Come riporta il sito The Anti Media, si moltiplicano i segnali di insofferenza per le politiche egemoniche statunitensi nei confronti del resto del mondo. Lo strapotere americano seguito alla caduta dell’URSS trova sempre meno alleati e sempre più oppositori, specie tra i paesi emergenti come la Cina, che contrastano ormai apertamente gli intenti guerrafondai e neocoloniali statunitensi.
Di Darius Shahtahmasebi, 16 gennaio 2018
Secondo il generale decorato con 4 stelle Wesley Clark, in un incontro del 1991 con Paul Wolfowitz, allora sottosegretario al Dipartimento della Difesa, Wolfowitz sembrava un po’ deluso perché pensava che nell’Operazione Tempesta del Deserto gli USA avrebbero dovuto sbarazzarsi di Saddam Hussein, ma non ci erano riusciti. Clark riassumeva così quanto detto da Wolfowitz:
“Una cosa l’abbiamo imparata. Abbiamo appreso che possiamo usare il nostro esercito nella regione, in Medio Oriente, e i Sovietici non ci fermeranno. Abbiamo circa cinque-dieci anni per ripulire questi vecchi regimi filo sovietici, la Siria, l’Iran e l’Iraq, prima che un’altra superpotenza venga a contrastarci” [grassetto aggiunto].
Questo scenario si è certamente realizzato negli anni seguenti, quando gli Stati Uniti hanno usato il pretesto dell’11 settembre per attaccare sia l’Afghanistan che l’Iraq, mentre la comunità internazionale opponeva poca o nessuna resistenza. Il trend è continuato quando l’amministrazione Obama ha pesantemente espanso le sue operazioni militari in Yemen, Somalia, Pakistan e perfino nelle Filippine, giusto per citarne alcune, fino a quando gli USA hanno guidato un gruppo di paesi della NATO a imporre un cambiamento di regime in Libia nel 2011.
In quel momento, la Russia non esercitò il suo potere di veto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, perché aveva ricevuto rassicurazioni che la coalizione non avrebbe perseguito un cambiamento di regime. Quando le forze NATO iniziarono a bombardare direttamente il palazzo di Gheddafi, un infuriato Vladimir Putin domandò: “Chi ha dato alla NATO il diritto di uccidere Gheddafi?”
A seguito della pubblica esecuzione di Gheddafi nelle strade di Sirte, le critiche di Putin al tradimento della NATO si sono spinte oltre. Dichiarò:
“Tutto il mondo ha visto che è stato assassinato; tutto insanguinato. Questa è democrazia? Chi è stato? I Droni, inclusi droni americani, hanno condotto un attacco alla sua colonna di veicoli. Poi i Commando, che non avrebbero dovuto essere lì, hanno portato la cosiddetta opposizione e i suoi militanti e l’hanno ucciso senza un processo. Non dico che Gheddafi non dovesse andarsene, ma questa decisione andava lasciata al popolo della Libia, perché decidesse attraverso un processo democratico”.
Nessuno se ne accorse allora, ma la possibilità incontrastata dell’America di intervenire a suo piacimento in ogni parte del mondo finì quel giorno.
Arrivando velocemente al piano di Barack Obama di realizzare un vasto attacco aereo contro il Governo Siriano nel 2013, piano che non fu mai attuato a causa della forte opposizione russa e delle diffuse proteste negli Stati Uniti, alcuni anni più tardi la Russia intervenne direttamente in Siria su richiesta del Governo Siriano e attuò efficacemente una propria no-fly zone che comprendeva porzioni significative del Paese. L’attacco dell’aprile 2017 di Donald Trump contro il Governo Siriano avvenne solo dopo che la sua amministrazione avvertì in anticipo i Russi attraverso un canale di comunicazione diretto creato per abbassare le conflittualità allo scopo di gestire il conflitto siriano.
Tuttavia, la Russia non è l’unico paese stanco della politica estera americana, e il recente “Consiglio di Sicurezza di emergenza delle Nazioni Unite”, convocato per discutere l’attuale situazione in Iran, lo testimonia. Perfino i tradizionali alleati di Washington non hanno potuto trattenere le critiche al desiderio dell’America di comportarsi da poliziotto globale.
“Per quanto siano preoccupanti gli eventi degli scorsi giorni in Iran, non costituiscono in se stessi una minaccia alla pace e sicurezza internazionali”, ha dichiarato l’ambasciatore francese alle Nazioni Unite Francois Delattre. “Dobbiamo guardarci dai tentativi di sfruttare questa crisi per fini personali, cosa che darebbe un risultato diametralmente opposto a quanto desiderato”.
La Russia si è spinta oltre, sottolineando il comportamento dell’America stessa e il trattamento riservato ai dimostranti interni come contro-argomento rispetto all'idea che Washington sia motivata dalla sua preoccupazione per i diritti umani in Iran.
“Secondo la vostra logica, avremmo dovuto fissare un Consiglio di Sicurezza dopo i ben noti eventi a Ferguson” ha detto l’ambasciatore russo in USA Vasily Nebenzya, affrontando la delegazione statunitense.
Anche l’Iran ha sostenuto che la questione era un affare interno e non una cosa di cui le Nazioni Unite dovessero occuparsi, e la Cina è stata d’accordo, il suo ambasciatore l'ha definita una “questione interna”.
Il presidente francese Emmanuel Macron si è spinto al punto di accusare gli USA, Israele e l’Arabia Saudita di voler provocare la guerra all’Iran.
“La linea ufficiale perseguita da Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita, che sotto diversi aspetti sono nostri alleati, ci potrebbe condurre dritti alla guerra” ha detto Macron ai giornalisti, secondo la Reuters.
Al contrario, Macron ha esortato al dialogo con Teheran e messo in guardia contro l’approccio adottato dai Paesi di cui sopra.
Il presidente turco Pecep Tayyip Erdogan è giunto anche lui in soccorso dell’Iran durante le proteste, con il Ministro turco degli Esteri Mevlut Cavusigku che dichiarava apertamente:
“La stabilità dell’Iran è importante per noi.. ci opponiamo a un intervento estero in Iran”.
Alla fine dell’anno scorso, Erdogan dichiarò che le sanzioni statunitensi all’Iran non erano vincolanti per la Turchia, che avrebbe cercato di aggirarle. A quel tempo Hurryet News riportava le parole di Erdogan: “Il mondo non è composto dai soli Stati Uniti”.
Il declino dell’influenza americana si è rivelato più apertamente durante il flop del recente viaggio di Donald Trump a Gerusalemme, che ha visto l’amministrazione Trump profferire severe minacce al mondo intero, avvertendo tutti che dovevano votare a favore degli interessi di Washington alle Nazioni Unite. Il mondo in maggioranza ha scelto di ignorare tali minacce e presentare agli Stati Uniti un gigantesco “dito medio”, per così dire, votando in larga maggioranza contro la posizione dell’amministrazione Trump.
Anche se Washington è perfettamente in grado di attaccare unilateralmente altri Paesi, sia in segreto che apertamente, sostenuta da una lista di alleati che va sempre più assottigliandosi, quello che diventa sempre più evidente è che non potrà più farlo senza un’opposizione attiva da parte del resto del mondo, incluse potenze nucleari come Russia e Cina, che rifiutano di rimanere in silenzio mentre gli USA provano a plasmare il mondo secondo i propri desideri geopolitici.
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