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28/05/19

Sapir - Elezioni europee: le rovine dopo la battaglia

Lucido e dettagliato come sempre, Jacques Sapir analizza i risultati delle elezioni europee in Francia. Per molti aspetti una lezione utile anche alle forze politiche italiane: mostra per esempio l'irrilevanza cui si sono condannate le diverse, microscopiche liste sovraniste, divise tra loro e ferme a percentuali insignificanti, utili solo alla dispersione del voto. Il crollo di La France Insoumise al 6,5% rappresenta inoltre il prezzo da pagare  per una linea politica confusa, in cui ci si è voluti separare dai sovranisti di sinistra e ora tentata di condannarsi definitivamente all'ininfluenza se, a fronte della buona affermazione del RN, cederà a quell'antifascismo retorico e farlocco che conosciamo bene, in tutta la sua vacuità, anche in Italia. Nel complesso, la vera forza di Emmanuel Macron, punito dagli elettori, sta nella dispersione e frammentazione delle opposizioni.

 

 

di Jacques Sapir, 27 maggio 2019

 

 

Successo non pienissimo per il Rassemblement National, sconfitta attenuata per En Marche, una mezza sorpresa per gli ambientalisti e opposizione per il resto atomizzata, sia a destra che a sinistra: ecco il panorama politico che sta emergendo dopo le elezioni europee. Se gli avversari di Macron vogliono contare qualcosa, dovranno avviare cambiamenti radicali.

 

Le elezioni europee in Francia si sono basate principalmente su temi francesi. Questa è la prima lezione che se ne può trarre: erano un voto sul Presidente.

 

Questo spiega perché il numero di astensionisti è stato molto inferiore rispetto al 2014. Sebbene le classi lavoratrici, e anche i giovani, si siano ampiamente astenuti, il tasso di partecipazione è aumentato di quasi otto punti percentuali rispetto al livello eccezionalmente basso del 2014.

 

Il fallimento di Emmanuel Macron


 

Queste elezioni hanno visto il relativo successo del Rassemblement National (RN), che batte la lista La République En Marche (LREM) - Mouvement Democrate (MoDem)- Renaissance, guidata da Nathalie Loiseau. Il relativo insuccesso di questa lista, nonostante il sostegno attivo ricevuto da parte del presidente, è degno di nota. Emmanuel Macron aveva appoggiato oltre ogni decenza, visto il suo ruolo, la lista LREM. Questo sostegno, per molti aspetti scandaloso, non ne ha evitato il fallimento. È quindi una sconfitta personale e inciderà sulla capacità del presidente di rianimare la sua politica. Emmanuel Macron ora è costretto in una posizione difensiva e un po' più screditato, sia a livello nazionale che a livello europeo.

 

Il successo della lista RN, guidata da Jordan Bardella, è innegabile, ma non si tratta affatto di un trionfo. L'RN fatica a riconquistare la percentuale del 24% ottenuta nel 2014.

 

L'insuccesso della lista Loiseau è comunque relativo, per due motivi: il primo è la percentuale ottenuta, superiore al 22% della lista LREM. Quindi non si tratta di un crollo.

 

La seconda ragione è il vero collasso, invece, del partito Les Républicains (LR), guidato da François-Xavier Bellamy. Con poco più dell'8% e il quarto posto, la lista LR subisce una vera e propria disfatta, che può solo mettere in discussione la direzione esercitata da Laurent Wauquiez. Una sconfitta che può essere spiegata dalla polarizzazione tra RN e LREM che si è imposta nelle ultime settimane della campagna.

 

Un certo numero di elettori di LR sono passati a uno di questi due partiti, e probabilmente più verso LREM che su RN. Questo non è sorprendente. Emmanuel Macron è diventato, a causa del movimento dei gilet gialli, il simbolo del partito dell'ordine. È quindi naturale che una parte dell'elettorato della destra legittimista, come una parte degli elettori di François Fillon nel primo turno della presidenziale 2017, si sia ritrovato tra gli elettori che hanno votato per la lista LREM.

 

Le conseguenze di questa situazione sono contraddittorie. Emmanuel Macron ha sicuramente limitato i danni e può cantare vittoria a breve termine. Ma il suo potenziale serbatoio di voti si è ridotto e ha esaurito le sue riserve. Ciò avrà conseguenze sulle prossime elezioni amministrative del 2020, perché i Repubblicani possono sperare di recuperare solo schierandosi apertamente all'opposizione, contro Emmanuel Macron. Liste unitarie ora sono meno probabili a livello locale. Tuttavia, è attraverso queste elezioni che la capacità di LREM di mettere radici a livello locale sarà persa o vinta, il che è la condizione della sua sopravvivenza e quindi della capacità di Emmanuel Macron di ripresentarsi nel 2022.

 

Il successo di EELV, il fallimento di France Insoumise


 

Il successo di Europe Écologie Les Verts (EELV) è indiscutibile. La lista dell'EELV arriva terza, con oltre il 12% dei voti. Ma bisogna ricordare che le elezioni europee sono sempre state favorevoli alle formazioni ecologiste. Le percentuali di domenica sera non sono il risultato più alto mai raggiunto dagli ambientalisti. Inoltre, questo risultato è collegato all'altra sorpresa di queste elezioni: il crollo, non c'è altra parola, della lista di La France Insoumise (LFI), guidata da Manon Aubry, così come il cattivo risultato registrato dalla lista del Partito Comunista Francese (PCF), guidata da Yan Brossat, con il 2,4% circa.

 

Per La France Insoumise il problema è più grave. Con poco più del 6,5%, alla pari con la lista di PS - Place Publique, LFI registra una sconfitta che è un vero disastro. Le cause sono note. Proprio come in Spagna, dove Podemos paga a caro prezzo le sue esitazioni e la sua politica confusa, LFI paga fino all'ultimo spicciolo il suo cambio di linea, che si è verificato a partire dalla fine della primavera 2018, e che ha provocato manovre interne indegne e l'esclusione o l'abbandono volontario dei cosiddetti "sovranisti di sinistra".

 

L'abbandono della linea di "assemblea del popolo", che ha portato Jean-Luc Mélenchon a quasi il 20% nel primo turno delle elezioni presidenziali del 2017, è la causa di questo collasso. Lo testimoniano le dichiarazioni di Jean-Luc Mélenchon, rilasciate nella serata di domenica 26: nelle frasi esitanti, nel vocabolario che si voleva gollista, appariva l'estrema confusione di quello che è il leader di fatto di LFI. La France Insoumise non potrà risparmiarsi una profonda autocritica, che implichi un raddrizzamento della linea politica - che dovrebbe tornare alle posizioni della primavera 2017 - e una istituzionalizzazione democratica, con strutture di funzionamento chiare e trasparenti.

 

Il problema principale è quello della linea politica. Alcuni, che sognano solo di riportare LFI sulle sterili posizioni di una unione delle sinistre, lo hanno capito bene. Abbiamo potuto vederlo durante la serata post-elettorale. Ma anche la questione della democrazia interna e della trasparenza ha giocato un ruolo in questa sconfitta. LFI non ha certo mostrato il suo volto migliore negli ultimi nove mesi. C'è tuttavia da temere che la vittoria del RN spinga alcuni dei quadri in una logica di farlocco antifascismo da operetta, mentre la logica dovrebbe essere quella di sfidare la presa di RN sulle masse rispondendo alle loro aspirazioni e rilanciando il tema della sovranità.

 

Sovranisti, il prezzo della divisione


 

Bisogna analizzare inoltre il fallimento delle diverse formazioni che rivendicano anche la sovranità. Pagano tutti la mancanza di maturità politica. Il partito di Nicolas Dupont-Aignan, Debout la France (DLF), a fronte della drammatica caduta della lista LR, a rigor di logica avrebbe dovuto progredire. E invece ha fatto marcia indietro rispetto al risultato del primo turno delle elezioni presidenziali. Un'analisi seria della strategia, ma anche dello stile di leadership, è essenziale come condizione per la sopravvivenza stessa di questo partito.

 

Questo vale anche per l'Union Populaire Républicaine (UPR) e Les Patriotes. L'UPR supera di poco l'1% e Les Patriotes si è fermata allo 0,7%. Eppure la loro esposizione mediatica è stata superiore a quella del partito animalista, arrivato circa al 2,4%. Siamo ben oltre il momento in cui bisogna smetterla con le esclusioni reciproche, con il comportamento settario degli uni verso gli altri. L'esistenza di tanti micropartiti non è giustificata e li condanna a vegetare, come avviene oggi. Si pone la questione di una fusione tra DLF, UPR e Les Patriotes, tanto più importante quanto è evidente il fallimento della strategia di DLF, che aveva moderato le sue posizioni sull'UE nella speranza di strappare qualche voto ai repubblicani. La legittimità dell'esistenza di questi tre partiti è posta direttamente in questione, dopo le elezioni europee del 26 maggio. E quando si rivendicano gollismo e sovranità, si dovrebbe dare una certa importanza alla questione della legittimità.

 

Un'opposizione in briciole?


 

Resta vero che, nonostante la RN, l'opposizione a Emmanuel Macron è a pezzi. La sua forza deriva dalla debolezza dei suoi avversari. Possono solo sperare di rifondare la loro legittimità e costruire le condizioni della loro unità attraverso i comitati per raccogliere i 4,7 milioni di voti necessari per il referendum sulla privatizzazione dell'Aéroports de Paris. L'impegno per questa campagna, senza alcun calcolo di bottega e senza esclusioni, sarà quindi nelle prossime settimane il test per capire se un'opposizione a Emmanuel Macron è in grado di ricostituirsi, ripartire e lavorare insieme, chiave per il suo successo.

 

 

* Le opinioni espresse in questo contenuto sono di esclusiva responsabilità dell'autore.

24/05/19

L’establishment UE sarà sonoramente bocciato alle elezioni

Come ci ricorda l'editoriale di Strategic Culture, il successo dei partiti cosiddetti populisti non è dovuto a una congiura, a un nemico esterno o alla diffusione di notizie false. L’establishment europeo nega la più semplice delle spiegazioni: si tratta della bocciatura delle sue politiche da parte dei cittadini. L’UE e gli eurocrati che l’hanno governata hanno conseguito una lunga serie di fallimenti politici ed economici. Se l’élite si ostinerà ancora una volta a negare la realtà, la ribellione del popolo non potrà che aumentare e portare ulteriore disgregazione.

 

 

 

Editoriale, 24 maggio 2019

 

 

Durante questo fine settimana, i 28 stati membri dell’Unione Europea andranno alle urne, in un impressionante esercizio di democrazia. Le elezioni si svolgeranno durante quattro giorni e termineranno domenica. I risultati completi non saranno disponibili fino alla prossima settimana. Ma è già ampiamente previsto che i partiti cosiddetti populisti otterranno successi significativi in tutta l’Unione e avranno un maggior numero dei 751 posti del Parlamento Europeo.

 

Un’evidente anomalia è la partecipazione del Regno Unito a queste elezioni, a dispetto del fatto che, in teoria, avrebbe dovuto lasciare l'unione europea a marzo. Le discussioni sulla Brexit si sono protratte senza un risultato chiaro, il che significa che il Regno Unito è obbligato a partecipare alla elezioni parlamentari UE come gli altri 27 stati membri. I parlamentari europei eletti oltremanica potrebbero di fatto non occupare i loro posti a Bruxelles e Strasburgo, perché il processo della Brexit, una volta completato – quando sarà completato – renderà i loro posti eccedenti.

 

Un’altra anomalia è che le elezioni del 2019 sono state oscurate da affermazioni politiche e dei media, all’avvicinarsi della data del voto, secondo cui la Russia avrebbe lanciato una “campagna di interferenza” per convincere gli elettori a votare i partiti politici che avversano lo status quo UE.

 

Tuttavia, alla vigilia del voto, i media occidentali e diversi esperti di sicurezza UE hanno dovuto ammettere che non c'è stata alcuna prova della prevista “campagna di influenza del Cremlino”.

 

Questa ipotesi di una campagna russa nella UE riecheggia la vecchia e screditata favoletta applicata alle elezioni presidenziali USA del 2016. Non è mai stata prodotta alcuna prova che desse credibilità a questo scenario.

 

La Russia ha sempre negato con forza di avere tentato un’influenza di qualche tipo sugli elettori occidentali. Ma la grande anomalia è che i media occidentali e le agenzie di sicurezza UE hanno dovuto ammettere che non esiste alcuna prova che la Russia abbia messo nel mirino le elezioni UE con una campagna di interferenza sui media.

 

L’aumento dei movimenti politici nazionalisti, anti-immigrazione, euroscettici, anti-austerità, pacifisti, anti-capitalisti in tutta Europa è dovuto semplicemente a questo: un’ondata di consenso verso i partiti anti-establishment. La marea di proteste tra i cittadini europei contro l’establishment neoliberista non ha nulla a che vedere con la presunta “interferenza russa” e molto a che fare con il deficit democratico strutturale dell’Unione dei 28 membri.

 

Tentare di incolpare la Russia di avere “influenzato negativamente” i cittadini UE e avere foraggiato “partiti anti-UE”, come si è tentato di fare con lo scandalo governativo in Austria questa settimana, è un atto disperato di negazione della realtà politica da parte dell’establishment UE sui propri tremendi fallimenti politici ed economici. Questa negazione ufficiale della realtà e il tentativo di fare di Mosca un capro espiatorio sta solo alimentando ulteriormente le proteste popolari e l’instabilità interna della UE.

 

Il presidente francese Emmanuel Macron questa settimana ha incolpato come di consueto “la collusione tra i partiti nazionalisti e gli interessi stranieri che minacciano l’esistenza dell’Europa”. Le visioni elitiste di Macron sono sintomatiche del malessere dell’establishment, in realtà il nocciolo del problema della coesione e della autorevolezza della UE, che vanno collassando.

 

Il referendum inglese sulla Brexit, tenuto nel 2016, è stato un campanello di allarme sul dissenso popolare in tutta la UE nei confronti di un establishment di Bruxelles che viene considerato anti-democratico, ostaggio della grande finanza e dalla austerità neo-liberista capitalista e prono a un consenso guerrafondaio guidato da Washington e orientato verso guerre illegittime in terre straniere e all’espansionismo della NATO.

 

Lo status-quo UE ha portato a enormi problemi di immigrazione legati all’appoggio al bellicismo illegittimo USA in Medio Oriente e in Nord Africa. I cittadini europei si sono resi conto di questi problemi e si oppongono alla degenerazione dell’Europa in un vassallo dell’imperialismo di Washington. Il dissenso è inoltre evidente nella contrarietà di molti cittadini europei verso l'adesione UE alle sanzioni e all’ostilità verso la Russia imposte degli USA. Questo non significa che la Russia stia in qualche modo influenzando i movimenti di opposizione. È semplicemente un fatto che i cittadini europei si stanno rivoltando contro uno status quo anti-democratico che è troppo frequentemente servile verso l’asse transatlantico che non rispecchia i suoi fondamentali interessi democratici, così come molte altre politiche a cui lo status quo UE aderisce supinamente.

 

Emmanuel Macron e altre figure dell’establishment europeo possono anche pompare la fandonia che l’Unione sia sotto attacco da parte dei “partiti nazionalisti di estrema destra collusi con il Cremlino”.

 

Ma la realtà è che l’UE è semplicemente considerata da un numero crescente dei suoi 512 milioni di cittadini come un monolite che non risponde ai bisogni democratici. Ecco perché questi si ribellano contro lo status quo, votando per una serie di partiti anti-establishment. Se la UE non può riconoscere l’impulso verso la democrazia che arriva dal suo interno, allora il suo futuro prevede altri eventi disgreganti, come il movimento della Brexit fa presagire. Dare la colpa a “nemici esterni” come la Russia dei propri problemi politici interni si sta dimostrando una disperata negazione della realtà.

 

Questa settimana i popoli si esprimeranno. L’establishment UE farebbe meglio ad ascoltare.