Un articolo sul New York Times manifesta finalmente una giusta sensibilità verso la legittimazione democratica dei governi, commentando le dimissioni di Draghi come un successo per la democrazia italiana, sinora messa all'angolo dalle istituzioni finanziarie e dalla pretesa dell'Unione europea di governare la politica economica del paese nella direzione liberista in cambio degli aiuti del PNRR.
di Christopher Caldwell*
27 luglio 2022
Mario Draghi, che la scorsa settimana ha rassegnato le
dimissioni da primo ministro italiano, ha un curriculum straordinario per uno
statista contemporaneo: direttore esecutivo della Banca Mondiale negli anni
'80; direttore generale del Tesoro italiano negli anni '90; governatore della
Banca d'Italia negli anni 2000; e presidente della Banca centrale europea durante
la crisi finanziaria iniziata nel 2010, durante la quale gli è stato attribuito
il merito di aver salvato l'euro.
Per i sostenitori del governo Draghi, dell'Unione europea e dell'economia globalista, egli è diventato un simbolo di continuità democratica di fronte a sconvolgimenti economici ed estremismo partigiano. In quest'ottica, la caduta di Draghi, provocata dalla bocciatura del voto di fiducia da parte di tre partiti del suo governo, fa presagire una catastrofe. Il ministro degli esteri italiano, Luigi Di Maio, lo ha definito un "capitolo oscuro per l'Italia".
Per ora Draghi rimane in carica per il disbrigo degli affari correnti e la favorita a sostituirlo dopo le elezioni di settembre è la politica nazional-populista Giorgia Meloni. In una delle sue newsletter, JPMorgan ha descritto le manovre parlamentari che hanno portato alla cacciata di Draghi come un "colpo di stato populista". Dal momento che Draghi ha appoggiato le sanzioni alla Russia per l'invasione dell'Ucraina, i giornalisti italiani condannano i suoi oppositori definendoli "filo-putiniani" o "amici di Putin".
Ma c'è qualcosa di strano nel ruolo di Draghi come simbolo di democrazia: nessun elettore ha mai votato per lui. È stato insediato per risolvere lo stallo politico all'inizio del 2021, su richiesta del presidente Sergio Mattarella, anche lui non eletto direttamente dal popolo. Per quanto Draghi possa essere autorevole e capace, le sue dimissioni sono invece un trionfo della democrazia, almeno per come la parola democrazia è stata tradizionalmente intesa.
Il problema dell'Italia è che i suoi governi ora servono due padroni: l'elettorato e i mercati finanziari globali. Forse questo è vero per tutti i paesi dell'economia globale, ma non è così che dovrebbe funzionare la democrazia, e l'Italia è soggetta a un vincolo particolare. Con il debito pubblico al di sopra del 150 per cento del prodotto interno lordo, la popolazione in calo e i tassi di interesse in aumento, l'Italia è intrappolata in una moneta unica europea che non può svalutare.
Più volte, negli ultimi decenni, la politica in Italia è stata sospesa e dei governi “tecnici”, come quello di Draghi, sono stati chiamati a prendere misure di emergenza. Ciò significa che il governo italiano non dà particolare ascolto ai cittadini, sebbene chieda loro grandi sacrifici e rispetto delle regole.
L'elettorato italiano sembra esser diventato decisamente populista. Le elezioni italiane del 2018 sono state il terzo grande sconvolgimento antisistema della metà dell'ultimo decennio, dopo la Brexit e l'elezione di Donald Trump nel 2016. Il Movimento populista di sinistra dei 5 stelle, fondato dal comico Beppe Grillo, in quella occasione ha ottenuto un terzo dei voti. Era un partito che si opponeva alla corruzione e all'inquinamento e chiedeva programmi sociali redistributivi, approvando persino una versione del reddito di cittadinanza. Ha governato in coalizione con la Lega, un partito populista di destra guidato da Matteo Salvini, che si è concentrato sulla chiusura delle coste italiane del Mediterraneo all'immigrazione africana. Il governo, guidato da Giuseppe Conte, era molto popolare.
Quando il Covid ha colpito, nel 2020, la Banca centrale europea ha promesso all'Italia 200 miliardi di euro in aiuti per la pandemia. Il primo ministro Conte, che in questo momento guidava un governo progressista più tradizionale, in coalizione con i socialdemocratici, era ancora molto popolare. Ma né l'Unione europea né l'establishment romano si fidavano di lui per la gestione di tutti quei soldi. Quando l'ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi è uscito dalla coalizione, si è formato un governo di unità nazionale (che includeva tutti i partiti, eccetto la Meloni di estrema destra) attorno a Draghi, che, si diceva , aveva la "credibilità" per calmare i mercati.
Ma in cosa consiste la credibilità di Draghi? In democrazia, la credibilità deriva da un mandato popolare. In un "governo tecnico", la credibilità deriva dai rapporti con banchieri, autorità di regolamentazione e altri addetti ai lavori. Quando una persona nella posizione di Draghi prende il potere, non è chiaro se sia la democrazia che sta sollecitando l'aiuto delle istituzioni finanziarie o se siano le istituzioni finanziarie che hanno messo all’angolo la democrazia.
Il piano di aiuti per il Covid dell'Unione europea aveva lo
scopo di spingere l'Italia verso delle riforme di libero mercato. In cambio degli
aiuti, Bruxelles ha avuto una grossa voce in capitolo sul governo dell'Italia: l'Italia ha ricevuto solo 46 miliardi di euro delle somme promesse e saranno
necessarie dozzine di riforme prima che l'Unione europea versi il resto.
Queste riforme sono diventate odiose per molti elettori. Ad esempio, l'Unione europea ha chiesto che le spiagge italiane fossero aperte alla concorrenza del mercato. La costa italiana è di proprietà pubblica e lo Stato dà le spiagge in concessione a delle piccole imprese che le gestiscono. Tali attività, spesso mantenute nella stessa famiglia per generazioni, danno lavoro a circa 100.000 italiani.
I sostenitori delle riforme, appoggiati da. Draghi, considerano le famiglie che gestiscono quelle antiche concessioni balneari come “monopolisti” che traggono profitto dalla proprietà pubblica. Gli oppositori delle riforme, il più attivo dei quali è stato Salvini, sostengono che l'epiteto di "monopolista" è più adatto alle catene alberghiere internazionali che spazzerebbero via quelle piccole imprese.
L'Unione europea chiede anche che l'Italia cambi le sue leggi sul trasporto automobilistico. Esiste in Italia uno speciale sistema di licenze per i conducenti automobilistici, distinto da quello per i taxi. Le licenze sono costose ed è difficile formare dei consorzi in cui un imprenditore possa gestire una scuderia di lavoratori autisti. Finora, Uber ha operato in Italia solo nel modo più limitato.
I sostenitori della riforma del mercato probabilmente considerano un vero e proprio furto che un taxi dal centro di Milano all’aeroporto di Malpensa debba costare 100 euro e probabilmente vedono la concorrenza di Uber come un modo per risolvere il problema. Per gli avversari, Uber è un problema, non una soluzione.
Molte di queste riforme avrebbero dovuto essere attuate entro la fine dell'anno. Il tempismo della caduta di Draghi non è quindi casuale. Quando la scorsa settimana è comparso davanti al Senato per verificare la fiducia, molti italiani erano risentiti per gli affronti alla loro democrazia, affronti non propriamente giustificati dall'interesse dell'Unione europea per la stabilità macroeconomica.
Questo è un interesse legittimo. Il debito dell'Italia potrebbe anche avere ripercussioni sui suoi cittadini e sull'Europa. Ma nessuno è ancora arrivato a un modo soddisfacente di affrontare il problema del debito in un paese fortemente indebitato. Risolvere tali problemi può richiedere l'immissione di denaro dall’esterno in un sistema politico, e questo risulta essere difficile da fare in modo imparziale.
Sostanzialmente agli italiani è stato detto: potete avere i soldi per salvare il vostro paese se il vostro primo ministro è Draghi, altrimenti no. Date le circostanze, non c'è nulla di irragionevole, di "populista" o filo-Putin nel preoccuparsi delle conseguenze per la democrazia.
*Christopher Caldwell è scrittore, opinionista e autore di "Riflessioni sulla rivoluzione in Europa: immigrazione, Islam e Occidente".
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