Sul sito Trying To Understand The World una analisi interessante che approfondisce il contesto strategico più ampio della guerra in Ucraina, piena di realismo e di buon senso, dalla quale si evince non solo che Russia ed occidente hanno due approcci alla guerra molto lontani tra loro, ma anche che l'apparato occidentale ha per diversi motivi una difficoltà intrinseca a comprendere la strategia dei russi e di conseguenza ovviamente anche a rispondere efficacemente. (Un'altra preziosa segnalazione di @BuffagniRoberto)
Aurelien*, 23 Novembre 2022
Ho in gran parte evitato di scrivere qualcosa di troppo attuale sul conflitto in Ucraina e nella regione circostante, perché non mi piace la polemica, e comunque non ho abbastanza conoscenze tecniche per scrivere di questioni militari contingenti. Tuttavia, non posso fare a meno di essere colpito dal senso di disorientamento e confusione intellettuale mostrato da molte pagine scritte in occidente sui combattimenti. A sua volta, questo deriva, ritengo, da una fondamentale riluttanza dell'occidente a fare il duro lavoro di apprendere la strategia e l'uso politico della forza militare e ad alzare gli occhi dall'eccitazione delle esplosioni, e dalle avanzate e ritirate sul campo di battaglia, per guardare il quadro generale.
Quindi, proverò qui a fare qualche passo indietro, e parlerò del più grande dei grandi quadri generali, e cercherò di mostrare che, per capire ciò che secondo me i russi stanno cercando di fare, debbano essere presi in considerazione vari fattori politici ed economici. Qualunque sia la vostra opinione sul conflitto, è molto difficile dire qualcosa di utile al riguardo (mi sto riferendo a te, Josep Borrell, per esempio), a meno che non si faccia uno sforzo per capire l'importanza di questi fattori.
Fortunatamente, altri prima di me hanno seguito questa strada prima di scrivere di strategia, e nessuno in modo più proficuo del grande soldato prussiano e teorico militare, Carl von Clausewitz. Ora, uno dei motivi per cui Clausewitz è importante, è che egli rientra in un gruppo molto selezionato di teorici e storici, come Machiavelli e Tucidide, praticamente coinvolti nelle cose di cui scrivevano. Come accade con questi altri, anche con Clausewitz si fa riferimento a lui molto più di quanto lo si legga, e anche quando lo si legge, viene spesso frainteso. Ma Clausewitz è stato il primo teorico importante ad abbandonare gli scritti dettagliati sulla tattica e a porre (e in effetti a rispondere) la domanda: a cosa serve effettivamente la guerra? E perché gli stati ricorrono alla forza militare? La sua risposta è stata semplice: la guerra è "un atto di forza per costringere il nostro nemico a fare la nostra volontà". Vogliamo che il nostro nemico faccia qualcosa, o smetta di farla, e quindi, dice Clausewitz, dobbiamo mettere il nostro nemico in una "situazione che è ancora più spiacevole del sacrificio che gli chiedi di fare". Inoltre, aggiunge, questa situazione non può essere transitoria, cioè una situazione in cui il nemico possa semplicemente aspettare che le cose migliorino, ma deve essere una situazione in cui il nemico sia effettivamente indifeso, o sia probabile che lo diventi.
Ma Clausewitz insiste sulla necessità di situare la guerra nel contesto della policy dello stato (non della “politics", poiché il termine ‘politik’ qui è spesso tradotto erroneamente). Le guerre iniziano, dice, a causa di qualche "situazione politica, e l'occasione è sempre dovuta a qualche obiettivo politico". Così, "la guerra non è semplicemente un intervento di policy, ma un vero e proprio strumento politico, una continuazione del confronto politico, portato avanti con altri mezzi... L' obiettivo politico è il fine, la guerra è il mezzo per raggiungerlo, e i mezzi non possono mai essere considerati isolatamente dal loro scopo” (corsivo mio). Sebbene On War sia un testo proibitivo, queste citazioni (nella traduzione standard di Howard e Paret) sono tutte tratte dal Libro I, e si può scaricare una vecchia traduzione di pubblico dominio di quel Libro e leggerla in un'ora. (Forse l'ufficio del signor Borrell dovrebbe prendere in considerazione di farlo.)
Dopo averlo fatto, le cose diventano immediatamente molto più chiare, e una serie di domande non poste dai media e dai politici occidentali diventano ovvie. Quali sono, ad esempio, i più grandi obiettivi politici russi? Quanto sono significativi gli attuali combattimenti in Ucraina, e quanto sono realmente significative le singole battaglie? Quali attività parallele vengono portate avanti, politicamente ed economicamente, tutte nella stessa direzione? E quale visione hanno i russi della situazione cui vogliono arrivare - quello che Clausewitz chiama lo 'stato finale'?
Ma perché queste domande non vengono poste in modo sistematico dall'occidente? Dopotutto, se vuole ostacolare i piani russi, potrebbe avere senso provare a dedurre quali sono quei piani e come i russi si aspettano di realizzare il loro 'stato finale'.
La risposta, credo, viene dalla combinazione di due fattori. In primo luogo, gran parte dell'impeto politico sull'Ucraina viene dai paesi anglosassoni, la cui storia di guerra, e il cui pensiero sulla guerra, è limitato, e si riferisce essenzialmente alle sortite e alle spedizioni militari. A parte brevissimi periodi nel 1916-18 e nel 1944-45, gli inglesi e gli americani non hanno mai dovuto considerare l'uso di grandi forze terrestri e aeree né sviluppare una dottrina per il loro impiego. Storicamente, le spedizioni militari sono state ridotte, con obiettivi limitati, e molto lontane dalla madrepatria. La guerra delle Falkland del 1982, nonostante sia stata una notevole conquista militare, si inserisce perfettamente in questa tradizione, di tattiche di piccole unità, di leadership individuale e improvvisazione sul campo di battaglia.
Il tipo di operazioni militari che gli europei hanno effettivamente condotto dal 1945, e soprattutto dal 1989, tendono a seguire questo modello. Sebbene intere generazioni di ufficiali della NATO abbiano pianificato e condotto esercitazioni su scontri apocalittici con il Patto di Varsavia, quei paesi che hanno effettivamente effettuato delle operazioni nella vita reale sono stati coinvolti in missioni di controinsurrezione o di mantenimento della pace, di intensità molto inferiore. E quando gli europei, ancora un po' storditi dalla caduta del muro di Berlino, hanno iniziato a pensare a quali compiti avrebbero potuto svolgere i loro militari nel futuro, la loro ipotesi migliore è sempre stata più o meno la stessa: missioni di pace, evacuazioni con assistenza militare, gestione delle crisi e così via. E così il servizio nazionale e i grandi eserciti sono stati abbandonati, la guerra su larga scala ad alta intensità non è stata più studiata se non dal punto di vista storico, e si faceva carriera guidando piccoli gruppi di soldati in missioni lontane.
Il secondo fattore è semplicemente che in generale le guerre dell'occidente sono state guerre a responsabilità limitata, dove poche sono state le vittime in patria. È vero, le guerre in Algeria, Angola e, verosimilmente, Vietnam, hanno prodotto crisi politiche e fatto cadere governi, ma la morte e distruzione vera e propria è avvenuta quasi sempre altrove.
Per i russi, la geografia ha imposto una serie di criteri diversi. Da sempre un paese enorme con una popolazione relativamente numerosa e lunghi confini, la nazione nella sua storia ha subito ripetutamente invasioni militari straniere. È abituata a dover combattere sul proprio territorio e nella sola seconda guerra mondiale ha subito quasi trenta milioni di morti, in gran parte civili. Pertanto, la difesa nazionale è letteralmente una questione di vita o di morte, e pensare alla guerra, e pianificarla, sono cose che avvengono a un livello strategico enormemente più elevato e più complesso. Vale anche la pena sottolineare che la formidabile struttura della scienza militare marxista-leninista non ha perso la sua influenza, e il marxismo è stato soprattutto una dottrina basata sul predominio di forze materiali tangibili.
Questa esperienza russa produce inevitabilmente un modo di guardare al conflitto radicalmente diverso da quello occidentale, fermo restando che lo stesso occidente ha dovuto dolorosamente imparare lezioni simili durante due Guerre Mondiali, per poi puntualmente ogni volta dimenticarle . La guerra è vista in senso totale: come lotta politica, economica e militare insieme. Puri numeri, disciplina politica, enormi riserve di uomini e attrezzature, capacità di mobilitazione totale e pianificazione strategica ambiziosa e a lungo raggio, sono caratteristiche inevitabili di un tale approccio, quindi se vogliamo comprendere cosa cercano di ottenere i russi, sarebbe bene considerare questi fattori. Lo 'stato finale' non è, per definizione, militare, e quindi i militari possono contribuire a tale stato finale in una grande varietà di modi. La vittoria sul campo di battaglia potrebbe non essere la priorità assoluta, se altri fattori stanno operando a tuo favore, e l'impiego di grandi forze su una vasta area imporrà di per sé un modo di pensare di livello superiore. Ad esempio, dare battaglia, anche se pensi di vincere, potrebbe essere una cattiva idea se fa consumare unità ed equipaggiamento che saranno assolutamente necessari altrove. Meglio ritirarsi. Al contrario, invitare il nemico ad attaccare le tue posizioni, anche se tatticamente svantaggioso, può essere una buona idea se infliggi delle pesanti perdite che il tuo nemico non può sostituire.
Le forze armate sovietiche e russe hanno una lunga tradizione nello studio delle terribili guerre del passato del loro paese, e da questa analisi derivano una serie di ovvie conclusioni. Una è l'importanza dei numeri, del personale, delle attrezzature e delle munizioni. In una lunga guerra, che i russi, a differenza dell'occidente, si sono sempre aspettati di dover combattere, queste cose contano moltissimo. Nella Guerra Fredda, l'Armata Rossa pianificò di vincere con una tattica nota come “echeloning” (scaglionamento, ndt). In sostanza, invii per prime le tue forze migliori, che vengono per lo più distrutte, ma distruggi anche le migliori forze nemiche. Quindi invii il tuo secondo scaglione e sbaragli le rimanenti forze del nemico, anche se perdi la maggior parte delle tue. Il tuo terzo scaglione non trova effettivamente nessuna opposizione, e vinci. (Questo non avrebbe sorpreso Clausewitz, che sosteneva che era importante essere “forti ovunque, specialmente al punto decisivo.”) Lo stesso vale per le scorte di munizioni. Se hai munizioni per due milioni di colpi e il tuo nemico ne ha mezzo milione, il tuo nemico le esaurirà prima di te, dopodiché avrai il predominio. L'occidente ha scelto, dalla fine degli anni '40, di avere meno armi e meno uomini, sperando che la qualità prevalga sulla quantità. Durante la Guerra Fredda, prevedeva anche di utilizzare precocemente armi nucleari tattiche, poiché non poteva accettare l'onere economico di mantenere numerose forze convenzionali, come faceva l'Unione Sovietica. Per fortuna, non sapremo mai se nella Guerra Fredda questo avrebbe funzionato, ma chiaramente è esattamente l'opposto della politica che i russi hanno continuato a perseguire fino ai tempi recenti.
Se vi sembra una guerra su scala industriale, è esattamente così, proprio letteralmente così, in quanto l'importanza della produzione bellica è stata un'altra lezione dal 1941-45, quando l'Unione sovietica ha superato i tedeschi in attrezzature militari, anche dopo aver spostato le sue fabbriche ad est degli Urali. Inoltre, l'equipaggiamento sovietico, e successivamente quello russo, era progettato per essere azionato da coscritti, e quindi era mantenuto relativamente semplice, in modo da poter essere impiegato su larga scala. Stiamo vedendo i risultati ora in Ucraina, dove i carri armati T-62, tenuti in riserva per molti anni, vengono inviati nel Donbass per essere gestiti dalle milizie locali e dai riservisti richiamati, con standard di addestramento inferiori. L'occidente ha optato per piattaforme che prese in sè potrebbero funzionare meglio in combattimento (finora nessuno lo sa), ma sono molto più complesse e difficili da gestire e mantenere. Tra l'altro, qualsiasi tentativo di accrescere notevolmente le forze occidentali in futuro richiederebbe un completo ripensamento di concetti come facilità d'uso, tempo di addestramento e manutenzione delle attrezzature.
L'occidente ha una difficoltà intrinseca con questo tipo di approccio. In particolare, la sua tradizione di storia e teoria militare si concentra molto più sulle battaglie che sulle campagne, molto più sui leader che sulle forze armate, molto più sulle storie dei singoli sistemi d'arma che sulla produzione bellica. Anche gli storici che hanno scritto a proposito del fronte orientale nella seconda guerra mondiale, tendono sempre a scrivere di singole battaglie (in particolare Kursk), mentre i migliori resoconti (di Chris Bellamy, per esempio) si concentrano correttamente sulla campagna. In effetti, è stato argomentato in modo convincente che le singole battaglie in quel terribile conflitto hanno influenzato in gran parte solo la tempistica degli eventi, e che sono stati i fattori sottostanti a determinare il risultato fin dall'inizio. In particolare, la catastrofica sottovalutazione tedesca delle dimensioni e del potere di combattimento dell'Armata Rossa e l'incapacità della Wehrmacht di terminare la campagna entro l'inizio dell'autunno, sono state ritenute condizioni limitanti molto più importanti della vittoria o della sconfitta in una singola battaglia. In ogni caso, è chiaro che questo tipo di approccio è del tutto estraneo agli schemi mentali di quei commentatori occidentali che seguono ogni video, ogni singola voce che gira, ogni svolta della sanguinosa partita che si sta giocando in Ucraina. È difficile trovare una metafora appropriata: forse sono come quei critici musicali che discutono sul costume della prima donna in un'opera, senza badare a se lo spettacolo alla fine sia stato salutato coi fiori e una standing ovation, o se il cast sia stato bersagliato di uova marce.
In definitiva, ribadisco che i russi stanno operando secondo una tradizione Clausewitziana, che considera la forza militare utile solo quando è chiaramente legata a uno scopo politico (e uno scopo non è solo un'aspirazione). L'invasione sovietica dell'Afghanistan, ad esempio, includeva una chiara strategia politica per creare sostegno al nuovo regime tra la classe media professionale, riformare lo stato e il sistema politico e creare forze di sicurezza efficaci . Alla fine non ha funzionato, almeno non dopo la caduta dell'Unione sovietica, ma almeno era una strategia. Al contrario, il tipo di piani per la ricostruzione afghana che ricordo di aver visto circolare in occidente negli anni 2000, erano solo una serie di aspirazioni vagamente collegate, in cui si presumeva che le frecce sulle diapositive Powerpoint rappresentassero in realtà una sorta di relazione causale. È accaduto più o meno lo stesso al tempo della guerra in Iraq (sebbene il Dipartimento di Stato americano avesse fatto del suo meglio). A Washington, il futuro dell'Iraq era visto secondo una serie di fantasie concordanti e consequenziali, senza alcuna idea di come si sarebbero potute realizzare. Principalmente, questo era dovuto al fatto che il liberalismo presuppone sempre che certi elementi politici esistano universalmente e che una volta che i Cattivi saranno stati rimossi dal potere, le nazioni si svilupperanno automaticamente e ineluttabilmente verso un modello democratico liberale. Questo è ancora in gran misura il punto di vista odierno. Se avete qualcosa a che fare con idee di ricostruzione post-conflitto o di costruzione della pace, in particolare idee commercializzate da organizzazioni come le Nazioni Unite e l'UE, vi verrà presentata una serie di passaggi in sequenza verso un'ipotetica utopia, ma con niente che li tenga insieme. Così, ad esempio, viene mostrato che un cessate il fuoco porta alla smobilitazione, quindi al riavvio del processo politico, quindi alle elezioni, quindi alla stabilità. Ma se domandate esattamente come un cessate il fuoco porterà a riavviare il processo politico (o addirittura perché dovrebbe farlo) verrete accolti con un imbarazzato silenzio. E ovviamente nella vita reale generalmente non è così: è strano che sia il liberalismo, piuttosto che il marxismo, a credere nell'inevitabilità storica.
Quindi, se questa è la tradizione da cui provengono i russi, ed è per questo che l'occidente ha difficoltà a capire cosa sta accadendo in Ucraina, allora cosa possiamo comprendere sul tipo di piano più ampio e a lungo termine che i russi potrebbero avere, e su come procederanno? Tuttavia, prima di iniziare è necessario aggiungere due osservazioni.
In primo luogo, dovremmo evitare la tentazione di presupporre ovunque dei “masterplan”. È facile cadere nelle teorie del complotto sugli Illuminati, il gruppo Bilderberg, la "cabala anglo-sionista" o qualche cospirazione ideata da Washington per distruggere l'economia europea. Questa è roba da bestseller d’aeroporto, non è la vita reale. In secondo luogo, e in parte come conseguenza di questo, non stiamo parlando di un piano complesso e dettagliato nel corso delle generazioni, ma piuttosto di una serie di obiettivi relativamente semplici a diversi livelli, coerenti con quelle che sono state le affermazioni russe fino ad ora, e con uno sguardo imparziale e ragionevole su ciò che ovviamente sono i loro obiettivi di sicurezza. Da bravi studenti di Clausewitz, ci aspetteremmo che i russi considerino la guerra a tutti i suoi livelli, quindi affidiamoci di nuovo a lui come nostra guida.
Si consideri anzitutto quanto detto da Clausewitz sulla necessità che la vittoria sia completa, e definitiva, per evitare che il nemico possa ricominciare la guerra. E qui ricordiamo che, nel 1945, l'Armata Rossa non si fermò al confine russo, ma arrivò fino a Berlino, dove occupò metà del paese e installò un regime fantoccio. Questo tipo di conclusione di una guerra in realtà non è insolito: nel 1814, dopo la sconfitta finale di Napoleone, effettivamente le truppe russe occuparono Parigi. È solo negli ultimi decenni che degli accordi di pace pienamente inclusivi - che affrontano le cause alla base dei conflitti, con la partecipazione dei gruppi vulnerabili e lo svolgimento di negoziati dettagliati che portano a complessi regimi di costruzione della pace e a onnicomprensivi trattati di pace - sono diventati la norma. Questa volta certamente non andrà così, motivo per cui dobbiamo stare molto attenti a come utilizziamo la parola "negoziazione", ma non è nemmeno probabile che i russi vogliano occupare fisicamente l'Ucraina più del necessario. Quindi cosa significherebbe vittoria completa, in questo senso?
Secondo Clausewitz, la prima variabile sarebbe quella del tempo. Per i russi, l'Ucraina deve essere lasciata in una situazione in cui non sia in grado di costituire una minaccia per un periodo di tempo ragionevole. È difficile essere precisi, ma un periodo di venticinque anni sembra plausibile. Ora, anche se i russi non facessero altro, l'ipotesi migliore è che ci vorranno almeno dieci anni buoni per ricostituire le forze ucraine a un livello di efficacia simile a quello del febbraio 2022. Ma si noti che ciò implica la disponibilità di notevoli fondi (di cui l'Ucraina non dispone) o di considerevoli aiuti organizzati e sostenuti dall'estero, inclusi sostanziali rifornimenti di nuovi armamenti da parte delle già esaurite forze armate statunitensi ed europee, o sostanziali investimenti in nuove strutture produttive specifiche per l'Ucraina. Nessuna delle due ipotesi sembra molto probabile. Inoltre, dovrebbe essere reclutata e addestrata una nuova generazione di ufficiali, riparata o ricostruita l'infrastruttura militare, e dovrebbe essere sviluppato tutto un processo di conversione dall'equipaggiamento militare ex sovietico a quello occidentale, insieme alla dottrina operativa associata. E naturalmente l'infrastruttura di base del paese dovrebbe essere riparata affinché l'esercito possa funzionare. Le possibilità di raggiungere questo obiettivo, tanto più nel breve periodo di un decennio, non sono elevate.
Quindi il problema potrebbe risolversi da solo. Tuttavia, probabilmente non è nell'interesse della Russia che l'Ucraina sia completamente disarmata, perché ciò porterebbe a una potenziale instabilità, che potrebbe ricadere sulla Russia stessa. Qualunque governo succederà all'attuale regime di Kiev dovrà essere in grado di controllare il proprio territorio. Quindi i russi potrebbero imporre un trattato di pace all'Ucraina che, ad esempio, includa la creazione di una gendarmeria professionale, autorizzata a guidare veicoli corazzati leggeri ed elicotteri, ma non di più. I tentativi di sviluppare o acquisire sistemi più potenti sarebbero impossibili da nascondere e facili da schiacciare. Questa è una soluzione molto più elegante e molto più economica rispetto ai tentativi di costruire massicce fortificazioni o occupare territori non di lingua russa.
Tuttavia, è ovvio da tempo che l'Ucraina è solo la parte visibile dell'iceberg strategico, per entrambe le parti. L'Occidente vuole, grosso modo, un ritorno agli anni '90 e la fine di un concorrente ideologico e strategico. Gli obiettivi russi ovviamente sono di impedire questo disegno, ma quasi certamente vanno molto oltre. A differenza di tanti altri, non ho idea di cosa ci sia nelle teste del governo russo, ma è possibile fare alcune deduzioni generali dalle bozze di trattato che i russi hanno fatto circolare nel dicembre dello scorso anno. Questi sono testi di trattati, e per di più bozze, quindi è improbabile che costituiscano qualcosa di più di una lista di obiettivi desiderati che in realtà dovrebbero probabilmente essere corretti al ribasso. Ma possiamo fare alcune deduzioni ragionevoli.
Il principale obiettivo russo in Europa è quello di essere la superpotenza militare regionale, in un'Europa che sia militarmente debole, in parte dipendente economicamente dalla Russia, e non rappresenti una minaccia militare. Quindi, per quanto riguarda l’Europa occidentale, ora non siamo lontani da questo obiettivo: solo l'Ucraina si può dire che rappresentasse una minaccia militare, e non è più così. L'idea sarebbe allora quella di convertire l'anello di Paesi attorno ai confini della Russia, Ucraina e Bielorussia (in pratica, i paesi Baltici, Romania e Polonia) in stati realmente neutrali, senza truppe straniere di stanza nel loro territorio. Ciò non significherebbe necessariamente che questi paesi escano dalla NATO, perché le truppe statunitensi, ad esempio, sono di stanza comunque anche in paesi non NATO. Piuttosto, ci sarebbe un tacito accordo (come con la Finlandia durante la Guerra Fredda) che questi stati si comportino con rispetto nei confronti della Russia. Parte di questa soluzione sarebbe il ritiro del numero relativamente ridotto di truppe statunitensi ancora in Europa. È probabile che ciò faccia parte dell'obiettivo parallelo di distruggere di fatto la NATO come alleanza, dimostrando che, in pratica, non ha alcuna utilità militare e, di conseguenza, che quella che viene generalmente chiamata la "garanzia di sicurezza" americana è priva di valore. Si noti che questo non significa che la NATO non possa sopravvivere in qualche forma dormiente e formale: è improbabile che i russi si oppongano a questo.
In tutto ciò, bisogna tenere presente un altro concetto di Clausewitz: il ‘centro di gravità’. Clausewitz ha scritto molto su questo in diverse parti di On War, ma il modo più semplice per comprenderne il significato è considerarlo come l'obiettivo più importante della guerra, da cui dipende tutto il resto. È 'la sostanza ultima della forza nemica' sulla quale dovrebbe essere concentrato il massimo sforzo possibile. Clausewitz osserva che può trattarsi, ma non necessariamente, delle forze militari del nemico. Alla fine del libro, difende strenuamente la decisione di Napoleone di entrare a Mosca nel 1812, piuttosto che inseguire l'esercito russo sconfitto. Nessuna vittoria militare concepibile, sostiene, avrebbe costretto un paese delle dimensioni della Russia a ritirarsi dalla guerra, mentre prendere e occupare la capitale nemica avrebbe potuto giungere a questo. Alla fine, ammette che il piano sia fallito, ma in realtà valeva la pena tentare la conquista di Mosca. Se lo zar e l'aristocrazia fossero stati scossi dalla perdita della città, come sperava Napoleone, la guerra sarebbe finita. Quello era il 'centro di gravità'.
Clausewitz osserva inoltre che il 'centro di gravità' potrebbe
essere sferrare un colpo contro un alleato più potente. Quindi, nel caso delle
operazioni nella stessa Ucraina, ciò si riferisce alla volontà dell'occidente di
continuare a sostenere militarmente, politicamente ed economicamente il regime
di Kiev, perché se questa si esaurisce, finirà anche l'effettiva resistenza
ucraina, e si aprirà la strada ad altri obiettivi strategici. In una guerra
in cui sia la Russia che l'occidente stanno attenti a non colpirsi
direttamente, questa volontà dovrà essere attaccata indirettamente, convincendo
di fatto l'occidente ad arrendersi, perché il successo è impossibile. Ci sono
precedenti per questo, anche se possono sembrare sorprendenti. Le forze
NVA/VietCong che combattevano contro gli Stati Uniti e le forze del Vietnam del
Sud erano ben consapevoli di non poter ottenere una vittoria militare
convenzionale. Quello che potevano fare era portare gli americani al punto in
cui si rendessero conto che la lotta era senza speranza, semplicemente
continuando la guerra e infliggendo danni politici ed economici agli stessi
Stati Uniti. E questo hanno fatto. Con i
francesi in Algeria e i portoghesi in Angola si è avuta una situazione abbastanza
simile: entrambi erano militarmente dominanti, ma ogni guerra si è conclusa con
l'esaurimento politico ed economico e un cambio di governo. L'Afghanistan è un
esempio più recente di in approccio più o meno simile. Quindi, nel nostro caso,
l'obiettivo russo è probabilmente l'esaurimento politico ed economico
dell'occidente, sino al punto in cui un ulteriore sostegno all'Ucraina sembri
inutile, o addirittura impossibile. E anche se potrebbe non essere stato parte
dei piani originali, è difficile credere che i russi possano rammaricarsi del
fatto che l'occidente continui, almeno per un po', a indebolirsi militarmente
ed economicamente per una causa senza speranza.
Quindi, a quel livello, i russi stanno presumibilmente cercando di far sì che l'occidente rinunci a ogni speranza di una soluzione a loro favorevole. Ciò significa che non hanno alcun incentivo a scendere a compromessi o ad accettare colloqui di pace. In effetti, cercano solo di dettare i termini della pace, forse lungo le linee delineate sopra. Se l'occidente non si arrende, le operazioni in Ucraina continueranno finché sarà necessario. A un livello strategico più elevato, i russi probabilmente intendono anche che la guerra duri abbastanza a lungo da rendere chiara in maniera trasparente la debolezza della NATO e l'impotenza degli Stati Uniti, in modo tale da poter raggiungere più facilmente il tipo di obiettivi più ampi che ho appena delineato, oltre a indebolire le economie occidentali.
Ora, non ho idea se questo sia effettivamente ciò che i russi intendono fare: posso solo dire che mi sembra del tutto possibile. Questa è, dopotutto, una società che prende Clausewitz più seriamente di Harry Potter, e Tolstoy come una guida alla guerra migliore di Twitter. E non ho idea se avrà successo. Ma la cosa più importante è che, se l'analisi di cui sopra è anche lontanamente corretta, allora l'occidente è intellettualmente e politicamente mal attrezzato per capire cosa stanno facendo i russi, figuriamoci per reagire efficacemente.
* L'autore scrive sotto lo pseudonimo di Aurelien, e di sé dice di aver fatto una lunga carriera professionale nel governo durante gli anni della Guerra Fredda, e di aver poi passato passato un bel po' di tempo a insegnare e scrivere, soprattutto per un pubblico accademico e professionale. In sostanza, dice di aver girato abbastanza il mondo, incontrato abbastanza persone e fatto abbastanza cose da avere un'idea di come le cose funzionino nella vita reale...
Grazie Carmen, sempre articoli molto interessanti!
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