Dibattito in Francia, dal sito di Marianne2:
“Il modello tedesco„ è spesso portato a esempio agli altri paesi dell' Unione europea. Bisogna quindi seguirlo? Secondo il blogger Laurent Pinsolle il modello tedesco non è un modello.
Buona lettura:
La Germania è al cuore del dibattito economico. Alcuni elogiano le sue prestazioni sottolineando le eccedenze commerciali, ma dimenticano la sua crescita debole. Altri denunciano la sua politica non cooperativa, dimenticando che è uno Stato sovrano. Cosa dire?
Il modello tedesco
La Germania è da tempo un paese rivolto verso l'esportazione di prodotti industriali. All'inizio degli anni '80, circa il 45% del suo PIL era ancora realizzato dall'industria, contro il 30% in Francia o in Gran Bretagna. In trenta anni, questa parte si è abbassata di 15 punti nei tre paesi. Quelli che vedono il bicchiere mezzo pieno osservano uno stesso livello di deindustrializzazione. Il paese si sostiene su una specializzazione sulle macchine utensili e su un forte tessuto di medie imprese.
Ad essere onesti, la Germania ha delle prestazioni abbastanza eccezionali. L'Economist le ha recentemente dedicato un dossier che mostra che se le esportazioni tedesche in Cina hanno raggiunto i 51 miliardi di dollari nel 2009, la Francia arriva appena a 11 miliardi, l'Italia a 9 e la Gran Bretagna a 8. Oggi, il paese accumula 150 miliardi di euro di eccedenze commerciali in un anno, più del 5% del suo PIL.
Il ruolo dell'euro e dell'Unione europea
L'adozione dell'euro e l'integrazione dei paesi dell'Europa dell'Est ha considerevolmente modificato la situazione. Infatti la Germania si è trovata con costi salariali superiori alla media del 25%. Inoltre, la riunificazione ha sensibilmente ridotto l'eccedenza commerciale, come mostra Eric Verhaeghe in un recente lavoro. Ma l'integrazione dei paesi dell'Est gli ha permesso di disporre di una base di produzione a basso costo nelle vicinanze.
Di colpo, gli industriali tedeschi hanno potuto delocalizzare una parte della produzione dei loro componenti in paesi in cui il costo del lavoro è molto basso (la SMIC rumena rappresenta il 10% della SMIC francese) per essere più competitivi. Va notato che un euro apprezzato diventa un vantaggio poiché abbassa il costo d'acquisto di questi componenti. Infine, il controllo dei costi di produzione ha permesso al paese di ripristinare la sua competitività e smerciare le sue eccedenze principalmente nella zona euro.
Il lato oscuro del modello tedesco
Ma questo modello non è scevro di debolezze. Come sottolinea Le Monde, si sostiene da una decina di anni sull'impoverimento della popolazione. La fondazione Terra Nova spiega che “la logica politica implicita è intollerabile: impoverire i lavoratori dipendenti tedeschi perché siano competitivi sul mercato mondiale. Quest'impoverimento è reale: il reddito pro capite tedesco era superiore del 15% alla Francia nel 2000; oggi è inferiore del 10%„.
Inoltre se le eccedenze commerciali tedesche sono impressionanti, lo è meno il caso della crescita. Negli anni 2000, il PIL è aumentato in media di uno 0.8% all'anno contro l'1.4% della zona euro e l'1.5% della Francia. Solo l'Italia ha fatto meno bene (0.5%). Inoltre il forte rimbalzo del 2010 (+3.6%) è compensato dalla caduta del 2009 (- 4.6%). Su due anni, la prestazione della Germania non è migliore di quella della Francia…
Jacques Sapir ha appena pubblicato un notevole pezzo in cui sintetizza perché la Francia non deve copiare la Germania. Ci mostra in maniera egregia che se tutti i paesi europei seguissero “il modello„ tedesco, allora il continente si infognerebbe nella depressione. In breve, se si segue la logica della Germania, avremmo un ribasso dei salari senza fine, mentre si sa che la SMIC è appena passata a 30 euro al mese in Bangladesh.
Alla fine, la Germania ha cercato di proteggere la sua industria nel quadro dell'euro e dell'integrazione dell'Europa dell'Est. Ma il suo “modello„ non può essere realmente considerato tale, perché se tutti lo seguono non è più sostenibile, e promuove una vera e propria regressione sociale che non può essere l'orizzonte delle nostre società.
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