Su Makroskop una risposta dell'economista tedesco Heiner Flassbeck all'articolo di Hans Werner Sinn sulla Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung e in particolare alla prima parte (qui tradotta da Vocidallagermania) in cui Sinn diffonde quella che Flassbeck definisce la "grande bugia tedesca", e cioè che gli italiani si troverebbero ora in una difficile situazione per aver vissuto al di sopra dei propri mezzi, rispetto ai ragionevoli e sobri tedeschi. In reltà - dice Flassbeck - è soprattutto la Germania che rimanendo molto al di sotto degli standard di inflazione concordati ha alterato la dinamica del costo del lavoro a proprio favore con un chiaro dumping salariale.
di Heiner Flassbeck, 22 novembre 2018
Traduzione per Vocidallestero di Beppe Vandai
Chi e cosa difende le nazioni dai mercati dei capitali? Ci vuole un "fratello di grandi dimensioni" o si può anche agire da soli? Perché l’essere membri dell’Eurozona non aiuta?
A leggere le solite prese di posizione tedesche sul problema italiano e a considerare in particolare il ruolo dei mercati dei capitali mi tornano di nuovo alla mente vecchie questioni, risolte in realtà da tempo immemorabile. Questo soprattutto capitandomi di attraversare, come mi è accaduto la settimana scorsa, un Paese che ha temuto come nessun altro i mercati internazionali del capitali e che non aveva altra intenzione che di scansarli. Dopo la Seconda guerra mondiale l’Austria non si è mai esposta al rischio di venire giudicata e condannata dai mercati dei capitali.
Immediatamente dopo la fine del sistema monetario di Bretton Woods il Paese agganciò lo scellino al marco tedesco e, fino all’entrata nell’Eurozona, non cambiò più la parità di 7 scellini per marco tedesco. In tal modo – ancoratosi stabilmente alla Germania – il Paese è letteralmente sparito dal radar dei mercati dei capitali, poiché sui mercati internazionali si credeva che l’Austria riuscisse a mantenere sempre le basi economiche necessarie al vincolo del cambio, ovvero la relativa stabilità del tasso di inflazione, cosa che, come sappiamo, significa mantenere la stessa stabilità nella dinamica del costo del lavoro per unità di prodotto.
Allora nessuno pensava alla stabilità degli interessi di lungo periodo, poiché sembrava ovvio che un Paese che riuscisse senza grosse frizioni a legarsi al cambio di una grossa moneta, non avrebbe avuto nulla da temere sul fronte dei tassi d’interesse. Ma perché era così? Perché dei grandi Paesi erano protetti dal pericolo di trovarsi in balia dei mercati finanziari? Era solo una faccenda di dimensioni?
Basta solo la grandezza per essere protetti?
La grande taglia offre una protezione perché, quando si ha un’economia nazionale grande e relativamente chiusa, come ad esempio gli USA o il Giappone, si è poco dipendenti dalle importazioni e dalle esportazioni. Perciò, anche una svalutazione della propria moneta non rappresenta di solito un gran problema politico ed economico. Quanto agli USA va aggiunto il vantaggio di emettere una moneta usata tantissimo a livello internazionale. Poiché economie grandi e chiuse quasi non hanno bisogno di difendersi da svalutazioni, riescono a padroneggiare la situazione – anche nei confronti dei più ampi mercati dei capitali.
Per piccole economie aperte le cose stanno diversamente – si vedono infatti esposte ad una asimmetria non facile da trattare. Sono quasi incapaci di affrontare delle svalutazioni ingiustificate, con gravi danni all’economia, poiché possiedono sempre riserve limitate di valute estere, con le quali poter tener duro, nel caso di un’eccessiva salutazione.
Delle rivalutazioni ingiustificate – lo si è visto con la Svizzera – possono invece venir fermate anche dai Paesi più piccoli mediante interventi sul mercato delle valute, poiché intervengono con la propria moneta. Se non esiste più un rischio di svalutazione, come nel caso dell’Eurozona, allora i mercati dei capitali possono mettere sotto pressione un Paese solo vendendo i suoi titoli di stato. Ma qui non sussiste più l’asimmetria di cui abbiamo parlato. Qualsiasi sia stato il motivo per la “svendita“ operata dai mercati dei capitali, la banca centrale (del Paese attaccato, ndt) può compensare senza problemi gli effetti mediante il proprio intervento. Per questo motivo le piccole economie nazionali, in un’ unione monetaria, dovrebbero trovarsi in uno stato di protezione totale.
La grande bugia tedesca
Perché non funziona questo meccanismo nell’Eurozona? Perché è possibile minacciare l’Italia con i mercati dei capitali, sebbene certamente uno dei motivi della sua adesione all’Unione monetaria fu che, proprio con la propria adesione, sarebbe stato possibile sottrarsi alle imponderabilità del mercato dei capitali?
Invece di fornire a questo riguardo una seria risposta , in Germania si giunge a quella che posso chiamare la grande bugia. E nessuno l’ha diffusa più di Han-Werner Sinn, che pochi giorni fa l’ha potuta esporre in lungo e in largo sulla FAS (su Vocidallagermania la traduzione della prima parte dell'articolo, cui si riferisce Flassbeck, ndt). Una risposta seria sarebbe questa: le difficoltà sorgono sempre allorché i Paesi non si attengono alle intese a cui ogni accordo sui cambi fissi deve essere soggetto, cioè di non sforare né al di sopra né al di sotto del livello di inflazione concordato. E il rapporto è perfettamente simmetrico, poiché il sorgere di una deviazione nella competitività non dipende dal fatto che uno stia sopra o sotto (la linea di inflazione concordata, ndt). Eppure all’Italia viene rimproverato di aver vissuto al di sopra dello standard europeo (ovvero dell’obiettivo dell’inflazione programmata), senza dire che la Germania ha vissuto enormemente al di sotto dei propri mezzi.
COSTO DEL LAVORO PER UNITÀ DI PRODOTTO (nominale), A LIVELLO MACROECONOMICO, così calcolato: reddito lordo da lavoro dipendente in moneta nazionale ( euro) per dipendente, rapportato al PIL reale per occupato (inclusi cioè anche i lavoratori indipendenti).
Linea blu scura: Germania.
Linea grigia: obiettivo di inflazione concordata all’ 1,9%.
Linea verde: inflazione media in tutta l’Eurozona.
Lina azzurro tenue: Italia.
Linea arancione: l’Eurozona, Germania esclusa.
Questo è perfido e infinitamente stupido. Se la AfD agisce così, lo si può rubricare sotto la voce “propaganda politica”. Ma se così si comportano gli altri partiti o i cosiddetti scienziati, allora non è più scusabile. L’unica seria risposta alla domanda di cui sopra è che l’€Z viene messa alle strette da due lati e con ciò, sul lungo periodo, perde completamente la sua credibilità. Eppure, anche un’Unione monetaria non più credibile potrebbe respingere facilmente gli attacchi dei mercati, così come Mario Draghi ha fatto con il suo famoso “whatever it takes” (con qualunque mezzo, ndt). Però, un’Unione monetaria non più credibile – in cui il Paese che ha violato le regole sul lato del vivere-al-di-sotto-dei-propri-mezzi, ma respinge qualsiasi colpa e nel contempo incita gli altri ad agire, ma impedisce alla Banca centrale di agire – è perduta. Essa abbandona ogni Paese alle minacce e alle condanne dei mercati dei capitali, in realtà ridicole.
Chi oggi è membro dell’Eurozona non solo non ha ottenuto quello che si aspettava, ma ha persino perduto qualcosa di essenziale, di fondamentale. Poiché la Germania condanna a priori senza la minima pietà gli altri Paesi, i mercati internazionali hanno facile gioco. A questo un membro dell’€Z non ha niente da contrapporre, perché non ha più nemmeno una banca centrale, visto che la BCE, in base alla lettura che ne fa la maggioranza, non può intervenire contro i mercati finanziari a favore dei Paesi membri. Ogni Paese è "in balia dei mercati” almeno quanto un piccolo Paese in via di sviluppo con un’economia aperta.
Se i piccoli Paesi ora si beccano anche un “Fondo monetario europeo”, come proposto appena oggi al Parlamento tedesco da Olaf Scholz, allora niente più li differenzierà dagli indifesi Paesi del Terzo mondo, del cui destino ci lamentiamo da anni. Quando finalmente qualcuno si alzerà per chiarire a tutti, in modo inequivocabile, che non era questo l'obiettivo?
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