Riproponiamo anche qui la "road map", messa in luce dall'ottimo "faro" Orizzonte48, attraverso i principali ostacoli giuridici ed economici che ci ancorano al "vincolo esterno" e ci impediscono di perseguire gli obiettivi programmatici della nostra Costituzione. Grazie a 48 per rendere sempre più chiare ed esplicite le correzioni necessarie a nuovamente rispettare e rendere efficace la Costituzione
1. AVVERTENZA: la lettura
del seguente post è ampiamente agevolata da quella dei post sulla
dottrina
delle banche centrali indipendenti e di quello
"Costituzioni,
banche e Sovranità". E' da supporre che
molti li abbiano già letti. Comunque rileggerseli rinfresca
l'indignazione consapevole :-) (per contrappunto alla triste realtà),
mentre leggerseli per la prima volta evita di dover ripetere la
dimostrazione di alcuni passaggi e, ai numerosi nuovi arrivati, di
"sorprendersi" del perchè le cose stiano andando così
orribilmente.
2. Una delle cose che
pare proprio non farsi strada nelle menti (decidenti e
mediatiche) del PUD€ è che se un paese registra contemporaneamente
un deficit di bilancio pubblico e un costante avanzo primario (cioè
entrate superiori alle uscite, prima di dover imputare l'onere degli
interessi passivi sullo stock pregresso del debito pubblico), la
prima e più razionale via di riespansione del PIL
(compresso in presenza di un avanzo primario che è legato
esclusivamente alla bizzarra idea che occorra abbattere il
debito complessivo secondo parametri avulsi dal ciclo) è la
eliminazione dell'onere degli interessi passivi.
La qual cosa nelle
"menti" del PUD€ è però assunta sempre sulla base del
fatto che il problema sia il debito e quindi nel senso che:
- siccome l'onere
"eccessivo" degli interessi passivi dipende dagli
spread (questione che assume senso solo alla luce della
partecipazione all'UEM);
- siccome comunque questo
onere è elevato perchè è elevato lo stock del debito
(dato che assume senso solo alla luce dell'accumulo
di interessi determinato dall'affidamento del loro livello al mercato
finanziario privato, cioè del fatidico "divorzio");
- ne consegue che devo
abbassare tale stock sia agendo sul flusso che, secondo "loro",
lo alimenta - cioè il deficit-indebitamento annuo- intendendo
ciò come minore spesa corrente e maggior prelievo tributario
(ignorando che il deficit è ormai esclusivamente dovuto...al
sistema che ha consentito l'accumulo di debito-interessi) sia
direttamente imputando, alla diminuzione del debito complessivo,
ricavi da cessione A PRIVATI di asset dell'attivo
patrimoniale pubblico ;
- la sola azione di
diminuzione del deficit (cioè minori spese e maggiori entrate)
avrebbe l'effetto ulteriore di diminuire non solo in sè il flusso di
aumento del debito, ma anche gli spread cioè di calmierare l'onere
degli interessi (da differenziale con titoli espressi nella stessa
valuta ma emessi da altri e più virtuosi paesi, e quindi questione
che assume senso solo nell'ambito di tale vincolo monetario);
- la (s)vendita a
privati del patrimonio pubblico, poi risulterebbe decisiva
per la rapidità dell'effetto di deleveraging che
consentirebbe, "di liberare dal bilancio" risorse"...che
sabbero comunque destinate a costituire un saldo primario funzionale
all'attuale livello di interessi.
Potremmo definire questa
strategia "effetto Von Hayek": cioè "limito il
perimetro dello Stato" (in termini di flusso e di
patrimonio) perchè lo Stato ha deciso che l'inflazione è
l'unico nemico da combattere e quindi solo il vincolo di un forte
indebitamento verso il settore finanziario privato, meglio se
internazionale, può far passare come conveniente questa
strategia.
Ovviamente, la strategia
del "vincolo" nasce quando rendo indipendente la banca
centrale, esentandola dalla la sottoscrizione del debito pubblico
corrispondente al deficit, e, simultaneamente, (auto)impongo vincoli
di cambio, rendendo la politica monetaria, in ogni suo
riflesso di sistema, una rincorsa deflazionista che la
"indipendenza" cristallizza in un dogma, alla luce del
quale verrà letto per sempre
ogni possibile interesse economico nazionale.
3. Questo più o meno
l'insieme delle "pensate" con cui si può dire da sempre -
intendendo con sempre il lontano crearsi del clima politico che ha
portato al divorzio tesoro-bankitalia- cercano di ammanirci le loro
meritorie iniziative per "salvarci".
Ovviamente ogni tanto
aggiungono la fandonia che non sono più in grado di pagare
stipendi e pensioni, nascondendo che, in realtà, quello
che minacciano è di non "volerlo" fare,
perchè la scelta di non (poter) indebitarsi per fare una spesa
pubblica che fronteggi degli obblighi assuntisi dallo Stato, la fanno
loro (col "vincolo UEM"), e la scelta di non
(poter) emettere moneta, invece di indebitarsi con privati prestatori
professionali, sempre loro l'hanno fatta. Notare che la
vicenda dei "crediti alle imprese" è un corollario,
un'applicazione politica (sempre dettata dal vincolo
estero) dello stesso meccanismo.
E quindi se dicono
che non "possono" pagare è perchè ritengono giusto
il "non voler" pagare, avendo costruito un sistema
di leggi e di vincoli sovranazionali, e persino di norme
costituzionali di revisione, che gli consentono di "volere ciò",
parandosi così le spalle da ogni responsabilità che un
assetto redistributivo ben orientato come questo comporta, e
facendo apparire il tutto come un fatto indipendente dalla loro
volontà.
Come se fosse un evento
"cui resisti non potest", alla stregua di un
terremoto o un'alluvione. Altre occasioni, queste
ultime, in cui ormai affermano che non sono in grado di pagare
le spese di soccorso e ricostruzione: sempre per gli stessi identici
motivi.
Cioè non "vogliono"
in base ad una scelta politica (ben lungi dal non avere alternative),
ma, appunto, hanno costruito un sistema di regole presupposte,
circondate persino da acclamazione mediatica, che loda la loro
pretesa capacità moralizzatrice della spesa pubblica, contro
corruzione, sprechi e "clientelismi" (ultimamente è
tornato di moda). Alla fine dei "loro" giochi possono
dire "Mannaggia ci terrei tanto a ridare un'abitazione alle
splendide genti della...(segue nome di regione a caso), a recuperare
il suo unico patrimonio artistico e paesaggistico, ma
non ci sono soldi: abbiamo vissuto al di sopra delle nostre
possibilità".
Come e perchè si sia
costruito, in base a precise scelte politiche questo sistema e come
abbia causato la schiavitù del debito sulle spalle degli italiani, è
più estesamente detto nei post citati in apertura.
4. Ma vediamo quale
sarebbe la logica serie di azioni che, seguendo
regole economiche razionali e scientificamente fondate
sull'osservazione dei dati registrati nei secoli e non
sull'osservazione del proprio ombelico (sempre che lo trovino) di
"operatori razionali", un governo dovrebbe
intraprendere.
Per intaccare uno stock,
che si accumula a seguito di un flusso, devo certamente
limitare-arrestare quest'ultimo.
Ma se, come abbiamo
visto, siamo in situazione di saldo primario, cioè realizzo
effettivamente dei risparmi, un attivo, alla fine del ciclo economico
pubblico, e il flusso negativo effettivo è determinato
esclusivamente dall'onere degli interessi (su questo
non c'è dubbio, neanche il PUD€ riesce a negarlo), non mi dovrò
curare dello spread, che ovviamente esiste perchè esiste "questo"
assetto valutario basato sulla dottrina pura delle BC indipendenti,
ma del problema "se" e "come" esista una
via effettiva di eliminazione di questo flusso.
Solo dopo che
avrò risolto questo problema saprò quale patrimonio sono
effettivamente in grado di gestire, con quale redditività
e, per la verità prima ancora, con quali obiettivi.
E siccome sono uno
Stato (democratico e fondato sul lavoro: non ci posso fare nulla se è
scritto nell'art.1 Cost.), questi obiettivi li devo ritrarre
dagli interessi pubblici che sono affidati alla mia cura, e quindi,
come sempre, dalla Costituzione.
E attenzione la
"redditività" del patrimonio non è
qualcosa che sia mai stata indifferente, non
essendo in precedenza affidata all'arbitrarietà assoluta di uno
Stato che può permettersi qualunque spreco, come ci
raccontano, nascondendo la realtà anteriore al divorzio e all'euro
sotto un'etichetta di totale inefficienza,. rapportata a mitici e mai
realizzati "equilibri ottimali dei mercati". Ciò in
quanto la stessa Costituzione obbligava e tutt'ora
obbliga lo Stato, sempre e comunque a gestire, cioè ad
amministrare, seguendo questi principi:
a) essere al
servizio esclusivo della Nazione (art.98 Cost.), regola
esplicitata per gli addetti all'"apparato", ma che vale a
maggior ragione per il livello politico-istituzionale, tanto che per
i relativi addetti la Costituzione non ritiene necessario enunciarlo
e si limita a richiedere uno specifico giuramento di fedeltà alla
Costituzione...italiana. E quindi tutti gli
addetti a tutte le pubbliche funzioni sono vincolati al "servizio
esclusivo" dell'interesse nazionale, costantemente e
complessivamente, e non di altri interessi
sovranazionali (il che sarebbe ovvio
per l'art.11 Cost., ma essendosi entrati in stato "euro-sognante",
ciò è stato prontamente dimenticato) e per di
più settoriali (e mi riferisco alla "stabilità
finanziaria" che ha molto a che vedere con quel modo di
organizzare le cose a cui il PUD€ si è vincolato, e che finisce
per portare sopra ad ogni altro interesse quello del settore
bancario);
b) assicurare il
"buon andamento" e la "imparzialità"
dell'amministrazione stessa (art.97 Cost.);
Sicuramente questi
principi assolutamente vincolanti (ieri e ora e sempre, finchè
esisterà questa Costituzione) implicano che dovrò raggiungere:
- prima una certa
efficienza di gestione, che significa massimo rendimento
delle risorse patrimoniali pubbliche disponibili, compatibilmente con
gli obiettivi costituzionali - non necessariamente un profitto,
ma almeno evitare la creazione di passivi di gestione, quando sia
evitabile con un comportamento diligente e responsabile
(art.28 Cost.) che la Costituzione esige senza prefigurare che questo
sia possibile solo col "vincolo esterno";
- poi la
efficacia della gestione stessa, perchè mi dovrò
sempre chiedere (lo impone proprio la Costituzione che è
molto più logica di quanto ora vengano a dirvi, e, in ciò,
certamente non superata, essendo principi elementari e razionali di
ogni organizzazione), se e in che grado sto raggiungendo
(efficientemente) gli obiettivi. Obiettivi che altre
norme costituzionali, dette, pensate un pò, appunto,
"programmatiche" indicano
con (sufficiente) precisione (per chi sappia leggerle e leggerle in
buona fede).
5. Insomma se in passato,
ammesso che sia vero nella misura indicata dal PUD€,
ci sono state delle inefficienze, alla luce di criteri di
redditività, che, si badi, non fossero giustificati dalla
"efficacia", cioè dall'obbligo di raggiungere gli
obiettivi programmatici costituzionali, basta riportare la
gestione ai criteri stabiliti nella Costituzione, ovviamente
anche rafforzando e correggendo le leggi che dovrebbero
realizzare "buon andamento", imparzialità", e
perseguimento de "l'esclusivo interesse della Nazione".
Non abbandonando
il perseguimento di tali obiettivi programmatici come se fosse
impossibile ottenerli e ignorandoli, cioè rendendo
irrilevanti le norme costituzionali, per sostituirli
con l'idea, scritta nei trattati europei, che sia prioritario il
raggiungimento della stabilità dei prezzi e della forte competizione
su un libero mercato.
6. A questo punto abbiamo
sufficienti elementi per dire come potrei agire se
volessi rispettare e considerare efficace la Costituzione:
a) occorre
riconoscere di non potere, e prima ancora di non
"dover", considerare gli interessi sul debito come un
onere da sopportare, non appena raggiungano un livello che non
consente più di realizzare il dovere primario dello Stato di
raggiungere gli obiettivi costituzionali;
b) occorre eliminare
l'ostacolo principale a ciò, e quindi l'idea che il deficit
annuale sia da finanziare sul libero mercato, all'ammontare
di rendimenti che sono ritenuti convenienti da investitori privati,
rimuovendo la banca centrale indipendente e riportandola
nella sua funzione (costituzionalmente compatibile) di emittente di
moneta e di tesoriere nell'esclusivo interesse della
Nazione.
Che è poi un obbligo
che, come abbiamo visto, incombe su ogni tipo di pubblico
funzionario, anche sui banchieri centrali: e ciò anche perchè
non può essere lasciato a loro stabilire quale sia l'interesse della
Nazione, essendo, nel complesso da bilanciare degli
interessi-obiettivo sanciti dalla Costituzione, una prerogativa
squisitamente politica, e non certo tecnica, che, in democrazia, solo
un governo che rispecchi l'orientamento elettorale maggioritario
della Nazione stessa, è idoneo ad apprezzare.
Diciamo che i
banchieri centrali, nell'apprezzamento tecnico che
naturalmente possono esercitare, devono anche essere
imparziali: il che può ottenersi solo se abbiano
come posizione non tanto l'indipendenza, ma la assoluta fedeltà
all'interesse pubblico generale, sintetizzato nell'indirizzo politico
democratico, e quindi siano designati e abbiano mandati
vincolati esclusivamente da referenti e regole pubblicistiche. Quindi
le BC, per oggettivo e sistematico vincolo costituzionale,
altrimenti non realizzabile, non possono essere ad azionariato
privato, detenuto per di più dai soggetti bancari che dovrebbero
"vigilare";
c) occorre effettuare
questa operazione doverosa, per non prolungare ulteriormente la
illegittimità costituzionale dell'assetto perseguito, eliminando
senza indugio tutte le regole che a ciò si oppongono: in
specie i trattati internazionali che non possono mai imporre
la sospensione della Costituzione rispetto a principi fondamentali
espressamente dichiarati inderogabili, quali il sostegno
all'occupazione e del relativo reddito (art.4 e 36 Cost.),
l'intervento pubblico nell'economia (artt. 41-47 Cost.)
per evitare che questa si risolva in disutilità sociale, cioè della
stragrande maggioranza della Nazione, nonchè in forme evidenti
di violazione della dignità umana (artt.2 e 3 primo comma,
Cost.), che è automaticamente violata, secondo la
Costituzione, laddove appunto sia registrabile uno stato di
disoccupazione, e sotto-occupazione, che renda impossibile rimuovere
gli ostacoli che si oppongono alla partecipazione di tutti i
lavoratori e lavoratrici alla vita politica, economica e sociale del
Paese (art.3,
comma 2, Cost.).
Notare che questa
impossibilità di rimuovere gli ostacoli alla "piena
partecipazione", può essere espressa proprio come "distanza
dei partiti dalla società", come "disaffezione verso le
istituzioni", come crisi della "democrazia": cioè è
del tutto insufficiente e ipocrita credere che ciò sia effetto solo
di problemi di ingegneria istituzionale come la legge elettorale, il
numero dei parlamentari, la base territoriale di riferimento
delle Camere, la posizione di stabilità-legittimazione del
presidente del Consiglio dei ministri rispetto alla fiducia
parlamentare.
7. Se questi sono i
passi "pregiudiziali" da intraprendere per risolvere
la crisi, ammesso che il problema del debito ne sia la causa
essenziale, il che non è (ma si tratta di problemi interconnessi e
che vengono in luce come un blocco nascente tutto dalla stessa
impostazione contraria alla Costituzione), mi ritroverò in
questa road-map (dinamica,
ovviamente!) operativa:
- denuncia (cioè
recesso) dei trattati UE-UEM nelle norme che riguardano
l'adesione all'euro, e quindi al SEBC (sistema europeo delle
banche centrali), e, comunque, del principio stesso della
non finanziabilià degli Stati da parte delle banche centrali;
- obbligo
primario di sottoscrizione del debito da parte della banca
centrale per una quota consistente, semmai variabile in funzione del
progressivo raggiungimento di obiettivi di deficit e di bilancio
debitamente stabilizzati e in funzione di condizioni cicliche che
possono manifestarsi nel tempo; ma anche obbligo di
sottoscrizione dei titoli pubblici da parte della banca
centrale laddove questi, nella quota variabile dinamicamente
fissata dal governo per esigenze cicliche e di redistribuzione
del reddito nazionale sottoposte al vaglio del Parlamento, non
siano collocabili all'interesse di emissione;
- obbligo della
BC di riacquisto di titoli del debito emessi in precedenza a
diversi tassi di interesse, secondo misure che possono
essere concordate tra banca centrale e i ministri economici, anche in
questo caso seguendo un indirizzo sottoposto al vaglio del Parlamento
(e considerando il riacquisto pubblico del debito in funzione della
"non inflactionary loss absorbing capacity"
italiana, stimabile in circa 410 miliardi degli attuali
euro, alla
luce delle tecniche indicate da Buiter, in
proporzione alla nostra partecipazione alla BCE);
- obbligo, del
tutto ovvio, della BC di riversare in conto al tesoro gli interessi e
i profitti da plusvalenza realizzati nelle varie operazioni di
acquisto.
8. Con queste "semplici"
misure preliminari di ripristino della realtà operativa monetaria
previgente alla trovata del "divorzio tesoro-bankitalia" e
del "vincolo esterno", il flusso degli
interessi passivi sarebbe ridotto drasticamente e lo stock del debito
pubblico sarebbe in rapida diminuzione entro il medio periodo.
Certo questo pone la
questione conseguenziale che, in qualche modo, sia mantenuto o
meno anche il restante impianto legislativo che si è accompagnato
alla indipendenza della BC e al vincolo esterno.
Un sistema che
tuttavia si rivelerebbe sovradimensionato alle esigenze
costituzionali e di buon andamento dei conti pubblici:,
quantomeno da Maastricht in poi, infatti, esso è mirato a
realizzare una misura di avanzo
primario che non solo, (nella nuova situazione) perderebbe
di senso contabile, essendo progressivamente riversata la gran
parte dell'onere del debito nelle casse dello Stato, ma,
finalmente, perseguibile in funzione anticiclica, cioè modulabile in
funzione del raffreddamento o dello stimolo della domanda, a seconda
delle esigenze del ciclo e restituendo allo Stato la
possibilità di fare politica economica e, ovviamente, anche
industriale (dato che anch'essa influisce decisivamente
sulla composizione della domanda, indirizzandola verso obiettivi che
tengano conto dinamicamente dell'apertura internazionale delle
economie).
Quindi, dovendosi
tenere conto di questa interdipendenza delle economie, non tutto il
sistema legislativo dovrà essere mantenuto.
Con questo non si vuole
dire che occorra buttare via tutto quanto fatto in via legislativa
dopo il "divorzio", ma il nuovo assetto monetario
democratico imporrebbe, sempre in coerenza con il dovere di recupero
della legalità costituzionale, di eliminare il superfluo,
(ovviamente con oculatezza, dettata dal dovere di perseguire
l'interesse della Nazione).
Perciò, sarebbero da
reintrodurre tutte quelle misure che consentivano di
rispettare il principio centrale "lavoristico" - il più
importante dei diritti fondamentali (non
cosmetici) della nostra Costituzione.
9. In particolare:
a) poichè una componente
immancabile del deficit è determinata dal saldo negativo
della bilancia dei pagamenti [(G-T)= (S-I)-(X-M)], dovrò
essere in grado di agire su questo elemento, consentendo gli
aggiustamenti del cambio che riportino in equilibrio la
stessa bdp: cosa che rafforza la soluzione di
uscita dall'euro, come abbiamo visto, che già sul
piano delle regole di finanziamento del deficit pubblico e della
corretta politica monetaria, essendoci una imprenscindibile volontà
politica (democratica), risolve in sè anche la questione del
ridimensionamento del debito;
b) poichè, e non va
ignorato, il sistema industriale recupera la
competitività, e quindi l'occupazione, non solo in base al
livello di cambio, ma anche e specialmente, nel medio e lungo
periodo, per la sua produttività, che dipende sia dai
consumi interni (cioè dal grado di utilizzo degli impianti
esistenti), che dagli investimenti (cioè dal grado di creazione di
nuovi impianti e di sostituzione-innovazione degli esistenti), sarà
da riespandere la spesa pubblica e attenuare la pressione
fiscale in una misura che consenta di raggiungere tali obiettivi.
E d'altra parte il
folle sistema fiscale italiano è l'altra faccia della medaglia
della situazione conseguente al divorzio. Simul stabunt, simul
cadent.
Ciò va compiuto
progessivamente ma con intensità pari a quanta parte
dell'onere del debito avrò "prosciugato" e quindi liberato
dalla sua incidenza sull'ammontare del deficit pubblico, che
potrà riespandersi nella sua "sostanza", più che
nell'ammontare assoluto (al netto dei diminuiti oneri del
debito), e quindi tradursi in risparmio privato (non
esclusivamente finanziario, cioè come preconizzavano gli
artt.45 e 46 Cost.) e da questo in investimenti,
riorientati verso il sistema produttivo proprio dalla spesa
pubblica di sostegno a consumi e investimenti;
c) per garantire questa
riacquistata tendenza produttivistica degli effetti della politica
fiscale e dell'impiego del risparmio, sarà naturale riconsiderare la
tipologia ammessa, dalle pubbliche autorità regolatrici del settore,
dei soggetti bancari: cioè sancendo una differenziazione
netta tra banche commerciali e banche di investimento finanziario.
In sintesi, "risalendo" alla legge bancaria del
1936, e dandole semmai piena attuazione circa l'attività,
volta proprio al "buon andamento" nell'interesse della
Nazione, della politica monetaria e del credito, facendo
funzionare meglio e con adeguata trasparenza e accountability
democratica, i comitati interministeriali che definivano gli
indirizzi su cui la banca centrale dovrebbe vigilare;
d) poichè il recupero
della valuta nazionale può indubbiamente condurre a
spinte inflattive, tanto meno rilevanti quanto più la produzione
interna saprà riappropriarsi della domanda (correggendo,
nel medio periodo, l'indebolimento di cambio necessario al
riequilibrio della competitvità e quindi autocorreggendo la stessa
parziale trasmissione inflattiva in ciò insita), il sostegno
alla domanda dovrà essere perseguito anche in
termini "reali" cioè di reddito disponibile al netto
dell'inflazione, stabilendo meccanismi di
indicizzazione salariale rapportati all'inflazione attesa e
accortamente programmata.
Questa sarà tanto
minore, come incidenza negativa - che si avverte
solo a tassi ampiamente superiori all'attuale e in assenza di
interventi pubblici quali quelli qui suggeriti- , quanto
maggiore la ripresa produttiva, dell'occupazione e in generale,
della effettiva produttività, consentita dal combinato
tra flessibilità del cambio e intervento pubblico di sblocco
degli investimenti e dei consumi, sblocco a sua volta
connesso alla possibilità del deficit di realizzarsi in una
misura che rispecchi la crescita effettiva del reddito nazionale,
e non invece, come ora, l'onere degli interessi non coperti da un
avanzo primario non sostenibile e comunque correlato
esclusivamente alle esigenze del vincolo monetario esterno, anzichè
a prudenti politiche anticicliche;
e) poichè il
livello della spesa pubblica sarà riespandibile al netto
dell'onere degli interessi, limitati progressivamente nella
loro incidenza causativa del deficit, (riespandibile
in termini assoluti, perchè innescandosi la crescita, in percentuale
al PIL essa diminuirebbe o rimarrebbe costante), l'insieme dei
meccanismi di spending review assumerebbero
senso nella loro reale funzione.
Che è vedere come
si può spendere meglio, lasciando inalterato il livello della spesa,
senza "sprechi", - una buona parte
dei quali è peraltro imputabile alla stessa logica
della riduzione della spesa,
che non consente adeguata programmazione nel tempo e meno che
mai l'acquisizione di competenze nei decidenti pubblici! La
funzione della spending review, quindi, non è quella di tagliare
esclusivamente e in modo lineare e prociclico la spesa stessa, per
esigenze di cassa dettate dai creditori dello Stato, cioè dello
stesso sistema bancario, e per di più per un debito in origine
determinato da squilibri commerciali dovuti alla moneta unica.
10. Il bilancio
pubblico italiano attuale, di
sicuro virtuoso anche comparato con gli altri paesi europei
-(eccettuata la Germania, drogata però dal controllo
imperialista-commerciale dell'area euro e quindi con un vantaggio
strutturato che è sicuramente delimitato dall'esistenza dell'euro
stesso), che non realizzano da 20 anni avanzi primari paragonabili ai
nostri (si veda come lo sviluppo francese sia stato comparativamente
migliore proprio perchè non ha seguito la logica dell'avanzo
primario ad ogni costo, allargando peraltro abbondantemente il debito
a seguito dell'entrata nell'UEM)-, non verrebbe cambiato
radicalmente solo perchè si avrebbe un cambio monetario flessibile
e un deficit orientato alla spesa nell'economia reale, anzichè a
corrispondere interessi ai privati detentori del debito.
Quello che si avrebbe è
una diversa distribuzione del reddito nazionale, ma in
presenza di una ritrovata crescita secondo la ragionevole
vocazione italiana, derivante da elementi
strutturali esenti da ogni considerazione "moralistica" e
razzistica (cioè secondo "l'interesse della Nazione"),
spostandosi lo "squilibrio" attuale dalle rendite
finanziarie e di posizione, - legate alle infauste
privatizzazioni, argomento affrontabile in un
secondo tempo- alle imprese manifatturiere e al lavoro dipendente.
Con grande giovamento per
la crescita duratura, ma lasciando sicuramente scontenti i percettori
attuali delle rendite.
Come al solito preciso e puntuale, e soprautto prezioso.
RispondiEliminaVorrei aggiungere un argomento, che anche se presente in una forma embrionale, vale forse la pena di rendere un pò più evidente ed ingombrante:
ritengo che assieme a tutti i meccanismi previsti operanti concordemente, sarà imperativo costituire una nuova IRI, con lo scopo di costruire il nuovo, ricostruire tutto quanto è stato distrutto, smembrato, svenduto dai traditori in fascia tricolore che ci hanno governato da 30 anni a questa parte.
Andrebbero contestualmente introdotte delle regolamentazioni, io ritengo che sarebbe il caso di farlo in costituzione nell'ambito dei principi generali, che non consentano la cessione di asset industriali strategici a nessuno ente, in nessuna congiuntura, in nessuna quota.
Si può disquisire su cosa sia stragegico, ma a ben vedere c'è di tutto: energia, difesa (largamente intesa), siderurgica, farmaceutica, chimica, alimentare.
Sarei felicissimo se lo stato ricominciasse a fare industria, (non "solo" politica industriale), in primissima "persona"; dopo anni di esperienza di lavoro ho oramai una collezione privata di prove che lo stato sarebbe indefinitamente più efficente, organizzato, determinato, nel raggiungere qualsiasi risultato di quanto non possa fare alcuna entità privata.
Certamente questo argomento l'ho introdotto in maniera un pò forzata e provocatoria ... a pensarci bene neanche tanto.
Per nulla forzato. E' un argomento importante e "centrato": magari si riuscisse a ritrovare i presupposti di cultura politica diffusa (e non più o meno inconsapevolmente Von Hayek), per mettere questo tra gli obiettivi prioritari.
EliminaLa rassegna della road map implica naturalmente questa conseguenza...se si congiungessero forze democratiche dotate di senso dell'interesse generale costituzionale.
Rammento sempre il "celebre" break-up di Kalecky su quali siano i precisi interessi che osteggiano questa impostazione (e quella della spesa pubblica tout-court):
http://orizzonte48.blogspot.it/2013/06/visco-il-1988-lesorciccio-e-la.html
Ho letto frettolosamente la road map che come didattica elementare ha il suo valore, tuttavia il problema centrale non e' soltanto l'ignoranza dell'oligarchia dominante in termini di economia, moneta e debito pubblico (assmilato a quello del buon padre di famiglia per far rincretinire tutti oltre che loro stessi) ma l'esercizio di potere dell'oligarchia stessa.
RispondiEliminaIl problema e' politico e di potere, l'oligarchia in modo eversivo ha preso decisioni che hanno unicamente generato vantaggi per loro stessi e davanti a ogni diastro che combinano reagiscono con danni e vessazione addizionali per gli altri.
Parlare di democrazia in astratto non serve molto, e i partiti attuali sono servili degli interessi oligarchici.
Le forze democratiche devono rendersi conto che necessitano di un loro punto di vista e della consapevolezza di rappresentari interessi (della maggior parte della popolazione) nettamente conflittuali e in guerra con i miopi interessi oligarchici.
Enrico
Enrico, ricordare i principi programmatici della nostra Costituzione non è parlare di democrazia "in astratto" (se ti riferisci a questo), è rinfrescare la memoria, cosa fondamentale e importantissima perché non molti decenni fa la gente ha combattuto ed ha sacrificato anche la vita per questi principi, che sono stati riconosciuti e garantiti nella Costituzione formale, la quale dunque deve restare un faro nella tempesta, un punto di riferimento per i naviganti sperduti...
EliminaInvero non pensavo tanto alla costituzione formale quando ho usato il valore "astratto" ma a una certa difficolta' a individuare gli interessi in conflitto e l'azione eversiva portata avanti da decenni dall' oligarchia. Non e' dai maggiordomi attuali che hanno combinato solo disastri (per gli altri, loro si sono arricchiti per i servigi resi) che ci si puo' attendere un cambiamento di rotta. Per di piu' sono somari e ignoranti come scarpe.
EliminaCome giustamente osservi la costituzione formale e' costata sangue, l'oligarchia che aveva messo al potere il pagliaccio Mussolini dovette abbassare un poco la cresta, anche se rapidamente si convertirono a campioni dell' antifascismo e operarono in tutti i modi per rendere solo formale (e non reale) la costituzione stessa e a demolire i partiti autenticamente popolari che rivendicavano l'esercizio del potere. (Non a caso Craxi parlo' di poteri irresponsabili che pretendono di comandare, farsi i propri interessi e distribuire etichette fasulle di democrazia).
Gli stessi enormi poteri in pratica concessi al presidente della repubblica e lo svuotamento del ruolo del presidente del consiglio con il favorire la baraonda dimostrano come l'oligarchia in qualche modo si tutelo'.
Le politiche del dopoguerra sono il frutto di rapporti di forza andati persi che devono essere recuperati come opportuanemnte l'autore del testo osserva nella replica sopra.
Il chiaro conoscimento del funzionamento del capitalismo deve essere associato al riconoscimento degli interessi conflittuali e alla loro effettiva rappresentanza. Come il grande M. Kalecky sapeva perfettamente.
L'oligarchia rapace e ignorante affossa capitalismo e democrazia allo stesso tempo.
E
Grazie per questo post lucido e con dei punti di politica economica chiari e pragmatici.
RispondiEliminaSe posso permettermi un commento, vorrei esprimere anche io qualche dubbio sul richiamo alla Costituzione per l'attuazione di queste politiche. Anche io sono della visione che negare, tramite la minacciata riforma, la possibilità per lo Stato di andare in deficit sia quanto meno inconstituzionale.
Tuttavia, nel 2013 dobbiamo chiederci la valenza non solo giuridica, ma anche euristica delle costituzioni nazionali. Qualsiasi programma di 'ritorno al pubblico' (come anche io auspico) dovrà fare i conti con un groviglio inestricabile di relazioni politiche, strategiche e giuridiche tra lo Stato italiano e la pletora di entità internazionali che ci governano.
Per farti un esempio tra i tanti: per chi, come noi, non è del PUD€, tornare alla flessibilità del cambio non vuol dire abbandonare l'UE e tutto il suo regime istituzionale e giuridico. Ora, la normativa UE è prevalente su quella italiana (tranne che per alcune parti minime della Costituzione); se così è, molte di quelle politiche che tu giustamente proponi sarebbero contro la normativa UE (concorrenza, aiuti di stato etc...). Cosa fare? La Costituzione qui non aiuta.
Questo poi è solo uno degli innumerevoli esempi che si possono fare (commercio e investimenti internazionali, regolamentazione finanziaria, anti terrorismo, etc...).
Il discorso, poi, lo puoi estendere da quello Costituzional-giurico a quello politico e geopolitico. Se noi attuassimo tout court delle politiche del genere, le conseguenze a livello diplomatico ed internazionale sarebbero ingenti. Di fatto, si sta proponendo un riposizionamento dell'Italia sullo scacchiere internazionale.
Caro Dave, attenzione.
EliminaMi rendo conto che parli senza conoscere il discorso, compiuto su orizzonte48, di recupero di una corretta interpretazione costituzionale: tra l'altro in linea con gli orientamenti ancora attuali della Corte costituzionale, del tutto intatti, sebbene mai occasionati, purtroppo, dalla INERTE (e non a caso: c'è il PUDE saldamente al comando) reazione italiana ai vincoli dei trattati.
http://orizzonte48.blogspot.it/2012/12/da-orizzonte48-emerge-lumanesimo48.html
A differenza di quanto tenda a fare le Germania, con la sua propria corte costituzionale.
Sarebbe persino troppo lungo elencare i post che compongono questo discorso tecnico-giuridico:
http://orizzonte48.blogspot.it/2013/02/focus-3-costituzione-trattato-e.html (qui un primo quadro riassuntivo di un certo numero di links da considerare)
http://orizzonte48.blogspot.it/2012/12/alcuni-punti-fermi-ipotesi-frattalica-e.html
http://orizzonte48.blogspot.it/2013/05/le-vere-cause-della-svendita-del-made.html
http://orizzonte48.blogspot.it/2013/05/la-grande-trappola-delleuro-la-germania.html (tra l'altro pubblicato anche su questo blog).
Mi fermo qui, per brevità.
Affermare che la normativa UE è prevalente su quella italiana , tranne alcune parti "minime" (!) della Costituzione, è esattamente la linea fondante del PUDE. Rompere questa "precomprensione" distorsiva è invece avversarlo, sulla base della corretta interpretazione della Costituzione.
Anche e più che mai in chiave di relazioni internazionali.
La Costituzione aiuta eccome; basta conoscere ciò che veramente con essa si è inteso costituire a livello DI MODELLO INDEROGABILE da "vincoli esterni".
La teoria della prevalenza del diritto europeo è tutta da rivedere, alla luce del mutamento subito da quest'ultimo a seguito di Atto Unico e Maastricht: che pongono problemi mai risolti, per una precisa volontà politica manipolativa, a livello costituzionale quindi di democrazia vivente.
Basti dire che tutta la Costituzione "economica", e quindi anche la versione dei trattati, vanno necessariamente lette all'interno una scala di valori costituzionale in assenza dei quali non ha senso considerare le stesse norme programmatiche: cioè alla luce degli artt.1, 3 e 4, i quali, a loro volta (ma occorre considerare il percorso integrale svolto nei post linkati) gettano luce sul vero "limite" degli artt.11 e 139 Cost.
Non considerare ciò significa "perdere" in partenza e rinunciare a controbattere le inaccettabili imprecisioni tecnico-costituzionali propagandate dal PUDE
http://orizzonte48.blogspot.it/2013/03/il-ritorno-allo-stato-meramente.html
http://orizzonte48.blogspot.it/2013/01/costituzioni-democratiche-e.html
Sul "riposizionamento": il "timore" ad esso connesso, (chissà cosa succederebbe) non solo non appare affliggere la Germania, ma è anch'esso la parte più insidiosa della propaganda PUDE.
Il colonialismo è la prospettiva attuale: non c'è scelta al "riposizionamento" perchè è una elementare "urgenza e necessità" di salvezza democratica.
Che poi questo sia difficile e cosparso di nuove insidie, non è una buona ragione per rassegnarsi all'annichilimento progressivo e accelerato attuale.
Resistere non è un fatto astratto, concettuale e scontato, ma un impegno concreto e richiede passione civile e amore per la democrazia. Per denunciare sempre e comunque tutto ciò che possa sottrarcela:
http://orizzonte48.blogspot.it/2013/03/oltre-il-pud-2-oil-and-finance-thats-all.html
Caro Quarantotto,
EliminaGrazie mille per la tua risposta e prometto che mi dedicherò alla lettura dei tuoi post. Sono anche io della visione di una interpretazione integrale della Costituzione in quanto atto supremo di una comunita politica. Tuttavia, io volevo solo riportare lo status quo secondo lo schema generale dir. internazionale di competenza UE> dir. UE> diritto nazionale.
Del resto l'ultimo organo garante, la Corte Costituzionale, non può giudicare sull'incostituzionalità delle normative UE ed internazionali, se non per via indiretta. La qual cosa non è di grande efficacia. Di qui il mio scetticismo sulla valenza 'euristica' della Costituzione nel mondo contemporaneo.
Certamente, noi giuristi abbiamo il dovere di proporre modelli migliori sia per lo stato delle cose che per il futuro. Allora, sì, visione anti-PUD€ e rivisitazione della valenza della Costituzione si devono muovere all'unisono. Tuttavia questo avverrà ad un costo (politico e giuridico, se esiste un costo giuridico) di cui bisogna tener conto.
Ad es. ci potremmo volgere nella direzione e verso battuto da USA e Giappone.
RispondiEliminaAhi fiera compagnia!
Bello il post soprattutto nella prima parte dove dici che le presunte regole ce le siamo imposti da soli, e apprezzo la sequenza di azioni da fare che per altro condivido e tra parentesi ne sai molto e ho molto apprezzato nei punti in cui per seguirti ho dovuto documentarmi però c'è un però e mi piacerebbe discutere con te almeno su 2 fatti.
RispondiEliminail primo è che se il sistema ha cercato di darsi certe regole che poi ha preso come limiti c'era un motivo e c'è ancora e ti inviterei a tenerne conto nel ragionamento.. ad esempio il debito pubblico è comunque un problema anche se finanziarlo tramite banca centrale è una cosa che va fatta immediatamente e
2 che visto che citi la costituzione devi tener conto anche dell'articolo 11.. L'Italia non straccia i trattati internazionali perche ripudia la guerra e può decidere di autolimitare la sua sovranità nel tentativo di favorire la pace