Il giornale tedesco die Welt dà spazio a uno studio appena pubblicato da Bank of America sulle conseguenze di un’eventuale rottura dell’unione monetaria sui cambi delle valute europee. Le previsioni sono ben lontane dagli scenari paventati dalla stampa mainstream: per i Paesi del Sud si tratterebbe di svalutazioni inferiori al 10%, mentre il vero sconfitto sarebbe la Germania, che si troverebbe a far fronte ad un enorme apprezzamento della valuta. Al di là dei risultati dell’analisi in sé, che non sorprenderanno i lettori di Goofynomics, o del sito Asimmetrie, questa ricerca segna un’importante presa di posizione degli Stati Uniti rispetto al tema Euro.
03.04.2016, di Franz Stocker
traduzione di Stefano Solaro
Fino a pochi anni fa la rottura della zona euro sembrava essere un’opzione più che realistica.
La Grexit, ovvero l’uscita della Grecia, era stata ampiamente prevista, e in particolare gli investitori anglosassoni avevano iniziato a scommetterci sopra, sicuri che dopo un tale evento l’euro stesso sarebbe scomparso nei meandri della storia. Una scommessa rivelatasi vana, fino a questo momento.
L'esempio migliore è John Paulson, che è riuscito a guadagnare miliardi scommettendo sul crollo della bolla immobiliare statunitense. Con le sue scommesse sull’Euro, tuttavia, ha finito per perdere un sacco di soldi. La moneta unica infatti è viva e vegeta. E ultimamente anche i professionisti della finanza non sembrano metterne più in dubbio la sopravvivenza.
Ed ecco arrivare all'improvviso un nuovo studio di un istituto finanziario americano, la Bank of America, in cui si cerca di dare risposta a una domanda cruciale: come apparirebbe la galassia monetaria europea dopo una rottura dell'euro? “Il giorno dopo l'euro" è il titolo della pubblicazione, e l'autore Athanasios Vamvakidis è, ovviamente, greco.
Il nuovo marco dovrebbe apprezzarsi nei confronti dell’Euro
Secondo Vamvakidis il punto centrale della questione è quale sarebbe l’evoluzione delle valute nazionali che sostituirebbero l’Euro, e a quanto ammonterebbe la loro successiva svalutazione (o il conseguente apprezzamento). Per effettuare un calcolo di questo tipo il ricercatore ha utilizzato il così detto metodo CGER del FMI, che si basa essenzialmente sugli squilibri tra le singole economie nazionali. Il risultato, per nulla sorprendente, è che il nuovo marco tedesco sarebbe costretto ad apprezzarsi notevolmente rispetto all’Euro, ovvero di un 15% circa.
Ma è ancora più probabile che la moneta tedesca finirebbe per superare di gran lunga il valore sopracitato. “La nuova moneta tedesca in realtà potrebbe registrare un apprezzamento eccessivo.”, scrive Vamvakidis.
D’altra parte il nuovo franco francese finirebbe per svalutarsi di almeno un 5%, mentre le monete di Spagna e Grecia perfino del 7,5%. “È però probabile che in breve tempo anche le valute periferiche vadano in overshooting, in questo caso si tratterebbe di un deprezzamento eccessivo”.
La distanza tra il nuovo marco e una nuova peseta o una nuova dracma, giustificata dalle divergenze delle rispettive economie, sarebbe quindi superiore al 25%. Inoltre, considerata la tendenza dei mercati finanziari a ingigantire queste dinamiche, è probabile che questa divergenza finirebbe per espandersi ulteriormente. Il giorno dopo l'euro il marco diventerebbe quindi del 30-40% più costoso rispetto alle valute meridionali post-moneta unica – cosa che comporterebbe immediate conseguenze per l’export europeo.
Il debito del Sud Europa è aumentato drammaticamente
Fin qui, tutto interessante. Ma rimane la domanda su perché la Bank of America pubblichi uno studio di questo tipo proprio in questo momento. C’è forse bisogno di buttare nuova benzina sulla crisi dell'euro? Siamo davanti a un supporto al tentativo del presidente Trump di dividere l’UE? O ci sono ragioni puramente oggettive?
Secondo Vamvakidis ovviamente l’ultimo punto è quello che conta. Per lui è decisivo il fatto che tra non molto, nell’immediato futuro, la politica monetaria ultra-allentata delle BCE vedrà una fine, cosa che causerà non pochi problemi a diversi Stati a causa dei loro debiti elevati. “Anche se ci vorrà tempo perché i tassi della BCE salgano, la spesa per gli interessi sul debito delle periferie non potrà che aumentare”.
In realtà, il debito dei paesi dell'Europa meridionale è aumentato notevolmente negli ultimi anni, senza che le spese sugli interessi siano cresciute. Al contrario, in molti casi, ora sono ancora più basse rispetto a prima della crisi finanziaria. Questo grazie alla BCE.
Ad esempio, il debito nazionale spagnolo si è quasi triplicato dal 2008, passando da 440 a quasi 1200 miliardi di euro. Gli interessi sono aumentati solo da 17 a 31 miliardi.
Sul lungo periodo l’euro corre gravi rischi
L’effetto di questa politica dei tassi a zero è ancora più significativa se osserviamo il caso dell’Italia.
A 1670 miliardi nel 2008, ora il debito è salito a 2.270 miliardi, ma oggi Roma paga solo 66 miliardi di euro di interessi, mentre nel 2008 erano oltre 80 miliardi di euro.
Secondo Vamvakidis ciò si tradurrebbe in rischi a lungo termine per l'euro, in quanto una crescita dei tassi di interesse creerebbe seri problemi a numerosi stati.
E questi potrebbero aumentare ulteriormente se la zona euro dovesse essere colpita da uno shock di qualche tipo, di quelli che portano le economie in recessione. "E solo una questione di tempo prima che i mercati rimettano in discussione la sostenibilità della zona euro" prevede l'economista.
Come tale, ha però naturalmente una ricetta per impedire che tutto ciò si avveri. E la parte più importante in questa storia spetta naturalmente alla Germania. Il nostro Paese dovrebbe consentire che la domanda interna si riprenda e che l’inflazione si alzi ben al di sopra dell’obiettivo della BCE, posizionato su un risicato 2%. E questo per diversi anni consecutivi. Di conseguenza, la BCE dovrebbe conservare la sua politica dei tassi zero per un lungo periodo.
I tedeschi devono spendere molto più denaro
Inoltre, in Germania lo Stato e le imprese dovrebbero investire molto di più.
A detta di Vamvakidis la ferrea politica del risparmio avrebbe compresso la domanda interna, e ciò avrebbe portato a un aumento artificiale della competitività della Germania a scapito di altri Stati membri dell'area Euro.
Lo Stato dovrebbe quindi dire addio alla politica dello "zero nero” e produrre un debito maggiore per finanziare gli investimenti in strade, scuole ed edifici pubblici. Questo alla fine porterebbe anche le imprese a investire di più.
Vamvakidis sa però anche che l’opinione pubblica e i politici tedeschi inorridiscono a quest’idea, e che questo tipo di rivendicazioni sono quindi destinate a cadere nel vuoto in questo Paese. "Tuttavia, riteniamo che una tale politica sia improbabile, il che significa che il rischio di una rottura della zona euro nel lungo termine cresce sempre più", conclude.
E dal suo punto di vista questo è anche il motivo per cui risulta necessario iniziare a pensare già da ora alle possibili conseguenze.
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