27/01/11

E' l'ora del Piano B

La strategia di salvataggio della zona euro non funziona. E' tempo che i paesi insolventi ristrutturino i loro debiti.


Per alcune settimane durante le vacanze di Natale, la crisi del debito sovrano in Europa si è fermata. Ora l'Europa si trova nuovamente di fronte alla dura realtà. I rendimenti obbligazionari stanno salendo in un gruppo sempre più ampio di paesi, man mano che i governi della zona euro si trovano nella necessità di raccogliere ingenti somme dai mercati. Il 12 gennaio il Portogallo è stato costretto a pagare il 6,7% per i titoli a dieci anni, meglio di quanto si temeva, ma certo un costo che non può permettersi a lungo. I rendimenti per il debito belga hanno fatto un balzo, in quanto gli investitori si preoccupano per il suo carico di debiti e per la mancanza di leadership. La Spagna è in sospeso.
Questo pasticcio porta a una conclusione sconfortante: la strategia di bail-out in Europa, volta a calmare i mercati finanziari e innalzare un muro di protezione tra la periferia della zona euro e il suo centro, sta fallendo. Gli investitori stanno diventando sempre più nervosi, e la crisi si sta diffondendo. Il piano A, basato sul rinvio della ristrutturazione dei paesi in crisi, valeva la pena di essere tentato: ha fatto guadagnare un po' di tempo. Ma non funziona più. Ora la ristrutturazione è più chiaramente accessibile di quanto non lo fosse l'anno scorso. Inoltre è sicuramente più conveniente per tutti che si realizzi entro pochi anni. Da qui la necessità di un piano B.


La risposta iniziale, preparata durante il salvataggio della Grecia nel maggio 2010, è stata annullata dalle sue stesse contraddizioni. I politici europei hanno creato un sistema per concedere prestiti a governi mancanti di liquidità nel breve periodo, contemporaneamente rendendo chiaro (su insistenza della Germania) che i paesi insolventi nel medio termine avrebbero dovuto ristrutturare i loro debiti. Dubbiosi su chi alla fine sarà considerato insolvente, gli investitori sono nervosi - e i costi sono aumentati.

Il male minore per far fronte a questa contraddizione è la ristrutturazione del debito dei paesi chiaramente insolventi, subito. Sulla base di calcoli di questo giornale (vedi articolo), si dovrebbe iniziare con la Grecia e, probabilmente, includere anche Portogallo e Irlanda. La Spagna ha gravi problemi, ma anche mettendo in conto un grande salvataggio bancario di grandi dimensioni dovrebbe essere in grado di mantenere il proprio debito pubblico a un livello sostenibile (vedi articolo). L'Italia e il Belgio hanno elevati livelli di debito, ma un forte risparmio privato, e i loro bilanci sono fondamentalmente più vicini al surplus. Vi è, quindi, una ragionevole possibilità che, se gestiti correttamente, i default sovrani della zona euro potrebbero limitarsi a tre piccole economie periferiche.

I pericoli di tirarla in lungo

Questo giornale non sostiene con leggerezza i defaults sovrani di paesi ricchi, i primi da mezzo secolo a questa parte. Ma la logica che spinge ad agire prima piuttosto che poi è potente. In primo luogo, l'unica alternativa plausibile a lungo termine alla ristrutturazione - un trasferimento fiscale permanente dal nucleo più ricco d'Europa (leggi Germania) - sembra essere politicamente impossibile. Alcuni politici europei caldeggiano una più stretta unione fiscale, tra cui l'emissione di eurobonds, ma è improbabile che possano accettare trasferimenti di bilancio abbastanza grandi da sottoscrivere l'intero stock di debito delle economie periferiche.

In secondo luogo, i pericoli di una ristrutturazione del debito sono diminuiti, mentre i costi del ritardo sono in aumento. Otto mesi fa, quando i governi della zona euro e il FMI hanno unito le forze per salvare la Grecia, la loro determinazione a evitare ristrutturazioni immediate aveva un senso. C'erano ragionevoli timori che il default avrebbe gettato la Grecia nel caos, precipitato la crisi dei bonds della zona euro e innescato una catastrofe bancaria europea.

Ma l'economia europea nel suo insieme, ora è più in forma. Le banche hanno avuto tempo per incrementare il loro capitale - e rifilare alcune delle loro attività in titoli sovrani rischiosi alla Banca centrale europea. La Grecia e altri paesi periferici hanno dimostrato il loro coraggio con i piani di austerità. I funzionari europei hanno creato dei meccanismi per sborsare rapidamente delle somme in aiuto. E gli avvocati hanno ragionato sulla gestione di un default "ordinato". Una ristrutturazione sovrana potrebbe ancora spaventare i mercati finanziari - il timore che si possa diffondere il panico fa rifuggire i politici europei da questa idea - ma se gestita correttamente, non dovrebbe generare un caos del tipo Lehman.

Al tempo stesso i costi del guadagnar tempo con i prestiti sono diventati dolorosamente evidenti. L'onere per i paesi che sono stati salvati è enorme. Nonostante la più dura correzione fiscale mai realizzata da un paese ricco dal 1945 a questa parte, il peso del debito della Grecia salirà, sulla base di una ipotesi plausibile, a un picco del 165% del PIL entro il 2014. L' Irlanda potrà faticare per anni al servizio dei prestiti di salvataggio che, su insistenza dell'Europa, remunerano gli obbligazionisti delle sue banche defunte. Ad un certo punto diventerà politicamente impossibile pretendere più austerità per pagare gli stranieri.

E più a lungo la ristrutturazione è rimandata, più dolorosa sarà alla fine, sia per i restanti detentori di obbligazioni sia per i contribuenti nel centro della zona euro. I salvataggi di Grecia e Irlanda aumentano il loro debito complessivo mentre scendono i debiti privati, così che una quota crescente sarà dovuta ai governi europei. Ciò significa che le svalutazioni in qualsiasi futura ristrutturazione dovranno essere maggiori. Entro il 2015, per esempio, la Grecia non potrebbe ridurre il proprio debito ad un livello sostenibile, neanche se spazzasse via gli obbligazionisti privati.

Come cambiare direzione

L'analisi costi-benefici, in breve, sostiene la necessità di effettuare una ristrutturazione ordinata adesso. La riduzione del debito dovrebbe essere abbastanza grande da mettere le economie in crisi su un sentiero sostenibile. La Grecia potrebbe dover dimezzare i propri debiti. L'Irlanda potrebbe doverli tagliare fino a un terzo, con una parte proveniente dai debiti bancari piuttosto che dal debito sovrano.

Tutti i creditori, compresi i governi e la Banca centrale europea, dovranno contribuire. Saranno necessari ancora altri fondi di salvataggio: per finanziare i deficit di bilancio dei paesi inadempienti, per aiutare questi paesi a ricapitalizzare le banche locali (che subiranno perdite nelle loro attività in titoli di Stato), e, se necessario, a ricapitalizzare le banche duramente colpite nelle economie del centro dell''Europa. La BCE e altri dovrebbero essere pronti a difendere il Belgio, l'Italia e la Spagna, se necessario.

Se i leader europei insistono sul piano A, la crisi del debito continuerà ad approfondirsi. Se andranno avanti con le ristrutturazioni che sono alla fine inevitabili, hanno una chance di combattere per superare la crisi. Il Piano B richiederà un'abile gestione tecnica e coraggio politico. Grazie alla sua esperienza dei mercati emergenti, il FMI dispone della prima, in una certa misura. Spetta ai politici europei trovare il secondo.

3 commenti:

  1. ma alla fine chi paga ? e sopratutto con quali soldi ? il vero problema non è tagliare o ristrutturare il debito, il vero problema è tagliare la testa a qs sistema che ha dimostrato di non essere sostenibile .. con il debito non si cresce si muore

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  2. Sono d'accordo, per me non si arriva a una soluzione vera se non si va alla radice del problema, che è questa area di moneta comune che non funziona.
    Comunque intanto credo che cominciare a ristrutturare sia un passo da compiere comunque...

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  3. ORO e ARGENTO a piene mani! Il debito è il denaro degli schiavi!
    Il sistema crollerà!
    Il 2011 è cominciato male e le sommosse popolari di Tunisia, Albania, Algeria ed Egitto sono solo
    l'inizio della fine!

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