Stefano del Grande Bluff ha ripreso l'articolo di Stiglitz tradotto da me, 1% vs. 99% , e ci ha tenuto a fare una precisazione: Stiglitz non è un komunista!!!
Giusta precisazione, perché ogni volta che si condannano le crescenti disuguaglianze create dalle politiche neoliberiste degli ultimi decenni, aleggia un sospetto di comunismo, socialismo di stato, populismo, ecc ecc.
Invece, condannare la crescente iniquità non significa necessariamente rivendicare l'egualitarismo.
Mi rifaccio a Gustave Thibon, il filosofo contadino, e alla sua idea di comunità di destino. Nel suo bellissimo libro Ritorno al reale, Thibon dice che ogni società sana e vitale è tale perché si fonda su una comunità di destino, sul sentimento di interdipendenza gli uni dagli altri che vivono i membri della comunità. Un esempio tipico e fondamentale è la famiglia, la comunità organica per eccellenza.
Dice Thibon:
“E' d'altronde significativo constatare che ogni società rimane sana e vitale nella misura in cui si rende affine alla famiglia: non per caso il termine padrone deriva da padre, non per caso il re è detto padre del popolo e la Chiesa è la madre dei fedeli.
Notiamo di sfuggita che, ben più che i legami di sangue, è l'interdipendenza dei destini che va a costituire l'unità familiare. L'esperienza prova che i più stretti legami di parentela non bastano a mantenere uniti degli esseri che vivono lontani gli uni dagli altri e non mettono più in pratica il quotidiano scambievole aiuto. La vecchia domestica che è sempre vissuta nella casa e ha allevato i bambini è più vicina a noi e fa parte della famiglia più che un parente lontano, dicono i contadini...
Questa solidarietà dei destini non implica necessariamente la loro somiglianza: il mozzo e il capitano a bordo della stessa nave, l'operaio e il padrone in un'impresa sana, il suddito e il principe in uno Stato ben costituito occupano posizioni sociali diversissime e non vivono nello stesso modo; essi sono tuttavia dipendenti l'uno dall'altro: mozzo e capitano, operaio e padrone, suddito e principe soffriranno o moriranno insieme se il bastimento affonda, se l'impresa fallisce o se la nazione subisce dei rovesci."
Una società che si basa sulla comunità di destino prevede dunque ineguaglianze e privilegi, ma questi si giustificano nella misura in cui si collegano a una missione, un compito, un servizio per la comunità.
"Le disuguaglianze e i privilegi non hanno nulla in sè che possa ferire o indignare i membri inferiori di una gerarchia: basta che questi si sentano legati ai loro signori da un'anima e un fine comuni. Finché l'unità persiste, l'ineguaglianza non è offensiva....
La comunità di destino non ha nessun rapporto con l'egualitarismo, ne è anzi l'antidoto. Laddove essa esista veramente, neanche la più dura disciplina sociale genera la rivolta. Lo spettacolo di un padrone carco di responsabilità o di un generale che cade sul campo di battaglia è sufficiente a calmare la febbre egualitaria nell'animo di un uomo del popolo. Quanti vecchi contadini ho udito esclamare, parlando di un alto personaggio: “Non vorrei essere al suo posto, ha più pensieri di noi! Le vecchie domestiche d'una volta lavoravano ed obbedivano più strettamente delle attuali “collaboratrici familiari”, ma esisteva una comunità di destino tra loro e i loro padroni: facevano parte della casa, dove le si teneva fino alla morte....”
Quando si rompe la comunità di destino, la società perde la sua anima e si sfascia. E la prima causa di rottura, dice Thibon, è la dimissione del superiore.
“L'eterna tentazione dell'uomo è quella di ricercare i privilegi senza i doveri: si vedono allora dei padroni che non si curano della sorte materiale e morale dei loro operai, dei governanti che abusano del loro potere nelle ore tranquille e scompaiono nel pericolo, ecc. Tutti questi uomini vogliono essere elevati al di sopra dei loro simili, ma non collegati ai loro simili....”
Seconda causa di rottura della comunità di destino: la ribellione dell'inferiore.
“La reazione dell'inferiore è allora immediata: ad una tale inuguaglianza artificiale risponde con l'egualitarismo...I privilegi senza contropartita scatenano l'invidia di tutti. Un “perché io no?” generalizzzato scalza le basi morali della comunità...di fronte ad un milionario ozioso o ad un alto funzionario irresponsabile anche l'ultimo degli uomini si sente capace di vivere largamente senza lavorare o di sfuggire alle proprie responsabilità.”
La diagnosi sociale di Thibon sta vivendo in pieno le sue fasi estreme. Non solo negli USA, ma anche in Europa dove l'oligarchia finanziaria ha oramai preso il potere a suo proprio vantaggio con un colpo di stato silenzioso. Chi di noi non incontra ogni giorno svariati esempi di infingardaggine morale da parte di uomini di potere. Chi di noi, anche, non si sente sollecitato a rivoltarsi. E se non ora quando... e guarda i popoli arabi come sono più coraggiosi di noi... e siamo troppo sazi e addormentati per dire basta...
Attenzione alle rivolte senza progetto, che vengono sollecitate e poi scippate da chi un progetto, indicibile, ce l'ha, e dopo che le piazze hanno versato il loro tributo di morti.
“Non si esce da questa situazione solo con una rivendicazione di migliori coondizioni di vita materiale, o con la ricerca astratta e matematica di una migliore distribuzion della ricchezza” dice bene Thibon. “La questione sociale non sarà mai pienamente risolta, senza ceare dei legami vitali, senza ridare un prossimo a ogni uomo.”
La mia idea è che basta rivoluzioni, bisognerebbe evolversi, qui, ora, e nonostante tutto, riunendoci intorno a progetti concreti su base reale. Comuni virtuosi, piccoli impianti energetici diffusi in compartecipazione, reti wifi di proprietà dei cittadini, monete complementari, gruppi di acquisto, network di informazione, ecc ecc ecc per creare nuove comunità di destino. E che si strafoghino pure il loro caviale.
brava Carmen, però trovo la tua conclusione un tantino contraddittoria: "Comuni virtuosi, piccoli impianti energetici.., reti wifi.., monete complementari, ecc.". Realizzare concretamente queste cose implica una grande rivoluzione: decrescita e fine del capitalismo e della sua finanza. Quindi la tua conclusione finale io la vedrei così:
RispondiEliminaDiamo il via ad una grande rivoluzione, che ci faccia evolvere (e quindi ci liberi dalle catene della grande finanza capitalista) riunendoci intorno a progetti concreti su base reale (formiamo delle community) ...
In pratica siamo comunisti, non nel senso marxista ma nel senso di membri di una community e questo ci salverà dalla catastrofe capitalista. In un prossimo futuro, non molto lontano, il termine "capitalista" avrà un'accezione ancora più dispregiativa del termine "comunista" di oggigiorno.
Sì, Emilio, molte volte bisogna intendersi sul significato che diamo alle parole, ma sui concetti ci siamo...
RispondiEliminaConcordo con Emilio, difficile non esserlo.
RispondiEliminaQuello che aggiungerei, a mio modesto avviso, riguarda la struttura dello Stato che restando (così mi pare) nella filosofia di Gustave Thibon, non deve essere molto grande/numerosa.
Mi piace particolarmente il detto "poca brigata vita beata".
Più le società sono amplie, maggiori sono i modi da parte dei Governanti,di non rispondere e/o eludere le richieste dei cittadini.
Basta guardare in che società viviamo, dove la responsabilità personale, viene palleggiata e nessuno è responsabile.....
Situazione questa, che non può essere certamente portata avanti a lungo, nelle società di dimensioni contenute.
Siamo un pò usciti dal tema, ma questa mia osservazione/chiairmento ci andava a pennello.
Saluti.
Orazio
Le questioni che pone Orazio riguardano principalmente il problema della democrazia ed in modo specifico il rapporto tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta. Al contrario di quello che normalmente si pensa, non è impossibile esercitare forme importanti di democrazia diretta nemmeno in comunità a livello di metropoli. Non è vero che la democrazia possa esistere solo a livello di micro-comunità. Ci sono strumenti come il "town meeting" che permettono di gestire con assemblee dei cittadini anche le metropoli. In ogni caso deve cambiare il background culturale, la filosofia di base: il potere deve salire dalla base, non scendere dall'alto come adesso riscontriamo nelle nostre "democrazie" rappresentative. Le comunità dovrebbero organizzarsi in un organismo superiore secondo il principio del federalismo e non secondo il principio di sussidiarietà.
RispondiEliminaPrender questa direzione per noi italiani è ora ancora più difficile perché la Lega Nord sta "bruciando" il concetto di federalismo facendo confusione con la sussidiarietà, che è esattamente il suo opposto.
Giusto Emilio.
RispondiEliminaLa sussidiarietà (o devoluzione) procede dall'alto devolvendo fette di potere alle comunità locali. Il vero federalismo è l'esatto opposto.
Nella devoluzione il depositario del potere è il livello più alto, che poi lo devolve come e quanto vuole - nel federalismo il potere sta nelle comunità locali.
Altra questione davvero fondamentale è il background culturale. La democrazia - rappresentativa o diretta - necessita di una formazione dei cittadini che devono esercitarla, non nasce spontanea.
Ricordiamoci che la democrazia ha ucciso Socrate, e Gesù.
Sarà anche come voi dite.
RispondiEliminaDel resto l'intelligenza è l'architrave di ogni società.
Sarei contento, anzi strafelice che, le cose andassero per il verso che avete descritto.
Però purtroppo abbiamo:
1 - abbassamento del livello culturale, checche se ne dica;
2 - una miopia generalizzata riguardante gli interessi propri a discapito degli interessi della collettività.
Per il resto ritengo valide quanto ho in precedenza scritto.
So perfettamente che ho pochissima fiducia nel prossimo, se non nei rari momenti della vita, (se mai ci fossero) alla quale gli interessi dei singoli sono quelli della collettività.
Saluti.
Orazio
Orazio, per me queste pratiche sono una possibilità, o ancor meglio un auspicio...ma con tutti i cigni neri e grigi che ci cadono addosso essere ottimisti non sarebbe tanto logico a dire il vero...
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