Sul The Times of Israel un articolo coraggioso, in questi tempi di acquiescenza ipocrita, che sollecita una riflessione tanto necessaria quanto ignorata sulla deriva violenta e autoritaria che sta pericolosamente prendendo piede. Segnalato dal prof. Alberto Bagnai sul suo canale Telegram e ripreso e commentato su Goofynomics.
di Ziona Greenwald. 14 dicembre 2021
Non c'è bisogno di speculare su cosa può spingere
un'adolescente araba a mettere un coltello nello zaino e pugnalare una madre
ebrea che accompagna i suoi figli a scuola. Una dieta costante di odio e
incitamento contro Israele e la sua popolazione ebraica alimenta una visione
del mondo in cui le regole della società civile vengono capovolte e la violenza
diventa espressione di pietà e moralità. Quando "l'altro" viene
demonizzato al punto da vederlo non come individuo ma come parte di un
pericoloso organismo subumano, non ci sono linee rosse.
Questo fenomeno, credo, sta alla base delle più grandi atrocità della storia, dalla riduzione in schiavitù e segregazione dei neri in America ai genocidi in Armenia, Ruanda e Jugoslavia, fino alla barbarie più colossale di tutte, l'Olocausto.
In quella che è iniziata come una guerra contro un virus ma si è rapidamente trasformata in una guerra ai diritti umani e alla libertà, alcuni hanno tracciato parallelismi tra le politiche sul coronavirus e il nazismo e sono stati subito attaccati. È assiomatico che nulla, per quanto atroce, possa mai essere paragonato a ciò che è stato fatto agli ebrei in Europa, e le discussioni che toccano questo tasto richiedono estrema sensibilità e attenzione.
Vorrei essere chiara: vietare l'ingresso a concerti o ristoranti, limitare i viaggi e negare il lavoro o l'iscrizione a scuola non può mai essere paragonato a mandare le persone nei campi di concentramento o nelle camere a gas. Non c'è paragone, punto.
Tuttavia, se vogliamo fare qualcosa di minimamente serio per salvaguardare il futuro – e il presente – del popolo ebraico e dell'umanità, è fondamentale ricordare che quegli insondabili orrori non sono sorti dal nulla. Il massacro di sei milioni di persone non si sarebbe potuto mai compiere senza aver prima ottenuto l’acquiescenza del popolo tedesco. Proprio come gli ebrei non furono immediatamente sottomessi come schiavi quando arrivarono in Egitto, ma anzi vi abitarono con agiatezza fino a quando non furono etichettati come una minaccia per la comunità e costretti a un lavoro retribuito, che col tempo divenne forzato e brutale, così i mali del nazismo si svilupparono in diverse fasi.
Sappiamo come è accaduto: la disumanizzazione realizzata attraverso una macchina di propaganda ben finanziata che etichettava gli ebrei come intoccabili e causa di tutti i mali. Norme in continua evoluzione e in crescendo. Segregazione sociale e perdita del lavoro. Il tradimento dei vicini come servizio nazionale remunerato. E, cosa ancora più importante, il controllo totale dei media in modo da sostenere la narrazione ufficiale autorizzata.
L'Europa è tornata ad essere un terreno fertile per omicidi rituali, privando i cittadini dei diritti umani e segregandoli sulla base di un vangelo sulla diffusione del virus empiricamente falso. L'Australia ha iniziato a confinare con la forza gli individui – in maggioranza perfettamente sani, intendiamoci - in "campi di quarantena". La cosa più angosciante di tutte è che Israele, lo stato rifugio per gli ebrei fondato come sfida e risposta all'Olocausto, ora è nel mezzo di una demonizzazione totale di milioni di persone appartenenti alla sua stessa gente.
Che il paese sia leader o gregario in questa deriva è difficile dire, ma non c'è dubbio che Israele abbia perso la sua bussola morale. Da quando è stato lanciato il suo programma di vaccinazione, l'orribile retorica del governo – ripresa in maniera automatica dai media – è diventata sempre più minacciosa.
Niente di tutto questo è paragonabile a ciò che è accaduto durante l'Olocausto. Ma il male che oggi rapidamente prende piede potrebbe portare a esiti ancora più oscuri, se non viene messo in luce. Quando un presentatore televisivo israeliano osserva: "Lockdown dei non vaccinati? Dovremmo chiuderli in gabbia!” e tutti ridono, siamo su un terreno pericoloso. Quando gli scolari vengono messi in "cherem" (esclusi, scomunicati, ndt) dai loro compagni di classe perché i loro genitori non li hanno sottoposti alla dose, dovremmo tutti rabbrividire.
Sfortunatamente, la maggior parte delle persone è alle prese con ciò che il commentatore satirico JP Sears descrive come una doppia negazione: negano di essere in negazione. I concittadini (siano essi familiari, amici di una volta, vicini o colleghi di lavoro) vengono privati dei loro diritti umani fondamentali e della loro dignità – per non parlare del lavoro, dell'istruzione, dell'assistenza sanitaria e dei benefici dovuti a tutti i cittadini contribuenti – con la cerchia delle persone colpite che si allarga sempre più man mano che la definizione di "completamente vaccinato" viene continuamente rivista. Gli astanti, per ora ancora la maggioranza, snocciolano giustificazioni ben inculcate ed evitano qualsiasi pensiero che possa dar luogo a rimorsi. Niente sembra aprire i loro occhi a ciò che sta accadendo.
Coloro che giurano sulla promessa "mai più", ma dimenticano i passi graduali che hanno portato alla più grande atrocità umana rischiano di consentire, e forse anche commettere, le peggiori nefandezze.
condivido al 100%
RispondiEliminaSe c'è un popolo discriminato, da anni, è proprio quello palestinese, se non si riconosce quello è difficile avere credibilità.
RispondiEliminaMi domando cosa c'entra questo con l'autrice dell'articolo e con quello che sostiene...
EliminaIl 31 marzo del 1977, come fosse un colpo di scena in un romanzo giallo, Zahir Mushe’in, membro del Comitato Esecutivo dell’OLP dirà, durante un’intervista
Elimina“Il popolo palestinese non esiste. La creazione di uno stato palestinese è solo un mezzo per continuare la nostra lotta contro lo stato di Israele in nome dell’unità araba. In realtà oggi non c’è alcuna differenza tra giordani, palestinesi, siriani e libanesi. Solo per ragioni tattiche e politiche parliamo dell’esistenza di un popolo palestinese, poiché gli interessi nazionali arabi richiedono la messa in campo dell’esistenza di un popolo palestinese per opporci al sionismo”.
Il “popolo palestinese” è una pura invenzione, la quale, con grande abilità propagandistica, è stata trasformata in un fatto che ormai appartiene a tutti gli effetti alla realtà.
E' sempre così che si comincia ,ma o sta a noi decidere se e quando finisce oppure si rischia di finire allo stesso modo. L'orrore è dietro l'angolo.
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