26/06/13

De Grauwe e Yuemei Ji: Conseguenze fiscali del programma di acquisto bond della BCE

Un'interessante analisi di Paul De Grauwe e Yuemei Ji su Voxeu smentisce i possibili rischi per i contribuenti del programma OMT della BCE, ma soprattutto mette in luce un aspetto comunemente ignorato: la redistribuzione degli interessi percepiti dalla BCE verso i paesi creditori

Paul De Grauwe, Yuemei Ji, 14 giugno 2013
Traduzione di Ugo Sirtori
La connessione tra politica fiscale e monetaria è attualmente sotto l’esame della Corte Costituzionale Tedesca, nel contesto del programma OMT di acquisto titoli da parte della BCE. Questo articolo sostiene che molte analisi in merito sono profondamente compromesse dall’applicazione errata alla BCE dei principi di fallimento dei privati. Quando la BCE compra bond, trasforma debito pubblico in base monetaria, e trasforma il rischio di fallimento sovrano in rischio di inflazione. La vera domanda è: qual è il limite all’espansione della base monetaria (per i lettori di Repubblica: allo stampare banconote, n.d.t.) oltre il quale si causa inflazione? Ciò dipende dal contesto economico e il limite è molto più alto nell’attuale situazione di trappola della liquidità.

C’è molta confusione sulle implicazioni fiscali del programma di acquisto di bond – noto anche come OMT, Outright Monetary Transactions – che la BCE ha annunciato lo scorso anno.
  • La confusione ha origine principalmente dall’applicazione dei principi di solvibilità delle società private (banche incluse) alle banche centrali.
  • Il livello di confusione è così alto che il presidente della Bundesbank si è rivolto alla Corte Costituzionale Tedesca sostenendo che il programma OMT della BCE esporrebbe i cittadini tedeschi al rischio di dover pagare tasse per coprire potenziali perdite generate dalla BCE.
In questo articolo sosteniamo che la paura che i contribuenti tedeschi possano dover coprire le perdite della BCE è mal posta. Essa è basata su una errata interpretazione dei problemi di solvibilità delle banche centrali.
In realtà, i contribuenti tedeschi sono i principali beneficiari del programma di acquisto di bond. [grassetto del traduttore]
La solvibilità delle banche centrali rispetto agli agenti privati: la differenza essenziale.
Le società private si ritengono solvibili quando il valore del loro patrimonio netto è positivo, ossia quando il valore dei loro asset è superiore a quello del debito. La solvibilità di una società privata può anche essere espressa come il massimo ammontare di perdite che una società può assorbire in un dato momento. Pertanto, una società privata si dice solvibile quando le sue perdite non sono superiori al patrimonio netto. Siccome in un mercato efficiente questo equivale al valore attuale dei profitti futuri, arriviamo al vincolo che le perdite odierne non devono eccedere il valore attuale dei profitti futuri attesi.
Il problema comincia quando questo vincolo viene applicato alle banche centrali.
  • L’applicazione impropria dei principi validi per il settore privato ha portato alcuni a concludere che le perdite che la BCE (o qualsiasi altra banca centrale) può sopportare non dovrebbero eccedere il valore attuale dei futuri guadagni di signoraggio attesi (vedere Corsetti e Delada 2013).
  • Analogamente, è stato a volte sostenuto che una banca centrale necessiti di un patrimonio netto positivo per essere considerata solvibile (Stella, 1997, Bindseil e al. 2004).
Questi vincoli di solvibilità non dovrebbero essere applicati alle banche centrali; le banche centrali non possono fallire.
Una banca centrale può emettere un qualunque ammontare di moneta che gli consenta di “ripagare i suoi creditori”, ossia i possessori di moneta.1 Questo “rimborso” significa soltanto convertire vecchie monete in nuove monete.
Al contrario delle società private, i debiti delle banche centrali non rappresentano un diritto sugli asset delle banche centrali. Questo era vero durante il periodo del “gold standard”, quando le banche centrali promettevano di convertire le proprie obbligazioni in oro a un prezzo fissato. Analogamente, in un sistema a cambi fissi, le banche centrali promettono di convertire le proprie obbligazioni in moneta estera a un prezzo fisso.
La BCE e altre banche centrali moderne che sono in un regime di cambio flessibile non sono vincolate a promesse del genere. Pertanto, il valore degli asset della banca centrale non ha influenza sulla sua solvibilità. La sola promessa che una banca centrale fa quando ha a disposizione una moneta fluttuante sul mercato è che il denaro sarà convertibile in un paniere di beni e servizi a un prezzo più o meno fisso. In altri termini, la banca centrale fa una promessa di stabilità dei prezzi. Tutto qui.
Il signoraggio non è un limite
Quindi non ha senso dire che il limite alle perdite di una banca centrale in un certo momento è calcolabile come il valore attuale dei futuri profitti (signoraggio). Non esiste un tale limite. La banca centrale può assorbire qualsiasi perdita, a patto che questa perdita non comprometta la stabilità dei prezzi.
Non è nemmeno corretto affermare che la banca centrale ha bisogno di mantenere un patrimonio netto positivo per “restare solvibile”. Una banca centrale non necessita di un patrimonio netto. Perciò l’affermazione che una banca centrale con un patrimonio netto negativo necessiti di essere ricapitalizzata dal tesoro non ha alcun senso.
Per essere chiari:
  • La banca centrale (che non può fallire) non ha bisogno di alcun sostegno fiscale dal governo (che invece può fallire).
  • L’unico sostegno di cui la banca centrale necessita da parte del governo è che mantenga il monopolio sull’emissione di moneta in tutto il territorio su cui ha giurisdizione.
Nel momento in cui tale potere è garantito dallo stato, la banca centrale è libera da qualsiasi vincolo di solvibilità.
Applichiamo ora questi primi principi alla questione di come un programma di acquisto titoli di stato possa avere implicazioni fiscali. Discuteremo prima la situazione di una banca centrale che fa riferimento a un solo stato. Poi, discuteremo il problema di una banca centrale in un’unione monetaria con più stati sovrani.
La banca centrale di un solo stato
Considereremo il caso di una banca centrale che compra titoli di stato nel mercato secondario. 2 Comprando i titoli di stato, la banca centrale trasforma la natura del debito del settore pubblico. Quando la banca centrale compra il debito del proprio governo, il debito si trasforma:
  • Il debito governativo, che porta con sé un tasso di interesse e un rischio di default, diventa una passività della banca centrale (base monetaria) che è priva di rischio default ma soggetta a rischio di inflazione.
Per comprendere le conseguenze fiscali di questa trasformazione, è importante consolidare la banca centrale e il governo (in fondo sono branche separate del settore pubblico).
Dopo la trasformazione, il debito governativo detenuto dalla banca centrale viene cancellato. Esso è un attivo in un ramo dello stato (la banca centrale) e un passivo nell’altro ramo (il governo). Quindi, scompare. La banca centrale può ancora tenerlo a bilancio, ma esso non ha più alcun valore economico. Di fatto la banca centrale può sbarazzarsi di questo artificio ed eliminarlo dal suo bilancio, e il governo può quindi eliminarlo dall'ammontare del suo debito. Esso non ha più valore in quanto è stato rimpiazzato da una nuova forma di debito, ossia la moneta, che comporta un rischio inflattivo anziché un rischio di default.
Perciò non ha senso dire che le banche centrali vanno in perdita quando il prezzo di mercato dei titoli di stato scende. Se anche ci fosse una perdita per la banca centrale, sarebbe bilanciata da un guadagno equivalente da parte del governo (perché il valore del suo debito scenderebbe in uguale proporzione). Non ci sono perdite per il settore pubblico.
Il debito pubblico detenuto dal settore pubblico è differente
Arriviamo a una conclusione importante:
  • Quando una banca centrale ha acquisito titoli di stato, un declino nel prezzo di mercato di questi titoli non ha alcuna conseguenza fiscale.
La perdita in una branca del settore pubblico (la banca centrale) è compensata da un guadagno equivalente in un’altra branca (il governo), e non rimane niente da pagare per il contribuente.
Un’altra maniera per vedere questo effetto, è guardare ai flussi di interesse sottostanti ai bond. Supponiamo per esempio che la banca centrale abbia comprato un miliardo di euro in titoli di stato. Questi hanno una cedola, diciamo, del 4%. Perciò la banca centrale che ha in portafoglio i titoli riceve 40 milioni di euro all’anno da parte del governo. Questo viene contabilizzato come un profitto per la banca centrale. Alla fine dell’anno, la stessa banca centrale dovrà girare i propri profitti al governo. Assumendo che il costo marginale della gestione di questi bond sia pari a zero, la banca centrale girerà al governo i 40 milioni di euro. Perciò la mano sinistra paga la mano destra, per così dire.

Questa pratica contabile ha portato alla percezione che gli incassi per interessi siano da considerare come signoraggio. Sbagliato. Non c’è alcun profitto per il settore pubblico. Il profitto della banca centrale è esattamente compensato da una perdita del governo. Entrambi potrebbero eliminare questa scrittura convenzionale perché a questi profitti e a queste perdite non è associata alcuna sostanza economica.
  • E’ letteralmente vero che la banca centrale potrebbe gettare al macero i titoli di stato. Niente verrebbe perso.
Nel nostro esempio, la banca centrale non riceverebbe più 40 milioni di euro l’anno, e non dovrebbe più rigirarli al governo ogni anno.
Cosa succede se il governo fa default sui suoi bond in scadenza?
  • Il default causa delle perdite ai detentori privati dei titoli.
  • Ma è irrilevante per i titoli detenuti dalla banca centrale.
Infatti questi ora non valgono più nulla, ma erano già privi di valore anche prima del default. Si tratta della mano destra che si fa ripagare dalla sinistra.
Pensiamoci in termini di flusso di interessi. Dopo il default, la banca centrale non riceve più il pagamento degli interessi dal governo, ma allo stesso tempo smette anche di ridare indietro gli interessi al governo. Per il settore pubblico, non è successo nulla. Perciò la perdita della banca centrale a causa del default non ha alcuna conseguenza fiscale.
La stabilità dei prezzi e il default del settore pubblico
Esiste una questione riguardo la stabilità dei prezzi e il suo legame con un default governativo. Se la banca centrale mantiene le sue passività (la base monetaria) sotto controllo, il default di per se stesso non porta a maggiore inflazione. Questa aumenterà solo se il governo dovesse forzare la banca centrale ad espandere la base monetaria, per esempio per finanziare dei deficit di bilancio che dopo il default il governo non può più finanziare sul mercato.
Ogni tanto si sostiene che se la banca centrale non ha asset (a causa di un default governativo), allora non ha più strumenti per ridurre l'ammontare di moneta. Questa operazione può talvolta essere necessaria per ridurre la pressione inflattiva. Questo ragionamento non è fondato. Ci sono 2 modi per una banca centrale senza asset di ridurre la moneta.
  • Primo, la banca centrale può emettere titoli che generano interessi e venderli sul mercato.
Questo ha l’effetto di ridurre la liquidità (la base monetaria).
  • Secondo, la banca centrale può aumentare i requisiti di riserva minima.
Come risultato, lo stock esistente di liquidità viene “disattivato”, cosa che produce lo stesso effetto di un calo della base monetaria.
La banca centrale di un’unione monetaria

Le cose sono più complicate in un’unione monetaria che non sia anche un’unione fiscale. Qui le conseguenze fiscali di un acquisto di titoli della banca centrale sono più complesse. Il punto è l’esistenza di “n” stati sovrani. Nell’eurozona, n=17 (presto 18 con la Lettonia).
  • Se potessimo consolidare la BCE e i 17 stati sovrani in un unico settore pubblico, l’analisi rimarrebbe la stessa di prima.
  • Ma non possiamo, in quanto l’eurozona non è un’unione fiscale. (nota del Traduttore: finché esiste una contabilità nazionale, esiste un interesse nazionale!)
Perciò un programma di acquisto di titoli comporterà trasferimenti tra i paesi che partecipano all’unione monetaria.
Per chiarire le idee sul problema, immaginiamo che la BCE acquisti 1 miliardo di titoli spagnoli a un tasso del 4%. Le conseguenze fiscali sono ora le seguenti.
  • La BCE riceve 40 milioni di euro in interessi annuali dal tesoro spagnolo.
  • La BCE restituisce questi 40 milioni di euro tutti gli anni alle banche centrali nazionali dell’eurozona.
La distribuzione avviene proporzionalmente alla quota di capitale nella BCE (vedere BCE 2012).
  • La banca centrale nazionale trasferisce quanto ricevuto al proprio tesoro nazionale.
Per esempio, la BCE trasferirà l’11.9% dei 40 milioni al Banco de España. Il resto andrà alle banche centrali degli altri paesi membri. Chi riceverà di più è la Bundesbank tedesca; che con una quota di capitale del 27.1%, riceverà quindi 10.8 milioni di euro.
Perciò in un’unione monetaria (e in assenza di un’unione fiscale) un programma di acquisto di titoli di stato porta a trasferimenti all’interno dell’unione – ma non a quelli comunemente percepiti dall’opinione pubblica, specialmente in Germania.
  • Un programma di acquisto titoli della BCE porta a un trasferimento annuale dai paesi i cui titoli vengono acquistati verso tutti gli altri.
Va notato che la BCE potrebbe implementare un programma di acquisto titoli che non comporti trasferimenti fiscali, comprando titoli di stato nazionali nell’esatta proporzione della partecipazione al capitale della BCE del corrispondente paese. In effetti, questo approccio è stato talvolta proposto. Questo però non eliminerebbe completamente i trasferimenti, dato che il tasso di interesse sui titoli di stato non è uguale per tutti. In un programma simile, i paesi con tassi di interesse più alti sarebbero pagatori netti nei confronti dei paesi con tassi di interesse inferiori. Perciò persino questo programma di acquisto ponderato sulle quote di capitale si tradurrebbe in un trasferimento fiscale dai paesi più deboli (debitori) verso i paesi più forti (creditori).
Cosa succede in caso di default sovrano?
Si sente dire spesso nei paesi creditori che, nel caso di default di un paese i cui titoli di stato sono nel bilancio della BCE, essi (i creditori) sarebbero i primi a rimetterci. Questa è una conclusione sbagliata.
Ritornando al nostro esempio di acquisto di 1 miliardo di euro di titoli di stato spagnoli da parte della BCE, consideriamo un default spagnolo su questi titoli.
  • Il governo spagnolo smetterebbe di pagare 40 milioni di euro all’anno alla BCE.
  • La BCE smetterebbe di versare questi 40 milioni di euro alle banche centrali “pro rata”.
  • Il contribuente tedesco, per esempio, non riceverebbe più il compenso annuale di 10.8 milioni di euro.
Non si può assolutamente concludere che il contribuente tedesco, o qualsiasi altro contribuente dell'eurozona, dovrebbe pagare per coprire il default spagnolo – se non nel senso stretto che dovrebbe rinunciare alla rendita annua degli interessi.
  • C’è ovviamente la possibilità di una “tassa da inflazione”
Abbiamo notato prima che al il programma di acquisto titoli trasforma il debito gravato da interessi in passività monetarie della BCE (base monetaria). Questo di per sé potrebbe generare inflazione, e quindi una “tassa da inflazione” che si applicherebbe a tutti i possessori di euro. Questo conduce alla questione di quanto grande possa essere il programma di acquisto titoli della BCE senza generare inflazione aggiuntiva.
Dalla tassazione esplicita alla tassazione da inflazione
Tutte le operazioni di mercato aperto che comportano l’acquisto di titoli governativi possono potenzialmente generare inflazione perché aumentano la base monetaria. La domanda cruciale da porsi è come l’aumento della base monetaria si trasmetta all'offerta di moneta. Dopo tutto, è l’aggregato monetario, non la base monetaria di per sè, che determina l’inflazione.
Nella figura 1 si vede l’evoluzione della base monetaria e dell’aggregato monetario (M3) nell’eurozona dal 2004. Vediamo una differenza netta tra il periodo prima e dopo la crisi bancaria dell’ottobre 2008.
  • Prima della Crisi Globale, i due aggregati monetari si muovono all’unisono suggerendo che il moltiplicatore monetario (il rapporto tra aggregato monetario M3 e base monetaria) è costante.
Un incremento dell’1% della base monetaria porta a un incremento dell'offerta di moneta di circa l’1%. Le cose però cambiano molto durante il periodo di crisi.
Figura 1. Base monetaria, aggregato monetario (M3) nell’eurozona (Dicembre 2007=100)



Fonte: Banca Centrale Europea, Statistical Warehouse.
Durante il periodo dall'ottobre 2008 all'aprile 2013 , la relazione tra la base monetaria e l’aggregato monetario va in pezzi. La base monetaria aumenta di più del 50%; l’aggregato monetario aumenta solo del 7%. Questo suggerisce che il moltiplicatore monetario è drammaticamente collassato.
Il drammatico declino del moltiplicatore monetario è certamente dovuto alla trappola della liquidità (Krugman 2010). Le banche, che accumulano riserve come risultato delle iniezioni di liquidità della BCE, ammassano queste riserve. Il loro grado di avversione al rischio è tale che non usano le loro riserve di cassa per espandere i crediti bancari. Come risultato, l’aggregato monetario (M3) non aumenta.
Anche la figura 2 è istruttiva. Mostra l’inflazione media annua e la crescita media annua della base monetaria e dell’aggregato monetario prima e dopo la crisi bancaria del 2008.
  • Prima del 2008 entrambi gli aggregati monetari aumentano praticamente allo stesso tasso; l’inflazione annuale era del 2.3%.
  • Dal 2008 la crescita degli aggregati monetari diverge drammaticamente.
La base monetaria cresce ad un ritmo dell’11% annuo mentre il tasso di crescita dell’aggregato monetario collassa a meno del 2%, mentre l’inflazione scende sotto il 2%.
  • La nostra interpretazione è che il forte incremento della base monetaria ha aiutato a ridurre le forze deflazionistiche in atto, piuttosto che essere una fonte di inflazione.3
Figura 2. Inflazione, crescita di base monetaria e di M3 (tasso di crescita medio annuale)
 Fonte: Banca Centrale Europea, Statistical Warehouse.


Conclusioni
La precedente analisi suggerisce quanto segue:
  • I limiti da imporre a un programma di acquisto di titoli di stato dipende dalla natura della situazione economica e finanziaria, ossia dall’esistenza di una trappola della liquidità.
  • Normalmente, quando un incremento della base monetaria porta a proporzionali aumenti dell’aggregato monetario, il limite a un programma di acquisto di titoli di stati è ristretto.


Se l’obiettivo di aumento dell’aggregato monetario è del 4.5% (come nel caso dell’eurozona, dove si ritiene che un obiettivo del 4.5% generi un’inflazione massima del 2%) ciò significa anche che la base monetaria non dovrà aumentare più del 4.5% all’anno. Ma durante un periodo normale c’è davvero poco bisogno di un programma di acquisto di titoli di stato.
  • La situazione è cambiata drammaticamente dall’inizio della crisi bancaria.
Durante il periodo di crisi il limite alla massa di base monetaria che può essere creata senza generare pressioni inflazionistiche è molto più alto, a causa dell’esistenza di una trappola della liquidità.
Quanto sia alto, dipende dal moltiplicatore monetario. In De Grauwe e Ji (2013) abbiamo stimato il moltiplicatore durante il periodo di crisi e abbiamo concluso che esso è collassato a zero. Di conseguenza, non c’è limite alla misura del programma di acquisto di titoli di stato, ossia la BCE può comprare un qualsiasi ammontare di titoli governativi senza compromettere la stabilità dei prezzi, finché dura la crisi.
Riferimenti
Bindseil U, A Manzanares e A Weller (2004), "Il ruolo rivisto della Banca Centrale", Working Paper Series, no. 392, BCE, Settembre.
Buiter, W (2008), "Le banche centrali possono fallire?", CEPR Policy Insight 24, 16 maggio.
Corsetti, G e L Dedola (2013), "L’euro è una moneta straniera per gli stati membri?", VoxEU.org, 5 giugno.
De Grauwe, P, and Y Ji (2013), "Implicazioni fiscali del programma di acquisto titoli della BCE (OMT)", University of Leuven, mimeo.
BCE (2012), "Sottoscrizione di capitale", BCE.int, 27 Dicembre.
Friedman, M e A Schwartz (1961), Una storia monetaria degli USA, Princeton University Press, Princeton.
Krugman, P (2010), "Diminuzione del debito e trappola della liquidità", VoxEU.org, 18 Novembre.
Pringle, R (2003), "Perchè le banche centrali hanno bisogno di capitali", Central Banking Journal, Agosto.
Stella, P (1997), "Le banche centrali hanno bisogno di capitali?", FMI Working Paper, no 83, FMI, Washington, DC.

1 Assumiamo qui che la banca centrale non possieda passività in valuta estera. In quel caso la banca centrale può essere costretta al default riguardo a queste passività in valuta estera poiché può emettere solo moneta nazionale (Buiter 2008).
2 Perciò non discutiamo il finanziamento diretto monetario dei deficit di bilancio governativo.
3 Vedere Friedman e Schwartz(1961) per un’analisi della Grande Depressione negli USA. Questi autori sostennero che la Fed USA a quel tempo mancò nell’aumentare la base monetaria in maniera sufficiente per contrastare le forze deflazionistiche. Come risultato, l’aggregato monetario USA addirittura scese, rinforzando la deflazione.



19 commenti:

  1. Interessantissimo, con alcune precisazioni (che non tolgono che De Grauwe starebbe molto meglio al posto di Draghi):
    - De Grauwe considera la moneta "esogena" cioè M3 determinabile dall'emissione della BC;
    - va detto che Bagnai, cifre inequivocabili alla mano, ha dimostrato che anche ante 2008 il moltiplicatore non ha funzionato nei modi preconizzati dai monetaristi, e la quantità di moneta aggregata è sempre stata divergente dall'incremento di base del 4,5%: semplicemente perchè la moneta è endogena;
    - ma anche accedendo alla teoria monetarista (o "post..."), la "Non Inflationary Loss Absoribing Capacity" della BCE è stata calcolata da Buiter, sempre professore alla London School di De Grauwe, in circa 3.300 miliardi di euro, riguardo all'acquisto di titoli sovrani (l'attuale impiego a questo titolo è fermo ai 210 miliardi del 2011 e l'OMT non ha portato a operazioni dirette, anche perchè afflitto dalle insostenibili ulteriori "condizionalità" sbandierate da Draghi su input di Weidmann)
    CFR; http://willembuiter.com/lolr.pdf;
    - è comunque importante quanto precisa De Grauwe sui rapporti tra BC e tesoro: d'altra parte, la cessione di un credito al..."debitore" lo estingue, mancando la trilateralità (anche per il c.c.). E tra l'altro il principale sistema di estinzione della moneta è proprio il pagamento o l'estinzione del debito per altra via;
    - Ma ciò vale solo se ci si rammenti che la BC è, geneticamente, un ente "ausiliario" dello Stato di cui condivide la personalità giuridica "allargata" (o di "secondo grado");
    - Il che ci porta a rammentare che essa potrebbe anche funzionare da mero tesoriere (apprestatore di moneta secondo il fabbisogno su "ordine" del tesoro), e che i titoli del debito potrebbero pure non esistere essendo il deficit finanziabile, senza effetti inflattivi (ad es, il NILAC italiano, pro-quota secondo gli indici di Buiter è di circa 400 miliardi) anche senza emissione alcuna di titoli, meno che mai piazzabili su "mrcati" privati.
    CFR.http://orizzonte48.blogspot.it/2013/05/costituzioni-banche-e-sovranita.html;
    - ergo, la scelta di emettere titoli del debito pubblico, come conferma De Grauwe, E' SEMPRE UNA SCELTA REDISTRIBUTIVA (cioè della direzione dei trasferimenti) dello Stato: prima del divorzio e dello SME, era una scelta redistributiva a favore delle famiglie (ne parlerò magari in apposito post).

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    1. Ciao Quarantotto
      «De Grauwe considera la moneta "esogena" cioè M3 determinabile dall'emissione della BC;»
      Dopo aver compilato la Figura 2 si dovrebbe essere convinto ;-)

      Mi sconcerta un po' che Paul De Grauwe si sia messo a scrivere un articolo come questo : è l'abiccì!
      Dite che c'è da preoccuparsi (ancora di più)?

      ps grazie Carmen, ci voleva.

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    2. E' vero!
      da un lato De Grauwe è costretto a ripetere le nozioni basilari... vista la gente che c'è a Bruxelles e a Francoforte...
      dall'altro, ormai, a forza di fare resistenza, ci siamo parecchio evoluti pure noi...

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  2. Articolo molto interessante ed esplicativo.

    Unico Appunto:

    Senza aspettare la fine dell'anno per poter riavere i 90 miliardi di interessi dalla BC (caso bc di un solo stato) potremmo utilizzare questi soldi (senza darli alla BC) eliminando i titoli di stato e stampando direttamente moneta.

    Riccardo

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  3. Quello che dice De Grauwe in coppia cno Yuemey Ji è apprezzabile e ci aiuta ancora una volta a capire meglio sia come operi una BC e sia come, anche grazie all'OMT, i vantaggi vadano ancora una volta verso i paesi più grandi dell'Unione. Rimango invece scettico sulle posizioni in merito ad inflazione ed aggregati monetari: si indica sempre il dito, la crescita degli aggregati monetari, mai invece la luna, la crescita del credito che trascina con sè gli stessi aggregati monetari http://www.bis.org/publ/qtrpdf/r_qt1306f.pdf . Un grazie a Voci ed al traduttore. Buona giornata.

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  4. Io non riesco a capire delle cose, ma vorrei sopratutto capirne una in particolare.

    Se la banca centrale prende i relativi interessi (es. 40 milioni nel testo), questi soldi, vengono interamente ridati allo Stato??
    Se fosse così non dovrebbe esistere la spesa per interessi che viene sostenuta dallo Stato nei confronti della sola Banca centrale, mentre esisterà la spesa per interessi nei confronti di tutti gli altri privati.

    Chi mi aiuta??

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  5. Sì, Gesino, detratte le spese di funzionamento, la banca centrale rigira i suoi profitti allo stato, trattandosi nonostante tutto di un istituto di diritto pubblico. Infatti il debito acquistato dalla BC è un tipo di debito "non oneroso". Ecco perché hanno vietato che la BC finanzi la pubblica ammnistrazione; si chiama "starving the beast" = affamare la bestia, paro paro, una bella strategia per ridurre il peso dello stato...

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    1. Elementare Watson...
      La spesa per interessi (in questo modo) diventa il famoso "vincolo esterno".
      Ovvero sia, L' UNICA spesa dello Stato su cui non ha il controllo, ma in realtà, quella voce di spesa diventa decisore dell' assegnazione delle altre voci di spesa dello Stato e anche il decisore delle entrate.
      Insomma, chi gestisce il debito (ovvero chi lo detiene) dello Stato diventa IL DECISORE DEL BILANCIO DELLO STATO STESSO.
      Non è un caso che negli ultimi anni sia passata la dizione "debito SOVRANO" in luogo di "debito pubblico".
      se volete una vera e propria prova del nove, osservate i ministri del governo Monti, da dove venivano (o meglio, da quale banca venivano) e osservate il budget di spesa dei rispettivi ministeri.
      E' la tipica degenerazione delle democrazie liberali: La dittatura dei creditori che esautora -di fatto- la democrazia stessa.

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    2. Grazie ragazzi, è tutto più chiaro ora, e ieri mi son messo a studiare per cercare di capire e con discreti risultati (visto che faccio l'architetto).

      Cercando ho trovato l'analisi di questo tizio, non so se già l'avete letta, ma sembra attendibile, non so se voi avete notizie in merito. Grazie mille!!!

      http://lefoureloaded.blogspot.it/2012/06/i-guadagni-della-banca-centrale.html

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    3. "starving the beast" = affamare la bestia

      Peccato che la bestia affamata si sia rivoltata contro qualli che gia' prima le immolavano sempre crescenti sacrifici umani.
      Mi chiedo quanto tempo occorrera' ancora a quelle bestie per capirlo.

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    4. Gesino.
      E' vero che la Banca d' Italia è istituto di diritto pubblico e che la nomina del governatore viene fatta dal governo dello stato.
      MA
      Il debito pubblico è in gran parte in mano a banche private (su tutte Intesa e Unicredit).
      QUINDI, la realtà è che esse hanno in mano "la borsa" dello Stato cioè del governo, quindi, il governo, secondo te, sarà influenzato da queste banche nella nomina?
      Considera che:
      Le grandi banche italiane controllano piu' o meno direttamente la stampa nazionale, oltre al debito pubblico e possono letteralmente affossare qualsiasi governo in qualsiasi momento...

      ORA
      Considera che la banca d' italia è, anzi, dovrebbe essere, l' istitu di vigilanza delle banche.

      LA CONCLUSIONE
      è che -de facto- le banche si scelgono il loro controllore.

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    5. @Gesino
      a una lettura sommaria, il tuo link mi sembra dica cose assolutanmente corrette, escluso che omette di dire che la banca d'italia in un certo senso, pur rimanendo istituto di diritto pubblico, è una spa, e la maggior parte delle quote del suo capitale sono detenute da altre banche, che prima erano pubbliche anch'esse, ma in seguito con le privatizzazioni sono diventate private. Ecco perché si dice - non del tutto a torto - che è privata. Per sanare questa situazione se non ricordo male il governo Prodi cancellò quell'articolo dello statuto della banca che prevedeva che le sue quote fossero di proprietà pubblica! Modo semplice di risolvere l'incongruenza! Resta - tutto - il conflitto di interesse nella funzione di vigilanza.

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    6. @ Winston, attenzione, la famosa espressione "starving the beast" risale al periodo reaganiano, e qui la beast sarebbe lo stato con le sue spese sociali. Più che combatterlo direttamente, i liberisti adottarono la strategia di tagliargli i finanziamenti (affamarlo) con la scusa dell'inflazione...(o forse non ho capito bene il tuo commento)

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    7. Condivido tutto ragazzi, ed anche io sono del parere che le mosse del 1981 (divorzio) e del 2006 (modifica art. 3 Statuto) siano alla base di una privatizzazione della BCN. Quel che volevo capire è quanto dei profitti è in mano allo Stato e quanto in mano ai privati. Dal link che ho trovato sembra che, la parte di profitto privato, si aggiri sul 2%, che considerando gli introiti, non sono pochi...

      Grazie mille per l'aiuto ragazzi!!

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    8. gesino, non è questo il punto.
      Come è scritto in questo bell' articolo (molto chiaro) di De Grauwe, se tu hai una vera banca centrale prestratrice di ultima istanza, tu governo, DI FATTO, puoi decidere il tasso da applicare ai tuoi titoli e i deficit monetizzati dalla BC sono , nei fatti A CASTO ZERO (spiega bene come gli utili della BC sui titoli di Stato siano una pura partita di giro, in quanto, appunto, la BC quegli utili li rigira al governo stesso)

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  6. Grande Carmen !
    Un saluto anche a 48, anche se non concorso pienamente con te sul fatto che De Grauwe consideri ESOGENA la moneta. Magari sbaglio, ma il fatto che il valore di base monetearia e aggregato M3 nel periodo precrisi coincidevano, conferma la natura ENDOGENAdella moneta, in quanto fino al 2008, la domanda di credito (soprattutto privato) era soddisfatta al 100%. Ma a seguito dell'esplosione della crisi, le banche hanno ridotto drasticamente la concessione del credito, facendo divergere i due predetti valori, pensando principalmente ad aumentare le proprie riserve.
    Anche il superamento del target del 4,5% di aumento di base monetaria annuo che la BCE voleva mantenere, e che Bagnai ha dimostrato essere del 7,5%, conferma il fatto che la BC non può controllare la quantità di base monetaria emessa, "controllando l'offerta monetaria" tramite l'aumento dei tassi, a meno che non decida di NON soddisfare la domanda di credito che le banche private ricevono, smettendo arbitrariamente di fornire liquidità alle banche private stesse.

    Certo Bagnai o Istwine chiarirebbero meglio la cosa. :-)

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    1. Se la consideri endogena in base ai dati della figura 2, di certo non lo dice. Ed infatti, notare che non rileva la contraddizione del dato a consuntivo rispetto al 4,5% (che doveva attivare il moltiplicatore secondo la visione quantitativa rispetto a quella inflazione) e non ne indica le ragioni, continuanto a parlare del moltiplicatore, come di una costante.
      Il che è tipicamente postmonetarista quantitativo; come conferma che non nega la relazione tra quantità di moneta-base e inflazione; perno di tutto l'articolo.
      Non a caso ho fatto cenno allo studio di Buiter che parte da premesse molto simili, per illustrare i limiti non inflazionistici di emissione di M1, cosa che ha senso solo su basi esogeniste e quantitative.

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  7. Fantastico articolo :)

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  8. io trovo stucchevole il fatto che queste cose sembrano quasi consolidate da decenni di studi.. guardando di sbieco la curva di Phillips non si capiscono?
    voglio dire, se sei in crisi l'inflazione è bassa e quindi hai voglia di monetizzare il debito.. evidentemente questi ciulli prima partono dalle proprie idee e poi vagheggiano sui numeri!
    così come pareva chiaro che l'iperinflazione fosse un problema per chi è in stato di default (ops, la Germania di Weimer! ahahah).

    ma in "mezzo" le cose non sono andate mai in maniera diretta.

    Per concludere una mia incavolatura: questi vogliono dirci che la struttura economica-finanziaria in Germania condurrà ad un'inflazione uguale a quella maltese quando si applicano le stesse regole della BCE?
    da noi si dice "me cojoni!" (non da noi! ahahhaha)
    e questo vogliono dirci pure che con un AVO endogena non si produrranno movimenti impazziti di capitali che non condurranno ad inflazioni nettamente superiori?
    infatti nel 2002 l'inflazione è stata del 2%.

    PS: lo chiedo pure a voi.. se tarocco i dati dell'inflazione devo taroccare pure quelli del PIL? e se sì dichiarare il 2% invece del 10% cosa comporta al PIL?

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