09/02/14

D. Hannan: Il nazionalismo non minaccia la pace, né la UE la preserva

Sul Telegraph un interessante contributo di Daniel Hannan, autore di "How we invented Freedom", al dibattito sul rapporto tra nazionalismo e minacce alla pace. Per Hannan la UE è una conseguenza della pace, non la sua causa, ma ora allontanandosi dalla democrazia dello stato-nazione la sta mettendo a repentaglio. 


di Daniel Hannan, Telegraph - Gli euroscettici, afferma il ministro degli Esteri tedesco, sarebbero una minaccia per la pace in Europa. Frank-Walter Steinmeier continua a dire a chiunque lo ascolta che, senza integrazione politica, l'Europa tornerà all'epoca pre-1914.

Non voglio stare a contestare il vecchio socialista. Egli sta semplicemente recitando la filastrocca ortodossa di Bruxelles. Angela Merkel ha più volte affermato che un break-up dell'euro significherebbe la fine di mezzo secolo di pace. Herman Van Rompuy ci assicura che "il nazionalismo porta alla guerra". José Manuel Barroso afferma che coloro che si oppongono ad una più stretta integrazione europea, vogliono guerra e trincee.

È vero che i due migliori storici accademici hanno affermato che il leitmotiv di Steinmeier "Europa-porta-pace" sarebbe "inesatto ed ingannevole", ma la loro opposizione è tutt'altro che determinante. Quando Michael Gove e Richard Evans non sono stati d'accordo con la mia visione circa la Prima Guerra Mondiale, ho risposto che ciò che contava era la forza di un argomento storico, e non i titoli accademici del proponente. Proprio la stessa considerazione vale per il signor Steinmeier e gli altri politici eurofederalisti. 

Quindi, prendiamoli sul serio. Analizziamo la tesi, avanzata con assoluta sincerità, che il nazionalismo sarebbe la causa principale della guerra in Europa, e che l'UE sarebbe uno strumento di pacificazione.

Primo, dobbiamo essere chiari su cosa si intende per nazionalismo. La parola ha due significati distinti, che potrebbero venire impropriamente confusi. In un certo senso, si tratta del più alto grado di solidarietà che proviamo per la nostra stessa specie. Questa identificazione può essere irrazionale, ma non è meno vera. Proprio come l'amore per i proprio figli, le persone reagiscono più emotivamente alle notizie di un disastro naturale quando questo accade nel proprio Paese. Gli eurofili sono soggetti a questo sentimento come chiunque altro. Il loro obiettivo non è quello di estirparlo (sanno che fa parte del processo di integrazione), ma quello di  garantire che sia limitato alla sfera sportiva e tenuto fuori da quella politica.

 Alcuni euro-entusiasti, in modo eccentrico, vorrebbero semplicemente trasferire il nazionalismo su un piano allargato. Essi vorrebbero che ci commuovessimo alla vista della bandiera a dodici stelle, all'ascolto della Nona di Beethoven e tutto il resto, e parlassimo in modo naturale della tutela degli interessi europei contro gli USA e la Cina.
 
Tutto ciò ci porta al secondo significato di nazionalismo: il nazionalismo come ideologia politica. Il mio dizionario lo definisce come "la spinta che porta persone dello stesso gruppo linguistico a formare Stati indipendenti ed unitari". In questo senso, il nazionalismo è stato una diretta conseguenza della democrazia. Quando l'Europa era un mosaico di territori dinastici, costituiti in seguito a conquiste, matrimoni ed altri casualità, a nessuno è mai venuto in mente di lasciar decidere alla gente il proprio Stato di appartenenza. Ma dalla fine del XVIII secolo, si affermò l'idea che i governi debbano essere responsabili verso il popolo. E questo, ovviamente, solleva immediatamente la domanda: "Quale popolo?" In che ambito doveva agire il processo democratico?
 
La risposta è stata che uno Stato dovrebbe essere costituito da cittadini che ritengano di avere abbastanza in comune fra di loro, da accettare di governarsi tra loro - in altre parole, dovrebbe essere costituito da una nazione. I primi democratici sono stati quasi tutti nazionalisti in questo senso. Volevano sostituire l'Europa di prelati e prìncipi con un'Europa democratica di Stati-nazione. I Moti del 1848 sono stati una rivolta contro l'autocrazia e l'oscurantismo, ma anche una rivolta in favore dell'autodeterminazione nazionale. Come disse il patriota italiano Giuseppe Mazzini: "Dove c'è una nazione, vi sia uno Stato".
Volontariamente o meno, Steinmeier, Barroso, Van Rompuy e tutti gli altri, non tengono conto di queste due definizioni. E' vero che il nazionalismo nel primo significato, cioè un'irrazionale preferenza per l'etnia a cui si appartiene, ha conseguenze positive e negative. Quando due nazioni litigano, i cittadini stentano a vedere il punto di vista degli altri. Questo può rendere più difficile il compromesso e, in casi estremi, portare ad un conflitto.

D'altronde, il tribalismo è profondamente incorporato nel nostro genoma, e non può essereabolito per legge. Fate caso a come due gruppi di tifosi valutino diversamente una decisione controversa dell'arbitro. Non è che si tratti di valutazioni coscientemente prevenute; è che i due gruppi proprio non riescono a vederla nello stesso modo. Se due tifoserie rivali non riescono a mettersi d'accordo su come arbitrare una partita con regole chiare, nel contesto di una decisione che può essere rivista alla moviola infinite volte, che probabilità ci sono che due nazioni siano d'accordo sullo status, per esempio, della Cisgiordania?
L'obiettivo della diplomazia non dovrebbe essere di abolire il patriottismo. E' assolutamente impossibile e, in ogni caso, il patriottismo ha la sua utilità. E' il nostro senso di identità comune che ci dispone ad accettare il risultato delle elezioni quando abbiamo votato per i perdenti, di pagare le tasse per sostenere gli stranieri, di obbedire a leggi su cui non siamo d'accordo. No, lo scopo della politica internazionale dovrebbe essere quello di assicurare che il patriottismo sia incanalato in modo sano: che le inevitabili rivalità fra popoli diversi possano essere risolte senza ricorrere alla violenza.
 
Questo ci riporta alla seconda definizione di nazionalismo, il progetto di unire intere popolazioni sotto le proprie leggi. È questo nazionalismo la principale minaccia per la pace in Europa, come gli euro-federalisti continuano ad insistere? Storicamente, questa affermazione è facilmente confutabile. La guerra più letale combattuta in Europa, fatte le dovute proporzioni, è stata la guerra dei Trent'anni (1618-1648), che ha visto 1.500 città e 18.000 villaggi rasi al suolo, e la perdita di circa un terzo della popolazione totale della Germania e della Repubblica Ceca. Le peggiori atrocità furono commesse generalmente da uomini dello stesso sangue e della stessa lingua: le differenze non erano nazionali, bensì religiose.
Si potrebbe obiettare che si tratta di un esempio assurdo. Il nazionalismo è un fenomeno moderno, si potrebbe dire, non è giusto confrontarlo con i conflitti sanguinari di ere remote. Bene, d'accordo. Ma anche in tempi moderni, l'ideologia più micidiale è stata proprio quella che detestava consapevolmente il nazionalismo e che insegnava come la lealtà patriottica fosse una forma di falsa coscienza. Stalin ha ucciso 20 milioni di persone (non contando le vittime di guerra), un record superato solo dal presidente Mao.
Qualche lettore starà già strillando contro lo schermo: "E Hitler?" Beh, io la penso nella maniera seguente.
La Seconda Guerra Mondiale è stata principalmente una guerra ideologica, con le persone schierate a favore o contro  dottrine diverse. E' vero, naturalmente, che intere nazioni scelsero le loro alleanze su questa base, ma non c'è stato un unico Stato in Europa, nemmeno l'Islanda, che non abbia schierato combattenti in entrambi gli schieramenti. C'erano inglesi che combattevano per Hitler e c'erano tedeschi che schierati contro di lui. Le ultime truppe in difesa di Berlino, quando la Wehrmacht collassò, erano soldati francesi e scandinavi, rispettivamente dei reggimenti SS Charlemagne e Nordica Waffen.
Si può quindi accusare Hitler di molte cose, ma di una cosa non si può accusarlo ed è il rispetto per la sovranità nazionale. Per nessuna ragione al mondo avrebbe voluto un'Europa di Stati-nazione del tipo proposto da Mazzini o da un qualsiasi altro dei rivoluzionari del 1848. Ciò che egli voleva era un impero in cui altri popoli sarebbe stati forzatamente incorporati, o come cittadini o come schiavi. La sconfitta del nazismo nel 1945, come la sconfitta del comunismo sovietico nel 1989, è stata una vittoria dell'indipendenza nazionale.

Coloro che hanno più di tutti minacciato la pace, lungi dall'essere nazionalisti, sono spesso stati i sostenitori di ideologie trans-nazionali. Gli islamisti oggi, come i Nazisti e i Sovietici prima di loro, rivendicano di rifarsi ad una dottrina superiore alle regole stabilite della giurisdizione territoriale e della sovranità nazionale. Gli Stati-nazione, in quanto radicati su un antico senso di devozione, sono la difesa più sicura contro queste esaltazioni.
Che cosa si può dire sull'esempio preferito citato da Steinmeier e Barroso - quello della Prima Guerra Mondiale? Non possiamo incolpare il nazismo, il comunismo o l'islamismo. Non è forse il nazionalismo il vero responsabile? Ebbene sì, ma guardate di che tipo di nazionalismo si trattava. La causa diretta degli scontri fu il desiderio di autodeterminazione di molti degli Slavi del sud soggetti all'impero austroungarico. Questa sensazione che le persone hanno, in un modo o nell'altro, di trovarsi nello Stato sbagliato, è una causa ricorrente di conflitto. Esaminate le situazioni "calde" di oggi: il Kashmir, la Cecenia, la Palestina, il Sahara Occidentale, il Tibet. Costringere dei popoli diversi fra loro a stare insieme, piuttosto che permettere loro di vivere un pacifico vicinato, tende ad alimentare gli antagonismi nazionali, piuttosto che calmarli. La crisi dell'euro è un "avvertimento preventivo" all'UE che l'unione politica, lungi dall'essere un miglior modo di andare avanti per i popoli costituenti, tende ad avere l'effetto opposto.
Così, se non è l'Unione Europea, qual è la spiegazione della pace che - al di fuori dei Balcani - l'Europa ha goduto negli ultimi 70 anni? Avrei pensato che la risposta fosse evidente: la diffusione della democrazia liberale. Degli Stati borghesi ben consolidati, con governi rappresentativi, generalmente non si combattono fra di loro. Si dice a volte che non ci sono mai state due democrazie in guerra l'una contro l'altra. Non è esattamente vero: delle democrazie imperfette, in rare occasioni, sono venute alle armi (Russia-Georgia, Israele-Libano, Ecuador-Perù ). Ma anche questi esempi sono eccezionali, più pluralisti e più liberali sono gli Stati, più rari sono i conflitti.

Il patriottismo non è una forza negativa. Un vero patriota valorizza la libertà e si rallegra dei successi degli altri Paesi. Il Regno Unito ha aderito alle due mostruose guerre del ventesimo secolo, non perché i suoi interessi fossero immediatamente minacciati, ma per difendere la sovranità di un paese amico. Noi, fra tutti, non abbiamo bisogno di lezioni su come essere dei buoni cittadini europei. 
L'Unione Europea non è una causa della pace in Europa, ma una conseguenza. La pace è arrivata in Europa, senza eufemismi, perché le ex dittature hanno adottato la democrazia capitalista - prima nel 1945 e poi, in una seconda ondata, nel 1990. Il modo più sicuro per mettere a rischio la pace sarebbe allontanarsi dal modello di democrazia capitalista degli Stati-nazione. E chi è che si sta muovendo in quella direzione in Europa, Mr Steinmeier?

4 commenti:

  1. lo dicono tutti gli eurofanatici, e la sinistra. Basta essersi letti il manifesto negli ultimi anni o cercare Berardi Bifo.
    Ma lo scoop è tale perché lo dice un tedesco, come se la Reding, la Ashton, Hollande non avessero ribadito la stessa cosa.

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  2. Se anche volessimo poi superare gli stati nazione per un unico stato europeo, cosa mi rappresenta un Barroso o un Olli Rehn? Questo discorso di superare le nazioni si sarebbe potuto accettare solo se in Europa si fosse dato spazio ad un cambiamento che avesse portato ad avere un Parlamento con veri poteri legislativi, un governo legittimato a governare perchè composto da rappresentanti scelti dal Parlamento liberamente eletto dagli europei ed un capo dello Stato eletto dai cittadini se la forma di Repubblica fosse stata presidenziale o dai rappresentati in Parlamento se fosse stata parlamentare, ma così ci stanno governando gente che non ci rappresenta e che si permette oltretutto di farci anche la lezione sui nazionalismi.

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    1. Costruire uno stato federale democratico è molto difficile se non impossibile in un continente dalle lingue diverse. Ma l'obiettivo non era evidentemente la democrazia, bensì il suo superamento, attraverso la subdola strategia dei "piccoli passi", che in stile perfettamente eurocratese ha imposto un progressivo spostamento di poteri e competenze dagli stati nazionali agli organi europei, naturalmente a vantaggio dei popoli ignari, che alla fine si sarebbero trovati di fronte allo stato di fatto, e non avrebbero potuto che apprezzarne i vantaggi...lo vedremo a maggio...

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  3. Applausi a scena aperta per il contributo di un vero democratico.

    Da far leggere a forza a tutti i "sinisri" individui che, desiderando l'annichilimento della democrazia nazionale, ci stanno consegnando alla dittatura del capitale.

    Come sempre, grazie infinite a vocidall'estero per la segnalazione e la traduzione.

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