06/04/18

Evviva la carenza di manodopera

La rivista The Week giustamente elogia la scarsità di lavoratori, mostrandone i vantaggi in termini di forza contrattuale in un’epoca in cui il loro potere d’acquisto è stato schiacciato ai minimi termini. In quest’ottica risulta anche estremamente dannoso considerare l’immigrazione una “naturale” soluzione alla scarsità di manodopera disponibile per i lavori sottopagati e spiacevoli. La giusta soluzione per i datori di lavoro che cercano braccia operose non è l’invocazione dell’esercito industriale di riserva, ma l’aumento di salari e diritti degli occupati per invogliarli a lavorare per loro.

 

 

 

Di Jeff Spross, 3 aprile 2018

 

Le imprese americane soffrono per la mancanza di lavoratori. A partire dagli estrattori di petrolio nel Texas occidentale fino ai ristoranti del New England, le aziende dicono ai giornalisti che non riescono a trovare abbastanza personale per colmare le carenze di organico. Ci viene detto che questo porterà a ordini non soddisfatti, a mercati bloccati e infine a una crescita economica più lenta.

 

Permettetemi di offrire un punto di vista completamente diverso: la carenza di manodopera in realtà è una buona cosa.

 

Ovviamente, è molto seccante per i proprietari delle aziende. “Abbiamo un portafoglio ordini ai massimi storici” ha detto un produttore di camion dell’Iowa al The Wall Street Journal. L’azienda, che normalmente soddisfa gli ordini in otto settimane, ora ci impiega il doppio del tempo.

 

Ma una ragione importante per cui la carenza di manodopera è così seccante è che alla fine costringe i proprietari delle aziende a spendere di più per attrarre i lavoratori. Si tratta della semplice legge della domanda e dell’offerta: se una risorsa è scarsa relativamente alle necessità dell’azienda, il suo prezzo salirà. Forse le aziende dovrebbero aumentare gli stipendi. Forse devono aumentare i benefit. Forse devono spendere più soldi per formare i dipendenti. Forse devono aumentare la produttività e l’efficienza.

 

Il punto è che quello che è spiacevole per i proprietari delle aziende, è positivo per i lavoratori.

 

Durante gli anni del boom economico a metà dello scorso secolo, a seguito della Seconda guerra mondiale, il tasso di disoccupazione era stato in realtà molto inferiore molto più spesso di quanto è stato dopo gli anni ’80. Quelli non erano anni di crescita asfittica ed aziende zoppicanti. È stato un periodo di crescita economica robusta e, in confronto a oggi, di benessere ben distribuito.

 

Quello che è notevole, è la resistenza di molti proprietari di aziende ad ammetterlo. Propongono qualsiasi genere di possibile rimedio alla carenza di manodopera, dall’incremento delle ore lavorative, all’utilizzo di più robot, all’alternanza scuola-lavoro con programmi di formazione. Ma la semplice soluzione di aumentare i salari orari viene citata raramente.

 

L’idea che gli stipendi non possono aumentare, che alcuni lavori devono sempre rimanere a basso salario, spesso viene data per scontata. “Un sacco di Americani non vogliono fare lavori a basso salario che sono poco attraenti” ha dichiarato Ray Wiley, un reclutatore che si occupa di piazzare rifugiati e immigrati nel mondo del lavoro, al The New York Times. “I lavori che offrono sono in posti sperduti” prosegue il testo, “il lavoro è mal pagato e non desiderabile, e i nativi (sic! NdVdE) americani, in particolare quelli di razza bianca, in genere non sono interessati”.

 

Notate il frame a favore dei proprietari e contro i lavoratori: lo stipendio è quello che è. Il fatto che possa cambiare non viene nemmeno preso in considerazione. Quindi, i lavoratori che non accettano l’offerta sono irragionevoli, forse persino viziati o pigri.

 

I giornalisti in effetti hanno la cattiva abitudine di presentare l’immigrazione come la soluzione alla mancanza di personale. Senza dubbio, questa favoletta è animata da buone intenzioni. Funziona da deterrente contro la xenofobia, spiegando come la tolleranza nei confronti di immigrati e rifugiati possa perfino aiutare l’economia. Ma contribuisce all’idea che noi dobbiamo semplicemente abituarci all’idea di avere stipendi bassi per sempre, e presenta inoltre implicitamente l’immigrazione come uno strumento per il mantenimento di bassi salari. Avvilisce anche gli stessi immigrati: questi sono considerati “migliori” o “più desiderabili” perché non scocciano i propri datori di lavoro chiedendo migliori condizioni di lavoro o maggiori stipendi.

 

Questo è solo un esempio. Ma la situazione è molto più diffusa: le imprese americane sembrano pensare di avere il diritto di disporre di manodopera a basso costo, che non li infastidisca.

 

Probabilmente lo pensano perché ci sono abituate. Gli economisti si impegnano a calcolare quanto bassa può essere al limite la disoccupazione senza innescare una spirale inflattiva. Queste stime ufficiali quasi certamente stabiliscono il valore minimo di disoccupazione molto più in alto di quanto dovrebbero. Ma anche così, la disoccupazione è stata inferiore a quella soglia soltanto il 35% del tempo, negli ultimi 20 anni.

 

In altre parole, negli ultimi decenni, il mercato del lavoro è stato dominato dai datori di lavoro.

 

I sondaggi delle aziende mostrano in effetti che ci sono più società che stanno aumentando i salari rispetto agli ultimi 18 anni. Ma si tratta di un confronto con il terribile paragone della Grande Recessione. A livello nazionale, i salari stanno crescendo del 2,6% all’anno. Si tratta del tasso più alto registrato dalla metà del 2009. Ma rimane inferiore alla forchetta del 3,5-4% che avevamo alla fine delgi anni ’90 e nel 2007-2008 – le ultime due volte che abbiamo avuto una disoccupazione così bassa.

 

Parte della differenza è dovuta alle diversità regionali: le posizioni lavorative aperte sono superiori al numero di disoccupati nel Midwest, ma i disoccupati sono ancora superiori alle posizioni aperte a livello nazionale.

 

Ma anche la struttura delle statistiche governative gioca un ruolo importante. Per essere considerato disoccupato, devi aver cercato attivamente un lavoro nell’ultimo mese. Altrimenti non vieni considerato come parte della forza lavoro. Ma la percentuale di partecipazione alla forza lavoro è collassata durante la Grande Recessione, e la crescente popolazione di pensionati non è sufficiente per spiegarne la caduta. Ciò suggerisce che l’economia è andata così male, così a lungo, che molte persone hanno semplicemente rinunciato a trovare un lavoro.

 

Infatti più del 70% dei lavoratori appena assunti a gennaio hanno dichiarato che il mese precedente non stavano cercando lavoro. Ciò significa che non sarebbero stati conteggiati tra i disoccupati. E la percentuale è la più alta mai registrata negli ultimi 25 anni.

 

Per molto tempo, è stato perfettamente normale per un gran numero di Americani essere disoccupati. Questo ha permesso ai datori di lavoro di scegliere a piacimento chi volevano assumere, senza doversi scomodare con aumenti salariali né altri sforzi per attrarre lavoratori. Ora il mercato finalmente inizia a spostarsi, anche se di poco, in favore dei lavoratori. Ma i proprietari di azienda non si rassegnano facilmente ad abbandonare le vecchie consuetudini. Dopo essersi cullati nella noncuranza e nell’ipersensibilità, vanno nel panico al minimo accenno di inconveniente.

 

“Qualcuno di voi pensa di alzare gli stipendi nei prossimi uno-due anni?” ha chiesto lo scorso anno il Presidente della Federal Reserve di Minneapolis, Neel Kashari, a un raduno di uomini d’affari.  “O vi limitate solo a lamentarvi perché non riuscite a trovare manodopera?”.

 

Ha aggiunto: “Se non state alzando gli stipendi, allora sembra proprio che stiate solo piagnucolando”.

 

 

 

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