Ora, in seguito a questo articolo di Libération, sembra che si stia muovendo qualcosa. E che in prossimità delle elezioni qualcuno senta l'urgente bisogno di ripristinare la fiducia del popolo nelle istituzioni europee...
di Jean Quatremer, corrispondente a Bruxelles per Libération — 14 marzo 2019
Traduzione per Vocidallestero di Luca Fantuzzi
Laura Pignataro si è suicidata il 17 dicembre. Alto funzionario del servizio legale della Commissione europea era stata costretta a difendere la nomina, viziata di irregolarità, di Martin Selmayr (vecchio capo di gabinetto di Jean-Claude Juncker) a segretario generale dell’istituzione.
Bruxelles, 17 dicembre 2018, 7,30 di mattina. Laura Pignataro chiede a Lorenza B., l’amica presso cui alloggia da qualche giorno, di accompagnare la figlia di 14 anni alla fermata dello scuolabus. Si giustifica dicendo di non sentirsi bene. Una volta che le due donne si sono allontanate, Laura Pignataro sale all’ultimo piano del palazzo e si getta nel vuoto. Muore sul colpo. La polizia belga conclude rapidamente per un suicidio. Uno in più, in un Paese particolarmente toccato da questo flagello (tra 140 e 200 all’anno, a Bruxelles). Perché questa italiana di 50 anni si è suicidata? Nessuno lo saprà mai con certezza, perché non è stata lasciata neppure una parola.
Fine della storia? Non proprio. Perché Laura Pignataro era una che contava, nella «bolla europea». Questa brillante giurista italiana, figlia di un alto magistrato, formatasi in Italia, negli Stati Uniti, in Francia e in Spagna, faceva parte del gruppo assai ristretto degli alti funzionari della Commissione. Direttrice, uno dei primi tre posti della funzione pubblica europea, lavorava dal 1992 alla Commissione e dal 1995 all’interno del suo prestigioso servizio legale (SL). A giugno 2016 è stata promossa a capo della direzione delle risorse umane del SL, chiaramente per garantire la legalità delle nomine. È proprio questa funzione che le ha fatto giocare un ruolo chiave nella gestione dell’affare Martin Selmayr, dal nome del vecchio capo di gabinetto tedesco del Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker che il 21 febbraio 2018 è stato catapultato al posto di segretario generale dell’istituzione, la torre di controllo da cui tutto passa (o… trapassa), in violazione delle regole dello statuto della funzione pubblica europea. Un scandalo, sollevato proprio da Libération, che non smette di provocare reazioni: dopo aver denunciato un vero “colpo di stato” nell'aprile 2018, il 13 dicembre il Parlamento europeo ha chiesto le dimissioni di Selmayr con una maggioranza schiacciante del 71% dei voti.
«Panico».
Col suicidio di Laura Pignataro, è un ingranaggio essenziale del caso che scompare. Tutto inizia, per la direttrice del SL, il 28 febbraio 2018, quando la commissione per il controllo del bilancio del Parlamento europeo, di fronte all’ampiezza dello scandalo mediatico, apre un’inchiesta sul «Selmayrgate» e invia una lista di 134 domande alla Commissione. «Si è diffuso il panico all’interno», racconta un eurocrate: «Il problema è che il servizio legale non era stato informato in anticipo della nomina di Selmayr, come peraltro avrebbe dovuto essere […], e questo perché sapevano che si sarebbe opposto a questo inganno.»
Ma, a quel punto, non c’era altra scelta che chiamarlo in aiuto per cercare di giustificare giuridicamente una nomina puramente politica. Il compito si annuncia impossibile. Come giustificare che Juncker e Selmayr avessero tenuto il segreto per più di due anni sul prepensionamento progettato dal segretario generale uscente, l’olandese Alexander Italianer? Perché la sua decisione di andare in pensione è stata annunciata soltanto il 21 febbraio 2018, in piena riunione del collegio dei 28 commissari, dopo la nomina al posto di segretario generale aggiunto di Martin Selmayr?
Una riunione per redigere le risposte è convocata il 24 marzo 2018 alle 2 e mezzo del pomeriggio dal gabinetto Juncker. Attorno alla tavola si trovano sedute 10 persone tra cui, per il servizio legale, lo spagnolo Luis Romero, direttore generale, il tedesco Bernd Martenczuk, suo assistente, e Laura Pignataro. Ma, nel bel mezzo della riunione, Martin Selmayr, accompagnato dalla sua anima nera, Mina Andreeva del servizio stampa, entra in sala. Romero si alza immediatamente, e lascia la sala. Perché l’arrivo del segretario generale in una riunione consacrata a elaborare la sua difesa costituisce un patente conflitto di interessi. L’art. 11-bis dello statuto dei funzionari dispone che «nell’esercizio delle sue funzioni il funzionario non tratta affari in cui abbia, direttamente o indirettamente, un interesse personale». Invece che andarsene, Romero avrebbe dovuto esigere che Selmayr lasciasse la sala, cosa che non ha fatto. E la Pignataro non ha osato seguirlo: «Romero l’ha freddamente abbandonata alla deriva. L’ha lasciata sola», dichiara un testimone. Il fatto che lei fosse stata nominata al suo posto nel giugno 2016 dallo stesso Selmayr probabilmente spiega perché sia rimasta. Lui stesso giurista, è stato Selmayr a dettare le risposte quel 24 marzo…
Come era facile attendersi, gli eurodeputati non si sono assolutamente convinti della validità degli argomenti della Commissione. Scrivono una seconda serie di 61 domande. Le risposte sono preparate il 2 aprile 2018 dalla stessa équipe e, come la prima volta, Selmayr è presente. «Laura, uscendo da quelle riunioni, era arrabbiata nera: sapeva di aver partecipato a un conflitto di interessi illegittimo», confida uno dei suoi amici. «È una giurista esageratamente leale con la sua istituzione, una che non è per nulla politica. Ha compreso subito che la nomina di Selmayr era illegale, ma ha cercato comunque di cautelarsi coprendo una violazione della legge. In questo secondo incontro, Laura gli dice chiaramente che quello che stava facendo era uno scandalo, ma che lo stava facendo per l'istituzione. Il Parlamento resta insensibile alle bizzarre spiegazioni di Selmayr e della sua squadra. Nella risoluzione votata il 18 aprile, chiede che la nomina di Selmayr sia «valutata nuovamente». La Commissione rifiuta seccamente: per l’istituzione, «tutto è stato fatto nelle regole».
La forzatura del diritto
A maggio, è il turno della mediatrice di entrare in gioco. L'irlandese O'Reilly inizia la sua indagine in un'atmosfera di tensione. Chiede l'accesso al server della Commissione. Respinto. Richiede quindi la trasmissione di tutte le e-mail relative alla nomina di Selmayr. Nuovo rifiuto. Ma, a quel punto, Laura Pignataro va oltre: ritiene suo dovere di rispondere alle domande della mediatrice. «"Non posso mentirle, è impossibile, ho dato tutti i dossier alla mediatrice", mi ha raccontato», ricorda uno dei suoi intimi collaboratori. Selmayr non viene immediatamente a conoscenza del «tradimento» di quella che considera il suo scudo legale. Pubblicata il 4 settembre, la relazione della mediatrice è schiacciante: risulta che la nomina di Selmayr a Segretario Generale sia stata preparata nel gennaio 2018 e che non sia mai stata messa in dubbio da coloro che fingevano di partecipare a una procedura di reclutamento fasulla sin dall'inizio. C’è tutto: le mail interne, i documenti Word modificati ora per ora… Per Emily O’Reilly, «lo spirito e la lettera» delle regole dell’Unione sono state violate e la procedura di nomina «manipolata». Selmayr realizza allora che la Pignataro è all’origine della fuga di notizie. La incarica di rispondere alla mediatrice e le impone di non parlarne a nessuno. Eccola di nuovo obbligata a mentire. Il segretario generale la chiama a volte nel bel mezzo della notte per darle le proprie direttive… le risposte sono pubblicate il 4 dicembre. Laura Pignataro non ne può più di violare così la legge e di mentire. Il 12 dicembre, secondo le confidenze fatte al proprio entourage, afferma di aver «sbagliato carriera»: «Sono finita. Non puoi immaginare cosa sono stata obbligata a fare in queste ultime settimane.» Secondo questa fonte, «era terrorizzata dall’ostilità di Selmayr». Il giorno successivo, una delle persone a lei vicina racconta che «le sue parole erano diventate incoerenti». Laura spiega che «non aveva registrato le sue presenze e la sua carriera era finita». Quattro giorni dopo, si butta nel vuoto. Il direttore generale del servizio legale, Luis Romero, viene a sapere del suo suicidio nel corso di una riunione coi suoi direttori alle 9,25. Non dice nulla e lascia la riunione. Gli eurocrati del servizio legale scoprono il dramma attraverso un messaggio pubblicato sulla loro intranet e non sulla linea generale: «Luis Romero si duole di dover comunicare la triste notizia del decesso di Laura Pignataro.»
Né Martin Selmayr, né Günther Oettinger, il commissario all’amministrazione, né Jean-Claude Juncker riterranno utile inviare le loro condoglianze alla famiglia, o assistere (o almeno farsi rappresentare) alla cremazione, che ha luogo il 21 dicembre a Bruxelles. In compenso, «quel giorno tutti i funzionari hanno ricevuto un messaggio di Selmayr che augurava a tutti buone feste. Eravamo scioccati», racconta uno degli amici di Laura Pignataro. Stessa assenza il 31 gennaio, alla cerimonia organizzata in sua memoria… Eppure Selmayr conosceva Pignataro, avendola nominata nella posizione che ricopriva e avendoci lavorato insieme per 10 mesi. E tutti ricordano che Juncker non ha esitato ad assistere, il 27 ottobre 2016, alle esequie di Maria Ladenburger, la figlia di un consigliere giuridico della Commissione, stuprata e assassinata da un richiedente asilo afgano. Per Laura, solo indifferenza. Una volta scoperta la sua morte, i servizi di sicurezza della Commissione mettono il suo ufficio sotto chiave. Lo è ancora oggi. Peraltro, l’inchiesta della polizia belga è stata completata in pochi giorni. L’esecutivo della UE rifiuta di dire se sono state portate avanti delle indagini interne sulle ragioni di questo suicidio: burn-out? Mobbing? Problemi personali? Domande che ogni datore di lavoro si dovrebbe porre, tanto più che il servizio legale ha conosciuto 6 suicidi in 12 anni (su 250 persone circa). «Dal punto di vista umano, la Commissione è un luogo orribile», confida un direttore dell’istituzione. A dicembre 2017 Selmayr dichiarava a Libération: «Si esagera molto la mia brutalità, quando invece la brutalità è parte integrante della casa.»
Alle nostre domande, Alexander Winterstein, portavoce aggiunto, ha risposto: «Si tratta di una questione interamente privata. Non ho alcun commento da fare.» Abbiamo mandato una seconda serie di domande. La risposta, da parte di un Luis Romero devastato, è stata più umana: «Laura Pignataro era una eccellente e brillante giurista e una collega molto apprezzata in seno alla Commissione europea. Il suo decesso è stato uno choc per tutti i colleghi che hanno avuto il privilegio e la fortuna di conoscerla e di lavorare con lei.» Ma nulla sull’assenza di condoglianze o l’eventuale mobbing di cui potrebbe essere stata vittima Laura Pignataro : «Non vogliamo fare commenti su queste speculazioni senza fondamento che sollevi nel tuo messaggio.»
«Un posto orribile»
Ci sono ragioni diverse da quelle professionali che avrebbero potuto spiegare il suo gesto? Coloro che abbiamo intervistato descrivono una donna amante della vita, ambiziosa, sportiva. «Il suo gesto è difficile da comprendere, era serena, forte ed energica, ricorda uno dei suoi vecchi responsabili, Giuliano Marenco, direttore generale aggiunto del servizio legale, oggi in pensione. Non dava l’impressione di essere sopraffatta da alcunché.» La sua situazione personale era complicata. Il marito, Michel Nolin, un francese funzionario del servizio legale, era da anni in guerra con la Commissione ritenendo di non aver avuto la carriera che si sarebbe meritato. Ha addirittura fatto ricorso innanzi alla Corte di giustizia (e ha perso). Ora, sua moglie era stata nominata in un posto dove rischiava di dover trattare il caso del marito, posizione quantomeno non confortevole. I rapporti della coppia si erano talmente deteriorati che Laura Pignataro si era rifugiata a casa della sua amica con la figlia pochi giorni prima il suo gesto fatale. La figlia, d’altronde, non è stata affidata al padre, ma al fratello della defunta. Il bando per il posto della Pignataro è stato pubblicato il 4 marzo, quasi tre mesi dopo la sua morte. Sappiamo già che Selmayr nominerà uno dei suoi fedelissimi, tedesco come lui. Il nuovo direttore sarà il primo ad avere accesso al computer di Laura Pignataro.
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