di Charles-Henri Gallois, 20 gennaio 2017
Nel Regno Unito negli ultimi tempi infuria il dibattito [1] sulle condizioni di uscita dall'Unione europea. Bisognerebbe o no rimanere nel mercato comune?
L'UPR ricorda qui che il mercato comune è nato con il trattato di Roma del 1957. Il principio alla base del mercato comune è la libera circolazione delle merci. Da allora, è stata aggiunta la libera circolazione dei capitali e delle persone. Va notato che nel quadro dello Spazio economico europeo (SEE), questo mercato non è limitato ai 28, che presto saranno 27, membri dell'Unione europea (UE), poiché vi rientrano anche tre paesi dell'Associazione europea di libero scambio (AELS): Norvegia, Islanda e Liechtenstein.
I sostenitori della Brexit sono stati messi in allarme dalle parole di Philip Hammond, Cancelliere dello Scacchiere (equivalente del ministro dell'Economia), preoccupato per un'uscita dal mercato comune che, secondo lui, sarebbe catastrofica per il Regno Unito [2].
Va ricordato che Philip Hammond ha fatto campagna per il "Remain", vale a dire la permanenza del Regno Unito nell'UE. I Brexiters ritenevano, giustamente, che restare nel mercato comune equivarrebbe a un'uscita incompleta dall'UE, poiché l'appartenenza al mercato comune implica la libera circolazione dei capitali, dei beni e servizi e delle persone, nonché l'imposizione a tutta l'economia del Regno Unito di norme decise altrove.
I sostenitori del "Remain" spiegano che il costo di un'uscita dal mercato comune sarebbe troppo grande e dannoso per l'economia del Regno Unito. Theresa May si è impegnata nel suo discorso del 17 gennaio 2017 [3] a rispettare la volontà del popolo di riprendere in mano il proprio destino. Sarà quindi un'uscita piena e completa dal mercato comune. Che dire delle conseguenze economiche, che secondo tutti gli europeisti sarebbero catastrofiche?
Si tratta di una domanda fondamentale che interessa tutti i francesi nel quadro della Frexit proposta dall'URP e da François Asselineau.
I costi di un'uscita dal mercato comune
I fautori del Remain ritengono che in ogni caso al Regno Unito verranno imposti gli standard dell'UE anche se non avrà più voce in capitolo nella loro elaborazione. Questo è ovviamente falso. Le imprese che esportano verso l'UE dovranno conformare i loro prodotti destinati all'UE a questi standard, come fanno con gli standard americani o coreani e così via. Ma, giustamente, non sarà questo il caso per il resto dell'economia.
È importante capire che la quota delle esportazioni britanniche verso l'UE è solo del 44,4% ed è in costante diminuzione, come mostrato nel grafico seguente:
In valore assoluto, equivale a 184,1 miliardi di euro, pari al 9,1% del PIL del Regno Unito.
L'argomento principale a sostegno del costo dell'uscita dal mercato comune è che le esportazioni britanniche saranno soggette a barriere doganali. Ciò renderà quindi le esportazioni meno competitive.
Allo stato attuale, le barriere doganali, vale a dire la tariffa esterna dell'Unione europea, sono le seguenti [4]:
Questi dati risalgono al 2001 e, sotto l'influenza dell'OMC e degli Stati Uniti, le tariffe sono in costante diminuzione. Siamo molto lontani dalla tariffa esterna comune protezionistica degli anni '60. Sappiamo anche che il Regno Unito produce ed esporta pochissimi prodotti agricoli. Il loro tasso medio quindi probabilmente nel 2016 sarebbe molto più basso rispetto al 3,1% indicato.
Prendendo per buona questa ipotesi del 3,1%, questo rappresenta un costo aggiuntivo di 5,7 miliardi di euro che penalizzerebbe la competitività delle esportazioni.
I vantaggi dall'uscita dal mercato comune
Vi sono almeno tre vantaggi per il Regno Unito in seguito all'uscita dal mercato comune.
1. Risparmi significativi per le piccole e piccolissime imprese che non esportano nell'UE ed erano tenute ad applicare le norme e le direttive europee. I 100 regolamenti più costosi sono stimati a 27,4 miliardi di sterline, ovvero circa 31,7 miliardi di euro all'anno per l'economia britannica [5]. È chiaro che si tratta di un vantaggio enorme rispetto ai potenziali 5,7 miliardi di euro di dazi doganali sulle esportazioni.
2. Per accedere al mercato comune e essere membro dell'UE, il Regno Unito contribuisce al bilancio dell'UE. Ed è un contributore netto! Ogni anno il Regno Unito versa 17,1 miliardi di euro all'UE, che ne restituisce 11,6, di cui 5,3 sono rimborsi [6]! Si tratta quindi di una perdita annuale netta di 5,5 miliardi di euro. Pari, più o meno, ai dazi doganali supplementari. Con l'unica differenza che gli inglesi, ora, saranno padroni delle loro leggi!
3. Dobbiamo anche tenere conto, se guardiamo alle esportazioni, del calo della sterlina inglese, che tutti gli europei presentano come un disastro per il Regno Unito! Il cambio prima della Brexit era 1 sterlina = 1,32 euro, ora è 1 sterlina = 1,16 euro, con un deprezzamento del 12,1%. Ciò significa che i prodotti del Regno Unito saranno il 12,1% meno costosi per l'esportazione. Se applichiamo questo deprezzamento ai 184,1 miliardi di EUR di esportazioni [7] verso i paesi membri dell'UE e calcoliamo i dazi doganali stimati (tariffa esterna dell'UE), otteniamo che le esportazioni britanniche risulteranno meno costose per 17,3 miliardi di euro.
Nell'ambito del libero scambio britannico, inoltre, alcuni sostenitori della Brexit hanno spiegato che le tariffe doganali dell'UE non sono importanti perché il Regno Unito può importare i suoi prodotti a basso costo da paesi terzi, in particolare i prodotti agricoli, liberandosi così della tariffa esterna. In questa visione, dato il suo enorme deficit commerciale, il Regno Unito risulta vincente.
Il caso francese
Per quanto riguarda la Francia, il suo caso è un po' diverso perché le esportazioni sono soprattutto verso i paesi dell'Unione Europea (26 paesi escludendo il Regno Unito). Tuttavia, anche la quota delle nostre esportazioni verso l'UE nel suo insieme sta diminuendo, come si può vedere nel grafico seguente:
Nel 2015, in termini assoluti, abbiamo esportato 267,8 miliardi di euro, che rappresentano il 12,8% del nostro PIL. Se adottiamo lo stesso metodo del costo aggiuntivo sulle esportazioni dovuto alle tariffe doganali, con un tasso medio più elevato per la Francia (4,3%) poiché esporta più prodotti agricoli, arriviamo a un costo aggiuntivo di 11,5 miliardi di euro.
E tuttavia, i fatti sono incontrovertibili, e la Francia, in caso di Frexit, avrebbe dei vantaggi che superano di gran lunga questo costo aggiuntivo per le sue esportazioni verso i paesi dell'Unione europea.
- - Anche il costo aggiuntivo dovuto all'adesione agli standard del mercato comune applicati a tutte le imprese, anche a quelle che non esportano nell'UE, è enorme per la Francia! Questo costo aggiuntivo è stimato in 37 miliardi di euro all'anno. [8]
Poiché l'inflazione normativa di origine europea è costante, questo costo può solo aumentare. Il costo aggiuntivo potenzialmente associato ai dazi doganali per l'ingresso nel mercato europeo appare ridicolo in confronto.
- Anche la Francia, come i nostri amici oltre Manica, è contributore netto al bilancio dell'UE. Ogni anno la Francia versa 22,6 miliardi all'UE, che le restituisce 14,2 miliardi di euro [9]. Si tratta quindi di una perdita netta di 8,4 miliardi di euro, quasi l'importo del costo aggiuntivo relativo ai dazi doganali. Occorre anche notare che in 25 anni il contributo francese è più che quadruplicato!
- Infine, per l'UPR è chiaro che l'uscita dal mercato comune sarà accompagnata da un'uscita dall' euro, che comporterà un deprezzamento del franco rispetto all'euro, se questo continuerà ad esistere. Ciò supporterà la competitività delle nostre esportazioni o l'attrazione del turismo e compenserà ampiamente i dazi doganali. Al netto, sulla base di un deprezzamento del 10% del franco e di 267,8 miliardi di euro di esportazioni verso l'UE, il guadagno sarebbe dell'ordine di 16,4 miliardi di euro!
Se il deprezzamento fosse del 20%, il guadagno netto sarebbe di circa 44 miliardi di euro!
Conclusioni
In conclusione, come per gli inglesi, non dobbiamo avere paura ed economicamente abbiamo più da guadagnare che da perdere da un'uscita dall'UE, dal mercato comune e dall'euro. Ma al di là dell'economia, e questo è ciò che la maggior parte degli elettori britannici ha capito, è soprattutto una questione di democrazia, e quindi di indipendenza nazionale. Lo ha detto lo stesso Charles de Gaulle, quando Alain Peyrefitte lo interrogava su un'uscita dalla CEE (l’antenato dell'UE) e dal mercato comune: "Se dovessimo scegliere tra l'indipendenza e il mercato comune, essere indipendenti sarebbe più importante del mercato comune "[10].
Note
1]http://www.dailymail.co.uk/news/article-3739473/Tory-rebels-demand-Theresa-set-timetable-UK-s-EU-departure-bid-avoid-Brexit-Lite.html
[2] http://www.lefigaro.fr/flash-eco/2016/06/26/97002-20160626FILWWW00044-brexit-philip-hammond-s-inquiete-d-une-perte-de-l-acces-au-marche-unique.php
[3] http://www.lefigaro.fr/flash-eco/2017/01/17/97002-20170117FILWWW00173-theresa-may-le-brexit-signifiera-la-sortie-du-marche-unique.php
[4] http://www.senat.fr/rap/r05-120/r05-12030.html
[5] http://openeurope.org.uk/intelligence/britain-and-the-eu/100-most-expensive-eu-regulations/
[6] http://www.diplomatie.gouv.fr/fr/dossiers-pays/royaume-uni/l-union-europeenne-et-le-royaume-uni/
[7] Eurostat, chiffres de 2015
[8] Ce que nous coûte l’Europe, Christophe Beaudouin
[9] http://www.performance-publique.budget.gouv.fr/finances-publiques/financement-union-europeenne/approfondir/actualite/jaune-2015-relations-financieres-union-europeenne-france-toujours-3e-rang-contributeurs-nets
[10] C’était de Gaulle, Alain Peyrefitte, Fayard, 1997, tome 2, pp. 253 – 254
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