Come riporta Tom Luongo, i problemi europei hanno origine in primo luogo dalla Germania, che ha utilizzato la moneta unica come strumento di colonizzazione dei paesi europei più deboli. Ora il giocattolo ha raggiunto il suo limite ed esploderà non appena finiranno gli effetti espansivi messi in campo dalla BCE, che, anziché risolvere i problemi, li ha lasciati invece aggravarsi a dismisura.
Di Tom Luongo, 3 dicembre 2019
In Europa la crisi arriverà dalla Germania. La Germania è entrata in un periodo di crisi politica che, al momento, non è ancora esplosa.
Ma la pira è stata costruita, le torce sono accese e tutto ciò che rimane da fare è trascinare la cancelliera Angela Merkel sul rogo e dare fuoco.
Per coloro che vogliono capire gli impulsi fondamentali che hanno portato l’Unione Europea dove si trova oggi e il ruolo centrale della Germania, è veramente necessario leggere “Il cuore marcio d’Europa” di Bernard Connolly.
Si tratta di un libro che condanna praticamente tutti coloro che hanno mono-maniacalmente spinto per il progetto europeo ma, a mio parere, quella che ne esce peggio è in particolare la Germania.
Infatti il progetto dell’euro, come moneta, venne guidato dagli industriali tedeschi che puntavano ai vantaggi che avrebbe portato loro una moneta unica.
Questo è un concetto che ho sottolineato molte volte: la moneta unica rende più economici i prodotti industriali del Nord Europa, mentre sovrapprezza la capacità produttiva del Sud.
Inoltre, aumenta l’effettiva qualità del debito di questi ultimi paesi, portandola a un livello molto più alto del suo valore di mercato. Ciò ha consentito loro di prendere in prestito denaro a tassi molto più bassi di quanto avrebbero mai potuto fare in altre condizioni.
Questo ci ha portato esattamente dove siamo oggi: con gli enormi squilibri interni che hanno destabilizzato queste economie ed eroso ulteriormente la loro capacità produttiva e competitività, lasciandoli con una montagna di debito, impossibile da ripagare, che viene utilizzato come ulteriore strumento per estrarre gli ultimi asset realmente di valore dai paesi stessi, quando l’inevitabile crisi colpisce e il debito deve essere ristrutturato.
Pensare che questo meccanismo non fosse noto a chi ha progettato l’euro è totalmente da ingenui. Questo ragionamento non viene fatto solo da Connolly, ma anche da Gyorgy Matolcsy, Presidente della Banca Centrale di Ungheria.
Grazie a un lettore fisso molto generoso, sto leggendo ora questo libro: “L’impero americano contro il Sogno Europeo”. Matolcsy in apertura sferra un caustico attacco all’euro, sostenendo che non avrebbe mai dovuto essere introdotto, fin dall’inizio.
Il fatto è che gli effetti della moneta unica erano perfettamente prevedibili. Ma l'autore tocca un argomento ancora più importante rispetto a quanto fa Connolly nel suo libro. La Germania estrae ricchezza e accumula rendite grazie all'arbitraggio sul tasso di cambio.
Sentirlo potrà irritare i miei lettori tedeschi ma, ancora una volta, se pensate che questo non fosse il piano fin dall’inizio, ossia colonizzare paesi come la Grecia, che non si riuscì a conquistare militarmente durante la Seconda Guerra Mondiale, allora non riuscite a capire perché il resto d’Europa si sta arrabbiando.
Maltocsy si spinge ancora più in là nella sua critica alla Germania, affermando che se questa estrazione di ricchezza fosse stata distribuita a tutta la UE durante i venti e più anni di euro, sotto forma di investimenti, le cose sarebbero andate molto meglio.
Ma la Germania non ha mai abbandonato la sua mentalità mercantilista, preferendo vendere BMW e Porsche agli spagnoli e ai greci, mentre prestava loro i soldi necessari a tassi di interesse calmierati.
Poi, quando è arrivato il conto, la Germania ha chiesto loro l’austerità per ripagarlo e nel frattempo ha dato loro dei fannulloni.
Ecco perché oggi la Germania è il centro marcio di un presunto impero europeo che cade a pezzi. Ed ecco perché tutti, inclusi i tedeschi, verranno ora impoveriti mentre la montagna di debito impossibile da ripagare collassa.
Gli imperi crollano sempre dall’interno.
L’impero americano sta affrontando lo stesso identico problema, ma siccome il dollaro è la valuta di riserva mondiale, verrà semplicemente colpito più tardi.
Ecco perché il Dow Jones Industriale e lo S&P500 sono ai massimi storici nonostante le ultime bordate del presidente Trump nell’ambito della guerra commerciale con la Cina, mentre il tedesco DAX fa fatica a rimanere sui livelli massimi del 2018.
Il Dow Jones risente delle differenze nelle incertezze economiche e politiche tra gli USA e la Germania. Perché…
La notizia importante è che i partner di coalizione di Angela Merkel, i Social Democratici (SPD), hanno appena eletto un nuovo leader che è ostile al governo di coalizione, in quanto attribuisce alla Merkel la colpa del collasso elettorale del suo partito a livello nazionale. Questo mette il futuro politico della Merkel in pericolo o, come minimo, assicura che lei avrà meno controllo su un governo tedesco largamente paralizzato.
Negli ultimi mesi abbiamo visto in generale i mercati tirare un sospiro di sollievo dopo che la FED e la BCE si sono attivate per immettere liquidità. Ma questo intervento non risolve i problemi sottostanti, li rimanda soltanto, gonfiando per qualche altro mese la curva dei rendimenti, in questo caso degli Stati Uniti e della Germania.
Ma l’impulso reflattivo è ora dominante o è una semplice pausa tra crisi, come suggerisce Jeff Snider di Alhambra Partners?
Io propendo per la seconda ipotesi, dato che la FED continua ad accumulare Repo (pronti contro termine, NdVdE) sul suo bilancio, ormai più di 208 miliardi di dollari da settembre, e un’altra operazione Repo di 42 giorni ieri è stato sottoscritta per una quantità doppia dell’offerta.
Certo, potrebbe trattarsi di semplici trucchetti da fine trimestre, ma perché? E ci chiederemo le stesse cose quando questi Repo da 42 giorni scadranno a fine gennaio?
La vera domanda è che cosa sta spingendo le banche USA ad aver bisogno di così tanti dollari per mantenere liquidi i mercati. E perché tutti si sentono agitati dalla mancanza di dollari.
La risposta è che tutti si aspettano la stessa cosa, che qualcosa cambierà in maniera decisa, e quando lo farà tutti vorranno dollari, non euro, non sterline, yen o yuan.
L’economia tedesca sta rallentando, lo fa da più di un anno.
E quando l’impulso reflattivo finirà, i mercati che non hanno toccato i massimi storici saranno molto più vulnerabili a un collasso. L’impero mercantilista multigenerazionale tedesco ha raggiunto il suo zenith. Non può più spingersi oltre senza cedere terreno politico al resto d’Europa o abbandonare proprio quella cosa che ha creato l’impero fin dall’inizio: l’euro.
Ecco il problema principale che sta al cuore del progetto europeo. E non può essere nascosto ancora a lungo.
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