dei malati di mente. La “legge per la prevenzione della prole geneticamente malata” si basava sulle leggi americane approvate negli anni '20 e prevedeva 50.000 sterilizzazioni all'anno. Nel 1939, 350.000 persone erano state sterilizzate contro la loro volontà. Nel 1935 furono approvate le leggi di Norimberga, che vietavano i rapporti sessuali e i matrimoni misti tra tedeschi ed ebrei e istituivano i "tribunali della salute genetica". Le leggi sulla sterilizzazione portarono a rapidi progressi nella scienza e nella tecnologia della sterilizzazione, oltre a un notevole profitto per molti medici tedeschi: l'igiene razziale era diventata una vera e propria industria.
Per Hitler e per i medici nazisti, lo stato era analogo a un organismo vivente - un supremo vitalismo politico. In effetti, era molto più di un'analogia. Medici e scienziati nazisti, nel concepire la metafora biologica, hanno creato un concetto potente e facilmente comprensibile per la popolazione: il Reich tedesco è un corpo; tutto ciò che contribuiva alla salute e al benessere dello stato razziale doveva essere preservato, tutto ciò che non contribuiva poteva essere etichettato come "malattia". Gli ebrei sono una malattia; la malattia deve essere completamente eliminata (non semplicemente contenuta), poiché altrimenti avvelenerà e ucciderà il corpo.
Quindi, la sterilizzazione non era abbastanza. Il contenimento di una malattia è meno che liberarne il corpo. Nell'ottobre 1939 Hitler autorizzò l'eutanasia dei "malati incurabili". Il diritto alla vita ora doveva essere "giustificato" nell'ambito del programma nazista per l'eutanasia delle "vite non degne di essere vissute". Il programma iniziò segretamente con bambini disabili e, tra il 1937 e il 1945, i medici nazisti organizzarono e realizzarono più di 30 centri di eutanasia per bambini. La storia del passaggio dalla sterilizzazione all'eutanasia, la sua crudeltà ed efficienza e il suo impatto sulla progressione verso l'Olocausto sono ben documentati nel libro intenso e inquietante di Michael Burleigh, Death and Deliverance (1994).
La campagna di eutanasia nazista è stata pubblicamente giustificata con quattro argomenti principali. Primo, liberare la Germania dagli inadatti era semplicemente "buona scienza". Chi meglio dei medici tedeschi, che erano già i migliori al mondo, poteva stabilire cosa costituisse una buona scienza? Gli esperti sapevano cosa era meglio per l'organsmo tedesco.
In secondo luogo, l'eutanasia era considerata umana. Poiché era sostenuta e attuata da una professione con una lunga tradizione di assistenza e cura, l'argomento era ancora più persuasivo. Per questo motivo l'eutanasia pediatrica è stata spesso sostenuta da molti genitori di bambini disabili; pur con motivazioni contrastanti, molti volevano evitare il forte stigma di avere un figlio disabile. Questo conflitto di interessi mostra come la cultura medica possa influenzare l'etica sia degli individui che della società in generale.
Karl Brandt, il famigerato medico nazista, pronunciò a Norimberga questa preoccupante e persuasiva dichiarazione di difesa - una difesa con cui ancora sfido i miei studenti e docenti:
"Gli esseri umani che non possono aiutare sé stessi e che mostrano una vita di sofferenza devono essere aiutati. Questa considerazione non è disumana. Non l’ho mai sentita come non etica o immorale. Ma una cosa mi sembra necessaria: se qualcuno vuole giudicare la questione dell'eutanasia, deve entrare in un manicomio e deve stare lì con i malati per qualche giorno. Allora potremo fargli due domande: la prima sarebbe se lui stesso vorrebbe vivere così, e la seconda, di chiedere a uno dei suoi parenti se volesse vivere in quel modo, forse suo figlio o i suoi genitori."
Questa non era la "difesa di un mostro". Ma se le
parole di Brandt sono persuasive, dobbiamo avere un rimedio, sia intellettuale
che esperienziale, per confutarle.
Ancora, la sfida del Dr. Brandt combina la giustificazione dell'"umanità" con un’altra. Soprattutto nel caso dei bambini e dei disabili mentali, l'eutanasia era considerata "razionale", nel senso che se solo avessero potuto sceglierla essi stessi sotto "un velo di ignoranza", per fare riferimento alla terminologia di un filosofo morale del dopoguerra, lo avrebbero fatto. Va notato che i medici all'epoca erano più preoccupati per la "legalità" che per la moralità dell'eutanasia, e molti insistevano sul fatto che l'eutanasia fosse una "questione privata" tra pazienti e medici.
Infine, l'uccisione con l'eutanasia era giustificata indipendentemente, sulla base della premessa che fosse un bene per lo stato razziale. Quel "bene" eclissava il bene dell'essere individuale. Dovrebbe essere abbastanza ovvio che ci sono forti paralleli tra queste ragioni e gli argomenti contemporanei a favore dell'eutanasia oggi. Mentre un resoconto completo di questi paralleli va oltre lo scopo di questo saggio, i lettori dovrebbero notare le giustificazioni del professor Peter Singer per l'eutanasia e la risposta acutamente critica di Michael Burleigh in Death and Deliverance.
Alla fine del programma “T4” per l'eutanasia di adulti e bambini disabili, tra le 70.000 e le 100.000 persone avevano perso la vita; lo stigma contro i vulnerabili nell'atteggiamento e nel linguaggio era stato codificato in legge. Secondo Proctor, questi tre programmi - la sterilizzazione forzata degli "inadatti", le leggi di Norimberga e le leggi sull'eutanasia sono stati i principali mezzi che i medici e gli scienziati nazisti hanno usato per realizzare l'"igiene razziale" e hanno portato direttamente alle enormi responsabilità dei medici e degli scienziati per il genocidio nei campi di sterminio.
Ma il degrado e la morte non si limitavano all'aspetto clinico della medicina. Gli abusi della ricerca da parte di medici e scienziati, condotti negli ospedali così come nei campi, andavano dagli interventi inutili dal punto di vista scientifico (come le iniezione di tifo ai prigionieri), a quelli più sinistri (come amputazione di arti e "trapianto" su altri corpi), e sono ben documentati altrove. I medici erano tenuti in così alta stima e ritenuti di così alto carattere morale, che la sperimentazione era giustificata in quanto avvantaggiava la società, si aggiungeva alle già numerose conoscenze (un bene in sé) e spesso (ma non sempre) beneficiava il paziente. Non dovrebbe sorprendere che durante questo periodo, e successivamente, anche altre popolazioni (come gli afroamericani negli Stati Uniti e i prigionieri di guerra in Giappone) siano state sottoposte a sperimentazioni umane grottesche e immorali.
Nel 1942, e come diretta conseguenza di una radicata tradizione di antisemitismo all'interno della comunità medica tedesca, delle chiese cristiane e dell'Europa in generale, fu proposta la "Soluzione Finale": l'omicidio dell'intera popolazione ebraica europea. Attraverso ciò che può essere chiamato, in termini moderni, il "patrocinio" della medicina nazista, si è prodotto un effetto profondamente negativo sulla cultura. I medici, vestiti di camice bianco, davano l'imprimatur al fatto che in effetti quelli che dovevano essere gasati non erano affatto persone umane:
Passo dopo passo, le procedure di annientamento erano supervisionate - e, in un senso perverso, nobilitate - dalla presenza di personale medico. … Potremmo dire che il dottore in piedi sulla rampa rappresentava una sorta di punto omega, un mitico custode tra il mondo dei morti e quello dei vivi, un percorso finale comune della visione nazista della terapia attraverso l'omicidio di massa.
L'uccisione di 6 milioni di ebrei e di 9 milioni di "altri" - avrebbe potuto essere compiuta solo attraverso un'accettazione di una antropologia filosofica invertita. La scienza da sola non avrebbe potuto compiere questa distruzione, perché la scienza non è mai sola. Quindi, anche se non possiamo uccidere persone, possiamo uccidere animali, vegetali e subumani. Ciò di cui i nazisti avevano bisogno era una filosofia per escludere le vite scomode agli obiettivi della Razza, e poi la scienza, per uccidere. Ecco perché l'Olocausto può essere considerato un "assalto bioetico" alla persona umana.
Quasi due decenni fa, il compianto Edmund Pellegrino, M.D.,
uno dei padri della bioetica moderna e mio mentore, ci diede un punto da cui partire per trarre delle lezioni preziose e durature dopo Norimberga:
Pellegrino aveva ragione. L'Olocausto non è semplicemente una lezione di storia, è una lezione duratura di etica filosofica. Queste lezioni sono forse più importanti da ricordare oggi, poiché i ricordi personali della Shoah svaniscono, i sopravvissuti e i liberatori stessi diventano parte della storia e i giovani medici si diplomano in medicina con meno empatia e resilienza morale rispetto a quando hanno iniziato.
I medici che hanno attivamente aiutato l'Olocausto credevano di praticare la "buona scienza". Ma la verità scientifica da sola non "afferra" la realtà della vita e, se lo crediamo, siamo già avanti sulla strada verso quel che il compianto Jean Bethke-Elshtain chiamava "fondamentalismo scientifico". Medici e operatori sanitari devono, quindi, ricordare l'Olocausto, ma ricordare, come ha detto Papa Giovanni Paolo II durante la sua visita allo Yad Vashem, di "ricordare con uno scopo". Articolerò brevemente cinque lezioni della tragedia della medicina nazista che dobbiamo ricordare e integrare nella nostra pratica medica, se la medicina vuole sopravvivere come professione di guarigione.
In primo luogo, ed è forse la cosa più fondamentale, dobbiamo affermare un forte personalismo. Questa antropologia è stata descritta brevemente sopra, e pù ampiamente altrove, da Maritain, ma ha anche da altri importanti esponenti come Mohandas Gandhi, Martin Luther King Jr. e il filosofo Karol Wojtyla (Papa Giovanni Paolo II). Il personalismo postula che l'ultima unità di valore della vita umana sia la persona stessa. La società è e deve essere costruita attorno a questo valore. In breve, la società è creata per la persona, non la persona per la società, e quindi la dignità e l'integrità della persona e la sua libertà non possono essere sacrificate per il bene della società. Nessun fattore contingente - razza, religione, stato economico, disabilità o azioni del passato, presente o futuro - può privare una persona della dignità che le è dovuta. L'integrazione di questo tipo di antropologia filosofica rigorosa e universale è un antidoto alla corruzione della medicina ed è vitale per la prevenzione di futuri genocidi.
Tuttavia, parallelismi inquietanti nella nostra cultura medica, accademica e sociale contemporanea ora sostengono, ad esempio, l'aborto come forma di eugenetica e di riduzione del crimine; la sterilizzazione coatta dei detenuti; la diagnosi genetica preimpianto come mezzo per diffondere i “geni buoni”; e tour di Auschwitz come "esperienza di apprendimento" per i sostenitori dell'eutanasia. L'aborto mirato per bambini non ancora nati con condizioni genetiche come la trisomia 21 e la fibrosi cistica hanno ridotto le popolazioni di oltre il 90% e sono giustificati da motivi utilitaristici. Ma se una persona è l'unità di valore fondamentale della nostra società, allora nessun “altro bene” può eclissarla. Dal punto di vista politico, legale e medico, ciò significherebbe una definizione ampia e ferma di persona, poiché è un rischio molto minore fornire protezione a un'entità in cui la personalità è possibile, piuttosto che distruggere la vita di una persona che alla fine meritava la nostra protezione . In pratica, questo deve significare la fine del coinvolgimento dei medici nella tortura sponsorizzata dallo stato, nella pena capitale, nell'eutanasia, nella sterilizzazione eugenicamente motivata e nelle tecnologie riproduttive artificiali.
In secondo luogo, dobbiamo riconoscere una rigorosa
tutela alla coscienza dei medici e degli operatori sanitari. La letteratura
contemporanea in bioetica favorisce la rimozione delle leggi sulla tutela della
coscienza in particolare su "questioni scottanti" come l'aborto, la
contraccezione, la sterilizzazione e ora l'eutanasia. Tuttavia, il giuramento
di un medico nei confronti del suo paziente è forte quanto la sua coscienza;
permettetegli (o addirittura costringetelo) a romperlo, e avremo dimenticato:
un giorno, potrebbe essere il nostro turno di opporci alla corrente. Su questo
tema della tutela della coscienza in medicina sono stati scritti volumi ed
eloquenti difese (sebbene ancora minoritarie) da parte di Dan Sulmasy e altri, in
cui si chiarisce che la coscienza è una forza attiva e propulsiva che fa parte
di ciò che siamo come persone, e si avverte del pericolo di una bioetica
positivistica.
Una volta uno studente di medicina mi ha chiesto quale fosse la lezione più importante da apprendere secondo me. La mia risposta è stata questa: tra il bene e il male, non c'è uno "spazio sicuro" in cui stare. Non c'è un vuoto neutro dal quale un medico possa sottrarsi ai suoi doveri etici, attribuendoli ad altri. Al tempo dei nazisti, leader coraggiosi provenienti da schieramenti opposti - il cardinale von Galen, Dietrich Bonheoffer (torturato e assassinato) e l'Associazione dei medici socialisti (i cui leader furono arrestati o esiliati nel 1933 e molti assassinati in Austria e Cecoslovacchia nel 1938) - non hano taciuto. Le parole di Bonheoffer ci sfidano ancora oggi:
"Siamo stati testimoni silenziosi di cattive azioni: siamo stati infradiciati da molte tempeste; abbiamo imparato le arti dell'equivoco e della finzione; l'esperienza ci ha reso sospettosi e ci ha impedito di essere sinceri e aperti; conflitti intollerabili ci hanno logorato e persino reso cinici. Siamo ancora di qualche utilità? Ciò di cui avremmo bisogno non sono geni, o persone ciniche, o misantropi, o abili strateghi, ma uomini semplici, onesti, diretti. Il nostro potere interiore di resistenza sarà abbastanza forte e la nostra onestà con noi stessi abbastanza spietata da permetterci di ritrovare la via del ritorno alla semplicità e alla franchezza?"
Se la morale non afferma il suo dominio sulla legge, accadrà
il contrario, e il positivismo radicale, con le sue premesse moralmente
inammissibili, giungerà alle sue conclusioni altrettanto inammissibili.
La terza lezione da trarre dallo studio della medicina e dell'Olocausto è questa: la scienza non è un "dio". La scienza si basa su ipotesi, esperimenti e convalide o smentite delle ipotesi per progredire. Ma è la stessa metodologia della scienza che ne evidenzia anche i limiti. La scienza non può decidere da sola, usando la propria metodologia empirica, se una particolare pratica medica è moralmente buona. Deve fare affidamento sulla filosofia per farlo. La filosofia morale estrae le verità dalla realtà sulla base della ragione e dell'"esperienza vissuta". L'impresa etica è quindi sia oggettiva (razionale) che soggettiva (esperienziale). Albert Einstein una volta disse:
In quarto luogo, come medici e professionisti della salute
dobbiamo resistere alla desensibilizzazione e alla disumanizzazione che è così
prevalente nella cultura della medicina. Ogni medico può parlare dei termini
usati per descrivere i pazienti a porte chiuse: “vegetale” (comatoso);
"P.O.S." (pezzo di merda); “allevamento di scoiattoli” (unità di
terapia intensiva neonatale); "fattrice" (una donna con più di 2-3
figli); "inutile"; "parassita": l'elenco potrebbe
continuare. Perché è molto più facile uccidere un "vegetale" che una
persona umana; non resuscitare uno “scoiattolo” che un bambino; non provare
rimorsi di coscienza per aver mancato di rispetto a un "P.O.S." o un
“parassita” che a un povero tossicodipendente.
La letteratura medica supporta questi diffusi riferimenti aneddotici. Omar Haque e Adam Waytz (2012) discutono delle cause della disumanizzazione a cui si è accennato in precedenza: erosione empatica e disimpegno morale nell'addestramento e nella pratica. C'è anche un altro aspetto che sembra particolarmente vero: la dissomiglianza tra medico e paziente. La dissomiglianza “si manifesta in tre modi principali. Il primo è attraverso la dissomiglianza nella malattia: i pazienti, per la loro stessa natura di essere malati, diventano meno simili al proprio concetto prototipico di umano. Il secondo è l'etichettatura del paziente come una malattia, piuttosto che come una persona che ha una malattia particolare.
Qualunque sia la ragione - dissomiglianza o qualcosa di più sinistro - il linguaggio altera la percezione e la percezione influenza il nostro calcolo etico. Ad esempio, per sostenere l'eutanasia dei disabili, i registi nazisti deliberatamente alteravano l'illuminazione sui volti dei disabili, per renderli più "disumani" nel loro aspetto. La disumanizzazione intenzionale ed enfatizzata ha lo stesso risultato finale sulla nostra percezione di una disumanizzazione lenta e cronica. Semplici gesti, come opporsi pubblicamente a tale linguaggio quando le persone vengono disumanizzate o mostrare una padronanza di sè attraverso esempi di pazienza e persino tenerezza al capezzale dei malati, potranno fare molto per iniziare a capovolgere questa narrazione.
Infine, una quinta lezione da imparare è che, come medico, devi servire esclusivamente il paziente, non un'idea astratta di "società". Medici e operatori sanitari nell'Olocausto avevano deciso che il bene dello stato razziale aveva la precedenza sul bene delle singole persone. "I medici nazisti hanno salutato il passaggio 'dal medico dell'individuo al medico della nazione'". La giustificazione del programma di eutanasia, in gran parte, è stata espressa in termini economici: una misura di risparmio sui costi a carico della società in un periodo scarsità.
Oggi sembra che stiamo perdendo il nostro impegno nei confronti del singolo paziente, perché ci sono altri "dei" in medicina. La “qualità della vita”, la “salute pubblica” o anche la “soddisfazione del paziente” sono diventate fini a se stesse, non un mezzo per raggiungere un fine. Medici e professionisti della salute mentale in questo secolo sono stati (e continuano ad essere) complici di torture, discriminazioni razziali e pene capitali. In tutti questi esempi, il medico oscura il valore e la dignità della persona per qualche altro scopo, alcuni anche lodevoli, forse (sicurezza, ordine, salute pubblica, ecc.) Eppure, il potere del "camice bianco" richiede, se dobbiamo adempiere ai nostri obblighi di fiducia, che non serviamo lo stato (ei suoi interessi economici), né la famiglia del paziente (per quanto compassionevoli le nostre motivazioni), né qualsiasi altra "giusta causa" o obiettivo, incluso il nostro personale.
Il camice bianco ha derivato il suo significato nel secolo scorso dal medico come scienziato di laboratorio, chirurgo e medico ospedaliero, ma in definitiva il suo potere risiede nel suo valore simbolico del medico come guaritore. Come opposto del nero, che spesso significava oscurità e morte, il camice bianco trasmette l'attrazione verso la luce e la vita. Questo non vuol dire ignorare le controversie che circondano il camice bianco e il suo uso contemporaneo, uso improprio o mancato uso; vale solo a indicare la realtà del medico: che la nostra professione è volta a sostenere sempre la vita e la dignità della persona umana, anche quando non possiamo preservarla.
Adattato da "Nazi Medicine and the Holocaust:
Implications for Bioethics Education and Professionalism", di Ashley K.
Fernandes in "Nazi Law: From Nuremberg to Nuremberg" a cura di John
J. Michalczyk, con il permesso dell'editore. Le note a piè di pagina sono state
rimosse per la leggibilità.
*Ashley K. Fernandes è direttore associato del Center for
Bioethics and Medical Humanities presso la Ohio State University.