L’illustre professore Ashoka Mody su The Independent conferma nel caso di Macron quanto già vissuto da Renzi e altri leader europei: seguire le ricette economiche europee porta inevitabilmente alla perdita irrimediabile del consenso politico interno. Oltre a essere un monito per Macron e per gli altri leader politici dopo di lui, questa evidenza mette a nudo la contraddizione inconciliabile tra i fondamenti della costruzione europea e le democrazie dei singoli paesi europei. La sopravvivenza di una delle due cose passerà dalla soppressione dell’altra. Ogni cittadino è libero di scegliere tra la democrazia e la fede incondizionata nel “sogno” europeo.
Di Ashoka Mody, 12 novembre 2018
Nel maggio del 2017, il trentanovenne Emmanuel Macron è stato eletto Presidente Francese con un largo consenso del 62%.
The Guardian descrisse la vittoria come un voto alla speranza. Celebrando il pro-europeismo di Macron, il giornale tedesco Handelsblatt scrisse: “C’è una rinnovata speranza per il Progetto Europeo.” La copertina di The Economist mostrava Macron che camminava sull’acqua.
Macron generò l’aspettativa che avrebbe risollevato l’economia francese moribonda e, a partire da questo punto di forza interna, avrebbe portato nuovo vigore all’integrazione europea.
Al contrario, 18 mesi dopo, il suo consenso è precipitato sotto il 30%. I sondaggi stanno iniziando a riflettere questo consenso personale in declino. Anche se Macron sta facendo piani grandiosi di guidare una nuova forza politica al Parlamento Europeo il prossimo anno, il suo tallone d’Achille in patria continua a indebolirlo.
In maggio, il movimento guidato da Macron “La République En Marche! (LREM)/Mouvement Democrate (MoDem)”, che era dato al 27% dei consensi, aveva 10 punti di vantaggio rispetto all’estrema destra del Rassemblement National (RN); oggi, il LREM/MoDem è dato al 19% ed insegue il RN che è invece al 21%.
Nonostante venga ancora osannato all’estero, le fortune di Macron in patria sono finite, perché ha seguito discutibili politiche “trickle-down”, che hanno ripetutamente fallito nell’intento di riportare ottimismo tra i cittadini alle prese con difficoltà e incertezze economiche. Di conseguenza, in modo piuttosto opportunistico, Macron ha tentato di appagare gli ansiosi collegi elettorali nazionali con politiche strettamente nazionalistiche.
Queste hanno anche messo fine a qualsiasi possibilità che Macron possa portare avanti un’agenda pro-Europa. Macron farebbe bene a imparare la lezione dalla discesa negli abissi politici dell’ex primo ministro italiano Matteo Renzi.
Anche Renzi aveva 39 anni quando divenne primo ministro. La cancelliera tedesca Angela Merkel lo accolse come un “mattatore”. Lui si immerse nella parte, vestendo come un ribelle alla moda con jeans e giacca di pelle.
Renzi si vantava che un’Italia dinamica sarebbe stata “una dei leader d’Europa”. The Guardian considerava Renzi come l’uomo che avrebbe “salvato l’anima dell’Europa”. Ma Renzi adottò anche politiche interne fallimentari e compromise le coalizioni necessarie per portare avanti la sua agenda.
Una cosa che li accomuna, e fonte in definitiva fonte comune di sconfitta, è che Macron, e forse ancor di più Renzi, avevano in mano delle brutte carte. Avevano ereditato economie in cattiva salute che alimentavano il malcontento sociale e politico.
Il reddito pro capite francese è rimasto allo stesso livello dell’inizio della crisi globale finanziaria del 2007; la disoccupazione è appena al di sotto del 9% e la disoccupazione giovanile è persistente.
Per molti cittadini francesi, il sistema scolastico fa molto poco per aiutarli a scalare il sistema sociale. In tutti questi aspetti, i problemi italiani sono molto più profondi. Non c’è alcuna prova che le politiche di Macron aiuteranno la crescita. Egli usa un mantra usurato di fare pomposi proclami riguardo le agevolazioni fiscali che prevede per i francesi ricchi: “se vuoi condividere una torta, la prima cosa necessaria è avere la torta”.
Se i tagli alle tasse (ai ricchi NdVdE) producano crescita è da stabilire, ma aumentano sempre il senso di ingiustizia sociale. Le “riforme” del mercato del lavoro di Macron - che rendono più semplice licenziare i lavoratori - aumentano i lavori precari e di breve durata, da alcuni mesi a poche ore. Le imprese perdono qualsiasi incentivo ad investire nei propri dipendenti, e la crescita della produttività scende. Il senso di ingiustizia sociale e di vulnerabilità economica aumenta. E ora, la tassa pro-ecologista che ha proposto sulle auto diesel ha provocato un’altra tempesta.
Il leader conservatore dell’opposizione, Laurent Wauquiez, si è affrettato ad alimentare la rabbia interna: “Bisogna essere completamente staccati dalla realtà per non capire che tassare i diesel significa tassare i francesi che lavorano”. Gli scioperi nazionali previsti per sabato hanno il sostegno del 78% della popolazione francese. Ormai etichettato come il “presidente dei ricchi”, la base del consenso di Macron si è ristretta a pochi professionisti istruiti e di successo che lavorano e vivono nelle grandi città.
A discapito della sua giovane età, Macron fatica ad attirare la gioventù francese. I tentativi del governo di Macron di implementare maggiore equità nel sistema di istruzione francese è la miglior speranza di crescita e maggiore giustizia. Tuttavia, la riforma del sistema scolastico è un compito generazionale. Lo sforzo è reso più duro dall’incapacità politica di tagliare i privilegi radicati e riallocare le spese governative verso l’istruzione.
Quindi, le probabilità che Macron si rivelasse un salvatore europeo sono sempre state scarse. Nonostante i suoi discorsi tanto celebrati, Macron affronta l’integrazione europea con un occhio di riguardo verso la politica interna francese.
Questa situazione ha prevedibilmente aggravato le divisioni europee. Macron si è inimicato i governi dell’est Europa, cercando di limitare i “lavoratori distaccati”: in genere dipendenti di fornitori di servizi provenienti dall’est Europa. Nonostante il numero di questi lavoratori sia decisamente basso, Macron ha affermato che il loro piccolo pacchetto retributivo costituiva un “dumping sociale”, e pertanto danneggiava i lavoratori francesi.
Sulla questione estremamente divisiva dell’immigrazione, la polizia francese sale a bordo dei treni che arrivano dall’Italia per cercare e respingere gli immigrati, ridepositandoli oltre la frontiera italiana.
L’ispezione dei treni in arrivo mette a repentaglio anche il sistema di Schengen che permette di passare da un paese all’altro dell’Europa senza passaporto. Il recente discorso di Macron contro un’Europa “ultra-liberale” è un altro tentativo di ottenere consenso politico interno. Il suo proclama, “serve un’Europa che protegge”, o è solo uno slogan vuoto, oppure richiede di ripensare profondamente l’attuale sistema di frontiere aperte dell’Europa.
Per peggiorare le cose, il suo tormentare cinicamente i leader italiani per il loro rifiuto di adempiere alle loro responsabilità umanitarie verso gli immigrati e il suo accusare i leader dell’Europa dell’est di promuovere il proprio interesse nazionale, Macron ha peggiorato il problema enormemente difficile di condividere gli immigrati tra le nazione europee. Con una statura nazionale fortemente ridotta e pochi alleati in Europa, l’iniziativa tanto lodata di Macron di rafforzare le difese dell’eurozona durante le crisi finanziarie si è prevedibilmente arenata.
Nonostante la Cancelliera tedesca Angela Merkel abbia consentito, in linea di principio, di cooperare con Macron, il rinato sentimento nazionalista tedesco e l’opposizione all’interno del suo circolo conservatore, limitano fortemente quello che la Merkel può fare. Altri paesi del nord con una tendenza conservatrice in materia fiscale, in particolare l’Olanda, e le nazioni dell’Est Europa, si sono opposti ad ogni iniziativa che richieda loro di finanziare altri governi europei. L’agenda europea di Renzi era limitata ma legittima: voleva ammorbidire le regole fiscali che richiedono austerità durante le recessioni economiche e, quindi, approfondiscono le recessioni. Tuttavia, le Sante Regole sono rimaste fermamente incastonate sul loro piedistallo.
Creare una coalizione per cambiare l’Europa è quasi impossibile. Tuttavia, come nel caso di Macron, il vero fallimento di Renzi è stato in patria, dove anche lui ha seguito la tradizionale ricetta europea di “riforme del mercato del lavoro”. Renzi ha rapidamente perso consenso interno, specialmente tra gli italiani giovani. Ancora sofferenti per gli alti tassi di disoccupazione della brutale crisi economica italiana, pochi italiani hanno creduto che l’aumento del numero di nuovi lavori altamente precari sarebbe diventato una pietra angolare di un’economia stabile. La fine di Renzi è arrivata in fretta.
Nel dicembre 2016, votando per un referendum per approvare le riforme costituzionali da lui proposte, i cittadini italiani umiliarono Renzi, portandolo alle dimissioni. Circa l’80% dei cittadini tra i 18 e i 24 anni votarono contro di lui.
Macron può godere di importanti vantaggi istituzionali rispetto a Renzi. In quanto presidente con un mandato quinquennale e una solida maggioranza parlamentare, può rimanere in carica. Ma la stessa impudenza che lo ha portato così rapidamente al potere sta ora portando anche i suoi più ferventi ammiratori a distaccarsi da lui. Ultimamente, il ministro dell’interno Gerard Collomb, il “primo poliziotto” francese, ha rassegnato le dimissioni dopo un diverbio pubblico con Macron. Il dimissionario Collomb ha accusato Macron di “arroganza” e “mancanza di umiltà”.
Riguardo le politiche economiche, gli economisti a lui favorevoli Jean Pisani-Ferry e Philippe Martin lo hanno messo in guardia, esortandolo ad agire più direttamente sulla disuguaglianza e il diffuso senso di mancanza di giustizia sociale. Macron deve cambiare sia il suo stile, sia le priorità politiche. Altrimenti il delicato tessuto sociale francese si lacererà ulteriormente e Macron potrebbe perdere bruscamente tutta la sua efficacia politica, allo stesso modo di molti suoi predecessori a partire dall’illustre Charles de Gaulle.
Il caso vuole che il predecessore di Macron, Francois Hollande, venne umiliato alle elezioni parlamentari europee del 2014, un fallimento da cui non si riprese più. Le incombenti elezioni parlamentari europee del maggio 2019 – a cui Macron ha attribuito grande importanza – potrebbero rivelarsi la sua rovina.
Ashoka Mody è professore a contratto di politica economica internazionale all'Università di Princeton ed ex vice direttore dei dipartimenti del Fondo Monetario Internazionale della Ricerca e dell’Europa. Il suo ultimo libro è Eurotragedia: un dramma in nove atti.
Nessun commento:
Posta un commento