In un
articolo apparso sulla piattaforma di divulgazione scientifica svizzera De Facto, ripreso da
Le Grand Continent, il professor Alexandre Afonso commenta i pregiudizi che hanno
condizionato il dibattito di questi mesi sulla creazione degli Eurobond per
combattere la crisi epocale legata alla pandemia da coronavirus. I dati
smentiscono la tesi secondo cui i paesi così detti frugali del Nord avrebbero
gestito le casse statali in modo più oculato rispetto ai paesi dell’Europa del
Sud.
Di Alexander
Afonso, 16 Luglio 2020
Traduzione di Oscar Amalfitano
I negoziati
per una soluzione europea alla crisi economica legata al coronavirus hanno
nuovamente diviso i paesi della Eurozona (l’articolo qui tradotto è
precedente all’accordo sul Recovery Fund, ndr).
Da un lato, i
paesi del Nord guidati dall'Olanda sono a favore di un sostegno finanziario
solo sotto forma di prestiti una tantum. D'altra parte, i paesi del Sud
particolarmente colpiti dall'epidemia, come l'Italia o la Spagna, aspirano a
riforme fondamentali, in particolare una mutualizzazione del debito pubblico, che
includerebbe l'emissione di obbligazioni europee, i così detti Eurobond.
La Germania o
i Paesi Bassi possono attualmente contrarre prestiti a tassi di interesse
negativi - il che significa che gli investitori sono disposti a pagare per il
privilegio di prestare loro denaro - mentre l'Italia o la Grecia devono pagare
rispettivamente l'1,6 e l'1,7% di interessi.
Gli Eurobond
consentirebbero, da un lato, ai paesi meridionali di beneficiare di tassi di
interesse più bassi, mentre dall'altro aumenterebbero il costo degli interessi per i
paesi nordici.
Negoziati Amari
tra gli Stati Membri
Nonostante
l'imminente minaccia di un collasso economico senza precedenti, che
richiederebbe una rapida reazione, i negoziati sono stati contrassegnati da
aspri conflitti tra gli Stati membri dell’Eurozona. In una videoconferenza dei Ministri
delle finanze europei pare che l'olandese Wopke Hoekstra abbia chiesto
un'indagine sul perché alcuni Stati del Sud non abbiano accumulato riserve
finanziarie negli ultimi anni, mentre altri nel Nord ci sono riusciti. Il primo
ministro portoghese Antonio Costa ha descritto questa richiesta, nel contesto
dell’attuale emergenza sanitaria, come "ripugnante", mettendo allo
stessi tempo in dubbio la serietà dell'impegno politico europeo dei Paesi
Bassi.
L'argomento
principale dei paesi del Nord è che nazioni come i Paesi Bassi abbiano gestito le
casse statali in modo oculato, mentre l’Europa del Sud viveva al di sopra delle
proprie possibilità. In questo contesto, una mutualizzazione del debito
consentirebbe ai paesi meridionali di approfittare della sobrietà dei nordici, senza
aver realmente intrapreso sforzi sufficienti per il risanamento dei loro
bilanci.
L'Italia, con
un debito pubblico pari al 134% del prodotto interno lordo e un deficit di
bilancio permanente, sarebbe l'obiettivo principale della critica olandese.
Questo genere di affermazioni seguono le orme di quelle dell'ex ministro delle
finanze olandese Jeroen Dijsselbloem, che nel 2017 accusava gli Stati
dell’Europa del Sud di spendere troppo in "donne e alcool".
A un esame più
attento l’Italia è stata più parsimoniosa dei paesi del Nord
Osservando
più da vicino i dati, il problema di questa interpretazione delle politiche di
bilancio italiane e olandesi degli ultimi 30 anni è che non è confermata dai
numeri. Al contrario, se mettiamo da parte gli enormi interessi che l'Italia
deve pagare sui suoi debiti ogni anno e ne osserviamo il saldo primario, ovvero
sotanto la differenza tra entrate e spese (per la salute, l'istruzione, le
infrastrutture, ecc.) al netto degli interessi sul debito, dagli inizi degli anni ’90 l'Italia sembra aver gestito
le proprie finanze con perfino maggiore parsimonia rispetto ai Paesi Bassi
(Figura 1).
Fonte: Fiscal
Monitor 2020 del FMI
Con l'eccezione della crisi finanziaria del 2008, l'Italia ha generato costantemente avanzi primari negli ultimi trent’anni; al contrario i Paesi Bassi hanno registrato regolarmente disavanzi, ma sono stati comunque in grado di contrarre prestiti a tassi di interesse molto bassi. Effettivamente l'Italia soffre tuttora il peso di una montagna di debiti quarantennale. Il debito è stato accumulato sotto l'egida della Democrazia Cristiana, partito storico italiano disintegratosi nel corso della campagna anticorruzione “mani pulite” dei primi anni '90. Da allora, la politica di bilancio italiana è stata eccessivamente frugale, incapace di contrastare la crescita anemica e la disgregazione delle infrastrutture.
Le origini
del debito italiano
L'Italia è
uno dei paesi industrializzati con il debito pubblico più elevato, superato
solo da Grecia e Giappone. Il debito pubblico italiano nel 2015 è pari a una
volta e mezza il suo prodotto interno lordo.
Il debito
italiano è letteralmente esploso negli anni '80, passando dal 60% del PIL nel 1980 al
120% nei primi anni '90. Questa esplosione di debito è stata il risultato di
varie decisioni politiche che, nel loro insieme, hanno avuto effetti
catastrofici che arrivano fino ad oggi.
Nel 1981 la banca
centrale italiana è stata separata dal Ministero delle finanze, una misura che ha posto fine all’accordo implicito in base al quale la Banca d'Italia garantiva
l'acquisto dei buoni del Tesoro italiani. La banca centrale agiva quindi come
acquirente di ultima istanza, consentendo al governo italiano di indebitarsi a
tassi di interesse moderati monetizzando il debito pubblico, con deficit primari vertiginosi e una considerevole inflazione.
Cambio di strategia nella politica monetaria
Alla fine degli anni '70 la politica monetaria in Europa e negli Stati
Uniti è cambiata radicalmente: l'obiettivo non era più principalmente la piena
occupazione, ma la lotta contro l'inflazione.
Con la creazione del sistema monetario europeo fu introdotto anche un
sistema di tassi di cambio fissi. Per difendere il valore della lira nei confronti del marco
tedesco l'Italia fu quindi costretta sempre più spesso ad alzare i tassi di
interesse per compemnsare l'elevata inflazione. Successivamente l'inflazione
diminuì, ma poiché la banca centrale italiana non garantiva più l'acquisto di
buoni del Tesoro, anche i tassi di interesse sui titoli di stato aumentarono e
il debito pubblico si raddoppiò.
Tra i primi anni '90 e la crisi dell'euro il debito rimase stabile grazie a
notevoli sforzi di bilancio e ai costanti avanzi primari. Tuttavia,
l'onere degli interessi rimase troppo elevato e la crescita troppo bassa per
ridurre l'alto livello del debito. Negli anni '90 lo stato italiano doveva
ancora pagare annualmente il 9,5% del PIL in interessi.
L’Italia ha sulle spalle elevati interessi da debito
In sostanza, dal 2000 questa dinamica non si è alterata, sebbene i costi
degli interessi in Italia siano da allora scesi a una media del 4,4% del PIL,
ma siano ancora significativamente più alti che in Germania (1,84%) o nei Paesi
Bassi (1,33%).
Da allora anche l'economia italiana ha subito una spirale discendente: i
tagli alla spesa per la riduzione del debito stanno schiacciando l'economia,
riducendo ulteriormente le entrate fiscali, che non sono sufficienti a coprire
gli interessi sul debito e le spese correnti.
Inoltre, a causa dell'invecchiamento della popolazione vi sono anche costi
pensionistici e sanitari in aumento, che a loro volta comportano deficit più
elevati e maggiori debiti. Nonostante un saldo primario quasi sempre positivo
dal 1992 il debito pubblico è addirittura aumentato e l'Italia deve tuttora indebitarsi
a tassi di interesse più elevati rispetto alla maggior parte dei paesi europei.
La crescita anemica e il servizio del debito hanno portato inoltre a massicci
tagli agli investimenti pubblici, che avrebbero potuto stimolare la crescita.
Dagli anni '90 gli investimenti pubblici in Italia (ad esempio in materia di
istruzione e infrastrutture) sono cresciuto meno che nella maggior parte dei
paesi dell'UE e non sono nemmeno sufficienti a impedire il degrado delle
infrastrutture. Il crollo di un ponte a Genova, che ha ucciso 43 persone nel
2018, può quindi essere visto come un simbolo della condizione desolata
delle infrastrutture della penisola.
Negli ultimi decenni i Paesi Bassi hanno registrato una posizione di
bilancio più favorevole rispetto a quella dell’Italia, il paese ha persino
incrementato recentemente il suo surplus. Tuttavia, se consideriamo gli interessi sul debito pubblico, ma soltanto il saldo primario, i Paesi
Bassi sono stati molto meno disciplinati dell'Italia negli ultimi decenni. Il
fatto che i Paesi Bassi, nonostante i disavanzi primari ricorrenti, presentino
una situazione di bilancio complessivamente migliore è dovuto alla capacità di
contrarre prestiti a condizioni significativamente migliori. La differenza sta
quindi nei tassi di interesse molto più bassi rispetto a quelli che deve
remunerare l'Italia.
A prima vista, si potrebbe pensare che la situazione olandese e quella
italiana non abbiano molto a che fare l'una con l'altra: l'Italia è considerata
meno affidabile sul mercato, pertanto deve offrire agli investitori tassi di
interesse più elevati per convincerli ad acquistare le sue obbligazioni. Questo
è probabilmente solo una parte della spiegazione.
L'economista Paul de Grauwe ha anche dimostrato che i tassi di interesse
dei paesi dell'euro dipendono l'uno dall'altro, poiché le loro obbligazioni
sono emesse tutte nella stessa valuta. In una situazione di crisi, gli
investitori possono scegliere di ritirarsi da un paese che potrebbe non essere
in grado di pagare i propri debiti (come l'Italia) e investire invece in paesi
sicuri (come i Paesi Bassi o la Germania), abbassando i tassi di interesse.
Questo è esattamente ciò che è accaduto nella crisi dell'euro prima che
Mario Draghi chiarisse con l'affermazione "Whatever it takes" che la BCE era pronta a fare qualsiasi
cosa per salvare l'euro. La stessa cosa è accaduta quando il coronavirus ha
colpito l'Italia e gli investitori hanno venduto debito italiano per acquistare
debito tedesco o francese. Questo è uno degli argomenti principali a favore
della mutualizzazione del debito europeo: la sventura dei meridionali sta
attualmente avvantaggiando i paesi del nord.
Sono argomentazioni che conoscono bene tutti oramai, anche i non addetti ai lavori. La spoliazione ai danni dei poveri fessi del Sud non è finita! Stiamo spettatori inermi della storia che sarà scritta nei libri nei prossimi 50 anni. L’Europa sta creando il nucleo massiccio, si sta unendo a spese degli Stati periferici. Si sta ripetendo pari pari quanto accaduto con l’unificazione dell’Italia: unificazione per interessi economici, depauperamento dei territori “conquistati” e trasformazione in bacino elettorale previo assistenzialismo e finta industrializzazione degli Stati del Sud. La storia si ripete ma l’uomo ha la mente corta, non impara dai propri errori. Tra qualche decennio leggeremo nei libri di storia come grandi statisti Teutonici e Francofoni abbiano costruito la Casa Comune Europea, etc. etc.
RispondiEliminaLa spiegazione dell'aumento del debito pubblico negli anni 80 è la solita spiegazione riduttiva che vuole lasciare a intendere che è tutta colpa del divorzio del 81 tra Bankit e Tesoro. Sarebbe importante scrivere quanto mostruosi fossero i deficit che il governo generava per finanziare la spesa corrente (e non gli investimenti), quanto fosse divenuto prioritario ai tempi contrastare l'inflazione (che erodeva il reddito e permetteva allo Stato di pagare tassi reali bassissimi a spese dei risparmiatori, e che era alimentata anche dalla spesa in deficit monetizzata dalla Banca d'Italia). Sarebbe opportuno anche ricordare che la consuetine della banca d'Italia di sottoscrivere i titoli statali risaliva a un lustro prima, non era prassi consolidata da decenni. Ed infine sarebbe opportuno ricordare che in tutto il mondo occidentale negli anni 80 i tassi di interesse salivano, ma chissà perchè si vuol sempre attribuire tutta la colpa al fatto che la banca centrale non monetizzava il debito pubblico. Questo modo di fare non è analisi economica, è fermarsi alla superficie e non voler andare oltre.
RispondiEliminaPer precisare, le spese correnti in Italia in quegli anni erano sotto la media europea. Vero è che la pressione fiscale era abbastanza bassa, per cui la spesa era regolarmente finanziata in deficit, ma questi deficit hanno cominciato ad aumentare tanto solo dopo il divorzio, a causa dell'alta spesa per interessi, che venivano decisi ormai dal mercato e non dal Ministro dell'economia, e spesso superavano l'inflazione. L'inflazione in quegli anni era alta ovunque, a causa delle ripetute crisi petrolifere e anche a causa della alta occupazione, che come si sa fa aumentare i salari e quindi i prezzi. Ma difendersi dall'inflazione in un contesto di crescita del reddito non è un problema per i lavoratori...molto peggio la deflazione conseguente alle politiche restrittive sulla spesa pubblica.
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