27/03/18

FT - I mercati finanziari non si sono accorti della bomba ad orologeria dell'eurozona: l'Italia.

Sul Financial Times, Münchau ci spiega come secondo lui l'establishment finanziario internazionale dovrebbe vedere l'Italia. Nel suo ruolo di eterna Cassandra dell'establishment, Münchau avverte che dopo l'ultima tornata elettorale l'Italia non sembra più verosimilmente propensa ad approvare leggi finanziarie improntate all'austerità, diventando con ciò una potenziale bomba ad orologeria per l'eurozona. E anche se Draghi volesse, politicamente non potrebbe farsi garante di un paese che violasse i parametri in modo deliberato. (Naturalmente, da parte nostra possiamo solo sperare che l'Italia veramente riesca a sottrarsi alle disastrose politiche europee.)

 

 

di Wolfgang Münchau, 25 marzo 2018

 

L’Italia non è l’unica potenziale fonte di instabilità economica nel futuro dell’eurozona, ma è certamente la più prevedibile. Altre fonti di instabilità derivano dalla guerra commerciale o da una crisi economica globale – o più probabilmente da entrambe le cose insieme. Una guerra commerciale rimane un pericolo evidente e attuale.

 

Per ora l’Unione europea si è garantita una sospensione dei dazi statunitensi su acciaio e alluminio. Ma il blocco dei paesi europei è pericolosamente dipendente dall’esportazione di beni manufatturieri. E dovremmo fare attenzione a non interpretare l’annuncio di una breve dilazione come un segno di condiscendenza da parte di Donald Trump. Il presidente USA ha preso la decisione tattica di non muovere guerra a Unione europea e Cina nello stesso momento. Per cui la minaccia verso la UE non è scomparsa, e le concessioni che Trump riuscirà a ottenere in cambio di una futura esenzione permanente dai dazi saranno formidabili.

 

Una guerra commerciale o un altro incidente geopolitico stanno diventando sempre più probabili. E potrebbero mettere fine all’attuale tendenza globale di espansione dell'economia. Una crisi, o anche un semplice breve periodo di recessione, per l’eurozona e per l’Italia sarebbero veleno.

 

La crisi dell’eurozona ha lasciato all’Italia un unico, improbabile percorso su cui procedere: quello di una stretta fiscale permanente da associare a riforme economiche (con la preghiera che questa fantasiosa combinazione di politiche economiche conservatrici possa garantire una sostenibilità del debito nel lungo termine). Tornando al mondo reale, non c’è nessun partito politico in Italia che abbia promesso delle serie riforme economiche, e i due partiti usciti vincitori dalle ultime elezioni politiche, cioè il Movimento Cinque Stelle e la Lega, partito anti-immigrazione, hanno minacciato di scatenare un qualcosa di assolutamente opposto a una stretta fiscale. Perciò, se l’economia globale dovesse andare in crisi, porterebbe l’Italia con sé.

 

Un momento cruciale a cui guardare sarà la legge finanziaria per il 2019, che dovrà essere approvata entro l’autunno. Per allora, l’Italia potrebbe anche riuscire a formare un governo. Ma le dinamiche politiche del Parlamento saranno determinanti. I partiti populisti contano, assieme, il 60 percento dei deputati e senatori Italiani. La loro priorità non è sicuramente quella di seguire il percorso fiscale imposto dalla UE. Quando i governi sono deboli, i parlamenti sono forti. La maggioranza presente nel Parlamento italiano non sembra decisamente una maggioranza propensa ad approvare un altro bilancio di austerità.

 

Ma allora perché i mercati finanziari sono così calmi? Penso che stiano commettendo due errori. Il primo è che Mario Draghi si è fatto garante della stabilità, almeno fino alla fine del suo mandato, che sarà a ottobre del prossimo anno. Non scommetterei, però, che il presidente della Banca centrale europea sia disposto a correre in sostegno di un paese membro che si faccia deliberatamente beffe dei vincoli fiscali europei.

 

Quando nel 2012 Draghi prese il suo impegno del “whatever it takes”, l’Italia era guidata da Mario Monti, un primo ministro eurofilo che rappresentava un governo di tecnocrati. Naturalmente Monti era ligio alle regole.

 

Il secondo errore di valutazione che i mercati stanno facendo è che l’establishment italiano riuscirà sempre a trovare il modo di tenere gli estremisti lontano dal potere. Ho perso il conto delle volte in cui mi è stato assicurato che le riforme elettorali avrebbero garantito la vittoria dei partiti centristi. Certo, i sistemi elettorali sono importanti, ma non possono creare per miracolo delle maggioranze che non esistono.

 

Ciò a cui stiamo assistendo ora in Italia è la prevedibile risposta a due decenni di politiche economiche che non sono riuscite a garantire posti di lavoro per i giovani. Molte delle vittime di queste politiche costituiscono oggi la spina dorsale del sostegno ai trionfanti partiti populisti. Nessun paese, nemmeno un paese paternalista come l’Italia, è in grado di mantenere un consenso pro-europeo in presenza di una interminabile calamità economica.

 

A meno che il Movimento Cinque Stelle o la Lega non decidano di autodistruggersi, non possono permettersi di venire meno alle loro promesse elettorali. Il Movimento Cinque Stelle ha promesso un reddito di cittadinanza universale. La Lega ha promesso la flat tax. Entrambi i partiti intendono cancellare la riforma delle pensioni. Queste promesse sono semplicemente incompatibili con il rispetto delle regole fiscali della UE.

 

Nuove elezioni non potranno risolvere il problema. Potrebbero condurre semplicemente allo stesso risultato, o perfino a una percentuale di voti ancora più alta per i partiti più estremi. Continuerà a non esserci una maggioranza favorevole alle riforme economiche e alla stretta fiscale. In altre parole: di tutte le possibili alternative in campo, si fa fatica a trovarne una che sia compatibile con il rispetto dei vincoli fiscali europei.

 

La tragedia dell’eurozona è che l’Italia è troppo grande per fallire, ma anche troppo grande per essere salvata. L’eurozona non ha strumenti per agire efficacemente in caso di crisi di un grosso paese. I dibattiti franco-tedeschi sulle riforme dell’eurozona appartengono alla categoria delle cose che sarebbe bello realizzare. Si tratta di nuove regole per l’attuazione del Meccanismo Europeo di Stabilità, l’ombrello di salvataggio, e dei prossimi passi verso l’unione bancaria.

 

Ma se Parigi e Berlino facessero sul serio in merito alla prevenzione della crisi dovrebbero discutere di un fondo unico per arginare i mercati finanziari e di uno strumento di finanziamento fiscale capace di ravvivare il desolante paesaggio economico europeo. Politicamente, la probabilità di simili riforme è pari a zero.

 

Fino a che le cose stanno così come sono ora, possiamo tranquillamente dire che la stabilità economica è solo un periodo che intercorre tra due crisi.

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